Madrid, Spagna – Ore 24.00
Nel locale affollato i
ragazzi si muovevano a ritmo della musica, in un miscuglio di arti che si
agitavano, bottiglie di alcolici che venivano passate di mano in mano e
bicchieri che venivano rovesciati a terra, nel tumulto del divertimento.
L'odore di sudore, il dolciastro dei drink e il fumo emesso dai macchinari
posti vicino alle casse permeavano l'ambiente, l'aria densa e il buio
rischiarato dalle luci psichedeliche.
Dimitri Goryalef osservava
la scena dal luogo più appartato e silenzioso del locale, il bicchiere di rum
ancora mezzo pieno appoggiato sul tavolino, il piattino di salatini intonso.
Arricciò il labbro, mentre quelli che sembravano suoi coetanei si saltavano
addosso senza ritegno, avvinghiati in mezzo alla folla baciandosi come se non
ci fosse un domani.
Odiava quel posto. Odiava
la musica, odiava l'odore, odiava la gente che stava lì dentro, eppure ormai ci
veniva quasi sempre tre volte a settimana, perché Al Sancho era un buon posto
per trovare qualcuno con cui gareggiare. Doveva solo aver pazienza, tenere a
bada l'istinto che lo spingeva ad andarsene e sopportare la musica orrenda.
Buttò giù d'un fiato il
rum, sentendo il liquido forte che gli scendeva lungo la gola: se non fosse
stato per il fatto che era quasi congelato, non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Ultimamente, il suo stomaco con faceva alcuna differenza tra acqua e
superalcolici: poteva bere quattro o cinque drink di seguito senza risentirne
neanche un po'.
<< Te ne porto un
altro? >>.
Una ragazza dai capelli
scuri e gli occhi verdi si avvicinò con un vassoio vuoto stretto proprio sotto
il seno, quasi a volerlo far risaltare nella camicia bianca fasciata dalla
parte sopra della salopette nera. I capelli lunghissimi, legati stretti in una
coda, le poggiavano sulla spalla, illuminati dalla luce intermittente delle
lampade.
Dimitri la guardò per
un'istante, quel tanto che bastava a identificarla e a notare l'ennesima
occhiata che Nieves gli lanciò per dimostrargli tutta la sua disponibilità, in
ogni senso.
<< No >>
rispose seccamente, sapendo di essere ben udibile nonostante la musica.
La ragazza non si scompose,
come faceva ogni volta, e Dimitri la trovò irritante.
<< Allora ti porto
qualcos'altro? >> chiese, quasi cinguettando.
<< No, non voglio
nient'altro >> rispose Dimitri.
Nieves strinse ancora di
più sotto il seno il vassoio, e il russo quasi ringhiò. Voleva solo che se ne
andasse, e che lo lasciasse in pace ad aspettare il suo prossimo sfidante,
chiunque fosse e a qualunque ora arrivasse.
Senza chiedergli nulla, si
sedette di fronte a lui, appoggiando il vassoio sul tavolo, osservandolo con
quello che doveva essere uno sguardo provocante, ma che gli dava soltanto
irritazione. Il trucco pesante gli nascondeva completamente la sua vera faccia,
e al russo sembrò di aver davanti una statua di cera. Nieves giochicchiò con la
ciotolina delle noccioline, forse nel vano tentativo di sciogliere la tensione
che si stava creando.
<< Sai, sei un
ragazzo affascinante... >> iniziò, picchiando le unghie smaltate di viola
sulla superfice del tavolino, << Dicono che arrivi dalla Russia, è vero?
>>.
Dimitri le gettò
un'occhiata carica di fastidio. Erano tre settimane che quella ragazza non
faceva altro che cercare di approcciarlo in qualche modo, e la sua pazienza
stava terminando. Dicevano tutti che era carina, ma a lui non interessava
affatto che lo fosse: non gli diceva assolutamente nulla da quel punto di
vista, e in più la trovava invadente.
<< E' vero >>
rispose laconico, confermando qualcosa che si sapeva già in giro.
<< Perché sei andato
via? >> domandò Nieves.
<< Non sono affari
che ti riguardano >> rispose Dimitri.
La ragazza non sembrò
spaventarsi, per il suo tono e la sua risposta. Molto probabilmente, doveva
essere anche stupida, oltre che impicciona.
<< Riguarda il tuo...
>>, Nieves non finì la frase, ma si indicò l'orecchio, quasi che a
mostrarlo fosse meno imbarazzante che dirlo.
Dimitri arricciò il labbro,
infastidito. Non gliene fregava niente che gli ricordassero che avesse
l'orecchio sinistro mezzo maciullato, e una cicatrice che arrivava fin sotto la
nuca; non gliene fregava nulla che lo trovassero orrendo o attraente. Erano
liberi di non guardarlo, se li disgustava. Ma non tollerava le domande
sbagliate fatte dalle persone sbagliate.
<< Me ne sono andato
perché sono ricercato dai Servizi Segreti russi e dall'F.B.I. americana.
Perché? Perché nell'ultimo anno ho ammazzato circa una dozzina di persone.
Molto probabilmente dovrò uccidere anche te, se continui a fare domande
>>.
Dimitri aveva parlato con
il tono più gelido e aggressivo di cui era capace, e il fatto che la ragazza
sbiancasse di colpo gli confermò che era riuscito nel suo obiettivo:
togliersela dai piedi.
<< Vattene >>
aggiunse.
Nieves si alzò di scatto,
recuperò il vassoio e si allontanò rapidamente, senza dire una parola ma con
gli occhi lucidi. Dimitri si limitò a osservarla, mentre tornava dietro il
bancone a fare finalmente il suo lavoro, turbata. Appoggiò la schiena alla
sedia, incurante del fatto di averla trattata fin troppo male per qualche
domanda innocente.
Nell'ultimo anno e mezzo
erano cambiate tante cose, e la poca pazienza che lo aveva contraddistinto era
completamente scomparsa.
Da quando Irina Dwight e
Alexander Went l'avevano lasciato scappare, dopo la loro missione in Russia, e
la Lince era stata arrestata, non aveva potuto rimanere a Mosca, un po' perché
era ricercato, un po' perché nella città si erano scatenate faide tra le bande
che erano sempre state sottoposte al controllo della Lince.
Subito dopo la cattura di
Dan, l'italiano che si era finto loro amico in Russia, aveva preso la Ferrari
599 di Went e si era diretto verso San Pietroburgo, da un lontano cugino che
gli aveva offerto ospitalità per qualche giorno, giusto il tempo di riprendere
contatto con Emilian Goryalef e farsi aiutare nella fuga.
Aveva fatto sparire la
Ferrari e si era procurato documenti falsi, cellulari non rintracciabili e armi
in caso di necessità. Con l'aiuto di Emilian aveva comprato una anonima
utilitaria intestata a un prestanome ucraino e aveva lasciato la Russia in
auto, raggiungendo il Belgio, dove era rimasto quattro settimane, in attesa che
si calmassero le acque dopo la cattura della Lince.
Per due mesi si era mosso
attraverso l'Europa, senza fermarsi per più di qualche giorno nello stesso
posto. Era stato in Francia, in Germania, persino in Italia, cercando di
sfuggire agli sbirri e agli agenti dell'F.B.I. che gli davano la caccia.
All'inizio, aveva dovuto fare attenzione a ogni mossa che faceva, ma dopo tre
mesi la stretta intorno a lui sembrava essersi allentata, ed era tornato a
Mosca per qualche giorno.
Senza la Lince, la
situazione si era fatta caotica. Le varie bande che prima venivano in qualche
modo tenute sotto controllo dalla Lince ora si facevano la guerra tra loro,
senza punti di riferimento. In più, quello che rimaneva della famiglia di
Vladimir Buinov aveva cercato vendetta, prendendosela prima con i Goryalef, e
poi direttamente con lui. Per fortuna la cosa si era risolta con uno
spargimento di sangue limitato, e la famiglia Buinov era stata definitamente
eliminata, a parte il figlio, un ragazzo giovane e inesperto.
Quando le cose sembravano
essersi stabilizzate, Dimitri se ne era andato di nuovo, viaggiando solo in
auto e tornando a girare per l'Europa. Era rientrato a Mosca solo in occasione
della nuova Mosca-Cherepova, indetta straordinariamente quando Severin Burenko,
detto il Diavolo, aveva cercato di rivendicare la posizione come Lince, vuota.
Ne aveva parlato molto con
suo cugino Emilian, e con tutti i membri della sua famiglia, nonché quelli che
una volta erano stati i referenti: Mosca era nel caos, senza una guida. Era
assurdo, ma i servizi segreti russi non avevano fatto altro che peggiorare la
situazione, facendo arrestare la Lince. Se prima c'era un minimo di controllo,
anche se illegale, ora ognuno faceva quello che voleva, e gli scontri erano
all'ordine del giorno, sia a Mosca che a San Pietroburgo. Era ovvio che per
rimettere le cose a posto fosse necessario avere un nuovo capo, e la Mosca-Cherepova
poteva essere un buon espediente per far prevalere qualcuno.
Era stata una gara
difficilissima, e lui aveva partecipato da solo. All'interno della sua famiglia
tutti sapevano che non esisteva nessun con più diritto di lui a rivendicare il
posto, ma fuori non era ben visto, perché la sua lontananza dalla Russia in
passato lo rendeva quasi un estraneo. La questione della fedeltà e del senso di
appartenenza erano qualcosa di molto radicato, nella cultura dei russi, ma per
lui non c'erano stati problemi a mettersi in gioco.
La sua vittoria era costata
la vita di suo cugino Gavriil e quella di un altro paio di russi della famiglia
Romanesko, che fino ad allora avevano controllato le zone periferiche della
città, ma era servita a legittimargli finalmente suo posto come Lince. Nessuno
aveva osato opporsi, anche se lui si era ritrovato a voler lasciare nuovamente
Mosca molto in fretta.
L'orecchio lo aveva quasi
perso dopo, ma quella era un'altra storia.
Si versò un altro bicchiere
di vodka e osservò la gente ballare nel locale, infastidito dalla musica troppo
alta e dall'odore di fumo e cibo. Lasciò una banconota sotto la bottiglia e si
alzò, dirigendosi verso l'uscita del locale, mentre qualcuno lo osservava,
incuriosito.
La sua BMW M6 grigio
titanio era parcheggiata a una decina di metri dall'ingresso, la carrozzeria
sinuosa baciata dalla luce dei lampioni nella notte. Se non fosse stato per i
cerchi da diciannove pollici e il motore V10 da 507 cavalli nascosto sotto il
cofano, sarebbe apparsa come una vettura piuttosto normale, e non quella di un
ex pilota della Black List. Nell'ultimo anno aveva dovuto imparare a essere
piuttosto discreto, per non attirare l'attenzione della polizia.
<< Ehi, sei tu quello
che chiamano Mastino? >>.
Dimitri si accorse di un
ragazzo che stava in piedi a pochi metri da lui, vicino a una Nissan 350Z
gialla, due strisce nere a delinearne il cofano. Doveva essere appena arrivato,
perché non aveva nemmeno parcheggiato.
<< Sono io >>
rispose solamente.
<< Sono qui per una
gara contro di te >> disse baldanzoso il ragazzo, con un accento strano,
che aveva poco a che fare con lo spagnolo, << Dicono che tu sia il più
forte pilota in circolazione >>.
Dimitri fece una smorfia,
mentre il proprietario del locale, un uomo di circa cinquant'anni, dai capelli
scurissimi e un accenno di barba, usciva fiutando già gli affari della serata.
Fu subito seguito da un gruppetto di aspiranti scommettitori, i bicchieri di
alcolici in una mano e una sigaretta nell'altra.
<< Dai il libretto
della tua auto a lui >> disse, facendo un cenno verso Igualdo Maria
Sanches, il titolare, << Saprà cosa fare >>.
Salì sulla M6, osservando
il ragazzino aspettare che si posizionasse di fianco a lui, baldanzoso come
solo i novellini sapevano essere. Il ruggire dolce del motore gli fece sbollire
appena il fastidio che le domande di Nieves gli avevano provocato, abbastanza
per decidere che avrebbe cercato di non ucciderlo. Ultimamente, quasi nessuna
delle sue gare si concludevano senza incidenti.
Saggiò il volante, prima di
gettare un'ultima occhiata alla Nissan 350Z, la folla che si radunava
all'uscita davanti Al Sancho, rumoreggiando. Vide Sanches raccogliere le
scommesse accumulando in una cassettina di legno le banconote da cinquanta euro
che gli venivano quasi ficcate in mano. Sapeva di essere il favorito, come ogni
sera, e puntare su di lui era come scommettere che il sole sarebbe sorto.
Sentì il motore della 350Z
rombare alla sua destra, i fari puntati sulla strada di fronte a loro, una via
stretta e malfamata di Madrid. I palazzi incombevano su di loro, le facciate
cadenti e scrostate, i marciapiedi vuoti e sporchi.
Le strade europee non erano
come quelle americane, larghe e spaziose, ma era sempre stato abituato a
guidare ovunque. Ai tempi della Black List le gare nei canyon, disputate su
salite e discese con curve a gomito e strapiombi, erano state la sua
specialità.
Il contagiri della M6 si
mosse nervoso, mentre una ragazza fasciata in un tubino nero di pelle si
piazzava tra le due auto per dare il via. Anche dall'orecchio maciullato
Dimitri sentì i fischi di apprezzamento della gente, e con la coda dell'occhio
colse lo sguardo che il suo sfidante lanciò alle gambe nude della ragazza.
Aveva già perso in
partenza, se di distraeva per così poco.
Quando la ragazza abbassò
le braccia, il Mastino affondò il piede sull'acceleratore, facendo sgommare le
ruote della BMW e fiondandola in avanti con uno stridore assordante. La 350Z
fece altrettanto, ma perse diversi metri per colpa del motore meno potente.
Dimitri svoltò a destra,
perdendo di vista la Nissan per qualche secondo. Le luci intermittenti di un
semaforo non gli impedirono di proseguire la corsa, il motore della M6 che
ruggiva quasi impigrito, mentre si ritrovava costretto a rallentare, pur di non
perdere di vista il suo avversario.
La BMW disegnò una curva
perfetta, imboccando la sopraelevata che l'avrebbe portato dall'altra parte
della città, mentre i fari della Nissan rimanevano due puntini nel suo
specchietto retrovisore.
Dimitri accelerò, annoiato
da quel pilota da quattro soldi. Aveva sopravvalutato di molto le sue capacità,
e l'umiliante sconfitta che stava subendo ne era la dimostrazione.
Le vie di Madrid filavano
ai suoi fianchi deserte e silenziose, mentre correva quella stupida gara priva
di gusto. Rallentò appena nei pressi di un incrocio, giusto per dare il modo
alla Nissan di avanzare.
Nero e veloce come un
treno, una Audi Q7 nero sbucò alla sua sinistra con un rumore assordante, e
Dimitri sterzò bruscamente nel tentativo di evitarlo. Il posteriore sfiorò il
muso dell'auto, facendolo sbandare, proprio mentre la 350Z piombava dietro di
lui...
Dimitri imprecò e premette
a fondo l'acceleratore, ma la M6 scodò ancora di più, quando il rumore di un
proiettile si confuse con il rombo dei motori e gli stridii delle gomme. La
ruota bucata lo fece sbandare nuovamente, facendo finire la BMW sopra il
marciapiede.
Un altro sparo, e la M6
finì la sua corsa contro la vetrina di un negozio, mentre Dimitri stringeva il
volante e incassava il colpo. Il parabrezza si crepò, ma l'urto non fu così
forte da far scoppiare gli airbag, e Dimitri ebbe il tempo di vedere il Q7 nero
fermarsi a pochi metri da lui. Due uomini scesero armati di pistole.
"Figli
di puttana...".
Dimitri afferrò la calibro
6 che teneva nel cruscotto, infuriato. I due, chiunque fossero, non ebbero il
tempo di rendersi conto che era armato: premette il grilletto quasi senza
prendere la mira. Il tonfo dei loro corpi che cadevano a terra fu coperto dal
riverberare dello sparo, che svegliò l'intero quartiere. Nella strada deserta
nessuno assistette alla scena, ma era certo che da un momento all'altro tutta
la polizia di Madrid gli sarebbe stata addosso.
La Nissan 350Z era ferma a
una decina di metri di distanza, il motore ancora acceso e i fari che
illuminavano la carreggiata, i vetri spaccati del negozio che luccicavano
sull'asfalto. Il ragazzo che lo aveva sfidato stava rientrando in auto, molto
probabilmente per tentare la fuga.
Con una smorfia, Dimitri
sparò alle gomme posteriori, costringendo la Nissan a rimanere dov'era.
In un attimo, raggiunse la
vettura e spalancò la portiera, afferrando il ragazzo e scaraventandolo fuori
dall'abitacolo. Gli strinse la mano intorno al collo, sbattendolo violentemente
contro il cofano dell'auto, mentre le luci degli appartamenti del quartiere
iniziavano ad accendersi, per via del casino.
<< Chi cazzo ti
manda? >> ringhiò Dimitri a pochi centimetri dal suo volto, << Chi
ti manda? >>.
<< Nessuno >>
rispose il ragazzo, anche se sembrava voler ridacchiare, e non dava l'idea di
essere veramente spaventato.
Dimitri si innervosì. Con
un colpo secco sbatté la testa del ragazzo sulla lamiera dell'auto, mentre
quello cercava di divincolarsi e fuggire.
<< Chi ti manda?
>> ringhiò di nuovo.
Con un rivolo di sangue che
gli usciva dal naso, il ragazzo si limitò a rispondere: << I fantasmi
della Black List >>.
Dimitri lo fissò: sapeva
riconoscere le persone che non avevano intenzione di parlare. In Russia ne
esistevano molte, perché la fedeltà era importante, ed erano quelle che molto
spesso finivano ammazzate per difendere i propri compagni. Visto l'affronto,
essere attaccato durante una gara, Dimitri avrebbe volto ucciderlo, ma capì che
sarebbe stato inutile. Doveva sfruttare quella situazione a suo vantaggio.
Strinse la gola del
ragazzo, quasi soffocandolo. Lo vide annaspare in cerca di aria, gli occhi
strabuzzati.
<< Allora riferisci
ai tuoi fantasmi che stanno commettendo un errore. Chiunque siano e per
qualunque motivo vogliano farmi fuori, da me avranno solo la guerra >>.
Lo lasciò andare, facendolo
stramazzare al suolo, e poi imprecò.
Ora le sue gare non si
concludevano più solo con gli incidenti, anche con le sparatorie.
Sapeva che nel giro di
qualche minuto, quella strada si sarebbe riempita di poliziotti, e lui non
doveva fari assolutamente trovare. Pestando i vetri spaccati della vetrina del
negozio, risalì sulla M6 nonostante le gomme bucate, e sparì in un vicolo, lasciandosi
dietro i cadaveri di due persone e una terza molto probabilmente in fin di
vita.
Avvolto dall'oscurità, con
il suono delle sirene degli sbirri nelle orecchie, Dimitri percorse qualche
chilometro, le ruote sgonfie che facevano un rumore fastidioso mentre
rotolavano sull'asfalto. Lasciò l'auto in un vicolo cieco, recuperò lo zaino
con le armi che teneva nel baule e abbandonò la BMW al suo destino, molto
probabilmente preda di qualche ladro di ricambi.
Avrebbe voluto raggiungere
Al Sancho per andare a prendere a pugni il titolare e farsi dire chi diavolo
aveva mandato quei tre a cercare di ammazzarlo, perché era sicuro forse lui
sapeva qualcosa, ma decise di non farlo. Non sarebbe stato saggio far arrivare
la polizia anche lì, e in quel momento ciò di cui aveva bisogno era di tornare
a casa e lasciare nuovamente che le acque si calmassero.
A piedi attraversò il
quartiere e raggiunse il palazzone che era diventato ultimamente la sua casa,
un edificio scuro e vecchio, abbastanza anonimo da non destare sospetti. Risalì
le scale rapidamente ed entrò nell'appartamento all'ultimo piano, la porta di
ingresso rigata ma ancora ben funzionante.
Innervosito, Dimitri gettò
le chiavi sul tavolino di vetro all'ingresso, rischiando quasi di spaccarlo, e
lasciò cadere lo zaino sul divano. Si diresse alla finestra e guardò di sotto,
per verificare che nessuno lo avesse seguito. La strada sembrava deserta e
silenziosa, a parte per le sirene che riusciva ancora a sentire in lontananza.
Controllò che le quattro
pistole che teneva nello zaino fossero cariche e funzionanti, e recuperò il
fucile che teneva nascosto sotto il letto. Solo alla fine tirò fuori un
coltello lungo quindici centimetri, con il manico intarsiato e la lama lucida.
Lo appoggiò sul tavolino e si sedette sul divano, lo sguardo rivolto alla porta
e i sensi all'erta.
Avrebbe dovuto chiamare suo
cugino Emilian a Mosca, ma era notte fonda, e sicuramente stava dormendo con la
moglie. Non aveva bisogno del suo aiuto, in quel momento, anche perché a
tremila chilometri di distanza non avrebbe potuto dargliene molto; voleva solo
sapere se da loro fosse successo qualcosa, ma era sicuro che l'unico obiettivo
di quegli attentati fosse lui e basta.
Non era il primo agguato
che subiva, in sei mesi, e non sarebbe stato l'ultimo, perché chi lo voleva
morto sembrava deciso a portare a termine il suo obiettivo.
Che venissero pure a
cercarlo a casa sua. Aveva abbastanza armi da far fuori un commando intero, ed
era sufficientemente arrabbiato per non farsi alcun problema morale. Aveva le
pistole, aveva un fucile, e aveva un coltello russo che si portava dietro da sempre,
ma soprattutto aveva le mani. L'ultima volta che avevano cercato di ucciderlo
non erano riusciti nemmeno a staccargli del tutto l'orecchio.
Mentre attendeva il sorgere
del sole, seduto davanti all'ingresso del suo appartamento, Dimitri rimuginò su
quel tentato omicidio.
Sicuramente, il mandante si
trovava a Mosca. Era diventato scomodo per tutti, persino per qualcuno della
sua famiglia, ed era certo che assoldare qualcuno per cercarlo e farlo fuori
era il minimo che potessero fare. Forse c'erano dietro i Romanesko: dopo i
Buinov, erano la famiglia più subdola di tutta Mosca. Però non avrebbero dovuto
sapere dove si trovava: solo Emilian conosceva l'esatta ubicazione del suo
nascondiglio, e di lui si fidava ciecamente.
Però la frase che aveva
sussurrato il tizio, riguardo alla Black List, gli metteva dei nuovi dubbi.
<<
I fantasmi della Black List >>.
La Black List non esisteva
più, di questo era certo. William Challagher era morto, si era praticamente
ammazzato pur di farsi prendere dalla polizia; tutti gli altri erano stati
arrestati. E comunque, in ogni caso, non aveva conti in sospeso con nessuno di
loro... Perché mandare qualcuno ad ucciderlo?
I pochissimi contatti che
aveva mantenuto a Los Angeles gli avevano confermato che i piloti della Black
List erano praticamente tutti spariti, o comunque erano diventati innocui. Solo
una di loro rimaneva ancora in circolazione, ed era fuori da ogni dubbio che
potesse centrare qualcosa.
Il sole sorse e lui
continuò a rimanere immobile, seduto a fissare la porta chiusa del suo
appartamento. Nessuno era venuto a cercarlo, ma lui non poteva lasciare le cose
in sospeso. Doveva capire chi stava cercando di ucciderlo, e se il nemico
arrivava da Los Angeles o da Mosca.
Cercò il suo borsone da
viaggio e lo riempì delle poche cose che si era portato dietro. Infilò una
felpa pesante, nascose la pistola sotto di essa e afferrò il cellulare.
<< Dimitri >>
rispose suo cugino dall'altra parte della linea.
<< Credo che qualcuno
mi voglia morto >> disse seccamente il Mastino.
<< Sono in tanti a
volerti morto, da queste parti >> ribatté Emilian, la voce rasposa quasi
ironica, << Sei stato di nuovo attaccato? >>
<< Sì >>
rispose Dimitri, avvicinandosi alla finestra per gettare uno sguardo di sotto,
<< Sta diventando il mio sport preferito... >>.
<< Quanti ne hai
fatti fuori, questa volta? >>.
<< Un paio >>.
Dimitri chiuse la tenda della finestra, dirigendosi verso la cucina silenziosa
e buia, << Ma non è questo il problema... Devo capire chi li manda
>>.
<< La tua assenza
rende tutti nervosi, Lince >> gli rispose Emilian, << Sanno che la
Lince c'è , ma se non ti fai vedere i vecchi Referenti si sentono in dovere di
prendere il tuo posto. Ti temono, ma ti temono di meno se sei lontano, e io non
posso tenere per sempre il tuo posto, anche se la mia faccia è più brutta della
tua. La situazione qui non è tranquilla, ma se torni basterà la tua presenza a
ricordare chi devono rispettare >>.
Era destinato a quel ruolo
fin da quando suo padre era morto; il titolo di Lince gli spettava quasi di
diritto, eppure qualcosa in lui si strideva, quando lo chiamavano con il suo
nuovo soprannome. Non gli era mai interessato diventare la Lince, e ora più che
mai non gli importava. Emilian aveva tirato per lui le fila, mentre fuggiva da
un capo all'altro dell'Europa, ricercato sia dalla polizia che dai suoi nemici.
Era stato etichettato come traditore da alcuni, come salvatore da altri. Suo
cugino però aveva ragione: qualcuno doveva prendere in mano la situazione, e
quel qualcuno poteva essere solo lui.
<< Forse la gente che
sta cercando di ammazzarmi non ha nulla a che fare con Mosca >> disse
lentamente Dimitri, sedendosi nuovamente sul divano, gli occhi ancora puntati
sulla porta.
<< Che vuoi dire?
>> domandò Emilian.
<< Il tizio di
stasera ha parlato della Black List >>.
Il silenzio dall'altra
parte della linea gli confermò che anche suo cugino era sorpreso dalla cosa.
Però, che ci fossero davvero in mezzo i suoi vecchi compagni di corse o meno,
nemmeno Madrid era un posto sicuro per lui, ed era stanco di spostarsi da un
luogo all'altro.
<< Qualcuno che vuole
vendicarsi per il tuo tradimento nei confronti di Challagher? >> domandò
Emilian.
Dimitri arricciò il labbro,
quando sentì la parola "tradimento". In America lo consideravano il
primo traditore dello Scorpione, quello che con la propria scelta aveva
contribuito a farlo finire dietro le sbarre; in Russia era colui che aveva
portato una sbirra a Mosca e l'aveva fatta infiltrare tra i russi per catturare
la Lince. Solo dopo si era reso conto che le sue decisioni avevano suo malgrado
ruotato intorno a un'unica persona... Non si considerava un traditore, forse
nei confronti di Challagher, ma non dei russi. In fondo, ora era lui la Lince,
checché ne dicessero loro, e non aveva altre spiegazioni da dare.
<< Challagher è morto
>> rispose a voce bassa, duro, << E non c'è nessuno disposto a
cercare vendetta per lui, senza una congrua remunerazione >>.
<< Allora perché
tirare in ballo la Black List? >>.
Dimitri si portò una mano
al collo, cercando di ragionare. Non esisteva più nessuno legato quanto lui
alla lista, a parte... A parte Fenice. Fare congetture non gli serviva; aveva
bisogno di parlare con qualcuno che stava ancora a Los Angeles.
<< Cerca informazioni
>> ordinò il russo a suo cugino, << Vedi se riesci a capire chi
potrebbe esserci dietro a questa cosa >>.
<< E tu cosa farai?
>>.
Dimitri si mise lo zaino in
spalla, cercando di rimanere concentrato e di non lasciare andare la mente in
pensieri che lo avrebbero riportato troppo indietro nel tempo, a persone che
era meglio dimenticare. Parlare della Black List gli aveva fatto venire in
mente l'unica pilota che non avrebbe dovuto ricordare.
<< Mandami un aereo
>> disse seccamente, << Torno a Mosca >>.
Ore
11.30 – Stazione di Polizia di Los Angeles
Irina ripose il faldone
completamente pieno di carta nell'archivio e sbuffò, mentre richiudeva la porta
e tornava nel suo ufficio, schivando la signora delle pulizie che stava
passando uno strofinaccio sul pavimento, canticchiando. Salutò con un cenno del
capo Senderson che stava uscendo per occuparsi di un sequestro di gioielli
rubati, e gettò un'occhiata fuori dalla finestra, per notare il cielo scuro che
annunciava pioggia.
Era una settimana che
lavorava all'archiviazione delle pratiche, e nonostante tutto non aveva finito.
Al posto che diminuire, sembravano moltiplicarsi a dismisura ogni volta che
usciva dall'ufficio, anche perché Senderson gliene lasciava una ventina nuove
ogni giorno. La sua postazione continuava a essere un campo di battaglia, e
nonostante tutto non le dispiaceva affatto.
Il suo fascicolo, quello di
Fenice, era finito sul mobile, in attesa di poter essere riletto con tutta
calma quando avesse finito il resto del lavoro. Si sedette alla scrivania, il
suono della pioggerellina che iniziava a picchiettare sul vetro della finestra.
Stava dando un'occhiata a
un fascicolo dedicato a una rapina a mano armata, quando sentì il cellulare
trillare, indicando un messaggio in arrivo.
"Oggi
ho poco lavoro. Che ne dici se ci troviamo a mangiare qualcosa insieme in pausa
pranzo?".
Max
Irina guardò per qualche
istante il messaggio, ricordandosi solo in quel momento che doveva ancora
risolvere la questione auto; la Punto era ancora parcheggiata nel garage della
polizia, ma avrebbe dovuto portarla via, prima o poi. Ci pensò su un attimo, e
anche se il tempo uggioso le toglieva la voglia di fare qualsiasi cosa decise
che poteva fare uno sforzo e accettare.
"Ok.
Ci vediamo al solito posto all'una".
Dopo un paio di ore di
lavoro noioso ma proficuo, Irina parcheggiava la TT di fronte a un piccolo
localino di fronte alla spiaggia di Santa Monica, che si chiamava Red Flower.
Aveva si e no una decina di tavolini, e serviva pochi piatti, ma a Irina
piaceva perché il cibo era di ottima qualità e l'atmosfera era molto
tranquilla.
Trovò Max ad aspettarla già
seduto a un tavolino, vicino al fondo del locale, dove sulle pareti pitturate
di bianco erano stati appesi quadri di ogni tipo di fiori rossi, comprese rose
e gerbere. Stava guardando qualcosa sul cellulare, forse un messaggio, e quasi
sussultò quando Irina si sedette di fronte a lui, silenziosa.
<< Ehi, ciao >>
la salutò il suo vecchio meccanico, con un sorriso a trentadue denti sul viso
rotondo e il nuovo taglio di capelli alla moda.
Da quando la Black List non
esisteva più, Max era cambiato molto. La piccola officina che aveva avviato
tanti anni prima con il suo amico Anthony si era ingrandita moltissimo, tanto
che si erano trasferiti nel pieno centro di Los Angeles, ed era diventata molto
famosa. Molto era dovuto alla bravura di Max con le auto, e un po' anche alla
pubblicità che Irina gli aveva fatto andando in giro a catturare criminali con
la Punto totalmente modificata da lui. Ovviamente, erano anni che non faceva
più modifiche illegali alle auto, ma si occupava di tuning omologato, quindi
era l'idolo dei ragazzi appassionati di vetture extra serie. Lavorava così
tanto che aveva una decina di dipendenti e una garage di tremila metri quadri.
In più, guadagnava molto bene.
<< Allora, come va
con il nuovo lavoro? >> domandò Max, osservandola un momento più del
dovuto, tanto che bastò a Irina per capire che era preoccupato anche lui per
lei.
<< E' noioso, ma va
benissimo così >> rispose Irina, mentre una ragazza con un grembiule
rosso veniva a prendere le prenotazioni, << E poi credo che mi faccia
bene stare un po' in ufficio. Adesso ho orari fissi e la sera posso guardarmi
un film >>.
L'occhiata poco convinta
che le rivolse Max fu sufficiente a intuire cosa pensasse: tutte balle. Non era
affatto il lavoro adatto a lei, ma insistere non serviva.
<< Sbaglio, o l'altra
sera ho visto un servizio su una tv locale sulla tua officina? >>
aggiunse Irina, prima che l'amico potesse tornare all'attacco con le domande
scomode.
Gli occhi di Max si
illuminarono di orgoglio.
<< Si, era un
servizio sulle nuove realtà imprenditoriali cittadine >> rispose
allegramente, << Ci hanno fatto qualche domanda sulla prima officina che
avevamo aperto, e sui lavori che facciamo alle auto... >>. Si guardò
intorno e aggiunse, a voce bassissima: << Per fortuna non è venuto fuori
che ero un collaboratore di una famosissima pilota clandestina della Black
List, altrimenti ci avrebbe rovinato la reputazione >>.
Riuscì a strappare a Irina
un sorriso, mentre lei con poca voglia affondava la forchetta nella sua
bistecca e cercava un modo per costringersi a mangiarla.
<< Avresti potuto ribattere
che quella stessa pilota è diventata poi la poliziotta più temuta della città
>> disse con tono scherzoso, perché la vanità era l'ultima cosa che
voleva esprimere. Sapeva di essere ridicola, visto che adesso si rifugiava
dietro una scrivania a riordinare carta. Notò l'occhiata addolorata che Max le
lanciò, la stessa che aveva usato tempo addietro quando le notti brave nei
locali le facevano ripetere come una stupida "Sono solo stanca.
<< Lasciamo
perdere... >> aggiunse, rendendosi conto che non era una cosa su cui
scherza, << Era solo una battuta. Sembra che tutti credano che io sto
soffrendo, a fare un lavoro da impiegata, ma davvero, sto bene così. Non potevo
certo fare la pilota per tutta la vita, ho accelerato solo un po' i tempi. Non
ti ci mettere anche tu, a farmi la predica >>.
Si guardarono in faccia per
un'istante, quel tanto che bastava a ricordare entrambi che insieme avevano
vissuto i tempi più bui di Los Angeles, quando tutti e due erano considerati criminali
ed si erano fatti da spalla a vicenda. Se lei era riuscita a diventare Fenice,
era anche merito suo; se lui era diventato il meccanico più famoso della città,
era anche merito di Irina.
<< D'accordo >>
disse Max mestamente, << Ma sei hai bisogno di... >>.
<< Qualcosa? Sì, ho
bisogno di qualcosa >> concluse per lui Irina, sorridendo. << Uno
dei prossimi credo che dovrò portare via la Punto dalla stazione di polizia.
Potrei tenerla nel garage di casa mia, ma per portarla mi servirà un carrello e
un furgone >>.
<< Perché il
carrello? >> chiese Max, perplesso, << Puoi guidarla fino a casa...
>>.
Irina lo guardò di
sottecchi. Sapeva che le avrebbe detto una cosa del genere, quindi aveva una
risposta già bella che pronta.
<< Non voglio che la
gente la veda per strada >> rispose, << Sono mesi che la Punto non
si vede in giro, e non vorrei far credere di essere nuovamente operativa... Mi
piacerebbe un po' di discrezione, questa volta >>.
Non capì se Max le credette
o meno, perché annuì pensieroso e tornò a mangiare il suo sandwich, quasi
perplesso.
<< Ok, non c'è
problema >> disse, << Posso fartelo avere quando vuoi, il pick-up.
Però prima dovrò passare a smontare la sirena e la radio... Comunque in
officina ho del posto, potremmo metterla all'ingresso. Farebbe bella figura, e
non rimarrebbe a prendere polvere nel tuo garage >>. Le gettò un'occhiata
velocissima, prima di osservare con moltissimo interesse la foglia di insalata
nel suo panino, << A meno che tu non la voglia usare >>.
No, non la voleva usare, almeno
per il momento. Non sentiva il richiamo della velocità, dell'adrenalina delle
corse, e non aveva intenzione di rimettersi al volante per fare passeggiate con
una auto da pilota clandestina; su quello non aveva dubbi. E comunque, la Punto
non poteva circolare senza il permesso della polizia.
Sul metterla in mostra
nell'officina di Max aveva invece qualche dubbio. Sicuramente gli avrebbe fatto
una grandissima pubblicità, averla in esposizione all'ingresso, ma avrebbe
contribuito a tenere vivida l'immagine della poliziotta che l'aveva guidata, e
lei non voleva. Sinceramente, in quel momento desiderava solo che tutti si
dimenticassero del suo passato, del suo curriculum di pilota, e le lasciassero
mettere una pietra sopra a quello che era stato il più duro ma anche il più bel
periodo della sua esistenza.
<< Preferisco tenerla
in garage, almeno per qualche tempo >> rispose Irina, scuotendo il capo.
<< Allora chiamami
quando vuoi che venga a prenderla >> concluse Max.
Lasciarono cadere
l'argomento, perché sembrava scomodo per entrambi. Per fortuna, il meccanico
non aveva perso il buonumore in quegli anni, e fu in grado di mettersi a
chiaccherare come se non fosse mai cambiato nulla, rispetto a un anno prima.
Per la mezz'ora successiva, Irina ascoltò Max raccontare di come un tizio
ricchissimo gli avesse commissionato la verniciatura leopardata di una BMW
Serie 5, molto probabilmente della moglie. Poi, cambiò tono e sembrò indeciso,
quando parlò.
<< Sai che ti avevo
accennato al fatto che qualche pilota clandestino è venuto a chiedermi se
preparavano ancora auto? >> iniziò, e Irina annuì.
<< Gli avevi risposto
che eri fuori dal giro da un bel po', se non sbaglio >> concluse lei,
mentre con la forchetta punzecchiava un pezzo di zucchina.
<< Infatti >>
convenne Max, << Sapevo che non sarebbe stato il primo, visto che
ultimamente i piloti sembrano essersi fatti più aggressivi... Però l'altra sera
è passato un tizio un po' strano. Era tardi, avevo mandato tutti a casa, e
stavo chiudendo l'officina, quando me lo vedo comparire all'improvviso. Era a
piedi, ma sono sicuro che aveva parcheggiato l'auto in modo che non potessi
vederla... >>.
Irina osservò la sua
espressione, rendendosi conto che sembrava preoccupato. In realtà, solo
l'espressione pensierosa dell'amico smosse il suo interesse: da diversi anni
non gli vedeva quella faccia.
<< Cosa voleva?
>> domandò le lentamente, mettendo da parte il piatto ancora quasi pieno.
<< Sapeva che ero
stato un meccanico di piloti >> rispose Max, << Non me lo ha
nemmeno chiesto. Ma mi ha domandato della Black List... Voleva sapere fine
avevano fatto i membri >>.
<< Ti chi ti ha
chiesto, in particolare? >>.
<< Non cercava
Challagher, né te >> rispose il meccanico, pensieroso, << Voleva
sapere di tutti gli altri. Gli ho risposto che erano finiti tutti dietro le
sbarre, e che non sapevo altro >>.
<< Forse aveva in
sospeso qualche conto con qualcuno... >> buttò lì Irina. << Che
tipo era? >>.
<< Uno alto,
piuttosto grosso. Aveva la testa rasata e un tatuaggio sulla nuca >>
rispose Max, e dal tono che usò capì che lo aveva trovato anche piuttosto
minaccioso, << Non sembrava di queste parti. Quando ha capito che non
sapevo davvero nulla, se ne è andato senza fare storie >>.
<< Se vuoi posso fare
una segnalazione >> propose Irina, il locale intorno a lei che iniziava a
svuotarsi per la fine della pausa pranzo, << Uno con un tatuaggio sulla
nuca è abbastanza riconoscibile... Forse è già noto, alla polizia >>.
Max scosse il capo.
<< No, non è stato
minaccioso, in realtà >> disse, << Ha fatto solo qualche domanda,
niente di più. Ne sono passati diversi che erano curiosi di sapere della Black
List, ma non è mai successo nulla. Mi sembra esagerato allarmarsi per così poco
>>.
In effetti, Max non aveva
tutti i torti. Quando quattro anni prima sui telegiornali era venuta fuori la
notizia della cattura dello Scorpione e di tutti i suoi scagnozzi, la gente era
rimasta colpita dalla sua figura, nonostante tutto. Quando poi era riuscito a
fuggire dal carcere, arrivare fino in Russia e lì gettarsi in un lago
ghiacciato con un Bugatti Veyron, piuttosto che farsi catturare, era
praticamente diventato una leggenda, e ora molti chiedevano di lui. Tra i
piloti clandestini di quei giorni, decisamente inferiori come capacità ai primi
della Black List, era l'inarrivabile Scorpione, una figura quasi mitologica.
Irina sospirò, quando ricordò che lei aveva conosciuto il vero William
Challagher, il ragazzo con l'anima nera che lei non era mai riuscita ad
aiutare.
<< Volevo solo
dirtelo, visto sei una ancora una poliziotta >> aggiunse Max, guardandola
di sottecchi.
Irina sorrise, anche se nel
suo stomaco si chiuse qualcosa. Parlare della Black List le riportava alla
mente ricordi di ogni tipo, legati a tutte le persone che avevano fatto parte
di quei giorni, e una punta di senso di colpa tornò a farsi sentire, prima che
lei riuscisse a bloccarla.
<< Hai fatto bene,
magari ne parlo a Senderson >> disse lei, poi guardò l'orologio, <<
Devo tornare in ufficio, è già tardi. Mi ha fatto piacere rivederti >>.
Max le offrì il pranzo e si
salutarono all'uscita del locale, mentre Irina lo guarda salire sulla sua nuova
fiammante Mercedes SLK nera, frutto dei lauti guadagni dell'officina.
Tornò in ufficio rabbuiata,
nonostante si fosse prefissa di far diventare quell'uscita un modo per
riallacciare i rapporti con il mondo e cercare lentamente di ripartire. L'unica
cosa che sapeva, però, era solo una: quando era tornata dalla Russia, tutto era
cambiato.
Era cambiata lei, era
cambiata la sua vita, era cambiato Xander, ed era in qualche modo cambiata
anche la percezione del suo passato. Più il tempo passava, più comprendeva che
il senso di colpa era diventato il suo maggiore compagno di vita, dopo il
dolore.
Xander era morto anche per
colpa sua, ma anche William Challagher era stata in qualche modo una sua
vittima. Era arrivato fino in Russia per cercare lei, e lei lo aveva preso in
giro, in nome di una missione che doveva portare all'arresto in un altro
criminale come loro. Senza volerlo, si era vendicata nel peggiore dei modi
della violenza che lo Scorpione le aveva riservato, una violenza in qualche
modo aveva compreso quando si era ritrovata davanti un William pentito e
cambiato. Lo aveva perdonato, alla fine, perché era lui ad avere più bisogno di
aiuto, che lei. William era stato sempre e solo vittima di se stesso.
Nessuno, soprattutto
Xander, aveva capito perché avesse deciso di dare una degna sepoltura a William
Challagher e perché lo avesse perdonato. Nessuno riusciva a capirne il motivo,
nemmeno lei, e di quello si sentiva profondamente in colpa.
Lasciò perdere la
segnalazione del tizio di cui le aveva parlato Max e tornò alle sue pratiche.
Solo verso le tre e mezza vide Senderson fermarsi di fronte alla porta del suo
ufficio e guardarla divertito.
<< Domani sei in
prova alla postazione radio >> le disse, spiccio.
Irina lo guardò. Non aveva
creduto che prendesse sul serio il suo accenno a quel lavoro, quando gliene
aveva parlato, dopo il suggerimento di Sasha. Però ne fu contenta, sembrava
interessante.
<< Ok... >>,
disse lentamente, << A che ora? >>.
Senderson fece un passo
indietro, come se si fosse dimenticato di dirle un particolare.
<< Alle ventitrè
>> rispose, << Fai il turno di notte >>.
Irina inarcò un sopracciglio,
ma sostenne lo sguardo del suo capo. Forse voleva sentirla lamentarsi che lei
aveva smesso, con le notti in bianco. O che voleva prendere alla lettera il suo
nuovo lavoro da impiegata comunale, e che si sarebbe attenuta solo agli orari
d'ufficio.
<< Va bene >>
disse solo, e Senderson annuì.
Osservò il capitano della
polizia allontanarsi in silenzio, le spalle stranamente curve e lo sguardo
basso. In quell'ultimo periodo sembrava invecchiato, ma doveva essere per via
del peggioramento della situazione a Los Angeles e la pressione che doveva
subire dai federali. La mancanza di risultati rendeva tutti insoddisfatti.
E in parte era anche un po'
colpa sua.