N/A: scritta
per la terza settimana del cow-t.
Il fūrin è una campanella a vento giapponese, caratteristica della
stagione estiva.
Lo shōji,
invece, è la porta scorrevole delle case giapponesi tradizionali.
I giorni
d’estate nella cittadella hanno quell’odore di terra secca misto a quello un
po’ acre del sudore di chi lavora nei campi, incurante del caldo afoso, e si
trasforma poi in quella leggera umidità che si sente più sulla pelle ma che,
lenta e quasi inosservata, lascia una traccia anche nell’aria che si respira. Horikawa a volte sente il calore bruciante sulla pelle,
quando a dispetto dei piccoli accorgimenti non può davvero pretendere di
coprire ogni centimetro di pelle dai raggi del sole; tuttavia, proprio per
quello, riesce ad apprezzare i brevi momenti in cui il vento gli dà sollievo,
prendendolo alla sprovvista con una folata leggera che si porta dietro la
frescura del mare.
In estate, quando i suoi lavori quotidiani nella cittadella sono conclusi e lui
può godersi una meritata pausa, sono due i luoghi di riposo che predilige:
l’ombra degli alberi, dove il vento sembra durare di più, quasi trattenuto
dalle foglie verdi che offrono riparo dalla luce troppo forte, oppure la soglia
dove si fa scorrere lo shōji
per frapporre niente più di legno e carta di riso tra una stanza e l’altra. Si
posiziona lì, la schiena contro lo stipite, a metà tra la luce e l’ombra. A
occhi chiusi, la pace interrotta dal tintinnio occasionale dei fūrin, a volte lascia la
mano nella zona dove il sole batte, fino a sentire la pelle divenire bollente.
Quando riapre gli occhi azzurri e la guarda, senza vederla davvero, sorride. In
quella mano a volte gli sembra di catturare tutto ciò che desidera, vedendo nel
sole ogni parte dell’essenza di Izuminokami: il
calore con cui a volte si rischia di bruciarsi, ma che si anela senza poter
fare diversamente, che si desidera ancora di più quando si è conosciuto il
freddo delle notti più buie; la guida dell’astro più importante e il tratto
distintivo delle estati giapponesi - a volte capricciose, quando lasciano
sfogare piogge inaspettate che però non durano mai a lungo, prima di dare di
nuovo spazio al sole.
Izuminokami è la luce che non può fare a meno di
seguire, il punto cardine nelle battaglie, il centro di un mondo che Horikawa non saprebbe pensare diversamente.
Il fūrin si
muove, tintinnando una melodia che è sempre diversa; apre gli occhi,
lasciandoli vagare finché la voce di Kane-san non risuona, poco distante e in
avvicinamento, e Horikawa si ritrova a voltare la
testa in quella direzione.
In giardino, i girasoli piantati mesi prima fanno un movimento lieve, senza
essere notati.
La natura umana delle loro nuove forme, a volte, li
influenza in modi incomprensibili. Come è proprio degli uomini ogni stagione è
accolta con impazienza e, quando è ormai oltre la sua metà, ci si stanca di
essa e si attende con sempre più impazienza la seguente. L’estate porta con sé
troppo calore, l’autunno troppe cose da fare, l’inverno alla lunga si trascina
dietro un gelo impossibile da apprezzare; Izuminokami,
che d’impazienza e impulsività a volte ne sa anche troppo rivedendole in sé, è
sicuro che della primavera non ci si possa stancare mai.
Quando i ciliegi fioriscono, espressione di un Giappone che ormai forse non
ritroverà mai più davvero, il gelido vento invernale si trasforma in una brezza
che promette temperature più miti. La neve sciolta ha restituito il colore al
mondo e, mentre ogni cosa sembra tornare al proprio posto, in cielo si
riaffaccia un sole timido che fa da compagno ai profumi dolci nell’aria.
A volte in giorni come questo Izuminokami si concede
il vizio di un riposo placido e morbido, fatto di rumori ben più discreti dei
grilli dell’estate e della pigrizia di una carezza tiepida e impalpabile.
Quando alza gli occhi verso il cielo, ritrovando spesso nuvole dalle forme
astratte, rivede nell’azzurro gli occhi di Horikawa –
diversi dal blu di quelli di Yasusada e persino dai
propri - e quel calore lieve che gli sfiora la pelle rende difficile non
associare all’altro anche il sole primaverile. Più delicato e conciliante di
quello estivo, timido nel suo farsi spazio nel cielo, eppure forte nel
lasciarsi alle spalle il ghiaccio e il vento freddo, nel fare da supporto a una
stagione di passaggio fra la letargia dell’inverno e la frenesia bollente
dell’estate. Horikawa, come quel sole, è stato il
sostegno dal primo istante, la ragione nella follia, la carezza discreta nella
necessità.
Sotto gli alberi in fiore Horikawa – poco distante da
lui – dorme un sonno leggero fatto di respiri regolari; un petalo si muove,
spinto dal vento che appena si sente, fino a posarsi sulla sua divisa. Izuminokami non si muove, sentendo il peso della testa
dell’altro sulla spalla. Alza solo gli occhi verso le fronde, spiando il sole
che fa capolino laddove i fiori di ciliegio più timidi non sono ancora
sbocciati.