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Autore: _Pulse_    16/01/2018    1 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Ciao Merlinians! I'm back! :)
Ormai ci avviciniamo alla fine di questa storia che è stata peggio di un parto per me, la quale però ne è valsa ogni attimo: sono orgogliosa di questa storia e sono grata a chiunque l'abbia seguita, nel bene e nel male.
Perciò bando alle ciance e vi auguro una buona lettura. Sono disponibile a rispondere a qualsiasi domanda e curiosità, sia qui sia sulla mia pagina facebook ;)
A presto (spero)! Un bacio.

Vostra,

_Pulse_



_________________________________________________________


30. The gates of Avalon



«Mi stai ascoltando? Alex?».
L'infermiera alzò gli occhi e attraverso il grande specchio da terra che Wanda aveva procurato loro vide Cathleen alle sue spalle, che la fissava con sguardo apprensivo e diverse forcine tra le labbra.
«Scusami, stavi dicendo qualcosa?».
La rossa sospirò e sputò con ben poca grazia i fermacapelli sul letto, poi spalancò la finestra e si sedette sul davanzale per accendersi una sigaretta. Prese una lunga boccata di fumo prima di esclamare: «Mi vuoi dire che cos'è successo? Se è così che tu e Merlino avete sistemato le cose, ci sarà da divertirsi».
Alex scosse il capo, torturando l'anello di sua madre.
Pensava che fosse andata piuttosto bene con Merlino, almeno fino a quando non aveva messo alla prova il ciondolo di Morgana con la potente magia contenuta in Excalibur. Com'era già successo aveva perso i sensi, ma quella volta al suo risveglio lo stregone non era al suo fianco. L'aveva cercato nei dintorni e all'agriturismo, sentendo una voragine in mezzo al petto risucchiare tutto quanto, persino l'aria che respirava, ma di lui nessuna traccia. Non aveva detto una parola in merito, sperando che si fosse allontanato volontariamente per riflettere su tutto ciò che gli aveva confessato, e sinceramente era sorpresa che Artù non avesse già organizzato le squadre di ricerca.
Sapeva di aver sbagliato, più e più volte, ma sperava con tutto il cuore che Merlino fosse in grado di perdonarla. Non sapeva cos'avrebbe fatto se l'avesse perso per colpa dei suoi segreti, di certo qualche follia. Aveva bisogno di lui, ora più che mai.
Cathleen gettò il mozzicone e una volta chiusa la finestra tornò a concentrarsi sulla sua acconciatura senza più aprire bocca.

***

Artù si fermò all'inizio del tappeto rosso che era stato steso sull'erba tagliata di recente e coi pugni stretti lungo i fianchi trattenne un'imprecazione.
Di tutte le volte in cui aveva voluto stragolare a morte lo stregone, quella era la peggiore. Non solo l'aveva addormentato con la magia perché non lo seguisse - già abbastanza imperdonabile di per sé, - ora si era persino dato alla macchia!
L'aveva cercato ovunque e aveva provato a chiamarlo al cellulare almeno un centinaio di volte, ma non era riuscito a rintracciarlo. Dove poteva essersi cacciato? E poi, perché sparire in quel modo? Temeva fosse successo qualcosa con Alex, ma non aveva avuto ancora il coraggio di andare da lei per avvisarla. Inoltre, cercando indizi, aveva notato che il suo completo da sposo era scomparso. Questo lo aveva in parte rassicurato che in un modo o nell'altro si sarebbe presentato al matrimonio.
Ormai mancava davvero poco ed era quasi tutto pronto: l'arco di gardenie bianche, le sedie foderate per gli invitati, il gazebo sotto il quale si sarebbe svolto il taglio della torta, i bracieri che sarebbero stati accesi al calar della sera per allontanare gli insetti e creare un'atmosfera romantica.
Nonostante il poco preavviso, il padre di Alex e i signori Morris si erano impegnati al massimo per curare ogni più piccolo dettaglio e Merlino, comportandosi in quel modo, stava mancando loro di rispetto.
«Ciao Artù!».
L'ex sovrano si voltò e rimase quasi a bocca aperta di fronte a quella versione di Abigail: il trucco aveva restituito al suo viso un colorito sano che non le aveva mai visto, i suoi occhi risplendevano di gioia e il vestito da damigella d'onore, bianco come quello della sposa, la rendeva simile ad una Dea. Per un attimo si dimenticò persino la sua verà età e gli si annodò lo stomaco quando la truce verità lo colpì in faccia come un pugno: era troppo piccola per andarsene.
«Sei... sei bellissima, Abby», riuscì a dirle, inghiottendo il magone.
La ragazzina sorrise timidamente, abbassando gli occhi sulla gonna candida che le arrivava fino alle caviglie. «Grazie».
Artù si avvicinò d'un passo e mandò al diavolo i protocolli e il proprio rigore: le avvolse le braccia intorno alla vita e respirò profondamente il suo profumo, cercando di mettersi il cuore in pace: per quanto facesse male, non poteva aiutarla.
Abby ricambiò l'abbraccio picchiettandogli una mano sulla schiena, presa alla sprovvista. «Va tutto bene?».
«Sì, io... volevo far ingelosire un po' Mark, tutto qui», scherzò indicando il ragazzino, seduto sulla sua sedia a rotelle e con gli occhi ridotti a due fessure per la rabbia.
«Beh, ci sei riuscito», replicò la ragazzina, ridacchiando. All'improvviso però si accigliò, notando l'assenza di uno degli ospiti fondamentali: «Dov'è Merlino?».
Come temeva, Artù fu costretto a mentire per non rivelare che in realtà non ne aveva la più pallida idea. «In bagno. L'ansia gli fa quest'effetto».
Abby arricciò il naso e non riuscì a capire se per il disgusto o perché aveva sentito puzza di bugia. Ad ogni modo si risedette sulla propria carrozzina e raggiunse gli amici, lasciandogli spazio per pensare.
Alzando gli occhi al cielo in una muta richiesta di consiglio scorse una delle finestre dell'agriturismo aprirsi e un fondoschiena che avrebbe riconosciuto tra milioni posarsi sul davanzale: quello di Cathleen. Eccola la sua risposta.
Quasi corse fino alla stanza delle ragazze e si rese conto che non era stato tanto coinvolto nemmeno nel proprio matrimonio. Bussò freneticamente alla porta e fu proprio Cathleen ad aprire, o almeno a sporgere fuori il naso.
«Sei da solo?», gli chiese. «Non so come fosse ai tuoi tempi, ma ora porta sfortuna che lo sposo veda la sposa col vestito prima delle nozze».
«Tranquilla, Merlino non c'è», rispose con un grande sospiro: dubitava che sarebbe riuscito a ripeterlo senza scatenare il panico. «Puoi uscire un attimo? Devo parlarti».
«È urgente?».
«Molto».
«'kay». Si rivolse verso Alex e le disse: «Sono qui fuori con Artù, torno subito», ma l'infermiera non rispose.
In effetti, da come Cath sollevò le sopracciglia, ebbe la netta impressione che il suo atteggiamento non l'avesse sorpresa. Non un buon segno.
Il tempo di chiudere la porta e il paramedico partì subito in quarta dicendo quanto la urtasse il silenzio di Alexandra, mentre lui esordì con la scomparsa di Merlino. Si parlarono l'uno sopra l'altro, eppure capirono perfettamente che le loro esperienze avevano la stessa spiegazione.
«È successo qualcosa ieri notte», dedussero come due perfetti detective, picchiandosi i pugni sulle mani. Peccato che detto questo rimasero in silenzio a fissarsi per diversi secondi, preoccupati.
Ad un tratto però Artù fu colpito dall'aspetto della  sua ragazza, tanto che si dimenticò quasi completamente di Merlino. Indossava un elegante vestito verde smeraldo, un colore che le donava moltissimo per via dei capelli rosso sangue e la pelle diafana. L'abito aveva una sola spallina, in stile vagamente romanico, ed era tempestata di gemme brillanti.
«Sei... wow. Sembri una vera principessa», mormorò incantato.
Cathleen tuttavia gli rivolse un'occhiata sconcertata, esclamando: «E questo come dovrebbe aiutarci? Dobbiamo fare qualcosa!».
Artù aprì la bocca per scusarsi e probabilmente ammettere ancora una volta di essere a corto di idee, quando la porta della stanza si aprì rivelando una Alex per il cui viso stanco e triste non sarebbero bastati chili di trucco né un make-up artist professionista.
«Non potete fare niente», rispose con voce flebile ed arrochita, come se avesse gridato per tutta la notte. «È una questione tra me e Merlino, nessun altro».
La rossa le prese una mano tra le sue e le massaggiò le dita. «Puoi almeno raccontarci cos'è successo?».
«A questo punto, tanto vale che sia onesta anche con voi».
Alex aveva usato il plurale, ma aveva guardato intensamente Artù dicendo quelle parole. Entrando nella stanza, il re di Camelot percepì che ne sarebbe uscito di umore radicalmente diverso. Cercò di prepararsi al peggio, ma la verità era che non avrebbe mai immaginato la gravità della situazione.

«Stai dicendo che Morgana, la stessa che ha dichiarato guerra a Camelot e ha desiderato con ogni fibra del suo corpo la morte di Artù per il suo trono, quella Morgana, è tra noi?», chiese Cathleen non appena Alex finì di aggiornarli.
L'infermiera si portò una mano tra i capelli, ricordandosi troppo tardi dell'acconciatura su cui l'amica aveva lavorato per due ore, e dopo essersi scusata precisò: «Si tratta del suo spirito. E ora non è più cattiva: Excalibur l'ha liberata. Vuole aiutarci, sul serio».
«Non me la bevo», rimase sulle sue il paramedico, scuotendo il capo.
«Ieri mi ha dato questo». Alex si alzò e recuperò da sotto il cuscino il ciondolo con sopra incise tre spirali intrecciate.
«Ho già visto questo simbolo. Freya ce l'aveva tatuato sul braccio».
«Il simbolo dei druidi».
Il paramedico arricciò il naso e le allontanò la mano, come se ne fosse inorridita. «Okay, stai ancora cercando di convincermi che Morgana è dalla nostra parte, vero? Perché questo non aiuta».
«Ascoltami, Cath. Ha fatto un incantesimo a questo ciondolo e ora se lo indosso posso impugnare Excalibur senza diventare una fredda macchina da guerra».
Cathleen si alzò dal letto ed iniziò a passeggiare su e giù per la stanza, gesticolando come una forsennata.
«Come fai a sapere che funziona? Magari l'ha incantato perché la collana ti mozzi via la testa!».
«Perché l'ha già provato», disse Artù a bassa voce, ciononostante fu come se avesse appena urlato quelle parole a squarciagola.
«Che cosa?», sbottò la rossa con entrambe le mani sui fianchi. «E tu come fai a saperlo?».
«Ieri notte Merlino è uscito senza dirmi dove fosse diretto. Con Excalibur».
Il «Che cosa?» di Cathleen quella volta fu più debole, tant'era lo shock. Alex chiuse gli occhi di fronte allo sguardo severo dell'antenato, consapevole che se l'avesse fronteggiato non sarebbe riuscita a frenare le lacrime.
«È per questo che Merlino è scomparso, non è vero? Gli hai detto tutto. O quasi».
Era stato più forte di lui. La rabbia che provava in quel momento rischiava di fargli venire un attacco, perciò decise di uscire a prendere una boccata d'aria prima che fosse troppo tardi. Avrebbe dovuto limitarsi ad andarsene sbattendosi la porta alle spalle, ma non ci riuscì.
«Come sai, uno dei miei compiti da re era addestrare e nominare i cavalieri di Camelot. Ho compiuto scelte difficili, in tempi difficili, per le quali mio padre, se fosse stato ancora in vita, non mi avrebbe mai perdonato. Ho scelto uomini dalle umili origini, ma coraggiosi e leali, e non me ne pentirò mai.
«Quando ho scoperto della nostra lontana parentela e del tuo desiderio di allenarti non mi aspettavo molto, sono sincero. Eppure sei riuscita a sorprendermi, a farmi cambiare idea, persino a... a rendermi orgoglioso di te. E di tutti i cavalieri che ho addestrato, tu sei uno dei migliori.
«Non succedeva spesso, ma anche i migliori sbagliavano. E in quelle occasioni mi sentivo responsabile, non potevo fare a meno di chiedermi dove avessi sbagliato. Ma mai, mai in tutta la mia vita, ho provato una tale delusione. Mi hai spezzato il cuore, Alexandra, e non so se meriti di essere una Pendragon».
Quell'ultima frase vibrò nell'aria a lungo, come una triste nota di violino, e Artù sentì le proprie corde vocali rispondere con lo stesso tremore. Perciò chiuse finalmente la porta e tornò in giardino, dove aiutò Edwin a montare le lanterne sopra la pista da ballo in legno.

***

Merlino si svegliò al gracchiare di un corvo.
Col capo posato contro il tronco dell'albero sotto le cui fronde si era fermato a riflettere e poi ad ubriacarsi, alzò lo sguardo verso il ramo più basso e vide l'uccello, dal piumaggio lucente, che lo fissava con i suoi occhietti scuri.
«Che cosa vuoi?», biascicò con espressione arcigna. «Vattene!».
Il corvo non si mosse e Merlino prese la lattina di birra vuota più vicina a sé e gliela lanciò contro, urlando di rabbia. Ovviamente non lo colpì.
«Dannazione. Dannazione!».
Si coprì il volto con le mani e respirò profondamente, più e più volte.
Non aveva avuto il coraggio di rimanere accanto ad Alex e di aspettare il suo risveglio: aveva troppa paura che Morgana li avesse ingannati di nuovo, sfruttando l'ingenuità e l'innocenza dell'infermiera per fare loro altro male.
Si era rifugiato nel bosco e aveva pregato tutti gli dei che conosceva, pagani e non, mentre ciò che aveva visto del proprio futuro continuava a ripetersi in loop nella sua mente.
Alex aspettava una bambina, una bellissima bambina che avrebbe ereditato i suoi poteri, e forse anche per questo lui sarebbe morto prima di poterla conoscere. I custodi della magia si sarebbero accaniti contro di loro con ogni mezzo, perciò non c'erano alternative: era la sua vita per quella di sua figlia ormai.
Per secoli aveva atteso il ritorno di Artù, certo che alla fine si sarebbe sacrificato perché il re del passato e del futuro potesse vivere la vita che meritava. Quello che avevano sempre voluto i custodi, in fin dei conti. L'arrivo di Alex aveva cambiato tutto, ma come in una partita a scacchi sbilanciata, per qualunque loro mossa ce n'era già una pronta in grado di vanificarla. Non avrebbero mai vinto, era scritto.
Il corvo gracchiò nuovamente, attirando la sua attenzione, e Merlino decise di alzarsi per guardarlo da più vicino. Doveva comunque tenere il capo rivolto verso l'alto, ma l'animale sembrava interessato allo stregone quanto quest'ultimo di lui.
«Sei tu, Morgana?», gli domandò con la bocca improvvisamente asciutta. In compenso, le lacrime tornarono a bagnargli gli occhi. «Che cosa stai cercando di dirmi? Che sono un codardo? Sì, probabilmente lo sono. Ero pronto ad accettare il mio destino, ma Alex... A causa sua ora ho paura di morire, è questa la verità. Non posso lasciarla, non voglio. Non voglio che sia costretta ad uccidermi, perché so che se lo farà, questo la perseguiterà per tutta la vita. Rivivrà quel momento tutte le notti, proprio come ho fatto io per più di millequattrocento anni. Non volevo ucciderti, Morgana, ma dovevi essere fermata. Mi dispiace... Mi dispiace così tanto».
Il corvo quella volta rimase in silenzio, per poi volare via dal ramo.
Il mago allora crollò a terra, in ginocchio, senza preoccuparsi che il completo che stava indossando fosse quello del matrimonio. Un look quasi total black, ravvivato un poco dalla cravatta e dal fazzoletto nel taschino, entrambi viola acceso.  
L'aveva preso quella mattina all'alba, quando era tornato all'agriturismo ancora immerso nel più totale silenzio. Artù era ancora profondamente addormentato per via del suo incantesimo e Alex... beh, aveva preferito non svegliarla. Ancora una volta, non aveva trovato il coraggio di affrontarla. Aveva aperto la porta della stanza che condivideva con Cathleen e si era avvicinato al suo letto. Si era inginocchiato al suo fianco e le aveva accarezzato il viso con lo sguardo, poi le aveva rimboccato le coperte ed era uscito così com'era entrato, senza fare il minimo rumore.
Perse di nuovo la cognizione del tempo o forse si riaddormentò, lì steso su quel letto di muschio ed aghi di pino. Quando riaprì gli occhi, non solo il corvo era tornato con una gardenia bianca nel becco, ma c'era qualcuno sdraiato al suo fianco.
«Tu non dovresti essere qui. Io non dovrei vederti così», mormorò Merlino, guardando il profilo perfetto del naso di Alex sotto il velo.
«Non vuoi più sposarmi?», gli chiese lei dopo una dozzina di secondi.
«Che cosa te lo fa pensare?».
«Io non sposerei una persona che mi ha tenuto all'oscuro di una cosa così importante. L'ho detto ad Artù, sai? Ha detto che non è mai stato così deluso da un cavaliere, che gli ho spezzato il cuore e che non merito di essere una Pendragon».
«Artù esagera, lo conosci. Per quanto mi riguarda... Ti ricordi quando abbiamo fatto l'amore per la prima volta?».
Alex si voltò finalmente a guardarlo, alzandosi persino il velo e rivelando la sottile corona d'oro che le cingeva la fronte. Era così fottutamente bella!
«È una domanda a trabocchetto?», gli chiese con l'accenno di un sorriso. «Certo che mi ricordo!».
«Tu mi dissi che l'unica cosa importante era che il mio cuore appartenesse a te».
«E tu mi risposi... "Fino alla fine dei miei giorni"», concluse per lui Alex, sbattendo rapidamente le palpebre per cacciare via le lacrime. Gli portò una mano sul volto, avvicinandosi tanto da far toccare le loro fronti.
Merlino respirò profondamente e chiuse gli occhi, le avvolse un braccio intorno alla vita e finalmente si sentì in pace col mondo.
«Non so se sarà per un giorno, per un anno o altri cinquanta. So solo che non smetterò mai di amarti, Alex. Qualsiasi cosa succederà, hai capito?».
«Mi stai facendo spaventare. Hai visto qualcosa?».
Lo stregone scosse il capo e le impedì di insistere posando le labbra contro le sue.
Quando si scostarono l'uno dall'altro erano consapevoli che avrebbero riaperto il discorso, prima o poi. Ora però c'era un matrimonio da celebrare.
Si alzarono e si spolverarono vincendevolmente i vestiti. In quel frangente Merlino ebbe l'opportunità di ammirare le modifiche apportate al Versace che le aveva regalato per il galà al Castello di Windsor: erano state aggiunte delle maniche di pizzo bianco, con motivi floreali e piccoli brillanti rossi qua e là, che richiamavano il colore del lungo strascico aggiunto a mo' di mantello - si allacciava infatti intorno al suo collo candido - e su cui era stato cucito lo stemma d'oro dei Pendragon.
«Sei bellissima, una vera regina», non poté evitare di commentare, facendo sbocciare uno stupendo sorriso sul suo volto.
L'aiutò a montare sul cavallo con cui l'aveva raggiunto e solo in quel momento, chiedendosi come avesse fatto a trovarlo nei meandri del bosco, si ricordò del corvo. Era stato lui a guidarla, dopo aver attirato la sua attenzione rubando un fiore dall'allestimento.
Prima di sedersi alle spalle di Alexandra, Merlino si avvicinò al ramo su cui era appollaiato e si alzò in punta di piedi per farsi cosegnare il fiore.
«Grazie, Morgana», sussurrò appuntandosi la gardenia all'occhiello della giacca.

***

Partì la musica e Merlino le rivolse un mezzo inchino porgendole la mano. Alex sorrise, il cuore straripante di gioia per quello che si stava davvero rivelando il più bel giorno della sua vita, e lo seguì sulla pista da ballo.
«Artù mi ha insegnato qualche passo, ma...», provò ad avvertirlo una volta stretta a lui. Lo stregone però la interruppe, sussurrando: «Lascia fare a me».
Così si abbandonò totalmente, lasciandosi guidare nei passi e nei movimenti. Per avere più di millequattrocento anni, si muoveva con la stessa grazia e delicatezza di una farfalla. Alex si sentiva un elefante in confronto, eppure riuscì ad arrivare alla fine di quel primo ballo.
Merlino le fece fare un'ultima giravolta, poi si allontanò di un passo per cederle la mano a suo padre, il quale era entrato in pista insieme al resto degli invitati. Persino i bambini avevano lasciato le loro sedie a rotelle e Abigail e Mark, tenerissimi nei loro passi imbarazzati, erano uno spettacolo meraviglioso: la perfetta  rappresentazione dell'amore più puro e genuino.
«Oh, tesoro», mormorò suo padre, coi lucciconi agli occhi. «Sei bellissima. Vorrei che tua madre fosse qui per... lo sai».
«Lo so», sussurrò Alex avvolgendogli le braccia intorno al collo in un lento.
«Ci avete fatto prendere un bello spavento, lo sai?».
«Credimi, non era nostra intenzione».
Alex rise, scorgendo Merlino alle prese con la signora Morris: stava cercando di guidarla come aveva fatto con lei, ma finiva sempre con i piedi pestati e una malcelata espressione di dolore sul volto.
«Ovviamente io ed Artù non abbiamo detto agli altri che eravate scomparsi, solo che volevate fare un'entrata ad effetto. E che effetto! Vederti a cavallo mi fa ancora drizzare i peli delle braccia».
Non avrebbe mai dimenticato le facce di Mark e Rebecca quando li avevano visti arrivare al galoppo: a bocca aperta e con gli occhi sbarrati, come se stessero scendendo da un arcobaleno su un unicorno. Forse erano state le loro espressioni felici, forse i loro capelli scompigliati dal vento o forse il lungo strascico rosso che turbinava intorno a loro quasi come sotto incantesimo.
Artù, invece...
«Tesoro, che succede?», le domandò il padre, notando l'ombra che le era calata sul viso.
Alex si sforzò di sorridere, passando sotto il suo braccio alzato e guardando il cielo venato d'arancione oltre le lanterne già illuminate. «Niente, papà. Niente».
«Non mi mentire, Alexandra».
«No. Hai ragione, niente più bugie». Lo guardò negli occhi ed aprì la bocca per chiedergli consiglio, quando qualcuno le picchiettò un dito sulla spalla per chiederle un ballo. Dal modo in cui suo padre sorrise, Alex capì di chi si trattava ancor prima di girarsi.
Sospirò internamente con le labbra strette in una linea sottile e si voltò, trovandosi di fronte ad un Artù serio, quasi contrariato. Ciononostante le porse una mano per chiederle di ballare e il signor Greenwood gliela cedette volentieri.
Iniziando a volteggiare, Alex notò Merlino muoversi con Abigail, i piedi nudi puntati sulle sue scarpe, e Cathleen ondeggiare con un Mark violaceo per via del prorompente decolté del paramedico, così pericolosamente vicino al suo volto. Quindi si schiarì la gola e avvicinandosi al suo orecchio disse: «Non sei obbligato, se non vuoi».
«Di che cosa stai parlando?».
«Se non vuoi ballare con me...».
«Fai silenzio», le ordinò stancamente, volteggiando. «Non volevo dire quello che ti ho detto».
«Ma l'hai fatto. Vuol dire che un fondo di verità c'è».
«Sapere di Morgana mi ha scosso, ero arrabbiato e ferito. Tu hai fatto quello che ritenevi più giusto e non posso giudicarti per questo. Se lo facessi, sarei proprio come mio padre. Tu sei una degna Pendragon, Alexandra; non permettere a nessuno di affermare il contrario, nemmeno a me».
«Grazie Artù, lo apprezzo molto», sussurrò con la guancia posata contro la sua spalla, sentendo il ghiaccio intorno al suo cuore sciogliersi. Tuttavia c'era un'altra questione da affrontare prima che potesse liberarsi del tutto.
«Cathleen ti ha detto della mia possibile gravidanza», esordì ancora più piano, per paura che qualcuno li potesse sentire.
«Mi aveva fatto promettere di non fartene parola. Non mi devi alcuna spiegazione, okay? So che la cosa più importante al momento è Freya».
L'erede scosse il capo, stringendo un po' più forte la presa sulla sua mano. «La cosa più importante è la famiglia. E questa notte non riuscivo a dormire, così... ho fatto il test».
«Tu...? Questo vuol dire che sai se...?».
«Sì, lo so», Alex annuì, trovando adorabile l'espressione smarrita sul volto di Artù. E non era nemmeno lui il padre del bambino! «Saresti il primo a saperlo, ma se fossi davvero incinta... allora dovresti comunque mantenere il segreto con Merlino. Non voglio che si preoccupi per me in battaglia. Vuoi che te lo dica?».
Dopo un attimo di riflessione, Artù le sorrise e negò con un cenno del capo. «Ti ringrazio, ma per ora preferisco vivere nell'ignoranza».
Alex sollevò le spalle con fare sbarazzino. «Uhm, nulla di nuovo allora».
Il solo ed unico re fu tentato di rispondere per le rime alla frecciatina, ma un imbucato aveva attirato non solo la sua attenzione, ma anche quella di Merlino e Cathleen, i quali si erano avvicinati al bordo della pista.
«Mi dispiace fare il guastafeste, ma ho bisogno di parlarvi», esclamò l'agente Darrell Fisher, nella sua divisa d'ordinanza.
Scambiarsi uno sguardo fu sufficiente perché capissero che era giunta l'ora: la battaglia con Freya li attendeva.

***

«Darrell. Darrell, svegliati».
Il poliziotto aprì gli occhi e oltre le cime degli alberi vide un milione di stelle brillare nel cielo notturno. Non ne aveva mai viste così tante in vita sua, nemmeno quando suo padre lo aveva portato in campeggio. Suo padre... avrebbe dovuto chiamarlo più spesso, dirgli che gli voleva bene.
Cacciò via quel pensiero prima che Freya potesse metterci sopra le mani e la sua coscienza fluttuò all'interno di quel corpo che non gli apparteneva, leggera ma priva di qualsiasi controllo.
La ragazza druida si alzò dal proprio giaciglio per prendere dallo zaino alle sue spalle una coppa d'oro, lucidata di recente, con dei piccoli draghi dalle ali spiegate come piedini d'appoggio. Non appena la sfiorò sentì una scarica di magia incendiare le loro vene in simbiosi, e sul riflesso della coppa scorse il sorriso compiaciuto di Freya.
"Che cos'è?", le chiese, ma non sentì la propria voce. Solo lei poteva sentirla, essendo nella sua mente.
«Bellissima, non è vero? È stata chiamata in molti modi, nel corso dei secoli. Il più famoso è sicuramente Sacro Graal, ma è anche il più sbagliato. Graalmir Pendragon non c'entra nulla, probabilmente non ne ha nemmeno mai sentito parlare. Questa è la Coppa della Vita, un artefatto della Religione Antica così potente che non può essere distrutto in alcun modo».
Darrell rimase in silenzio, mentre Freya cercava qualcos'altro nello zaino. Con la coda dell'occhio, tra le coperte su cui erano seduti, vide una lunga spada dalla lama a doppio filo, con la guardia e il pomolo dorati. Ma c'era qualcosa di più... qualcosa di minaccioso ed inquietante. Più la guardava, più gli sembrava di sentire un'altra voce nella testa, sibilante e maligna.
«Qualcosa ha catturato il tuo interesse?», gli domandò Freya, quasi con tono divertito. «La spada di Mordred. È a causa sua se ho ritardato tanto: ho dovuto perlustrare tutta la foresta per trovarla. Morgana l'aveva nascosta proprio bene. Impossessarmi della Coppa della Vita in confronto è stato un gioco da ragazzi».
"Mordred, hai detto? Il tizio che ha ucciso Artù?".
«Oh, qualcuno ha fatto delle ricerche! Bravo, Darrell. Forgiata nel fuoco di un drago, nessuno sopravvive ad una sua ferita. È così letale che solo Excalibur può eguagliarla».
"Mio Dio, Freya, che cos'hai in mente?".
Finalmente la dama del lago trovò ciò che cercava: una boccetta di plastica contenente un liquido trasparente.
«Bene, basta chiacchierare. Rimani per lo spettacolo?».
Una domanda retorica, ovviamente: sapeva che Darrell non se ne sarebbe mai andato, non prima di scoprire le sue intenzioni. Questo la fece ridacchiare.
Raggiunse il suo ristretto esercito di maghi e streghe, riunito intorno al fuoco. Chiuse gli occhi e dopo un profondo respiro iniziò a recitare una complessa formula, in un linguaggio antico e cerimonioso. Le fiamme parvero ingrossarsi all'improvviso e a quel punto Freya versò nella Coppa il contenuto della bottiglia. Sembrava semplicissima acqua, ma il suo odore era strano: somigliava tanto a quello che sentiva passando coi finestrini aperti accanto alle rive del lago. A meno che non si trattasse proprio della stessa acqua del lago!
"Proprio così", confermò Freya mentalmente, mentre passava teatralmente la Coppa a Jack e ordinava di fare il giro, proprio come se si trattasse della grolla dell'amicizia.
"Perché gliela fai bere? Che cosa gli stai facendo?".
"Davvero, Darrell? Ti facevo più sveglio. Questi ragazzi sono portati alla magia, è dentro di loro, assopita. Avalon invece è una delle fonti magiche ancora attive. Ti va bene come aiuto?".
"Vuoi risvegliare la magia che è in loro", mormorò scioccato. "Vuoi mandarli in battaglia al posto tuo!".
"Oh, ma io ci sarò! Diciamo che sto prendendo delle precauzioni. Ma non ti preoccupare, conosco Merlino e i suoi amici: non ucciderebbero mai dei ragazzini innocenti".
"Sei pazza, Freya".
"Faccio quello che deve essere fatto per il bene del mondo in cui viviamo. Alexandra, anche se per caso, mi ha dato una seconda possibilità e voglio sfruttarla al massimo. Potremmo essere così felici, Darrell...".
Non aveva mai considerato il fatto che anche lei, proprio come tutti, voleva vivere. Era così disperatamente attaccata alla vita che non riusciva a vedere il confine tra giusto e sbagliato. Tutto ciò che contava era lottare, lottare e lottare per la sopravvivenza. E se poi si era convinti che riportare la magia nel mondo fosse l'unico modo per salvarlo... beh, non poteva stupirsi che stesse assistendo ad un rito d'iniziazione da setta.
L'ultimo a bere dalla Coppa fu il senzatetto dai capelli biondi ossigenati, gli occhi verdi vigili e scattanti. Si passò il dorso di una mano guantata sulla bocca e poi sorrise con tutti i denti, esclamando: «L'acqua delle fontane pubbliche è più buona di questa, sapete? O almeno non sa di pesce marcio».
«Silenzio!», lo rimproverò Freya, riprendendo tra le mani la Coppa della Vita e chiudendo gli occhi.
"Ti prego, fermati! Torna a casa, possiamo essere felici anche così", fu l'ultimo tentativo di Darrell, il quale nonostante tutto continuava a provare qualcosa per lei. Poteva perdonarla e potevano ricominciare da capo, ne era certo.
Le mani di Freya tremarono, ma fu solo un attimo. La sua presa si rinsaldò e in qualche modo riuscì a bloccarlo in un angolo della sua mente: poteva assistere, ma non poteva parlarle né ascoltare i suoi pensieri.
La druida sollevò la Coppa verso il cielo stellato e concluse il rituale, urlando le ultime parole dell'incantesimo per via della scia di potere dorato che dal terreno penetrò nel suo corpo per poi confluire in parti uguali anche nei giovani maghi.
Darrell fu in grado di sentire il flusso magico, ma non ne fu affetto come i diretti interessati: Freya crollò in ginocchio, le due sorelle pel di carota svennero e i ragazzi più grandi - Jack e l'ultima arrivata dalle origini africane - si ritrovarono col fiato grosso e il volto imperlato di sudore, febbricitanti. Il vagabondo, invece, impiegò qualche secondo di troppo per soffrire degli stessi effetti collaterali. Stava recitando! Ma come? L'unico motivo plausibile era che non avesse bevuto dalla Coppa come tutti gli altri.
Prima che potesse cogliere il vantaggio di trovarsi in una Freya quasi incosciente, dalle difese abbassate, il collegamento si interruppe.

«Cavolo, tutto quel tempo nell'acqua del lago deve averle arruginito delle rotelle», esclamò Cathleen, toccandosi la tempia con due dita.
«Tutto questo è successo ieri notte?», urlò invece Artù, per poi rivolgere a Merlino uno sguardo pieno di significati a loro nascosti, come se all'improvviso tutto avesse un senso.  
«Perché non ci hai avvisati? Contavamo su questo, agente Fisher!», aggiunse.
«Non ho potuto!», si giustificò. «Fisicamente! L'incantesimo di Freya deve avere messo K.O. anche me, perché mi ricordo di essermi svegliato e di aver provato a chiamare Alexandra, ma il cellulare mi è caduto dalle mani e io sono ripiombato nell'oscurità più assoluta. Mi sono svegliato un'ora fa».
Merlino strinse Alex a sé, la quale lo guardò con un misto di apprensione e rammarico negli occhi. Poi tornò a concentrarsi sul poliziotto e gli chiese: «Perché sei venuto qui di persona? Potevi chiamare».
Darrell respirò profondamente, socchiudendo gli occhi. «È stata Freya a svegliarmi. Mi ha chiesto di condurvi da lei».
«Si tratta di una trappola», affermò Artù, dicendo ad alta voce ciò che tutti pensavano. Un invito al loro stesso funerale.
«Ma potrebbe anche essere la nostra unica occasione per fermarla. Dobbiamo tentare», disse Alex, cercando l'approvazione del suo taciturno marito.
«E se non ci presentassimo?», domandò timidamente il paramedico.
Darrell si concesse il secondo respiro profondo di fila. «Ha detto anche che se non sarete lì entro l'alba inizierà ad uccidere i ragazzini».
A quel punto nessuno osò più fiatare. Gli sguardi di tutti si posarono su un Merlino ad occhi chiusi, quasi in meditazione. Dovettero passare diversi minuti prima che li riaprisse e allora Darrell sentì il cuore salirgli in gola, scorgendovi tutta la tristezza accumulata in secoli e secoli di solitudine, dolore e odio per se stesso.
«Non abbiamo scelta», ruppe finalmente il silenzio. «Prepariamoci, partiamo fra un'ora».

***

«Non capisco. Perché dovete andarvene? E che cosa c'entra quell'agente... come hai detto che si chiama?».
Alex accarezzò le braccia del padre e gli rivolse il sorriso più rassicurante del proprio repertorio. «Fisher. Agente Darrell Fisher. Ascolta papà, non c'è tempo per i dettagli. Ho bisogno che tu dia un occhio ai bambini questa notte e che domani mattina li riporti in ospedale nel caso in cui noi non fossimo ancora tornati».
Forse quell'ultima frase non avrebbe dovuto dirla.
«Che significa? Alexandra, devo sapere che cosa...!».
L'infermiera lo abbracciò forte, così forte da togliergli il fiato, e con gli occhi chiusi sussurrò: «Grazie per oggi, è stato il giorno più bello della mia vita. Ti voglio bene papà».
Il signor Greenwood non poté che arrendersi all'evidenza: non avrebbe ottenuto nulla di più da sua figlia. Perciò ricambiò l'abbraccio e le accarezzò i capelli che si era sciolta quando si era tolta il vestito da sposa per indossare qualcosa di più comodo: pantaloni verde militare, una lunga camicia di flanella a quadretti blu e rossi e la giacca di pelle marrone.
«Sei tale e quale a tua madre», mormorò in un sospiro.
Alex si scostò per guardarlo in viso con un sorriso dolce. Però non riuscì a dire nulla, le corde vocali all'improvviso ingarbugliate per via della busta bianca che suo padre aveva appena tirato fuori dalla tasca interna della giacca dello smoking. Quella calligrafia...
«Tua madre me la diede qualche giorno prima di...». Edwin abbassò gli occhi e deglutì rumorosamente. «Mi fece promettere di dartela al momento giusto. Disse proprio così, senza darmi ulteriori spiegazioni, ma penso che quel momento sia arrivato».
Con mani tremanti Alex afferrò la busta e fissò il proprio nome scritto in un corsivo elegante, quasi d'altri tempi.
Il padre le accarezzò la testa ancora una volta, poi le posò un leggero bacio sulla fronte e si diresse verso il salotto, dove batté le mani per attirare l'attenzione dei ragazzini. Le parole le giunsero alle orecchie come suoni ovattati, lontanissimi, ma riuscì a captare Mark mentre si lamentava. «Nemmeno all'ospedale ci fanno andare a letto così presto!», stava dicendo.
Ciononostante il salotto fu ben presto vuoto, fatta eccezione per Rufus, la signora Chapman e Abigail. Alex decise di rimandare l'apertura della lettera di sua madre per salutare la propria damigella d'onore.
Daisy si alzò dalla poltrona non appena la vide arrivare e come se le avesse letto nel pensiero disse che sarebbe andata a prepararsi una tazza di tè, lasciando loro un po' di privacy. Quindi Alex prese il suo posto e allungò un braccio per far sì che la ragazzina le stringesse una mano.
«Il destino vi chiama?», le chiese Abby, continuando a fissare le danzanti lingue di fuoco nel camino.
«Già».
«Qualche idea su come andrà a finire?».
Alex si passò la lingua tra le labbra, chinando il capo. Sapeva troppo e troppo poco allo stesso tempo.
Sapeva che Darrell sarebbe intervenuto nella battaglia brandendo Excalibur, che in qualche modo sarebbero riusciti a portare i giovani adepti di Freya dalla loro parte, e sapeva anche che avrebbero spinto il corpo senza vita di Abby sulle acque di Avalon.
I riferimenti temporali, i come e i perché mancanti, rendevano quel quadro ancora più spaventoso.
«Lo prendo come un sì», mormorò la ragazzina, chiudendo gli occhi per abbandonarsi contro lo schienale della propria sedia a rotelle.
«Ho visto anche il tuo futuro», rivelò alla fine, sentendo un macigno caderle sul petto. «E non so quando accadrà né come fare a fermarlo. Io...».
«Certe cose non si possono cambiare», la interruppe Abby, guardandola in viso per la prima volta. Rinsaldò la presa sulla sua mano e le rivolse persino un mezzo sorriso, aggiungendo: «Non si può sfuggire per sempre alla morte. A meno che tu non ti chiami Merlino, ovviamente. Lo sai che mi ha detto di aver imparato a ballare alla corte di Pietro I di Russia?».
Alex, nonostante le lacrime, fu contagiata dalla sua risata. Si appoggiò alla sua spalla e si lasciò accarezzare i capelli mentre pian piano il proprio respiro tornava regolare.
«Che cos'hai lì?», le domandò ad un tratto Abigail, indicando la busta che stringeva in una mano.
«Oh, è... è una lettera di mia madre».
«Tua madre?».
«Sì, a quanto pare l'ha consegnata a mio padre, perché la custodisse per me, pochi giorni prima di morire».
«Ma un aneurisma non è prevedibile. Come...?».
Le due si scambiarono un'occhiata, realizzando che invece era stato previsto grazie alla magia.
«Tua madre sapeva che sarebbe morta, eppure non ha fatto niente», disse piano Abigail, accarezzandole la mano. «Sapeva che la sua storia doveva finire perché la tua potesse iniziare».
Alex abbassò il capo verso la lettera e non riuscì più a rimandare: doveva sapere ciò che sua madre le aveva lasciato.

Bocciolo mio,
se stai leggendo questa lettera vuol dire che io non ci sono più. Non so quanto tempo sia passato, se pochi giorni o anni. Tuo padre è un uomo buono e spero abbia scelto il momento giusto per consegnartela, come spero che tu sia riuscita a perdonarlo per i suoi errori.
Ti chiederai perché ho organizzato tutto questo: ciò che stai per leggere ti cambierà la vita e ora, nel tempo in cui sto scrivendo queste parole, non sei pronta. Spero che ora tu lo sia, perché in ogni caso non potrai più guardare il mondo allo stesso modo.
La magia esiste, amore mio. È la linfa vitale del mondo e scorre in ogni cosa: la terra, l'acqua, il cielo. È ciò che mantiene in equilibrio gli elementi, l'ingrediente segreto della formula che nessuno scienzato potrà mai scoprire o comprendere appieno.
Riesci ad immaginare che cosa accadrebbe se all'improvviso venisse a mancare? Il contrario dell'equilibrio è il caos, della vita è la morte. Il pianeta collasserebbe su se stesso. Ed è quello che sta accadendo, purtroppo.
È da tempo che la nostra famiglia - mia madre, suo padre prima di lei e così via - si impegna per riparare i danni creati dall'assenza della magia in ogni parte del mondo. Non ti ho mai raccontato nulla del mio passato e nemmeno tuo padre ne sa molto. La maggior parte delle persone non è in grado di capire il compito che ci è stato affidato secoli orsono, quando il mago Merlino ha rinnegato la propria natura, dando così inizio alla catena di eventi che ci ha portati fino a qui.
Ho fatto più volte il giro del mondo con mia madre, tentando di prevenire quanti più disastri possibili e quando era troppo tardi limitandoci a rattoppare gli squarci, ma ho smesso quando ho conosciuto l'amore, la mia anima gemella: tuo padre. La nonna si oppose in ogni modo, diceva che sposarmi non faceva parte del mio destino. Come puoi immaginare, la ignorai. E quando tu venni alla luce ebbi la certezza che eri tu il membro della nostra famiglia che avrebbe incontrato il nostro antenato più famoso: Artù Pendragon.
Ti ricordi della leggenda che ti raccontai quando tua nonna stava morendo? Eri solo una bambina e scoppiasti a piangere, spaventata. Non devi esserlo, amore mio.
La nostra famiglia discende proprio da Artù, il primo cavaliere della Tavola Rotonda, il solo ed unico re, nato dalla magia e morto per via della stessa.
È stato profetizzato che un giorno, quando Albione avrà più bisogno, i cancelli di Avalon si apriranno e lui ritornerà. Insieme a lui dovremo combattere perché la magia torni nel mondo nel modo giusto, evitando che persone malvagie la utilizzino per i propri scopi. La magia non è cattiva Alexandra, lo è solo se chi la utilizza non è puro di cuore.

È stato anche detto che sarà grazie ad un nostro sacrificio che il mondo vivrà in pace e in armonia.
Le profezie non sono mai complete, né dettagliate. Mi dispiace non poterti dire di più, mi dispiace non essere lì con te in questo momento. Ma so che la profezia riguarda te, che il tuo destino è quello di riportare la magia nel mondo, che il sacrificio che dovrai compiere ti sembrerà insostenibile.
Non mi pento del mio amore per Edwin, non mi pento di averti dato alla luce. Mi dispiace solo che sia tu a dover affrontare tutto questo. Ti ho sempre detto di seguire il cuore, di lottare per realizzare i tuoi sogni, ed è quello che voglio che tu faccia anche ora: il peso che ti grava sulle spalle è inimmaginabile, ma sentiti libera di fare quello che credi sia più giusto, bocciolo mio. Sei il mio orgoglio e so che riuscirai a piegare il destino al tuo volere.
Ti voglio bene, te ne vorrò sempre. E quando il giorno verrà, ci ricongiungeremo nel regno di Avalon.

La tua mamma,
Ellen

 
Alex chiuse gli occhi alle lacrime e si piegò in avanti per contenere il dolore che sentiva nel petto, la lettera di sua madre accartocciata tra le mani.
Sua madre... Una persona conosciuta a metà, i cui segreti le avevano permesso di vivere un'infanzia e un'adolescenza normali e che, al contempo, le avevano impedito di conoscerla veramente. Non riusciva nemmeno ad immaginarsela alle prese con la magia.
La sera precedente suo padre aveva detto che Ellen sarebbe stata orgogliosa di lei se l'avesse vista in quel momento, ad un passo dallo sposarsi con Merlino. E lei stessa si era detta più volte che se l'avesse conosciuto l'avrebbe adorato. Ora aveva i suoi dubbi in merito. Nella sua lettera l'aveva menzionato solo una volta, definendolo colui che aveva rinnegato la propria natura, causando la serie di eventi che le aveva portate fino a lì.
Lui era il motivo per cui la sua famiglia, generazione dopo generazione, si era impegnata per proteggere il precario equilibrio del mondo; il motivo per cui sua madre era stata costretta a viaggiare per il mondo senza mai sentirsi a casa; il motivo per cui si era dovuta scontrare con la nonna per avere un briciolo di normalità; il motivo per cui il suo bocciolo si ritrovava con un peso inimmaginabile sulle spalle.
Conoscendo tutto questo, davvero l'avrebbe adorato? Alex non lo sapeva, non l'avrebbe mai saputo. Quello che sapeva era che il destino le aveva portate in quel paesino dimenticato da dio - uno dei fulcri della magia, - che sua madre era morta senza aver mai incrociato lo stregone e che lei si era ritrovata ad innamorarsene, a sposarlo e a portare in grembo suo figlio. E ora, com'era stato predetto e voluto dai custodi della magia, Alex avrebbe dovuto compiere il sacrificio supremo per salvare il mondo e tutte le persone che vi abitavano, compresi suo padre, i suoi amici e il suo bambino: uccidere Merlino perché la sua maledizione si rompesse e la magia ristorasse l'equilibrio del mondo.
Un ruggito di dolore le sfuggì dalle labbra e Abby si sporse immediatamente su di lei, circondandola con le braccia e posando la guancia sulla sua schiena.
«Andrà tutto bene», le sussurrò, cercando di rassicurarla.
In quel momento arrivò anche Cathleen, la quale si avvicinò con cautela e si inginocchiò proprio davanti ad Alex, dando le spalle al camino.
Le posò una mano sul ginocchio, accarezzandolo piano. «Ehi».
Anche lei si era cambiata per lo scontro: anfibi, pantaloni di pelle nera, felpa di una band metal sconosciuta e trench con le borchie.
«Non sei sola, okay? Ci siamo noi».
«Proprio così. Noi tre possiamo salvare il mondo».
«Coraggio, Forza e Magia».
Alex alzò finalmente il capo e rivolse un tiepido sorriso alle amiche per far credere loro che stesse meglio. Non avevano bisogno dei suoi drammi in quel momento. Si alzò dalla poltrona e con la magia fece volare la lettera appallottolata di sua madre nel camino, poi si chinò nuovamente su Abby e la strinse in un abbraccio.
«Non puoi proteggermi per sempre», sussurrò la ragazzina. «Ma puoi essere l'eroina che sei destinata a diventare».
«Eroina? Ti stai sbagliando, Abby».
«Un vero eroe non si misura dalla grandezza della sua forza, ma dalla forza del suo cuore».
«E questo chi l'avrebbe detto?».
«Hercules, nel cartone della Disney».
Alex si sollevò, ridacchiando, e Cathleen si avvicinò a lei per avvolgerle un braccio intorno alle spalle.
«Continua a lottare, okay? Promettimelo».
La ragazzina sorrise ed annuì. «Fino alla fine».
«Bene. Allora andiamo».
Alex e Cathleen si diressero verso l'ingresso e prima di chiudersi la porta alle spalle sentirono Abigail gridare: «Non voglio mettervi pressione, ma il mondo intero conta su di voi!».

***

Merlino scese dalla Pininfarina e raggiunse Darrell davanti al cofano della volante, dove aveva aperto una grossa mappa con una X segnata in rosso sul posto che Freya gli aveva mostrato l'ultima volta che erano stati in contatto.
«Dove siamo?», domandò Cathleen piegando le braccia dietro il collo per farsi un massaggio. Ben presto anche Artù e Alex li raggiunsero per dare un'occhiata alla mappa.
Dall'agriturismo avevano guidato in direzione della città di Caerleon, l'avevano superata senza rispondere alle domande dell'ex sovrano in merito al sito archeologico - non era il momento adatto per rivelargli che quello era tutto ciò che era rimasto del castello di Camelot - e poi si erano diretti a nord. Dopo quarantacinque minuti di nervosi silenzi si erano finalmente fermati di fronte alla...
«...Mynydd Du Forest. Da qui dobbiamo proseguire a piedi per raggiungere il luogo d'incontro», spiegò Darrell.
Merlino fissò gli alberi oltre la barriera di metallo, l'espressione vacua, persa nei ricordi. Erano passati quasi millecinquecento anni, eppure ricordava quel giorno come se fosse stato ieri. Ogni dettaglio, ogni odore, ogni rumore... impressi a fuoco nella sua memoria. Si era promesso che non sarebbe mai tornato nel luogo in cui non era riuscito a salvare Artù e a cambiare la profezia, ma erano proprio lì che erano diretti.
Freya... A che gioco stai giocando?
«Merlino? C'è qualcosa che non va?».
Lo stregone si voltò e guardò sua moglie, poi si rivolse all'agente Fisher: «Sei sicuro che sia questa la strada?».
«Al cento percento», rispose con stizza, infastidito che non si fidasse di lui. «Freya si trovava in una foresta durante il rituale e sono certo che sia questa».
«La stessa foresta dove ha trovato la spada di Mordred?», chiese Artù, portandosi istintivamente una mano sul costato.
«Così pare».
«Mi chiedo per quale motivo ne abbia bisogno», intervenne Cathleen. «Ha la magia dalla sua parte, a che cosa le serve una spada?».
Merlino si girò nuovamente verso la foresta e con voce lontana spiegò: «Quella non è una spada qualunque: prima della battaglia di Camlann, Morgana l'ha immersa nel fuoco di Aithusa perché potesse contrastare Excalibur. Si tratta di una spada magica, nessuno può sopravvivervi: né mortali né immortali».
«Stai dicendo che vuole usarla su di te?».
Lo stregone abbozzò un sorriso, alzando lo sguardo verso il cielo. «Non c'è altro modo per uccidermi».
Alex lo placcò da dietro, stringendogli le braccia intorno al busto ed immergendo il viso tra le sue scapole.
«Non lo permetteremo», sussurrò, e Merlino si domandò se stesse parlando al plurale per Artù e Cathleen o per la bambina che portava in grembo. Forse per tutti.
Fece in modo di ritrovarsi davanti a lei e le sorrise prima di prenderle il volto tra le mani e baciarla sulla fronte. Poi si rivolse al resto del gruppo: «Dobbiamo muoverci se vogliamo arrivare al punto d'incontro prima dell'alba».
Il mago aprì il bagagliaio della propria auto e tirò fuori un paio di zaini che aveva preparato all'agriturismo, contenenti acqua e cibo e dei kit di sopravvivenza che avrebbero fatto loro comodo durante il viaggio che li attendeva. In una terza borsa c'erano invece dei pezzi di armatura essenziali che aveva iniziato a portare sempre con sé per ogni evenienza: gorgiere, spallacci, maglie di ferro, bracciali.
«Mi dispiace di non aver preso il tuo bustino di ferro», si scusò Merlino, ma Alex gli rivolse un sorriso quasi compiaciuto e lo tirò fuori dalla propria borsa.
Mentre Artù, Cathleen e Alex indossavano le armature, Darrell per non sentirsi inadeguato controllò le proprie armi: la pistola d'ordinanza col caricatore pieno, il teaser, il manganello. Alzò il capo quando sentì Merlino ridacchiare, appoggiato sul bordo del bagagliaio.
«Quelle armi non ti serviranno contro la magia».
Darrell strinse i denti. «Almeno io non me ne vado in giro con un cappello a punta sulla testa, stregone».
Avrebbe potuto rispondergli non ne aveva mai posseduto uno, ma preferì evitare: stavano per scendere sul campo di battaglia e crearsi un nemico interno non era una mossa saggia.
Alla fine, Merlino tirò fuori Excalibur per Alex, un'altra spada per Artù e un arco con faretra per Cathleen. L'ex re aprì la bocca per chiedergli come lui si sarebbe difeso ad un eventuale attacco, quando Merlino si chinò un'ultima volta nel bagagliaio e tirò fuori un lungo bastone un po' ricurvo e dal manico intagliato in una spirale. Si vedeva che era stato fatto da una mano non troppo esperta, vista l'imprecisione e la scarsità di dettagli. Ciò nonostante, non appena Merlino ne fece toccare l'estremità sul suolo, Artù provò lo stesso tuffo al cuore che aveva provato quando aveva visto la sua versione più anziana scagliare fulmini contro i Sassoni, proprio quando l'esito della battaglia sembrava ormai scritto. La speranza e il timore reverenziale si mescolarono in un grumo che gli impedì di parlare, mentre le sue ginocchia tremanti fecero quello che a causa dell'orgoglio e dei pregiudizi non era riuscito a fare allora: si piegarono in un inchino per lo stregone più potente di tutti i tempi.
«Che diavolo...?», domandò allibito Darrell, fissando la scena ad occhi sgranati.
Merlino abbassò solennemente il proprio bastone sopra il capo di Artù, ma all'ultimo momento sogghignò e gli diede un colpo in testa.
«Ahia! Merlino, ma sei impazzito?!», urlò il solo ed unico re, portandosi una mano sul punto dolorante.
«Ah, suvvia! Con la testa dura che vi ritrovate non l'avrete nemmeno sentito».
Lo stregone gli porse una mano e Artù la fissò, imbronciato e sospettoso, fino a quando non gli disse: «Andiamo, ci aspetta un'ultima battaglia. Finalmente fianco a fianco, senza doverci nascondere».
Artù sorrise e l'afferrò per alzarsi.

***

La foresta era fitta, così fitta che la luce della luna non riusciva a penetrare tra le fronde degli alberi. Alex si era offerta di fare un po' di luce, ma Merlino l'aveva convinta a risparmiare le energie per il confronto con Freya. Artù ne era stato sia grato che innervosito: per quanto volesse che la sua erede non usasse la magia, gli avrebbe fatto più piacere trovare un modo per impedirle di combattere in prima linea.
Quando finalmente uscirono dalla Mynydd Du Forest, la luna mostrò loro i fianchi infiniti della vallata e le cime delle altre alture. Artù sentì un brivido percorrergli la spina dorsale a quella vista: aveva come la sensazione di esserci già stato, ma non poteva fare affidamento sulla propria memoria.
«Okay, da qui dovremmo proseguire in... quella direzione», esclamò Darrell, il volto nascosto dietro la mappa e il dito puntato verso un sentiero per le pecore.
«Metti via la mappa, Darrell», rispose stancamente Merlino, guardando l'orizzonte col bastone stretto in mano e i capelli bicolore mossi dal vento. «So perfettamente dove Freya vuole incontrarci».
Artù a quel punto non poté più ignorare la propria intuizione: se Merlino e Freya conosceva il posto, doveva conoscerlo per forza anche lui. Si avvicinò a Darrell di gran carriera e gli strappò la mappa di mano per osservarla alla luce della luna. Una scritta lo colpì più delle altre: Black Mountains. Quindi guardò con più attenzione la morfologia del terreno e nonostante fossero passati secoli, riconobbe senza ombra di dubbio il posto in cui si stavano dirigendo.
«La pianura di Camlann. È lì che stiamo andando, non è vero? Un tempo queste si chiamavano "White Mountains", ma per qualche motivo...».
«Il nome è cambiato dopo la vostra morte, per il lutto», spiegò Merlino in tono lugubre. Quindi senza accertarsi che lo stessero seguendo, lo stregone riprese il cammino.
Le montagne erano molto cambiate da quando le aveva attraversate per l'ultima volta, ma non era una sorpresa: il tempo, l'erosione, i cambiamenti climatici avevano reso docili quelle terre ostili, con panorami bellissimi per gli appassionati di trekking.
Nessuno di loro era propriamente attrezzato per una camminata del genere e nonostante Cathleen non avesse aperto bocca era lei che stava soffrendo di più: il suo respiro affaticato e l'espressione contratta del viso aveva più volte costretto Artù a rallentare per starle accanto.
Avevano percorso due delle quattro miglia che li separavano dalla pianura, quando un gruppo di cavalli allo stato brado attraversò loro la strada. In quella zona non c'era molto da brucare e dal modo in cui li guardavano sembrava quasi che li stessero aspettando.
«Sono cinque, proprio come noi. Un regalo da parte di Freya?», domandò Alex, sospettosa.
«Io posso continuare a piedi», esclamò Cathleen prima di sedersi su una roccia sporgente, il volto paonazzo e il fiato grosso.
Merlino si avvicinò al cavallo più vicino, una femmina dal manto candido come la neve e la criniera che le copriva gli occhi. Stese una mano e la puledra nitrì: lei e i suoi compagni fecero dietro front e si allontanarono al galoppo, nella speranza di allontanarsi il più possibile dagli umani che avevano interrotto il loro spuntino.
«Okay, solo una coincidenza», scrollò le spalle Alexandra.
Artù aspettò di rimanere da solo con Cathleen e le posò una mano sulla spalla, facendo in modo che alzasse il viso: le sue guance infiammate gli ricordarono la prima volta che avevano fatto l'amore e dovette sforzarsi per non eccitarsi. Non era proprio il momento.
«Forse faresti meglio a rimanere qui», disse piano, sorridendole.
Le sue sopracciglia si aggrottarono. «Assolutamente no! Ti ho promesso che avrei lottato al tuo fianco e lo farò, anche a costo di perdere un polmone».
Cathleen si alzò in piedi e Artù l'afferrò per la vita e la baciò: poteva essere l'ultima volta, dopotutto.
«Qualsiasi cosa succeda a Camlann», mormorò, sistemandole delle ciocche di capelli rossi dietro le orecchie. «Voglio che tu sappia che trascorrere tutti quegli anni ad Avalon è valsa la pena: ho potuto conoscere te».
Il paramedico sorrise, sfiorandogli il naso con un dito. «Ho anche promesso che ti proteggerò, perciò stai tranquillo: non fallirò».
«Sei tale e quale a Gwaine», ridacchiò. «Andiamo, prima che ci distanzino troppo».
Mano nella mano si avviarono verso la pendenza dietro cui erano spariti i loro amici.
«Aspetta, chi è Gwaine?», domandò ad un tratto Cathleen, facendolo ridere nuovamente.

***

Alex poteva percepire la tensione che aleggiava tra Merlino e Darrell, perciò tentò di concentrarsi il più possibile sulla strada e sul panorama, pensando che non le sarebbe dispiaciuto trascorrere la luna di miele viaggiando in quel modo, con uno zaino sulle spalle. Non ne avevano mai parlato, visto che avevano questioni più urgenti di cui occuparsi, ma se tutto si fosse risolto nel migliore dei modi con Freya, allora, magari...
Sospirò, scuotendo il capo. Come poteva essere così ingenua? Come poteva, dopo tutto quello che i custodi della magia avevano architettato? Come poteva, dopo aver letto la lettera lasciatale da sua madre?
«Merlino?».
Lo stregone la guardò, e così fece Darrell alla sua destra. Alex lo ignorò, accarezzandosi la fede.
«Tu hai mai conosciuto mia madre?».
«Tua madre? No, te l'avrei detto altrimenti».
«Sì, scusami, è stata una domanda stupida», rispose con un lieve sorriso.
«Se me l'hai fatta non la ritenevi tale. Di che si tratta?».
L'infermiera si chiese se fosse il caso di rivelargli la seconda vita di sua madre, l'obiettivo della sua famiglia: in un certo senso, era stata incaricata di porre rimedio al pasticcio di Merlino, e questo li rendeva all'improvviso di due fazioni opposte. Ma prima di tutto, lei e Merlino erano moglie e marito.
Lo prese per mano e ad aggrappandosi al suo braccio gli raccontò tutto ciò che aveva appreso quando suo padre le aveva consegnato la lettera di Ellen.
Il mago fu sorpreso dall'ennesimo colpo di scena, ma nemmeno troppo.
«Ma certo, avrei dovuto capirlo», mormorò, guardando il terreno di fronte a sé. «Sapevo che c'era qualcuno che stava cercando di ristorare le fonti magiche nel mondo, ma non mi sono mai interessato più di tanto: conoscevano la teoria, tuttavia nessuno possedeva un potere simile al tuo».
«Pensavo fosse ereditario», esclamò Alex, confusa.
«Oh sì, lo è. La magia è qualcosa con cui si nasce. Essere uno strumento per cui possa manifestarsi, però, è tutto un altro paio di maniche. Ci vogliono persone forti, capaci di mantenere il controllo, consapevoli delle proprie capacità».
«Nel bene e nel male?».
«Nel bene e nel male. Come ho detto secoli orsono: la magia non è cattiva, lo è solo se chi la utilizza non è puro di cuore».
Alex sentì un dolore improvviso nell'esofago, come se la propria saliva si fosse trasformata in acido corrosivo. «Sono le stesse parole che ha usato mia madre nella lettera», gracchiò.
Merlino sorrise e le posò una mano sulla base del collo per avvicinarla a sé e poterle baciare la fronte. «Ti giuro di non aver mai conosciuto tua madre».
Questo non voleva dire che durante i secoli non avesse conosciuto un suo avo, ma come avrebbe potuto saperlo? Avrebbe dovuto mostrargli tutto il proprio albero genealogico, ma costruirne uno a partire da Graalmir Pendragon era a dir poco impossibile. Inoltre, avrebbe sempre potuto dirle di non ricordarsi di tutte le persone che aveva incontrato nella sua lunghissima vita e lei sarebbe rimasta con un pugno di mosche. Non poteva fare altro che fidarsi, come una brava moglie.
Aprì la bocca per dirgli che gli credeva, ma Darrell si era allontanato - per dare loro un po' di privacy forse - e incuriosito si era messo ad osservare un cairn, senza però resistere alla tentazione di toccare una delle pietre impilate.
«Dannazione, Darrell! Non è un jenga gigante!», lo rimproverò Merlino, spingendolo via con una manata e contemplando il disastro: la parte esposta a nord si era completamente sfaldata e una valanga di pietre giaceva a terra.
«Mi dispiace, io...», balbettò il poliziotto, provando ad avvicinarsi per rimediare all'errore, ma Merlino lo fulminò con lo sguardo, per poi guardare Alex con espressione allibita. La domanda che avrebbe voluto porgerle era fin troppo chiara: «Davvero ti piaceva questo qui?».
«Ehi, perché ci siamo fermati?», chiese Artù, raggiungendoli insieme a Cathleen. Gli bastò dare un'occhiata al cairn però per azzittirsi ed assumere un'aria preoccupata. «Chi è stato?».
Sia Alex che Merlino indicarono Darrell, il quale iniziò a ridacchiare dicendo: «Ehi, ma è così grave? Sono solo delle pietre impilate!».
«No, invece», intervenne Alex. «Si tratta di un'antica lapide: qualcuno l'ha costruita per piangere la morte di qualcuno. E tu... tu l'hai dissacrata».
«Ah, se una mano scheletrica uscisse dal terreno per afferrarlo io scappo, sappiatelo», sussurrò Cathleen, stringendosi le braccia al petto come se avesse freddo.
«Non succederà nulla del genere», sospirò lo stregone, alzandosi con l'aiuto del proprio bastone. «Però...».
«Se stai per dirmi che avrò sette anni di sfiga o cose del genere lascia perdere», sbottò l'agente Fisher. «Data la situazione in cui mi trovo, non credo che possa andarmi peggio. E ora muoviamoci, non manca molto all'alba».
Dopo l'incidente del cairn sepolcrale nessuno era in vena di chiacchierare, perciò percorsero le ultime due miglia in direzione sud-est in perfetto silenzio. Alex era parecchio inquieta - la battaglia con Freya non era ancora iniziata e uno di loro si era già beccato una maledizione - ma cercò di nascondere le proprie paure, come un bravo cavaliere di Camelot.
Il cielo esitava ancora a rischiararsi, quando raggiunsero la sommità di Waun Fach - a 2660 piedi d'altitudine - e Freya li accolse aprendo le braccia, come una vecchia amica.
Quella montagna era diversa dai soliti stereotipi: non aveva una punta vera e propria, ma un grande cratere ricoperto di torba, a cui centro si stagliava un masso che contraddiceva ogni legge della fisica stando in equilibrio su una sporgenza. Se avesse potuto sorvolare l'area avrebbe avuto ancora di pù la percezione che qualcosa fosse atterrato su quella cima e che l'impatto avesse formato il cratere, ma poteva anche sentire una specie di elettricità solleticarle le piante dei piedi, perciò... che fosse stata la magia a crearlo?
«Panorama stupendo per la battaglia finale, non trovate?».
Alex aveva visto fin troppe vallate, fin troppe foreste, perciò si concentrò su Freya e sui ragazzi alle sue spalle, quelli che Darrell aveva visto nei suoi "sogni": Jake, coi suoi capelli castani arruffati e il viso sciupato per la mancanza di sonno; le sorelle gemelle dai voluminosi capelli arancioni e i bomber fluorescenti; l'allampanato senzatetto coi capelli biondo pallido, praticamente bianchi sotto la luce lunare, gli abiti sporchi e consunti, il trench nero pieno di toppe; infine, la ragazza di origini africane, alta, snella e dallo sguardo quasi felino.
«Lo sappiamo che non ci hai portato qui per il panorama», digrignò i denti Merlino, avanzando di un passo.
«Mi hai scoperto». Freya alzò le mani con un ghigno beffardo sul volto. «Avevo pensato ai resti di Camelot, dove sono morta io, ma poi ho pensato che sarebbe stato più divertente farti tornare qui, dove hai dato tutto te stesso per vincere la battaglia e ciononostante hai perso la guerra. Non sei riuscito ad impedire a Mordred di infilzare il tuo migliore amico... tu, il più grande mago di tutti i tempi, hai fallito. Cosa ti fa pensare che questa volta sarà diverso?».
Merlino abbassò il capo e strinse forte la mano di Alex, per poi sollevala e urlare, pieno d'orgoglio: «Perché questa non è la mia storia! Alex riuscirà dove io ho fallito, ne sono certo».
Il peso che aveva sulle spalle triplicò, ma l'infermiera lo sostenne e riuscì persino a sorridere a Freya, la quale si era incupita. Al contrario di ciò che pensava però, il motivo non era lei, bensì Darrell.
«Ti avevo detto di dare a Merlino le indicazioni per raggiungermi, non di accompagnarlo qui», disse piano, un'espressione indecifrabile sul volto: un mix di rabbia, paura, ansia e amore.
L'agente Fisher avanzò, superando addirittura Merlino, e con tono gentile disse: «Pensavo davvero quello che ti ho detto l'altra sera: possiamo ancora essere felici insieme. Andremo via da qui, dove nessuno ci conosce, ci prenderemo una casa...».
«Mi dispiace Darrell, ma ho già sentito queste parole. E visto com'è andata l'altra volta, non credo sia il caso». Si girò verso la ragazza di colore e disse: «Hanna, ti dispiace immobilizzarlo? Non voglio essere costretta a fargli del male».
La ragazza si acquattò, con le mani posate sulla terra, e con gli occhi che risplendevano della caratterisca sfumatura dorata sussurrò: «Gehaeftan».
Alex sguainò Excalibur e provò a correre da Darrell per difenderlo dalle radici che all'improvviso gli erano comparse intorno alle caviglie e lentamente si inerpicavano sul suo corpo per avvolgerlo in un bozzolo, ma venne intercettata da un'onda di energia che la spinse a qualche metro di distanza, con Excalibur abbandonata al suo fianco.
«Alex! Alex, stai bene?», esclamò Merlino, gettandosi al suo fianco e scostandole i capelli dalla fronte.
L'infermiera mugulò dal dolore, sollevando il capo quel tanto che bastava per vedere Jake abbassare le mani e cercare l'approvazione di Freya.
«Ottimo lavoro», gli disse quest'ultima, sorridendo. Quindi si rivolse di nuovo a Merlino, indicando i ragazzi alle sue spalle: «Allora, che te ne pare? Li ho addestrati bene, non trovi?».
Lo stregone digrignò i denti ed aiutò Alex ad alzarsi, mentre Artù e Cathleen si facevano avanti per proteggerli.
«Ti ho fermata una volta, lo farò di nuovo!», gridò l'ex sovrano prima di lanciarsi all'attacco con la spada sollevata sopra la spalla.
Freya sorrise tranquilla, forse sapendo che i suoi adepti l'avrebbero protetta, e così accadde. Le due ragazzine stesero le mani avanti e in perfetta sincronia gridarono: «Forbearnan!». Immediatamente una striscia di fuoco impedì ad Artù di avvicinarsi oltre, anzi lo costrinse ad arretrare.
Cathleen incoccò una freccia, ma Merlino le impedì di scoccarla abbassandole l'arco.
«Non possiamo fare loro del male, sono sotto l'incantesimo di Freya», spiegò.
La dama del lago scoppiò a ridere, eccitata. Si interruppe però quando una voce intrisa di rabbia la sovrastò, lanciando un incantesimo che spense il fuoco.
Alex respirò profondamente e strizzò gli occhi, cercando di recuperare le energie. La battaglia non era nemmeno iniziata e lei era già affaticata - non un buon segno.
«E va bene, basta scherzare», esclamò la ragazza druida. Alzò una mano con sufficienza e diede loro spalle, aggiungendo: «Fate del vostro meglio, rendetemi orgogliosa».
«Hai intenzione di rimanere a guardare?», gridò Artù, oltraggiato. «Non sapevo fossi una tale codarda, Freya!».
Lei si limitò a sorridere e sedendosi ai piedi del masso guardò i propri maghi cimentarsi nei loro migliori attacchi.
Il primo arrivò dalle gemelle, le quali scagliarono delle palle di fuoco nella loro direzione. Alex si parò di fronte agli amici e gridò: «Shieldan!». Le sfere si infransero contro lo scudo magico eretto da Alexandra, ma non riuscì a tenerlo attivo per molto tempo. Quando l'effetto si esaurì, l'unica cosa che poterono fare fu quella di correre via per non venir abbrustoliti. Nel contempo, Hanna decise di metterci del suo: radici simili a quelle che avevano intrappolato Darrell uscirono dalla terra e provarono a raggiungere le loro gambe come serpenti, ma Artù riuscì a renderne inerte la maggior parte, tagliandole di netto con la sua spada.
«Non so che cosa vi abbia detto Freya, ma sappiate che state sbagliando a mettervi contro di noi!», gridò Merlino nel tentativo di riportare quei ragazzi alla ragione. «Noi siamo i buoni!».
«Ah sì?», domandò Jake, sistemandosi gli occhiali sul setto nasale. «E perché "i buoni" dovrebbero impedire il ritorno della magia, impedire a noi di essere ciò che siamo? Tu, Merlino, tu più di tutti dovresti capire com'è vivere a metà».
«Ma allearsi a Freya è sbagliato!», tentò di difenderlo Alex, col fiatone, ma Merlino le portò un braccio davanti al petto come a volerla nascondere dietro la propria ala.
«Hai ragione, Jake. So perfettamente come ci si sente. Ma so anche che fidarsi delle persone sbagliate può essere disastroso. Noi non abbiamo nulla contro di voi, dovete credermi. Stiamo cercando di impedire a Freya di riportare la magia nel mondo perché il suo metodo non funzionerebbe: se un potere del genere finisse nelle mani sbagliate, i danni sarebbero enormi».
«Stai dicendo che se ti consegnassimo Freya ti sacrificheresti di tua spontanea volontà?».
La dama del lago alzò di scatto il capo, gli occhi saettanti per la piega che stava prendendo quella conversazione.
Alex sentì la fiamma della speranza tornare ad ardere dentro di lei: Freya temeva che i maghi che aveva addestrato la tradissero, perciò se fossero davvero riusciti a portarli dalla loro parte avrebbero avuto qualche chance di fermarla. D'altro canto, però...
«Merlino, no», sussurrò, stringendogli la mano. «Hai promesso di invecchiare al mio fianco, ricordi?».
Lo stregone strinse le labbra, guardando Jake e gli altri ragazzi.
«Merlino non farà mai una cosa del genere», si intromise Freya, di nuovo sorridente. «Ama troppo la sua mogliettina per lasciarla. Sta solo cercando di mettervi contro di me, come un bravo stratega. Alla fine hai davvero imparato qualcosa da Artù Pendragon».
«Artù... Pendragon», ripeté con voce spiritata il clochard, i suoi grandi occhi verdi fissi sull'ex re di Camelot. Anche gli altri ragazzi manifestarono la loro sorpresa con mormorii ed occhiate, ma la reazione del biondo fu quella più strana: strinse i pugni lungo i fianchi e piegò il capo verso sinistra, le labbra che tremavano leggermente.
Freya serrò la mascella e guardandolo con la coda dell'occhio gli chiese: «Qualcosa da condividere, Elijah?».
Il ragazzo urlò di dolore e cadde sulle ginocchia, le dita sulle tempie. «No, nulla», gracchiò e poi sospirò di sollievo, quando la presa di Freya sulla sua mente si sciolse. Senza fare movimenti bruschi, alzò di nuovo gli occhi su Artù e i due si scambiarono un'altra serie di sguardi che Alex non riuscì a decifrare per via della maschera di impassibilità sul volto dell'antenato.
«Jake?», lo incalzò Freya, invitandolo a riprendere da dove aveva interrotto.
L'ex cameriere della Caffetteria Begum stese le braccia e gridò con rabbia: «Svelt!».
Uno dei pugnali che portava in vita si sguainò da solo, come animato, e sfrecciò verso Merlino, così velocemente che Alex non ebbe nemmeno il tempo per formulare un incantesimo di difesa. Per fortuna Merlino aveva dei riflessi eccezionali e riuscì a sollevare il bastone in modo che il pugnale trafiggesse quello anziché la sua fronte.
Prima che Jake potesse ripetere l'incantesimo con altre armi, Alex lo stese con un «Astrice». Peccato però che in quel modo attirò su di sé gli attacchi delle tre ragazze. Per qualche assurdo motivo, Elijah non aveva ancora fatto nulla, tenendosi in disparte. Che Freya gli avesse impedito di mostrare il suo potenziale per potersene servire in caso di emergenza?
Le due sorelle prepararono le loro palle di fuoco, mentre Hanna si concentrò tanto per controllare la terra che avevano sotto i piedi che le si ingrossò una vena sulla fronte. La situazione stava davvero per degenerare, quando un'improvvisa nebbia li avvolse, impedendo a tutti di vedere aldilà del proprio naso.
Alex trovò facilmente la mano di Merlino e lo seguì fino a ritrovarsi inginocchiata al fianco di Artù e Cathleen.
«Io non sono esperta di montagne, ma non credo sia normale», esordì a bassa voce Cathleen.
«Si tratta di un diversivo», spiegò Artù.
«Come fai a saperlo?».
«Me l'ha detto Elijah».
Alex corrugò la fronte e finalmente capì il motivo di quelle occhiate. «Ma certo, ti ha parlato col pensiero! È un druido!».
Artù annuì, ma non fece in tempo ad aprire bocca che Cathleen domandò: «E perché ci starebbe offrendo un diversivo?».
«Perché non vuole che Freya si impossessi del potere di Merlino. Ricordate che cos'ha detto Darrell, che ha trovato la spada di Mordred? Beh, la magia nera di quella spada ha alimentato la sua sete di riscatto: vuole ancora costruire un mondo pieno di magia, ma vuole tenere una parte di potere per sé per regnare sugli altri maghi, e farà fuori chiunque provi a contrastarla».
«Di male in peggio, di male in peggio», farfugliò Cathleen.
«Che cosa facciamo? Excalibur mi è d'aiuto, ma io sto già esaurendo le forze», confessò Alex, anche se non avrebbe voluto dare altre cattive notizie.
Artù si chinò ancora un po' di più verso il centro. «Okay, dobbiamo neutralizzare i maghi, però... noi non possiamo combatterli e tu non puoi farlo da sola. Non ho idea di come fare».
«Io però sì», esclamò Merlino.

***

Darrell odiava profondamente la magia, ma in quel momento iniziava a piacergli un po' di più: grazie a quella fitta nebbia poteva contorcersi indisturbato per raggiungere la propria pistola e sparare alle radici che lo stavano imprigionando senza preoccuparsi di dare nell'occhio. Una volta libero avrebbe fatto un bel discorsetto ai suoi compagni di battaglia: quando Alex era stata gettata a terra erano corsi tutti al suo capezzale, ma nessuno si era degnato di verificare le sue condizioni!
«Avanti, avanti», mormorò, sfiorando il calcio della pistola con la punta delle dita.
Era così preso che non si accorse del giovane senzatetto fino a quando non se lo ritrovò accanto. Elijah gli tappò la bocca per non farlo gridare di sorpresa e si avvicinò fin troppo al suo viso per guardarlo coi suoi enormi occhi verdi, nei quali la pupilla era così piccola da sembrare inesistente.
«Ciao Darrell», sussurrò con un largo sorriso. «Tranquillo, sono dalla tua parte».
Il poliziotto aspettò che il ragazzo allontanasse la mano ricoperta dal solito guanto senza dita per rispondere: «Lo so».
«Interessante», commentò, poi tirò fuori un coltellino svizzero piuttosto rovinato ed iniziò a tagliare le radici.
«Ci metterai un'eternità con quello! Non puoi... usare la magia?». Non credeva l'avrebbe mai detto, ma era il modo più veloce per liberarlo.
«Oh no, sto usando tutto il mio potere per mantenere la nebbia al più a lungo possibile».
«La nebbia? Stai dicendo che... che è opera tua?».
«Uhm-uhm».
«Ma come...? Tu non hai bevuto dalla Coppa, hai fatto solo finta!».
Elijah alzò di scatto il capo e i capelli scoloriti gli coprirono gli occhi, rendendo ancora più spettrale il suo sorriso. «Fantastico».
«Perché? I tuoi poteri sarebbero aumentati».
«Certo, ma sarei stato legato a Freya più di quanto lo sia già».
«Legato? Che significa?».
Darrell sentì il cuore schizzargli in gola quando il senzatetto si sollevò il maglione bucato per mostrargli il tatuaggio che aveva vicino all'ombelico: tre spirali intrecciate, il simbolo dei druidi. Era identico a quello di Freya, fatta eccezione per una linea gialla che si arrotolava sinuosa intorno alle spirali.
Voleva chiedergli se questa differenza li rendesse due tipi di druidi distinti, ma Elijah finì di tagliare una delle radici e la presa sul suo corpo si attenuò tanto da farlo sospirare di sollievo. Si era dimenticato che cosa volesse dire respirare veramente.
«Perché mi stai aiutando?», gli domandò alla fine.
Il senzatetto si scostò i capelli dagli occhi e lo fissò intensamente, quella volta senza nemmeno l'ombra di un sorriso sul volto. Darrell si ritrovò a deglutire rumorosamente, divorato dall'ansia.
«Perché tu sei l'unico che può fermare Freya, lo sai perfettamente. È per questo che sei venuto fino a qui, non è vero?».
Il cuore gli batteva furiosamente nel petto, tanto non riuscire a sentire con chiarezza quello che disse. Qualcosa sul non essere sicuro di farcela.
«Quando verrà il momento, troverai la forza. L'ho visto».
Darrell sbarrò gli occhi. «L'hai...?». Non ebbe il tempo di finire la frase a causa della forte onda di magia che spazzò via la nebbia, rivelando Elijah nel tentativo di liberarlo.
«Tu, razza di traditore!», gridò Jake, lanciandogli contro un altro dei suoi pugnali.
«Culter, ic pe hate!», rispose in fretta Elijah, bloccando la lama a pochi centimetri dal proprio occhio destro. Quindi lo afferrò per il manico e lo usò per tranciare di netto l'ultimo pezzo di radice. Darrell si liberò e tornò in piedi, estraendo subito la pistola per sparare contro Freya, incurante delle urla di Merlino. Ora non voleva nemmeno che desse una mano?!
La druida non se lo aspettava, per questo riuscì a deviare il colpo solo in parte. Il proiettile le lasciò una ferita superficiale sul braccio destro e quando alzò il capo per incrociare il suo sguardo non sembrava soffrire molto, piuttosto sembrava... impietosita.
«Darrell, fai sul serio? Le armi comuni non possono uccidermi. E poi, dovresti già sapere che ciò che ferisce me, ferisce anche te...».
Il poliziotto iniziò ad avvertire un intenso bruciore sul proprio braccio destro e in preda ad un attacco isterico si sfilò il giubbotto per vedere coi propri occhi la chiazza di sangue che si stava lentamente allargando sulla camicia che indossava.
«Che tu sia maledetta!», gridò un'Alexandra dal viso stanco e madido di sudore. Ciononostante corse al fianco del poliziotto, mentre sia Cathleen che Artù erano rimasti scioccati dalla scoperta. Probabilmente erano già arrivati alla stessa conclusione di Elijah: solo lui poteva sconfiggere Freya e per farlo doveva sacrificare se stesso.
«Non ti preoccupare cara, nemmeno io voglio veder soffrire Darrell». Freya si passò una mano sul braccio e la ferita si rimarginò, poco dopo la stessa cosa successe a quella dell'agente. «Ma non ti azzardare a farlo un'altra volta», aggiunse a denti stretti, gli occhi fiammeggianti. «Hanna, per sicurezza...».
Alex non le lasciò nemmeno terminare la frase. «Adesso!».
Cathleen, che aveva avuto tutto il tempo per incoccare una freccia dalla punta baluginante, quasi sicuramente incantata, mirò e colpì un punto del terreno davanti a loro. Freya e i ragazzini erano già pronti a deriderla, quando la freccia brillò e fu colpita da un fulmine, accecando tutti gli impreparati, Darrell compreso.

***

Elijah si era esposto perché loro avessero l'opportunità di organizzare un piano d'azione, quindi doveva funzionare ad ogni costo.
Quello che gli aveva detto mentalmente, però, continuava a deconcentrarlo.
"Non dovrei rivelartelo, ma a questo punto penso che non farà molta differenza. Verrai trafitto di nuovo dalla spada di Mordred. Mi chiedo se sia questo posto maledetto oppure se sia tu quello perseguitato dalla sfortuna".
La freccia di Cathleen attirò il fulmine e quando tutti si coprirono gli occhi, momentaneamente accecati, Artù corse in direzione di Jake e lo colpì in testa con il pomolo della spada.
E il primo è andato.
Alle sue spalle sentì il rumore di una spada che veniva sguainata e si voltò giusto in tempo per parare il colpo di Freya.
«Sei ancora in tempo per cambiare idea», le disse, guardandola dall'altra parte della V creata dalle due spade in attrito tra loro. «Nemmeno io voglio tornare nelle acque di Avalon, troveremo un modo».
«Conosco già un modo: usare il potere di Merlino!».
Mentre le loro spade cozzavano tra loro in uno scontro impari - la spada di Mordred, forgiata dall'alito di un drago, era infinitamente più forte - Alex e Cathleen si occuparono delle gemelle e della ragazza di colore.
Merlino aveva notato che ognuno dei ragazzi si era concentrato ad imparare gli incantesimi riguardanti un solo elemento, forse per problemi di tempo, perciò tutto ciò che dovevano fare per disarmarli era rendere loro impossibile sfruttarlo.
Jake controllava l'energia cinetica e si dilettava con la telecinesi, Hanna aveva indubbiamente un talento per gli incantesimi di terra e le due sorelle amavano pazzamente il fuoco. L'ex cameriere era il più pericoloso, dato che poteva lanciare loro contro qualsiasi cosa oppure respingerli con una sola parola, ed era stato ovvio per tutti che doveva essere fermato per primo.
Cathleen attirò l'attenzione delle due sorelle lanciando frecce infuocate, dicendo loro che a giocare col fuoco rischiavano di scottarsi, e Alex ne approfittò per evocare un tornado che inglobò Hanna, lasciandola con i piedi ad una spanna da terra. Senza toccarla, infatti, i suoi incantesimi non avevano presa.
«La tua discendente si sta mostrando piena di risorse», commentò Freya, sorridendo beffarda.
«Frutto di un severo allenamento».
«Già... Mi chiedo però se non stia raggiungendo il limite».
Artù gettò un'occhiata ad Alex e la trovò ancora più stravolta, coi capelli scarmigliati e profonde ombre sotto gli occhi.
«La magia di Excalibur non è infinita, sai? E lei sta continuando a prendere e prendere, senza rendersi conto che la spada si sta alimentando con la sua stessa linfa vitale. Un altro attacco, un solo, e...».
«Alexandra, no!», urlò Artù, riuscendo a respingere Freya con tanta forza da farla cadere a terra. Provò a raggiungerla, ma era troppo lontana e a causa del tornado non l'aveva nemmeno sentito.
La sua unica erede pronunciò l'incantesimo che creò due potenti geiser proprio sotto le due ragazzine, inzuppandole e rendendo inefficaci le loro magie di fuoco.
Finalmente Alex lo vide e sorrise, alzando un pollice per confermargli che il loro piano aveva avuto successo, ma lentamente il suo viso assunse un pallore mortale, le sue palpebre si abbassarono e le sue ginocchia cedettero.
Artù scivolò sulla torba e raccolse l'infermiera prima che potesse battere la testa, quindi se la strinse al petto e cercò di rianimarla, gridando il suo nome. Non c'era nessun altro rumore intorno a loro, nessuno: il tornado e i geiser erano svaniti quando Alex aveva perso i sensi, lasciando le ragazze intontite ma libere.
«Alex! Alex, ti prego apri gli occhi!».
Cathleen, Darrell e persino Elijah raggiunsero i due Pendragon. Artù non nascose nemmeno le lacrime, gridando tutto il proprio dolore per la lontana nipote e il bambino che portava in grembo.
Alzò lo sguardo verso Merlino, immobile alle loro spalle e con lo sguardo fisso verso Freya, la quale invece sorrideva maligna. Era come se lei sapesse esattamente cosa stava per succedere, come se quello fosse sempre stato il suo intento, e non vedesse l'ora.
«Merlino?».
«Sono stato uno stupido», mormorò, lasciando cadere a terra il bastone. «Avrei dovuto prevedere tutto questo. E ora non mi resta che fare il suo gioco».
«Che cosa...? Non riesco a capire», balbettò Darrell, chiedendo silenziosamente spiegazioni a Elijah, il quale scosse il capo con gli occhi sbarrati.
Prima che potesse intimargli di rinunciare però, Merlino aveva già preso Alex tra le braccia e quando iniziò a sussurrare una lunga e complicata formula entrambi brillarono di energia dorata. Ad un certo punto fu così accecante che tutti dovettero scostare lo sguardo, fino a quando non vennero addirittura sbalzati via dall'onda d'urto creata dalla dirompente magia custodita nel corpo di Merlino, parte della quale ormai era stata assorbita da Alex, ma non solo: tutti coloro che erano canali della magia ne avevano beneficiato, inclusa Freya.
Artù riaprì gli occhi sentendo la risata sguaiata della dama di Avalon, tuttavia la prima persona che cercò fu Alex: la individuò a qualche metro di distanza, sveglia e confusa, ma soprattutto sana come un pesce.
«Ah, siano ringraziati gli dei!», gridò abbracciandola.
«Che cos'è successo? Ero così stanca...».
«Hai usato troppa magia ed Excalibur stava assorbendo la tua energia vitale, ma Merlino... Merlino!».
Entrambi sobbalzarono scorgendo Merlino steso a poca distanza da loro, i capelli ormai completamente bianchi e il volto privo di espressione.
«Merlino! Mio Dio, Merlino, che cos'hai fatto?», si disperò Alex, porgendo l'orecchio sulle sue labbra per sentire se respirava, mentre controllava il polso con due dita. «È ancora vivo», sospirò di sollievo.
Elijah comparve all'improvviso davanti a loro e si tolse il trench per coprire lo stregone. «Andate, rimango io con lui», disse, per poi aggiungere accennando a Freya: «Credo che la situazione sia un tantino peggiorata».
I maghi al soldo della druida erano tutti in piedi e pieni di energia, pronti a riprendere il combattimento, e la follia negli occhi della stessa druida non presagiva nulla di buono.
«Idee?», sussurrò Cathleen, cercando di togliersi della terra dalla guancia senza alcun risultato.
Nessuno parlò, entrambi troppo orgogliosi per ammettere che si trovavano nei guai fino al collo, e fu Freya ad interrompere il silenzio.
«Bene ragazzi, siete stati bravi», esordì con un sorriso radioso, il quale ben presto prese una sfumatura diabolica. «Ma non abbastanza».
I giovani maghi la guardarono confusi, poi si accasciarono a terra svenuti mentre tutta la magia che avevano involontariamente assorbito da Merlino venne accumulata dalla dama del lago, la cui pelle iniziò persino a brillare d'oro.
Se prima avevano ben poche possibilità di batterla, ora era praticamente impossibile. E non finì lì: stese le mani davanti a sé, coi palmi rivolti verso il terreno, e la montagna intera tremò fino a che non si spaccò, permettendo a due scorpioni giganti di zampettare fuori coi loro aculei avvelenati tremanti, desiderosi di pungere qualcuno.
«Dite ciao ai miei due nuovi amici: Serket Uno e Serket Due! Non c'è bisogno che impariate i loro nomi, dopotutto morirete presto».
Cathleen arretrò insieme ad Artù e Alex, le spade pronte tra le mani.
«Ripeto la domanda: idee?».

***

Il gesto di Merlino era stato sconsiderato, folle, dettato dalla disperazione e dalla rabbia. Nel donarle parte della propria magia aveva involontariamente ricaricato anche i loro avversari e Freya, la quale doveva aver immaginato uno scenario del genere e aveva prosciugato i suoi stessi adepti, ingorda di potere. Per rendere le cose più divertenti, poi, aveva evocato due serket, scorpioni giganti che brulicavano nelle foreste intorno a Camelot.
«Era questo che intendevi per "legato"?», chiese Darrell ad Elijah, entrambi chini su Merlino.
Il senzatetto annuì con un cenno del capo. «Freya ha usato l'acqua di Avalon nel suo rito e lei ne è la custode, perciò...».
Alex smise di ascoltare, cercando di trovare una soluzione. Non sapeva nulla dei mostri dell'Antica Religione, come poteva pretendere di combatterli?
«Artù?».
«Uhm?».
«Non so cosa fare».
L'ex re abbozzò un sorriso e si spostò dalla fronte umida di sudore delle ciocche di capelli. «E credi che io lo sappia? A quanto pare era Merlino ad occuparsi dei mostri quando io svenivo!».
«Qualcosa dobbiamo provare!», gridò Cathleen, incoccando una freccia infuocata e lanciandola contro gli scorpioni. Questi la deviarono e furono ben attenti a non avvicinarsi troppo.
«Okay, il fuoco non gli piace», commentò Alex, per poi stendere le mani avanti e creare un cerchio di fiamme intorno a loro.
Freya scoppiò a ridere. «Non potrai scappare per sempre, Alexandra».
Questo lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene. Non poteva nemmeno gettarsi contro un serket però: non era certa di essere più veloce dei loro aculei e morire in quel modo sarebbe stato da stupidi.
"Sono creature dell'Antica Religione, solo Excalibur può ucciderle".
Alex sgranò gli occhi e si portò una mano sul ciondolo che portava sotto la maglia di ferro. Improvvisamente era diventato freddissimo contro la sua pelle, tanto da bruciare.
"Morgana", sussurrò mentalmente. "Ti prego, aiutami!".
"Fidati di Artù. Questo è l'unico consiglio che posso darti".
L'infermiera guardò l'antenato al suo fianco, l'espressione fiera e attenta, piegato sulle ginocchia in posizione di difesa. Excalibur era stata forgiata per lui e solo lui poteva sfruttarne il cento percento del potenziale. Inoltre, lei non avrebbe potuto utilizzare la magia mentre menava fendenti a destra e manca.
Respirò profondamente e si girò verso Artù, porgendogli Excalibur con fare quasi solenne.
«Che cosa fai?», le domandò il biondo, confuso.
«Solo Excalibur può uccidere quei cosi e tu sei uno spadaccino migliore di me. Vai, io ti coprirò le spalle con la magia, come faceva Merlino».
«E io che faccio?», domandò Cathleen.
Alex le sorrise. «Tu coprirai le mie, di spalle».
Il paramedico la fissò interdetta, poi ricambiò il sorriso e le strinse l'avambraccio.
«Okay, al mio tre. Uno, due... tre!».
Il cerchio di fuoco si spense, lasciando la terra bruciata e fumante, e Artù gridò «Per Camelot!» mentre si lanciava contro gli scorpioni giganti con Excalibur in pugno, lucente più che mai. Alex allontanò uno dei serket con colpi stordenti, in modo che Artù potesse concentrarsi su un nemico per volta.

***

Deviò diversi colpi di pungiglione e al momento apportuno riuscì persino a mozzargli la coda. Sfruttando poi i lamenti di dolore dell'animale fece un balzo e lo infilzò nella testa, uccidendolo.
Artù si girò verso l'altro scorpione per occuparsene, ma scorse Freya raccogliere da terra la spada di Mordred ed avanzare furente verso Cathleen. Gridò il suo nome, ma sapeva che non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerle. Per fortuna c'era Elijah vicino a lei, il quale notò la minaccia e sfruttando i poteri assorbiti da Merlino lanciò un incantesimo che fece volare via la spada dalle mani della druida.
«Ti prego, fermati! Noi siamo gente pacifica!», le gridò, rivolgendole un'occhiata intrisa di pietà.
«Vallo a dire ai druidi che volevano uccidermi per via della mia maledizione!».
«Maledizione? Di che stai parlando?».
Il ghigno di Freya lo fece rabbrividire, ma fu distratto dall'urlo di Alex: in qualche modo il serket era riuscito ad avvicinarsi e l'infermiera aveva eretto uno scudo per difendersi dai colpi dell'aculeo, ma si stava già incrinando.
Artù corse a più non posso e con una scivolata si ritrovò sotto l'addome dello scorpione, che trafisse spingendovi la lama fino alla sua base. La bestia si contorse fischiando e poi scrollò a terra. L'avrebbe schiacciato, se Alex non l'avesse tirato via per i piedi giusto in tempo.
«Grazie», sospirò guardando il cielo rosso sangue, segno che il sole stava sorgendo da qualche parte oltre le montagne.
«Siamo pari», rispose Alexandra, per poi alzarsi e porgergli la mano.
«È finita Freya, abbiamo ucciso i tuoi animaletti!», gridò l'infermiera, prima di sussultare alla vista di Cathleen in ginocchio, con gli occhi fuori dalle orbite, il volto paonazzo e le unghie con cui si stava graffiando la gola. Freya sorrideva con una mano stesa verso di lei, come se si stesse divertendo un mondo.
«Credete davvero che sia finita? Illusi. Voi non potete fermarmi in alcun modo, la vostra amica qui ne è la prova».
«Smettila!», gridò Alex, ma l'altra mano di Freya si sollevò nella sua direzione e anche lei crollò a terra, la bocca aperta alla ricerca di aria che non sarebbe mai riuscita a respirare.
Prima ancora che Artù potesse correre da lei per tranciarle di netto le mani con Excalibur, un boato fece volare via uno stormo di uccelli dalla foresta a valle.
«Aaah!», urlò Darrell, stringendosi una mano intorno alla coscia destra, da cui iniziò a sgorgare copioso sangue rosso cremisi. Pur sapendo di condividere anima e corpo con Freya, le aveva sparato comunque.
La druida, colta di sorpresa, aveva lasciato la presa sulle due ragazze, le quali avevano iniziato a respirare con foga, tossendo e mugugnando di dolore.
«Ti diverti, Darrell? Fai l'eroe perché sai che tanto ti guarirò?».
Artù aiutò Alex ad alzarsi e con lei appesa al collo raggiunse Cathleen, Darrell ed Elijah, schierati davanti al corpo di Merlino per proteggerlo.
Alex si inginocchiò accanto alla gamba di Darrell e fu facile per lei capire che se Freya avesse aspettato ancora un po' sarebbe morto dissanguato, dato che aveva colpito l'arteria femorale.
«Stupido», gracchiò macchiandosi le mani di sangue.
«Non potevo stare a guardare mentre ti strangolava».
Artù corrugò la fronte e si voltò a guardarli, trovandoli occhi negli occhi e con le mani che si sfioravano sopra la ferita del poliziotto. Provò una sgradevole sensazione, ma fece del proprio meglio per ignorarla e dedicò a Freya tutta la propria frustrazione.
«Sai, inizio a pensare che tu non abbia mai voluto essere aiutata da Merlino. Tu ti spacciavi per la povera ragazza maledetta, ma in realtà ti piaceva: ti piaceva il timore che incutevi nelle persone, il potere... Perché avresti dovuto rinunciarvi?».
«Ti stai sbagliando», ringhiò la dama del lago, mostrando i denti.
«Davvero? Allora lascia perdere e vattene: avrai la tua seconda possibilità, potrai vivere come vuoi, e noi non ti cercheremo più».
Freya assottigliò gli occhi. «E perchè dovrei fidarmi, Pendragon?».
«Perché è quello che voglio anche io! Sono stato nelle acque di Avalon tanto quanto te, so come ci si sente».
«C'è solo un piccolo problema», esclamò sorridendo. «Questo mondo collasserà, se Merlino non restituirà tutto il potere che ha sottratto nel corso dei secoli. È chiaro ormai che lui non lo farà di sua spontanea volontà, perciò siamo punto e a capo: deve morire. Spetta a me l'onore, non credi? In fondo... è stato lui a rendermi la dama del lago!».
«Adesso basta, mi hai stancato!», intervenne Alex, piazzandosi davanti Artù.
«Alex, che cos'hai in mente?», sussurrò preoccupato.
«È ora di finirla. Vuoi uccidere Merlino? Bene, dovrai passare sul mio cadavere!».
Il sorriso di Freya si allargò fino a trasformarsi in una vera e propria risata. «Ah, Alexandra! Hai fegato, lo sai? Quasi mi dispiace ucciderti. Tutte le profezie sul tuo conto, sulla tua eredità... Dimostrerò che sono tutte fandonie, che questa volta la Triplice Dea ha sbagliato!».
La spada di Mordred si sollevò alle spalle di Freya e con un sibilo sfrecciò in direzione di Alex. Artù fece appena in tempo a rendersi conto che la profezia di Elijah si stava avverando, prima che la punta della spada squarciasse la maglia di ferro e gli trafiggesse il ventre. Cadde a terra accanto ad Alex, sgomenta ed inorridita, e le sorrise prima di chiudere gli occhi, certo che se proprio era destinato a morire era così che voleva che accadesse: proteggendo la propria famiglia.

***

«No. No, non è possibile», farfugliò Alex, guardando incredula l'antenato riverso al suolo, con la spada di Mordred conficcata nella pancia.
Si era sacrificato per lei, spingendola via all'ultimo momento, consapevole che né lei né il bambino che portava in grembo sarebbero sopravvissuti ad una ferita inferta da una spada magica. Tuttavia non aveva alcun senso: Artù non poteva morire! Nella visione del funerale di Abby c'era anche lui, vivo e vegeto!
«Artù? Artù, ti prego, rispondimi».
Una Cathleen in lacrime si portò gentilmente la testa di Artù sulle ginocchia e gli accarezzò i capelli, per poi posare le labbra sulla sua fronte.
«Avevo promesso di proteggerti... ma ho fallito. Non sono abbastanza forte», singhiozzò.
Artù sollevò una mano e con uno sforzo la posò sul collo di Cathleen, invitandola ad accostare l'orecchio alle sue labbra bluastre. «No, sei stata brava. Hai lottato con onore. Mi dispiace non essere stato alla tua altezza».
«No. No, non puoi arrenderti!», gridò col volto stravolto dal dolore.
Si girò verso Alex, la quale stava lentamente cedendo, schiacciata sotto i sensi di colpa, e con voce implorante urlò: «Fai qualcosa! Curalo!».
«Io... io non...». Era così sicura che non sarebbe successo nulla di male ai suoi amici che durante gli allenamenti con Merlino non le era nemmeno venuto in mente di chiedergli di insegnarle le basi della magia curatrice.
«Alexandra sa benissimo che non si può curare una ferita come quella», esclamò Freya divertita, per poi estrarre la spada dal ventre di Artù e riportarla nella sua mano. Cathleen mise subito una mano sulla ferita, imbrattandosela di sangue, nel vano tentativo di fermare l'emorragia.
«Merlino non ci è riuscito la prima volta, non vale nemmeno la pena provarci».
Merlino. Alex si voltò verso lo stregone, chiedendosi  che cosa avrebbe detto quando avrebbe scoperto che per colpa sua Artù era morto, di nuovo.
Scosse il capo, convincendosi che non sarebbe morto, non sotto il suo sguardo. Doveva dimostrare ad Artù che il suo gesto non era stato vano, che era una degna Pendragon e non si sarebbe arresa finché aveva ancora la forza per respirare.
Si alzò in piedi col corpo squassato da tremori di rabbia e sentì la magia ribollirle nelle vene, gli occhi già dorati ancor prima che potesse formulare un qualunque incantesimo.
Freya vacillò di fronte a tutta quella potenza e non fece in tempo a difendersi.
«Forp fleoge!», recitò Alex e un'onda di energia colpì la dama del lago, facendola rotolare fino al bordo del cratere.
Darrell gemette e si portò una mano sporca di sangue sul costato. Il volo doveva aver incrinato le costole della druida, cosa che si era riflessa su di lui. Alex non se ne curò, raccolse Excalibur e si diresse a passo di marcia verso la nemica.
Freya si sdraiò supina per fronteggiarla e riderle in faccia. «Vuoi davvero uccidermi, Alexandra? Se lo farai, sarà il primo passo per diventare come Morgana. Era questo di cui aveva tanta paura Merlino, non è vero? Beh, a questo punto credo non abbia più importanza... Quando si risveglierà e vedrà il caro Artù morente ti odierà comunque».
Alex non ci vide più. Il ciondolo di Morgana bruciava sul suo sterno, eppure si sentiva come se non lo stesse più indossando: il dolore le stava consumando l'anima, impedendole di comprendere cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Non ci pensò due volte quindi prima di alzare Excalibur e di calarla su Freya con tutta la propria forza, mentre alle sue spalle Cathleen si sgolava nel tentativo di fermarla. Prima che Excalibur potesse infilzarle il cuore, la druida rotolò via e cadde giù dalla montagna.
Alex si voltò verso Cathleen per chiedere spiegazioni e solo in quel momento tornò in sé quel tanto che bastò a farle comprendere che se avesse colpito Freya con Excalibur, trattandosi di una spada magica dalle cui ferite nemmeno lei poteva guarire, avrebbe inevitabilmente condannato a morte anche Darrell.
Sconvolta, aprì la bocca per chiedere scusa, ma le espressioni di terrore sui volti dei suoi amici la fecero desistere. Inoltre, una strana ombra aveva riportato la notte su di lei. Un ruggito le fece accapponare la pelle e ancor prima che Cathleen potesse dirle di abbassarsi lei ci aveva già pensato.
Picchiò la testa contro un masso nascosto dalla torba, ma poteva andarle peggio: per esempio poteva essere dilaniata dagli artigli della bestia che le era appena atterrata davanti, una gigantesca pantera alata con gli occhi gialli e dei canini da tigre dai denti a sciabola.
Alex cercò Excalibur con una mano, senza schiodare lo sguardo dal Bastet, ma non la trovò: doveva essere finita da qualche parte quando si era gettata a terra.
«Era questo che intendevi per "maledizione"?», domandò Elijah, gli occhi verdi sgranati. «Ora capisco perché volevano ucciderti!».
Freya gli ringhiò contro, poi tornò a rivolgere la propria attenzione verso Alex. Si avvicinò mostrando i denti aguzzi e l'infermiera arretrò, arretrò tanto che finì sullo stesso orlo del precipizio da cui la druida si era gettata, consapevole di potersi trasformare in una bestia alata.
Una volta in trappola scorse un ghigno sul volto della pantera e poi la voce di Freya le rimbombò nel cranio: "Dov'è finito tutto il tuo ardore, Alexandra?".
«Astrice!», gridò Alex nel tentativo di farla arretrare, ma il colpo la spostò di un paio di centimetri appena.
La sua risata le fece salire le lacrime agli occhi, realizzando che in fin dei conti Artù aveva ragione: non era una degna Pendragon, né una degna apprendista strega.
Freya le disse di recitare le sue ultime preghiere e Alex chiuse gli occhi nell'attesa di ricevere il colpo di grazia, la zampa del Bastet già alzata sopra di lei, ma i minuti trascorsero interminabili e non successe nulla.
Quando finalmente si decise ad aprire gli occhi per capire cosa stesse succedendo, trovò gli occhi della pantera spalancati, attraversati dal dolore e dalla paura. Quindi spostò lo sguardo dietro di lei e ciò che vide le spezzò il cuore: Darrell si era trafitto con Excalibur per salvarla. La profezia dei cristalli si era avverata alla fine.
Il Bastet crollò a terra e Alex trovò la forza per alzarsi e correre dal poliziotto.
«Ehi. Ehi, Darrell», sussurrò portandogli una mano sulla fronte.
L'agente Fisher la guardò negli occhi con i propri già vagamente annebbiati ed abbozzò un sorriso. «Ehi, Alex».
«Che cos'hai fatto?».
«L'unica cosa che si poteva fare». Darrell tossì e un rivolo di sangue gli uscì dall'angolo della bocca.
«Non scherzare, te la caverai. Ti porteremo in ospedale e ti salveremo, okay?».
Le lacrime avevano ripreso a scorrere sul suo viso, il cuore in frantumi per chissà quale motivo. Che ciò che provava per lui alla fine non fosse solo attrazione fisica?
«No, non potete. Se mi salverete, salverete anche lei», mormorò, guardando oltre Alex per incrociare lo sguardo quasi spento di Freya, tornata umana e con una grossa chiazza di sangue sul ventre. «Ero la sua... assicurazione sulla vita».
Lui lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Ecco che cosa intendeva, quando le aveva detto che non sapeva se sarebbe uscito vivo da quella storia.
«E hai deciso di ucciderti per fermarla?!».
Darrell gettò un'occhiata ad Elijah, sussurrando: «Era l'unico modo e nessuno l'avrebbe fatto, tranne me».
Il senzatetto annuì con un debole sorriso sulle labbra.
«Ma... ma non è giusto», farfugliò Alex.
Il poliziotto le prese una mano e ne accarezzò il dorso con il pollice. «Posso... posso chiederti un ultimo favore?».
L'infermiera annuì col capo, tirando su col naso. «Qualunque cosa».
«Voglio parlarle. Potete... avvicinarla?».
«Che cosa?». Alex fissò Freya, stravolta. Alla fine l'amore per lei, per la ragazza che aveva ospitato a casa sua senza sapere chi fosse veramente, avrebbe prevalso su ogni cosa, persino sulla morte. Sospirò e guardò Elijah. «Va bene».
Il ragazzo druido si avvicinò alla vecchia insegnante ed ebbe qualche remora a prenderla tra le braccia, ma questa gli rivolse un sorriso stanco e mormorò: «Non mordo più».
Elijah si fece coraggio e la sollevò con attenzione, non riuscendo però a non farla gemere dal dolore, e una volta accanto a Darrell la stese al suo fianco.
C'era qualcosa di diverso sul suo viso, qualcosa di dolce che Alex non aveva mai visto. Che la morte le stesse conferendo una lucidità tale da permetterle di tornare ad essere la Freya di millequattrocento anni prima, quella di cui Merlino si era innamorato?
Darrell sollevò una mano e le sfiorò la guancia col dorso delle dita. «C'è stato un tempo in cui ti amavo. Come siamo arrivati a questo?».
«Mi dispiace», singhiozzò silenziosamente la druida, lasciando che una lacrima le attraversasse il setto nasale. «Non avresti mai dovuto avvicinarti a me, Darrell. Anche io ti amavo, ti amo tutt'ora, e nella mia follia ti ho trascinato in questa storia, senza comprendere che tu avresti fatto ciò che ritenevi giusto, anche a costo di sacrificare te stesso».
«Ti perdono», soffiò, quindi chiuse gli occhi e la sua mano cadde a terra, inerte.
Freya ululò di dolore rivolgendo il volto verso il cielo e quando smise i suoi occhi divennero vitrei, la mano ancora stretta sul cuore.
Alex si portò entrambe le mani sul viso, chiedendosi quanto di ciò che era successo fosse colpa sua, ma fu costretta ad abbandonare quel pensiero quando la terra sotto il corpo di Freya si spaccò per inglobarla e lo stesso fece con Darrell, nonostante lei si fosse aggrappata alla sua mano con tutte le sue forze.
Cathleen la tirò via prima che potesse essere risucchiata anche lei in quel buco e Alex le cadde addosso. Per un attimo fu convinta che fosse solo lei a tremare, ma in realtà stavano percependo un lieve terremoto. Durò solo una decina di secondi, abbastanza da svegliare Merlino e i ragazzi a cui Freya aveva assorbito ogni briciolo di magia.
«Alex», fu la prima parola dello stregone quando riaprì gli occhi e l'infermiera sentì il sapore della terra in bocca, come se alla fine fosse stata risucchiata comunque nelle profondità della montagna.
«Sono qui», rispose piano, prendendogli la mano.
Lui l'attirò in un abbraccio e sospirò di sollievo. «Stai bene, grazie al cielo!».
«Sì... sì, sto bene».
Merlino si scostò per guardarla in viso, non convinto. Alex allora indicò Artù, abbandonato tra le braccia di Cathleen, e il volto dello stregone impallidì tanto quanto i suoi capelli.
«Che cos'è successo?», domandò con foga, precipitandosi al suo capezzale.
«La spada di Mordred», rispose Cathleen con gli occhi arrossati, quindi voltò il capo verso l'ultima Pendragon e aggiunse: «Ha protetto Alex».
Il mago strinse i pugni, combattuto. Lei e Artù erano le due persone che amava di più al mondo, dopotutto.
«Andiamo, non c'è un momento da perdere», esclamò ad un tratto, ferale.
Si avvolse un braccio di Artù intorno al collo e Cathleen fece lo stesso con l'altro. Solo allora si accorse che doveva essere successo dell'altro, mentre era svenuto.
«Dove sono Freya e Darrell?».
Alex abbassò il capo ancora una volta, ma non fu costretta a rispondere. Lo stregone infatti liquidò la questione, dicendo che avevano altro a cui pensare.
   
 
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