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Autore: Echocide    17/01/2018    3 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente, benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo. Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò, ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.181 (Fidipù)
Note: Un po' in ritardo rispetto al solito - già, dovevo postarlo ieri - ma ecco qua il consueto aggiornamento settimanale de La bella e la bestia!  Nuovo capitolo, personaggi che ritornano e...beh, ormai siamo in dirittura del finale: ancora quattro capitoli e questa storia ci saluta (E qua si sente un 'Finalmente!' mio. Il bello è che ho già pronta la sostituta...me tapina!)
Detto questo, andiamo come sempre a ricordarvi la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Si lasciò cadere sulla chaise longue, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente, aprendo poi le labbra e lasciando andare l'aria: «Sabrina, preparami una cioccolata calda» ordinò, muovendo con pigrizia una mano nell'aria e non dando peso alla sequela di parole incerte che seguirono.
Il viaggio l'aveva distrutta mente e corpo, facendole sentire il bisogno di tornare nella sua cara Parigi, storcendo le labbra mentre ripensava al fallimento della sua ricerca: aveva fatto la strada fra Parigi e Toulouse almeno due volte, ma di Marinette Dupain-Cheng non c'era nessuna traccia e sembrava che la ragazza fosse scomparsa come per magia.
Dove era?
Dove si era nascosta?
Poggiò la nuca contro la spalliera della poltroncina, inspirando profondamente e lasciando i pensieri liberi: non ricordava il momento esatto in cui aveva iniziato a odiare la meccanica, semplicemente era successo e renderle la vita un inferno era diventato il suo chiodo fisso.
Mise le mani sulla pancia, cominciando a giocherellare con il merletto che decorava il corsetto e ascoltando il rumore delle persone che stavano lavorando nella sua stanza: due valletti erano impegnati a portare dentro i bauli, mentre le cameriere stavano riponendo gli abiti che si era portata dietro quella fallimentare missione.
Era rilassante, quasi confortante, ascoltarli: un sospiro le sfuggì dalle labbra, mentre si sistemava meglio sulla chaise longue e lasciandosi ammaliare dalla promessa del riposo; voltò la tesa di lato, passandosi la lingua sulle labbra e scivolando con velocità fra le braccia accoglienti del sonno.
«Chloé! Chloé! Chloé!»
La voce persistente di Sabrina la strappò quasi immediatamente da dormiveglia, facendole aprire gli occhi e fissare contrariata l'altra: «Che c'è?» domandò con stizza, osservando le mani vuote della ragazza e poi il volto: «Spero che tu abbia una buona ragione per avermi disturbato.»
Sabrina annuì con il capo, talmente vigorosamente che gli occhiali tondi le scivolarono sul naso e quasi le caddero per terra: «Allora?» domandò Chloé, mettendosi seduta e rimanendo in attesa, portandosi una mano al capo e controllando che l'acconciatura fosse ancora in ordine.
«Ho appena saputo da una delle cuoche che la figlia di Sabine è tornata a casa.»
«La figlia di Sabine?»
«Marinette Dupain-Cheng.»
Chloé sbatté le palpebre, scuotendo appena il capo e facendo schioccare le labbra: «Mi stai dicendo che, mentre io ero a giro per il mondo, la meccanica era tornata a Parigi?»
Sabrina annuì per la seconda volta con la testa, osservando l'altra alzarsi e pestare con forza un piede per terra: «Che vuoi fare, Chloé?» domandò, tirandosi su anche lei e osservando l'altra marciare verso la porta della camera, ignorando uno dei valletti che stava portando un baule dentro e costringendolo a retrocedere.
«Che domande? Vado in quel buco di negozio. Fai preparare la carrozza.»
«Sì, Chloé.»


Plagg osservò la stanza immersa nel buio, ringraziando la sorte che lo aveva trasformato in un candelabro, colpì i propri bracci e accese gli stoppini delle candele che aveva al posto delle mani, saltellando all'interno e osservando il giovane sdraiato sul letto.
Adrien sembrava aver perso ogni forza e, forse perché collegato al giovane, anche il castello sembrava risentirne: non c'era più quella luce che aveva dominato nelle stanze mentre madamoiselle Marinette era lì, scacciata dalle tenebre che sembravano diventare più fitte ogni giorno che passava.
Cinque giorni.
Questo era il tempo trascorso da quando la ragazza, quella giusta, quella che avrebbe rotto quell'incantesimo nefasto, se n'era andata: «Padrone…» mormorò, avvicinandosi al letto e osservando la coperta logora, ricordando com'era un tempo: prezioso broccato rosso, ricamato d'oro che riprendeva le tende del baldacchino e quelle delle finestre.
Era sempre stata una camera bellissima, sontuosa, il rifugio di quel bambino cresciuto nella bambagia, mentre ora era la tana di una bestia ferita, con il cuore in mille pezzi.
«Lasciami stare, Plagg.»
«Padrone, io…» il candelabro si fermò, cercando le parole e non trovando assolutamente niente da dire: «…è stata colpa nostra, padrone. Avremmo dovuto dire fin da subito la verità…»
«Io sono vostro complice. Nemmeno io le ho detto qualcosa e ho lasciato che vivesse qui, preoccupandosi senza motivo e…»
«Ma padrone…»
«E ora l'ho persa. Per sempre» Adrien si girò nel letto, voltandosi verso il candelabro e fissandolo: «Mi dispiace solo che in questa maledizione siate coinvolti anche voi: io diventerò la bestia che sono, ma voi…»
Plagg inspirò, osservando la rosa che dominava una parte della camera, stranamente rilucente e con ancora pochi petali attaccati allo stelo: ancora tre petali e poi tutto sarebbe finito, la maledizione sarebbe diventata eterna e avrebbe trasformato tutti loro in mobili, perdendo ogni forma di vita.
Sarebbero stati ciò in cui erano stati trasformati e nulla più, esattamente come il loro padrone.
«Padrone, voi l'amate e lei vi ama.»
«A quanto pare no, perché come vedi, sono ancora in questo fantastico aspetto: in fondo il metallo e la carne è una combinazione di moda quest'anno, no? Mettici un po' di…boh, qualsiasi cosa sono questi affari che ho in faccia, aggiungi un po' di piaghe e potrei tranquillamente essere il modello di quest'anno.»
«La vostra lingua, in questi casi, è veramente fuori luogo.»
«Chissà da chi ho imparato.»
«La rosa non ha perso ancora tutti i petali…»
«Ma presto accadrà.»
Plagg inspirò, avvicinandosi a una delle colonnine del letto e sfruttandola per scalare la struttura e raggiungere così il ragazzo; balzò sul materasso, avvicinandosi al volto del giovane e fissandolo: «C'è sempre speranza, padrone. Sempre. Fino all'ultimo secondo. Soprattutto in qualcosa di così delicato, effimero e imprevisto come l'amore: voi l'amate, lo vedo da come vi siete ridotto dopo che Marinette se n'è andata; e anche lei prova i vostri stessi sentimenti, l'ho visto nei suoi occhi, nel suo sguardo, ogni volta che si posavano su di voi. Solo un cieco o un idiota non avrebbe compreso ciò, e propendo per il fatto che voi appartenente alla seconda categoria» si fermò, osservando lo sguardo verde del giovane e indicando con uno dei bracci la rosa: «Ci sono ancora tre petali, c'è ancora una speranza. Non abbattetevi, vi prego. Lottate. Fatelo per Marinette: volete veramente farle perdere l'amore della sua vita?»
«Ora mi ricordo perché eri tu quello che dirigeva questa casa, prima di tutto questo…» mormorò Adrien, piegando appena le labbra in un sorriso: «La tua parlantina è sempre stata così dannatamente…»
«Sublime. Non è vero?»
«Fastidiosa.»
«Padrone, sono solo un povero candelabro, nonché voce della verità.»
«Tu sei una spina nel fianco, venuto al mondo apposta per farmi ammattire.»
«Vorrei ricordarvi, padrone, che voi siete nato dopo di me, perciò posso tranquillamente dire che voi siete venuto al mondo per far ammattire me e visto le vostre inclinazioni da piccolo…beh, sì. Eravate decisamente insopportabile: dio solo sa quante volte Tikki mi ha fermato, mentre cercavo di affogarvi nel lago che si trovava nel cortile posteriore.»
Adrien sospirò, scuotendo la testa e afferrando il candelabro, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla rosa, notando come le tenebre si erano un poco dissolte rispetto a prima: «Grazie, Plagg» mormorò, tenendo lo sguardo sul fiore: «Hai cercato di scuotermi e ci sei riuscito…»
«So come trattare i miei polli. E vi prego di lasciarmi andare, sono capace di muovermi da solo.»
«Lei mi ama. Ne sei certo?»
«Ma la maledizione vi ha reso anche cieco? No, perché è l'unico modo per capire la vostra ignoranza: se le chiedevate di sposarla, prima che succedesse quella cosetta della bugia sul padre, sono certo che vi rispondeva sì e, a quest'ora, eravate a rotol…Padrone. Ho una curiosità.»
«Cosa?»
«E' un quesito curioso che mi sono sempre domandato in tutti questi anni.»
«Ovvero?»
«Ma là sotto siete di carne o di metallo?»
«Io ti fondo. Fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia!»


Osservò la composizione di fiori secchi che sua madre aveva messo vicino al registratore di cassa, allungando una mano e carezzando distrattamente il metallo dell'apparecchio, premendo appena i tasti quel tanto che bastava per non far battere nessun numero: non aveva voglia di far niente, voleva semplicemente chiudere gli occhi e lasciarsi scivolare nel nulla.
Anche stare nella sua mansarda, immersa fra le sue invenzioni e gli oggetti da riparare, non le suscitava più niente: non c'era più la voglia di mettersi in gioco, di provare, di creare.
Non aveva più niente.
Poggiò il capo contro il pugno chiuso, voltandosi verso la cassa e continuando a premere il tasto: aveva lasciato tutto nel luogo che aveva abbandonato, un castello magico dove gli oggetti si muovevano e il padrone di casa era una bestia dall'animo gentile.
Si sentiva una stupida a essersela presa tanto per quel che le era stato detto, per quella bugia, eppure non riusciva neanche a tornare indietro, a ritornare in quel luogo che aveva sentito come casa in quel poco tempo in cui ci aveva vissuto.
Il rumore del campanello della porta la tirò via dai suoi pensieri e le fece voltare la testa verso l'ingresso del negozio, trattenendo a mal fatica il gemito che le salì dalla gola non appena vide il volto fin troppo familiare di Chloé Bourgeois: «Sei tornata» dichiarò la ragazza, fissandola e avanzando nel negozio, facendo vagare lo sguardo per gli oggetti ammassati un po' ovunque, ma senza posarsi su qualcosa in particolare.
«Sì» mormorò Marinette, poggiando le mani sul bancone e seguendo l'altra con lo sguardo: «Vuoi qualcosa, Chloé? Devi far aggiustare qualcosa?»
«No. Non comprerei mai queste cose da plebei» Chloé si voltò, studiandola e piegando le labbra in un sorriso che non giunse agli occhi: «Io non sono come te.»
Marinette la fissò, stringendo lievemente la presa e inclinando la testa: «Posso sapere cosa ti ho fatto di male?» le domandò, cercando di trovare la risposta a quella domanda nei suoi ricordi: fin dal loro primo incontro, Chloé l'aveva infilata nella sua lista nera senza un apparente motivo e non riusciva proprio a capire per quale arcano motivo.
Che cosa poteva averle mai fatto di così tremendo, da suscitare quell'odio e quel disprezzo?
Chloé la ignorò, continuando a vagare con lo sguardo sugli oggetti della bottega, mentre piegava le labbra in un sorrisetto: «Oh, la risposta è molto semplice» dichiarò, voltandosi e battendo le mani fra loro: «Non ti sopporto solo perché sei te.»
«Cosa?»
«Non mi sei mai piaciuta. Mai. Fin dalla prima volta che ti ho visto, ho provato solo astio nei tuoi confronti» Chloé si avvicinò, lo sguardo azzurro che riluceva e la bocca piegata in un sorriso che aveva ben poco di amichevole: «E sai cosa faccio con le cose che non mi piacciono?»
«Ehm. Le ignori?» buttò lì Marinette, sbattendo le palpebre e sorridendo piena di fiduciosa aspettativa, cercando quasi di ignorare il modo in cui la ragazza si era sempre comportata con lei, osservandola mentre si avvicinava al bancone, osservando interessata la composizione di fiori secchi che era stata messa vicino al vecchio registratore di cassa.
Marinette si passò la lingua sulle labbra, stringendo le mani sul metallo freddo e osservando l'altra dall'altro lato: «Quando c'è qualcosa che non mi piace…» mormorò Chloé, afferrando un fiore in mano e stringendo la presa con forza: «Io lo distruggo ed è quello che farò con te, Marinette Dupain-Cheng» dichiarò, poggiando la mano sul bancone e lasciando lì i petali ridotti in pezzetti minuscoli: «Ti seguirò ovunque, ti renderò la vita un inferno.»
Marinette la fissò e abbassò poi lo sguardo: forse un tempo avrebbe ribattuto a quella frase, avrebbe combattuto, ma adesso…
Quel senso di vuoto che aveva dentro la stava divorando, lasciandola completamente inerme.
«O forse non ne avrò bisogno» commentò Chloé, riportando l'attenzione di Marinette su di sé: «Sembra che qualcuno sia arrivato prima di me, Marinette Dupain-Cheng. Mi chiedo chi sia stato. Vorrei complimentarmi con lui.»
«Fidati: se lo vedi, scapperesti urlando» mormorò Marinette, trovando quasi buffo che, in qualche modo, la persona che aveva appena dichiarato di renderle la vita un inferno stava in un modo contorto e perverso, tirandola su di morale: «Io…»
«Ehi. Meccanica. Non voglio confidenze» Chloé schioccò le dita, voltandosi e raggiungendo la porta, posando la mano sulla maniglia e guardandola da sopra una spalla: «Ricorda le mie parole, Marinette Dupain-Cheng: io ti renderò la vita un inferno.»
Marinette annuì, scuotendo appena la testa e fissandola mentre usciva con il mento alto e lo sguardo fisso avanti a sé: «La vita un inferno…» mormorò fra sé, abbassando le spalle e sorridendo appena, mentre quelle parole le ricordavano una lamenta di Adrien nei confronti di Plagg.
Aveva usato quella stessa combinazione di vocaboli, facendola sorridere mentre si gustavano uno dei pasti, preparati dalla servitù: era un ricordo dolce, carino, eppure le provocava fitte al cuore, come ogni altra cosa che le ricordava quel posto.
Aveva quasi distrutto un orologio che ricordava Wayzz ed aveva nascosto in un angolo della soffitta tutti gli arti di metallo, che fossero protesi o di bambole, che aveva trovato.
Non voleva più…
Il campanello della porta suonò di nuovo e Marinette sospirò, spostando lo sguardo e rimanendo a bocca aperta alla vista della figura imponente che stagliava sulla porta; l'osservò mentre si toglieva il berretto e si grattava i capelli castani, facendo vagare lo sguardo per la stanza: «Papà?»

 

 

   
 
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