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Autore: heliodor    24/01/2018    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Occhi nel buio

Joyce cercò di raddrizzarsi, ma un peso la schiacciava al suolo.
"Ferma" disse una voce maschile. "Resta giù."
Lottò per liberarsi, ma non riusciva a muoversi. Voltò la testa, cogliendo delle ombre muoversi nel buio.
"Cosa?" riuscì a dire con un gemito.
"Ci stanno attaccando."
"Dove?"
"Si nascondono tra gli alberi" sussurrò Zefyr.
Era lui che la schiacciava?
Sentiva il calore del suo corpo attraverso i vestiti e il suo respiro pesante e regolare.
"Chi?"
"Uomini di Gajza? Di Rancey? Chi può dirlo? Potrebbe essere chiunque."
La mente di Joyce cominciava a schiarirsi. Erano stati colpiti da un'esplosione. Una palla di fuoco? Era esplosa a poca distanza da loro, ne aveva sentito il calore sulla pelle e poi il contraccolpo li aveva spinti via.
"Leyra e gli altri?"
"Sono qui in giro, ma a differenza tua stanno zitti per non rivelare la loro posizione."
Joyce serrò le labbra e si tese all'ascolto. Il tratto di foresta in cui si trovavano era piombato nel silenzio più assoluto. Persino i piccoli animali che si agitavano nel sottobosco tacevano o forse erano scappati via dopo quel primo attacco.
Nell'aria c'era odore di legno bruciato e da un gruppo di alberi alla sua sinistra si alzavano dense volute di fumo che oscuravano le poche stelle in cielo.
Joyce faticava a respirare in quella posizione e cercò di voltasi.
Zefyr si scostò, lasciandole abbastanza spazio per mettersi bocconi, il viso schiacciato nell'erba umida.
"Che si fa adesso?" sussurrò.
Zefyr, gli occhi chiusi, sembrava concentrato sui rumori impercettibili che provenivano dalla foresta. "Sono in sei, forse otto. Tre gruppi, il più vicino è sulla nostra destra. Vengono dalla nostra parte."
Joyce si sentì sollevare senza tanti complimenti e poi spingere in avanti, verso la macchia di alberi.
"Corri" disse Zefyr.
Lei non se lo fece ripetere e corse a perdifiato verso gli alberi, ignorando i rami che le graffiavano il viso e si appigliavano ai vestiti.
Corse fino a sentirsi i polmoni bruciare e ad avere dolori lancinanti alle gambe per i crampi.
"Non ce la faccio più" disse rallentando.
Zefyr continuò a spingerla in avanti per un altro centinaio di passi, poi si fermò nello spazio tra due tronchi e si tese all'ascolto.
Joyce si piegò in due, il ventre attraversato da un'intensa fitta di dolore. Aveva graffi sul viso e le braccia ma li sentiva appena. Il cuore le martellava nel petto mentre boccheggiava cercando di inspirare più aria che potesse.
"Ce la fai?" le chiese Zefyr.
Joyce scosse la testa. "Lasciami qui" disse con un mezzo rantolo.
"Come vuoi." Fece per allontanarsi.
Joyce sgranò gli occhi. "Cosa? Mi lasci davvero qui da sola?"
"Sai difenderti bene anche senza il mio aiuto. Te la caverai."
"Aspetta." Joyce arrancò verso il ragazzo, cercando di mantenerne il passo.
Zefyr continuò a camminare senza voltarsi.
Joyce lo affiancò. "Mi avresti davvero abbandonata lì?"
Zefyr scrollò le spalle. "Era inutile morire in due. E io non ho poteri."
"Ti ho salvato la vita" protestò lei.
"E io l'ho salvata a te. Due volte. Sei in debito."
Joyce scosse la testa. "Che facciamo adesso?"
"Per quanto mi riguarda, me ne torno alla fortezza."
"Lì c'è Gajza."
Lui ghignò. "Lo so. È per questo che voglio andarci."
"Ti farai uccidere inutilmente."
"Può darsi" fece lui con noncuranza.
"E sarai solo."
"Ci sono le lame d'argento."
"Quelle rimaste."
"Posso farcela."
"E come?"
"Racconterò loro come sono andate le cose."
"E poi?"
"Senti" disse Zefyr con tono spazientito. "Tu hai un'idea migliore? Perché a me non viene in mente altro in questo momento."
"La mia idea?" si chiese Joyce ad alta voce. "Troviamo Leyra e gli altri e andiamo da Rancey."
"Bella idea davvero. Almeno io ho qualche speranza di uscirne vivo."
"Ma Leyra..."
"Leyra, Leyra..." Sbottò Zefyr. "Quella ragazza è un alfar, una selvaggia. Mio padre aveva ragione a non fidarsi di loro."
"Ma..."
"Probabilmente è stato Therenduil ha escogitare questa trappola. Non mi stupirebbe sapere che è d'accordo con quel Rancey."
"Io non lo credo."
"No? Sei un'esperta di alfar adesso?"
Joyce scosse la testa.
Proseguirono nel buio, in silenzio, per qualche minuto.
"Perché ce l'hai così tanto con loro?" chiese Joyce non riuscendo a trattenersi oltre.
"Non sono affari che ti riguardano."
"È per via di tuo fratello?"
"Basta" disse lui con tono perentorio.
"No, voglio saperlo."
"Zitta." Le mise una mano sulla bocca.
Joyce mugolò qualcosa.
Un'ombra apparve alla loro sinistra.
La mano di Zefyr scattò verso l'elsa della spada.
"Sono io" disse una voce femminile.
Joyce la riconobbe subito, era quella di Leyra.
La ragazza aveva il cappuccio tirato sulla testa e l'espressione stravolta e spaventata.
"Leyra" esclamò Joyce. "E gli altri?"
Lei scosse la testa. "Sono stati presi e portati via."
"Da chi?"
"Non lo so, ma indossavano mantelli senza insegne."
"Uomini di Rancey" disse Joyce. "Dobbiamo aiutarli."
Fece per marciare nella direzione opposta ma Zefyr le bloccò il braccio.
"Che fai?"
"Ti salvo la vita" disse lui. "Rifletti prima di agire una buona volta. Quel Rancey avrà decine di streghe e stregoni e mercenari al suo servizio e tu sei da sola."
Joyce guardò lui e Leyra.
Zefyr ghignò. "Noi non siamo un esercito."
Leyra annuì con sguardo cupo. "Zefyr ha ragione, nidda. "Se andiamo verremo fati prigionieri anche noi o uccisi."
"Allora torniamo all'avamposto e diamo l'allarme" suggerì Joyce.
"Lo faremo, ma domani, con la luce del sole" disse Leyra. "Muoversi adesso è troppo pericoloso. Ci troverebbero. Di giorno avremo più possibilità."
"Conosci un posto sicuro dove nascondersi e passare la notte?" chiese Zefyr.
Leyra annuì. "Venite con me."
La seguirono fino a un collinetta ricoperta di alberi. Erano così fitti da formare una barriera naturale contro tutte le intrusioni.
Girarono intorno alla base fino a trovare l'entrata di una grotta. Leyra fece loro cenno di fermarsi, quindi entrò e vi restò dentro per alcuni minuti. Quando tornò disse: "Venite. È sicuro."
Joyce ubbidì perplessa. "Cos'hai controllato?" chiese a Leyra.
"Che non ci fosse Riba."
"Chi è Riba?"
"Un orso" rispose Leyra scrollando le spalle.
"Un orso?" fece Joyce sorpresa. "E questa è la sua tana?"
Leyra annuì.
"E non sarà pericoloso?"
"Lui non c'è" rispose l'alfar.
"E se tornasse?"
"Se succede ci penseremo."
Joyce scosse la testa. La grotta era abbastanza ampia da accogliere una dozzina di persone. Ed era profonda. Lo intuì dall'eco che tornava dalle sue viscere di pietra.
Evocò un globo luminoso per guardarsi meglio attorno. A parte la nuda roccia, non vi era molto altro. In un angolo c'era la carcassa spolpata di un cervo e nell'altro le ossa di qualche altro animale. A parte quello, la caverna era vuota.
"Fallo sparire" le ordinò Zefyr perentorio. "Vuoi che ci scoprano?"
Joyce avvampò per la vergogna e annullò il globo luminoso. Era stata proprio una sciocca a correre quel rischio inutile solo per soddisfare la sua curiosità. "Scusa."
Zefyr scosse la testa e si allontanò. "Già che c'eri potevi anche accendere un fuoco o metterti a gridare."
"Ti ho chiesto scusa" disse Joyce esasperata.
"Le scuse non bastano" gridò Zefyr.
"Che vuoi che faccia allora?"
"Che mi lasci in pace una buona volta" rispose lui andando a sedersi in un angolo della caverna.
Joyce sedette il più distante possibile e Leyra accanto a lei.
L'alfar guardava fuori dalla grotta, dove un velo di nubi aveva coperto le stelle.
"A che cosa pensi?" le chiese Joyce.
"Ai miei amici. Chissà come stanno adesso."
"Saranno morti" disse Zefyr con tono brusco. "O feriti. O prigionieri, se gli è andata bene."
"Smettila" lo ammonì Joyce. Era stufa del suo comportamento. Lo aveva tollerato fino a quel momento al pensiero di ciò che aveva passato, ma ora stava esagerando.
"Ha ragione" disse Leyra. "E la colpa è mia."
"Non dire così" cercò di consolarla Joyce.
"È vero. Ho insistito io per andare al campo di Rancey. Ero preoccupata per Diroen."
Ancora quell'alfar. "Tu... gli vuoi bene?"
Leyra annuì.
"E lui?"
"Ci siamo scambiati delle promesse" disse nascondendo il viso. "Da noi si usa fare così."
Zefyr rise. "Quindi abbiamo corso tutti quei rischi solo per salvare il tuo fidanzato?"
Leyra abbassò la testa. "Imploro il vostro perdono. L'errore è stato mio."
"No, no" disse Joyce. "Eravamo tutti d'accordo che fosse la cosa giusta da fare." Non riusciva a giudicare Leyra. Lei stessa voleva andare da Rancey per ucciderlo e liberare Oren dalla maledizione.
Non era poi così diversa.
Zefyr invece non aveva alcun interesse. Perché si era unito alla spedizione?
"Tu non eri obbligato a venire. Potevi restare all'avamposto."
"Ero stufo di stare in mezzo a quei selvaggi" rispose sgarbato.
"Stai mentendo."
Zefyr ghignò. "Riesci anche a leggermi nella mente adesso?"
"Tu volevi andare via e tornare alla fortezza" disse Joyce con tono accusatore.
"E se anche fosse?"
"Perché non l'hai fatto? Cosa ti trattiene ancora qui?"
Zefyr fece per rispondere ma poi serrò le labbra e volse lo sguardo da un'altra parte.
Joyce non aveva alcuna intenzione di arrendersi. "È per via di tuo fratello?"
"Non parlare di lui in mia presenza" disse Zefyr.
"Perché no?"
"Ti ho già detto che non..."
"Nidda" esclamò Leyra balzando in piedi, gli occhi rivolti verso l'ingresso della grotta.
Due ombre si muovevano nei suoi pressi, come se stessero cercando qualcosa. Erano ombre enormi, di esseri che camminavano a quattro zampe esplorando il terreno con i loro musi.
"Riba?" sussurrò Joyce.
Leyra le fece un cenno con la mano e preparò due dardi magici.
Joyce fece lo stesso.
Zefyr invece si alzò e mise mano alla spada.
Le due ombre si mossero verso l'entrata, esplorandola come alla ricerca di qualcosa.
Poi Joyce lo vide.
Un essere dal pelo bruno e arruffato, con grosse cicatrici sulla schiena muscolosa. Le zampe erano dotate di lunghi artigli che scavavano nel terreno. Gli occhi erano rosso sangue e sembravano malevoli. La cosa più impressionante era la testa, simile a quella di un orso ma dai tratti deformati, resi mostruosi dalle corna che spuntavano da dietro le orecchie.
L'animale spalancò il muso affusolato mostrando file di denti aguzzi e ricurvi verso l'interno che sembravano fatti per afferrare e dilaniare la preda.
"Non è Riba" disse Leyra. "Lui non è così."
L'orso lanciò un urlo che fece raggelare il sangue nelle vene di Joyce e si lanciò verso di loro. Dietro di lui, l'altra ombra si mosse con altrettanta velocità e determinazione verso Zefyr.
Un secondo orso?
Leyra lasciò partire i dardi magici colpendo l'animale alla testa e alla spalla. La bestia rallentò, scosse la testa e lanciò un urlo più lungo e profondo del primo, sollevandosi sulle zampe posteriori.
Era così alto da sfiorare il soffitto della caverna. Joyce lanciò i suoi dardi contro la bestia, colpendolo alla parte esposta dell'addome.
L'animale indietreggiò di qualche passo e riatterrò sulle zampe anteriori.
"Insieme" disse Leyra.
Fianco a fianco, lei e Joyce colpirono l'orso con i dardi magici alla testa e al collo.
Uno solo di quei colpi sarebbe bastato a trapassare il corpo di una persona normale, ma lui li assorbì tutti come se avesse addosso una corazza.
Con la coda dell'occhio Joyce vide Zefyr tenere a bada l'altro orso con la spada. Quell'animale era più piccolo della metà dell'altro ma era lo stesso imponente. Con un solo morso avrebbe potuto staccargli un braccio o una gamba. O ucciderlo.
Il primo orso grugnì e graffiò il pavimento con gli artigli, ma non appena vide i dardi brillare nelle mani di Joyce e Leyra, si voltò e corse fuori dalla caverna.
L'altro orso lanciò un urlo e lo seguì.
I due mostri tornarono a essere delle ombre scomparendo tra gli alberi.
Joyce respirò a fondo, il cuore che le batteva all'impazzata. Nessuno di loro osò parlare nei minuti seguenti.
"Credi che torneranno?" chiese Joyce a Leyra.
La ragazza alfar andò a sedersi. Sembrava esausta. "Non lo so. Penso di no, dopo la lezione che gli abbiamo dato."
Zefyr pulì la spada sporca di sangue e la rinfoderò. Quando aveva colpito l'orso che lo attaccava? Non era indietreggiato davanti a quel mostro grosso il doppio di lui, anche se non aveva alcun potere per difendersi. Tra lui e la morte c'era stata solo la sua spada. E il suo addestramento.
Per la prima volta desiderò avere anche lei quel tipo di preparazione. Le sarebbe stato utile se voleva davvero combattere Malag e i suoi tirapiedi.
"Non possiamo esserne certi" disse Zefyr. "Dobbiamo fare dei turni di guardia e stare attenti che non si avvicini niente alla grotta."
"Buona idea" disse Joyce.
"Comincio io" disse Leyra.
Zefyr accolse l'offerta con un'alzata di spalle.
Leyra andò all'ingresso e sedette su una grossa pietra quadrata.
Joyce cercò un posto comodo dove stendersi, ma tutto ciò che trovò furono pietre dure e fredde. Era ancora scossa e sapeva di non poter prendere sonno, così andò da Leyra.
La ragazza fissava la foresta con sguardo assente.
"Cos'erano quegli animali?" le chiese Joyce.
Leyra scosse la testa. "Non lo so. Non ho mai visto una magia simile, ma..."
"Credi che fosse magia?"
Leyra annuì. "Certi incantesimi possono corrompere gli esseri viventi, soprattutto quelli selvaggi come gli orsi. Uno stregone o una strega senza scrupoli potrebbe aver fatto qualcosa a quei poveri animali."
Poveri animali? Pensò Joyce indignata. "Hanno cercato di ucciderci."
"Ma non è normale che si comportino così" disse Leyra disperata. "Qualcuno si è divertito a sovvertire l'ordine naturale delle cose. Non dovrebbe succedere."
"Sono stati gli uomini di Rancey, ne sono certa" disse Joyce. "Un motivo in più per trovarli e fermarli prima che combinino altri guai."
Leyra annuì. "Ma noi da soli che cosa possiamo fare? Non abbiamo il potere di opporci a tutto questo."
Joyce avrebbe voluto dirle che si sbagliava, che potevano farcela, ma nemmeno lei ci credeva più di tanto.
Si sentiva stanca e aveva gli occhi pesanti. "Vado a dormire" disse ritirandosi in fondo alla grotta. Trovò un fazzoletto di pavimento che non era di dura roccia e vi si rannicchiò.
Impiegò solo qualche minuto a scivolare nel sonno.
Sognò di castelli e parate e fortezze costruite a strapiombo su precipizi dove si infrangevano le onde del mare. Vide Negaras, il dragone dorato che il principe Myran aveva usato per dare l'assalto alla fortezza di Zeramul nel "Canto del principe drago".
Era così bello Myran e così ardito. Indossava un'armatura dorata e brandiva una spada fiammeggiante con la quale avrebbe abbattuto il mago cattivo.
Se solo anche lei avesse avuto un drago dorato e una spada magica...
Aprì gli occhi cercando di mettere a fuoco il viso che la sovrastava.
Leyra era sopra di lei, l'espressione tesa. "Nidda, svegliati per favore."
Joyce sbatté le palpebre e si tirò a sedere. Era giorno e la luce del sole illuminava le pietre grigie della grotta, rendendola meno cupa e minacciosa della notte appena passata. Sentiva dolori alla schiena e alle gambe, ma avrebbe resistito. Cercò di ricordare se avesse mai dormito così male prima d'ora, ma non le venne in mente niente.
La mente iniziò  funzionare alla velocità consueta e capì che dovevano mettersi in marcia e raggiungere l'avamposto.
Capì anche dall'espressione affranta di Leyra che qualcosa non andava.
"Zefyr è andato via" disse la ragazza.
"Cosa?"
"È successo dopo che mi ha dato il cambio per fare la guardia. Mi sono addormentata e quando mi sono svegliata lui non c'era."
"Dobbiamo cercarlo."
"No, nidda, non possiamo." Guardò verso l'entrata, dove si stagliavano tre figure umane e capì che erano nei guai.

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