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Autore: heliodor    30/01/2018    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La Dea Vivente

Uscirono sullo spiazzo, dove qualche ora prima Maera e gli altri custodi avevano deciso che sarebbero state loro ospiti gradite.
Maera le guidò con passo veloce verso il confine dell'accampamento, sotto lo sguardo vigile di adulti e anziani.
Joyce notò che non c'erano i giovani che aveva visto ore prima e anche Galadiel non era in vista. Ne fu sollevata.
"Spero che Galadiel non ti abbia fatto troppo male" disse Maera.
"Mi ha colta di sorpresa" rispose Joyce. "La prossima volta non succederà."
Maera rise. "Io sono contraria all'uso della forza, ma Galadiel sembra indulgere troppo nella sua sferza di energia. A volte sembra quasi che gli faccia piacere."
Joyce non aveva avuto il tempo di capire se a Galadiel fosse piaciuto o meno infliggerle quel dolore e fino a poche settimane prima non avrebbe mai creduto che esistessero persone simili.
Non prima di conoscere persone come Rancey o Wena o Nimlothien.
Loro sembravano felici di infliggere dolore agli altri, soprattutto a quelli che non avevano i loro stessi poteri.
Oren gli aveva raccontato che Wena lo aveva torturato per estorcergli delle informazioni e persino Roge, quando sospettava di Mythey, aveva proposto la tortura per farlo confessare.
Suo padre le aveva raccontato che i maghi diventavano arroganti per via dei loro poteri, ma non le aveva detto che quella sorte poteva toccare anche agli stregoni.
Distratta da quei pensieri non si accorse che avevano lasciato l'accampamento e stavano seguendo un sentiero che si snodava tra alberi-torre così vicini l'uno all'altro da formare una muraglia naturale.
Era buio ma Maera aveva evocato due globi luminosi che li seguivano passo passo rischiarando la via.
Due figure umane andarono loro incontro. Joyce li riconobbe subito: facevano parte degli otto che avevano deciso del loro destino qualche ora prima. La donna era un'anziana dai capelli bianchi sottili come fili di seta, mentre l'uomo poteva avere al massimo trent'anni. Il viso era nascosto da una barba nera e folta.
Si misero in mezzo al sentiero, come a sbarrare loro il passo.
"Dove pensi di portare queste due?" chiese l'uomo.
"A vedere il tempio, com'è consuetudine."
"Sono balai" disse l'uomo.
Joyce non aveva idea di cosa significasse quel termine, ma dall'espressione contrita di Leyra capì che non era un complimento.
"Ma sono nostre ospiti" ribatté Maera. "Hanno diritto di vedere l'altare come tutti gli altri."
La donna incrociò le braccia sul petto. "Che speri di ottenere? Che si convertano? Che sentano il sussurro della dea?"
"A volte succede."
La donna scrollò le spalle."Se non l'hanno sentito fino a ora..."
"Forse erano distratte" rispose Maera. "O la dea aveva altri progetti per loro. Cosa puoi saperne tu, Koris?"
"Io so che sono estranee" rispose la donna, ma al tempo stesso si fece da parte. "Andate, andate pure. Che Lotayne vi protegga." Lo disse col tono di chi avrebbe augurato loro di annegare in un lago.
L'uomo si fece da parte e le lasciò passare.
Proseguirono in silenzio lungo il sentiero, lasciandosi dietro i rumori dell'accampamento. La foresta le avvolse, isolandole e proteggendole.
"Tara Maera" disse Joyce rompendo il silenzio.
"Chiamami solo Maera. Qui non usiamo titoli."
"Lotayne era una maga?"
"È vero" rispose lei.
"Ma voi l'adorate come una dea."
"Infatti. Ti sembra strano?"
"Un po' sì." Era la stessa domanda che avrebbe voluto fare ad Arwel, ma allora era stata distratta dal pensiero di doversene andare quella sera stessa.
"Da dove vieni tu adorate altri dei?"
"Adoriamo l'Unico Dio" disse Joyce.
Maera annuì. "Colui che risiede in cielo, che veglia sui suoi figli sulla terra e giudica le anime dopo la morte."
Joyce annuì. Erano le parole con le quali i sacerdoti aprivano e chiudevano le funzioni religiose.
"Mi è sempre sembrato così freddo e distante" disse Maera. "Lui nel cielo a guardare gli uomini da lontano, per nulla partecipe delle nostre vite, dei nostri drammi e delle nostre conquiste." Scosse la testa. "Noi adoriamo una dea vivente. Non nel senso fisico della parola, perché Lotayne è morta da molti secoli. Ma lei vive in mezzo a noi, tramite il suo lascito. Gioisce con noi quando siamo felici e le sue lacrime si mescolano alle nostre quando piangiamo."
"Che la sua mano ci protegga" disse Leyra.
"Che le sue radici crescano forti e profonde" le fece eco Maera.
"Il suo lascito?" chiese Joyce.
Maera fece un ampio gesto col braccio. "Questa foresta è ciò che ci ha donato. Quando lasciammo la nostra dimora ancestrale e ci rifugiammo qui, lei ci diede protezione e un riparo dalle intemperie. In cambio noi la servimmo accudendo gli animali della foresta e prendendoci cura di essa. E oggi, a distanza di secoli, proseguiamo quell'opera."
Joyce guardò Leyra. "Anche voi adorate Lotayne."
La ragazza annuì.
"Perché allora non vivete tutti insieme? Perché Galadiel dice che questo posto è proibito per tutti gli altri, tranne che per voi?"
Maera sorrise. "Noi siamo i protettori del santuario di Lotayne."
Joyce aveva già sentito parlare di luoghi simili. A Mar Qwara aveva visitato il santuario del mago supremo Zanihf. Erano posti pericolosi, pieni di trappole lasciate dai maghi, gelosi dei loro segreti. Eppure passeggiare lì in mezzo non sembrava affatto pericoloso, se non addirittura piacevole. "I santuari dei maghi sono luoghi pieni di trappole e antichi sortilegi" disse ricordando una frase che aveva letto in un libro d'avventura. In quelle storie l'eroe affrontava una lunga avventura in un santuario di un mago vivente per liberare la sua principessa.
Maera sorrise e annuì. "È vero, così dicono, ma Lotayne era diversa. A differenza dei maghi descritti nelle leggende, lei era buona e compassionevole. Proteggeva il suo popolo dai pericoli e non faceva la guerra agli altri."
"Come sapete queste cose?" Joyce sapeva che non c'erano libri che parlavano dei maghi supremi e, se erano esistiti, erano scomparsi da tempo.
"Noi ci tramandiamo questa conoscenza di generazione in generazione" rispose Maera. "I sapienti e i custodi imparano a memoria le storie e fanno in modo che i giovani le imparino a loro volta."
"Potreste usare i libri."
"Usiamo anche quelli, ma le pagine ingialliscono e poi diventano polvere, l'inchiostro sbiadisce e poi scompare e persino le lingue cambiano e si estinguono. Ma la memoria del nostro popolo non muore mai e continuerà fino a quando il santuario resterà inviolato. Ecco, siamo arrivate" disse indicando l'albero che sorgeva al centro della radura.
Non era più alto degli altri alberi-torre, né più bello o dal fogliame più folto. A prima vista Joyce lo trovò insignificante.
Leyra fissava l'albero a bocca aperta, come se non avesse mai visto niente di più bello. "È lui?" chiese a Maera. "È Edranor?"
Maera annuì. "È lui."
"Che significa edranor?"
"Nell'antica lingua, vuol dire il più vecchio, il maggiore" spiegò la donna.
Un lampo si accese nella mente di Joyce. "Quindi lui è..." disse indicando l'albero.
"Il più vecchio della foresta" disse Leyra. "Il primo albero cresciuto su questa terra."
"Le storie dicono che questa era una valle arida e brulla" disse Maera. "Quando gli Alfar fuggirono da Ellor, la dimora ancestrale, vennero qui chiamati dalla dea. Fu un viaggio lungo e pericoloso. Solo uno su dieci di quelli che erano partiti ce la fecero. Molti morirono o si persero lungo la strada, preferendo fermarsi o tornare indietro. Quelli che proseguirono, giunsero qui, proprio in questo luogo. Presero i semi che avevano portato con loro e li piantarono nel terreno. Il primo a germogliare fu Edranor." Appoggiò una mano sulla corteccia dell'albero. "Dicono che in certi giorni puoi sentire l'eco delle voci di quei primi alfar riecheggiare nella radura."
Joyce si avvicinò e appoggiò la mano all'albero, tendendosi all'ascolto. Udì solo il vento che agitava le chiome degli alberi e il richiamo di qualche animale.
Leyra sembra estasiata e si guardava attorno come una bambina. "Io non sapevo" disse. "Non potevo immaginare..."
"So che cosa dicono di noi negli avamposti" disse Maera triste. "Che siamo selvaggi, che siamo degli eretici, che siamo intolleranti."
Joyce colse tristezza e rassegnazione nelle sue parole.
Leyra girò attorno all'albero Edranor, fermandosi davanti a una parete di arbusti che cresceva a ridosso di una montagnola nascosta dagli alberi. "E questo?" chiese indicando l'intrico di rami e foglie che formavano un muro compatto.
"È l'ingresso al shullamma, il santuario della madre Lotayne."
Joyce si avvicinò a Leyra e gettò un'occhiata tra gli arbusti. Nonostante l'oscurità si intravedeva un passaggio scavato nel fianco della collina.
"Il santuario è dove viveva?" chiese.
"È il luogo più sacro della nostra religione. Nessuno che non sia un custode anziano vi è ammesso."
"Ma non è sorvegliato" osservò Joyce. Chiunque passando li lì poteva entrarvi.
Maera sorrise. "Invece lo è. Il potere di Lotayne è ancora forte e presente. Come ti ho detto poc'anzi, lei vive tra noi, anche se non fisicamente."
Joyce era perplessa e aveva altre domande da farle, ma non voleva sembrare irrispettosa e lasciò perdere.
Maera le riportò all'accampamento e per tutto il viaggio di ritorno Joyce continuò a chiedersi che cosa si nascondesse nel santuario di Lotayne. Quando era stata in quello di Zanihf, qualcosa aveva riattivato i guardiani costruiti secoli prima dal mago.
Qualcosa era sopravvissuto anche di Zanihf? Era un potere dei maghi quello di riuscire a trasferire parte della propria essenza nelle loro creazioni?
Anche gli albini veneravano, a modo loro, l'ultima dimora di Zanihf. Chissà che effetto avrebbe avuto su Maera se glielo avesse detto. Magari tra qualche giorno...
No, non aveva tutto quel tempo. Oren non ne aveva. Lei era lì per una cosa sola: eliminare Rancey e non aveva fato alcun progresso in quella direzione, anzi ogni suo sforzo sembrava trascinarla sempre più lontana, come se nuotasse contro corrente.
"Vi farò portare qualcosa da mangiare" disse Maera prima di congedarsi.
"A che cosa pensi, nidda?" le chiese Leyra dopo essere rientrate nella tenda.
"A Rancey" ammise Joyce.
Leyra rimase in silenzio.
"E tu?" le chiese Joyce sedendo sul duro pavimento. Stava cominciando ad abituarsi a quella posizione scomoda, ma rimpiangeva una vera sedia. O i cuscini imbottiti di foglie dell'avamposto.
"Nidda" disse la ragazza dopo un lungo silenzio. "Io credo di aver udito qualcosa, mentre ero al santuario."
"Cosa?"
"Non lo so spiegare."
"Hai avuto una visione?" Joyce amava quel tipo di storie. In alcune avventure l'eroe o un suo aiutante riceveva delle visioni grazie ai suoi poteri divinatori. Una volta ne era rimasta così impressionata da chiedere a suo padre se esistesse un potere del genere e lui le aveva spiegato che no, non esistevano stregonerie in grado di vedere il futuro o le anime dei defunti.
"Perché?" aveva chiesto lei con l'ingenuità di una bambina.
Re Andew, paziente come al solito, le aveva detto: "Durante l'era del caos, persino prima dei maghi supremi, esistevano divinatori e guaritori, incantatori e mutaforma e ogni sorta di creatura magica."
"Anche gli elfi cattivi?"
Suo padre aveva annuito. "E i troll e i nani che scavavano gallerie sotto le montagne e i discendenti dei draghi, i veri creatori del mondo."
Joyce aveva letto dei draghi e ne era affascinata, ma non sapeva dire se suo padre le stesse raccontando una storia vera o una semplice leggenda.
"Un giorno" aveva detto proseguendo nel suo racconto. "I magi cattivi, avendo paura dei loro poteri, scesero in guerra contro le creature magiche. Combatterono per molti anni, finché queste creature, stanche dei continui conflitti, decisero di lasciare il nostro mondo."
"E dove sono andati?"
"Nella terra delle ombre, al di là del mare delle tempeste."
Il che era come dire che erano sulla luna.
Crescendo aveva imparato a cercare da sola le informazioni che le servivano. I libri della biblioteca di palazzo erano lì per lei e ogni tanto approfittava di una visita al tempio per dare un'occhiata anche a quella del circolo.
Aveva cercato e cercato senza trovare niente. Nei libri di storia non vi era traccia dei guaritori o dei divinatori, così come elfi e mutaforma erano argomento delle favole e delle leggende e spesso chi ne parlava veniva deriso e additato come uno stupido.
Sembrava che la storia del mondo non fosse cominciata che tremila anni prima, quando erano sorti i primi circoli stregoneschi.
"Prima era il caos" aveva spiegato suo padre. "E durante quell'era andarono perse molte conoscenze."
Le guerre contro i maghi appartenevano a quella era, così come la maggior parte delle storie dove apparivano gli elfi e i nani.
Per questo motivo non c'erano libri di storia sull'argomento.
Leyra aveva scosso la testa. "No, nidda. Non ho 'visto', se così si può dire. Ma ho sentito."
Joyce era molto curiosa. "Che cosa?"
"Armonia. Non so spiegarmi meglio."
"Prova a fare un esempio?"
Leyra si accigliò. "Hai presente un muro di mattoni, nidda? Io mi sentivo uno di quei mattoni. Ero al mio posto, una parte del tutto. Se qualcuno mi avesse scalzato di lì, tutto il muro sarebbe crollato. Tu ti sei mai sentita così, nidda?"
Al contrario, pensò. Mi sono sempre sentita fuori luogo, un corpo estraneo. Prima per la mia famiglia e poi in qualsiasi altro luogo fossi andata. Scosse la testa affranta.
Leyra sospirò. "Forse la dea mi ha parlato davvero."
"Tu credi che lei viva nella foresta?"
La ragazza scrollò le spalle. "All'avamposto veneriamo la dea, ma solo come ricordo. Per noi ella ha abbandonato la foresta dopo la sua morte."
Quella era una domanda che voleva fare da tempo. "Lotayne è morta durante le guerre contro i maghi?" le chiese.
"Secondo quello che dicono gli anziani" disse Leyra. "Nessuno attaccò mai il suo santuario."
"Ma io credevo che gli stregoni avessero ucciso tutti i maghi."
"Questo è quello che so. Una strega, un cavaliere e il suo scudiero si presentarono con un esercito ai confini della foresta. Lotayne li accolse con modi garbati e li invitò alla sua tavola. Agli alfar venne ordinato di essere gentili con gli stranieri e loro ubbidirono. Subito dopo il banchetto, la strega cercò di uccidere Lotayne, ma lo scudiero la difese. Ne seguì un duello nel quale lo scudiero riuscì a scacciare la strega maligna. Gli alfar combatterono contro l'esercito invasore e questi furono costretti a ritirarsi. La strega giurò di vendicarsi, ma non tornò mai più."
"E lo scudiero del cavaliere?" chiese Joyce, desiderosa che Leyra proseguisse la storia.
"Un attimo di pazienza e ci arrivo. Lo scudiero era in realtà il cavaliere valoroso. Si era nascosto dietro quella falsa identità per mettere alla prova la dea. Scoperto l'inganno, decise di restare insieme a Lotayne, della quale si era innamorato. Lo scudiero, rivelata la sua vera identità, poté tornare alle sue terre dopo aver prestato giuramento di non rivelare il segreto della foresta. Il cavaliere e la dea vissero insieme per molti anni."
Joyce attese che proseguisse. "E poi?"
Leyra si strinse nelle spalle. "È tutto qui."
"Ma..." fece Joyce. "Si sposarono? Ebbero figli?"
"Nessuno lo sa."
"Come sono morti?"
Leyra scosse la testa.
Delusa, Joyce non poté fare altro che arrendersi. "Dunque esistevano maghi buoni" disse dopo qualche minuto di silenzio.
"Quello che sappiamo dei maghi è ciò che gli stregoni ci hanno raccontato" disse Leyra.
Questo era vero, ma Joyce pensava che ci fosse un fondo di verità. I maghi non erano leggende. Erano esistiti davvero, avevano camminato tra gli uomini, si erano innamorati e avevano sofferto. Non erano poi così diversi.
Perché allora diventavano malvagi? Era la magia a corrompere i loro animi? E lei stava usando la magia da mesi ormai. Doveva essere stata corrotta dal potere, a meno che non servissero anni di pratica.
Doveva smettere di usare la magia? Eppure mai aveva pensato di usarla per fare del male alle persone.
Poi ripensò al suo litigio con Bryce e a quanto era stata vicina a colpirla alla schiena con un dardo magico.
E pensò anche alla sua ossessione per Rancey. Lo odiava e voleva salvare Oren, ma era un buon motivo per volerlo morto? E se non fosse stato lui a lanciare la maledizione?
"Nidda, dovremmo provare a dormire un poco" disse Leyra.
Joyce annuì e si distese sulla stuoia, cercando una posizione confortevole. Il sonno la raggiunse solo dopo alcuni minuti.
Sognò di maghi e duelli magici e cavalieri valorosi in groppa a destrieri alati. Uno di essi brandiva una spada fiammeggiante e si scagliava contro qualcosa di enorme, un'ombra che sembrava voler avvolgere tutto il mondo.
Solo quando il cavaliere era lanciato con tutta la sua forza verso il bersaglio, l'ombra acquistava una sua forma e diventava una gigantesca creatura alata.
Dalle sue fauci aperte e pronte a scattare scaturiva una fiamma accecante che avvolgeva tutto il mondo, ma lei non sentiva il morso del fuoco sulla sua pelle, ma solo quello del gelo. E poi iniziava a precipitare e cadeva, cadeva, cadeva...
"Nidda."
Era la voce di Leyra?
"Nidda, svegliati."
La stava scuotendo.
Si tirò su di scatto. "Che succede?" disse con voce impastata.
Leyra si alzò e andò all'ingresso della tenda. "Sento delle voci. Sta succedendo qualcosa." Uscì senza aggiungere altro.
Joyce si concesse un altro secondo per schiarirsi le idee e la seguì.

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