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Autore: heliodor    04/02/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Nella ragnatela
 
L'accampamento era in subbuglio. Sembrava che tutti i presenti si fossero radunati lì in quello spiazzo tra le tende. Dovevano essere almeno in tre o quattrocento e altri potevano essere nascosti nella boscaglia, di sentinella.
Maera e gli anziani erano in piedi in mezzo al cerchio di folla che si era radunato. Insieme a loro una decina di persone. Vestivano tutti abiti scuri o marroni con foglie cucite addosso.
Tra di loro c'era Galadiel.
L'alfar sanguinava da una mezza dozzina di ferite e aveva il braccio sinistro bruciato. Si vedeva la pelle annerita sotto di esso e, più sotto ancora, il rosso della carne esposta.
Un alfar stava osservando l'orribile sfregio.
Nonostante la ferita, Galadiel si ergeva sulle proprie gambe, troppo orgoglioso o stupido per accettare di buon grado quelle cure.
Esper era nel gruppo, ma un passo indietro. Si guardava attorno con occhi spiritati, come chi aveva assistito a cose orribili ed era sopravvissuto a stento. I suoi abiti erano macchiati di sangue ma non sembrava ferito.
Tutti gli altri erano inginocchiati o distesi per terra, troppo deboli per alzarsi. Altri alfar si occupavano di loro preparando impacchi da applicare sulle ferite.
Galadiel stava parlando. "...prepararci al peggio."
"Quanti sono?" chiese Maera.
"Ottanta, forse cento. E almeno il doppio di mercenari" disse Galadiel.
Maera chinò la testa. "Dobbiamo preparare le difese."
"Non c'è tempo" disse l'anziano dalle folte sopracciglia.
"Invece lo abbiamo" disse Galadiel sicuro. "Ho fatto in modo che pensassero che l'attacco non provenisse da noi, ma dall'avamposto più vicino. Due dei nostri si sono fatti inseguire fin quasi alla palizzata."
Joyce vide Leyra impallidire.
"Ora sono diretti lì" aggiunse l'alfar.
Maera lo fissò con sguardo severo. "Tu non avevi il diritto di prendere questa decisione."
"Dovevo proteggere il santuario" si schernì Galadiel.
"Sacrificando i nostri fratelli?"
"Non sono miei fratelli" disse Galadiel aspro.
La sua frase sollevò dei brusii tra i presenti ma anche tanti cenni d'assenso.
"Dobbiamo mandare qualcuno ad avvertirli" disse Maera rivolgendosi agli anziani.
Questi si scambiarono delle occhiate dubbiose.
"Se lo fai rovinerai tutto" disse Galadiel. "Aspettiamo la fine della battaglia. Comunque vada, Rancey e i suoi ne usciranno malmessi e noi potremo approfittarne."
Maera impallidì. "Il costo è troppo alto."
"È necessario un sacrificio per difendere il santuario" disse l'anziano dalle folte sopracciglia.
La sua frase ricevette numerosi cenni d'assenso. Quelli che dissentirono erano pochi e isolati in mezzo agli altri.
Leyra si fece avanti. "Andrò io" disse ad alta voce.
Galadiel le rivolse un'occhiataccia. "Loro non devono muoversi di qui" disse con tono aspro. "O Rancey capirà che l'attacco è arrivato da noi e verrà al santuario per conquistarlo."
Il viso di Maera esprimeva tutta la sua sofferenza. "Non siamo abbastanza forti per difendere il santuario" disse ad alta voce. "Si proceda come suggerito da Galadiel."
Quelle parole ebbero l'effetto di convincere anche gli scettici. Tutti assentirono convinti.
Tranne Leyra, che si fece avanti tra la folla. "Tara, ti prego" disse rivolta a Maera. "Fammi tornare dai miei. Prenderò un sentiero lontano dal santuario. Non mi scopriranno mai."
"Mi spiace, ma non lo posso permettere" fu la risposta di Maera. "Ceyne, Launil" disse facendo un gesto a due alfar che erano in piedi tra la folla. Un ragazzo e una ragazza si fecero avanti. Indicò Leyra e Joyce. "Scortatele alla tenda e sorvegliatele. Se tentano di uscire..." Non c'era bisogno che aggiungesse altro.
Leyra si gettò ai piedi di Maera. "Ti prego, non permettere che Rancey compia un massacro."
Maera sospirò e chiuse gli occhi. "Portatela via" disse ai due alfar.
Ceyne e Launil la sollevarono di peso.
"No" disse Leyra ribellandosi con uno strattone. "Non è giusto."
"Silenzio ora" disse Galadiel minaccioso. "Il santuario è il luogo più prezioso per il nostro popolo. È tuo dovere fare di tutto per proteggerlo."
Leyra si morse il labbro. Sembrava che stesse per mettersi a piangere, invece si trattenne.
Joyce provò una profonda pena per lei. Voleva aiutarla, ma non sapeva come. Tentare una fuga mentre avevano addosso gli occhi di tutti gli alfar presenti poteva finire male. Dovevano attendere un'occasione migliore.
Si avvicinò a Leyra e la prese sotto braccio. "Vieni, su. Torniamo alla tenda."
Leyra si lasciò portare via senza fare resistenza. "Li uccideranno tutti, nidda. Devo fare qualcosa."
"Ora non puoi fare niente."
"Ma io..."
"Penseremo a cosa fare nella tenda" disse Joyce. "Qualcosa ci verrà in mente."
La tenda era lì dove l'avevano lasciata. Joyce aiutò Leyra a stendersi sulla stuoia. Sembrava non avesse più le forze e aveva faticato a sostenerla.
"Nidda" disse con un sussurro. "Tutto questo è ingiusto."
La mente di Joyce lavorava a pieno ritmo. "Ascolta" disse cercando le parole giuste. "Rancey non attaccherà prima che faccia buio. Se ci provasse in pieno giorno, le vostre pattuglie lo troverebbero."
"È vero" disse Leyra.
"Abbiamo ancora qualche ora di tempo per avvertire l'avamposto. Non è troppo tardi."
"Sì" disse Leyra con gli occhi sgranati. "Ma siamo chiusi qui dentro senza poterci muovere. Come faremo ad avvertirli?"
"Non lo so." Joyce si avvicinò alla tenda e scostò il velo.
Uno degli alfar di guardia si avvicinò subito. "Non puoi uscire" disse con tono brusco.
"Voglio solo un po' d'acqua per Leyra" disse Joyce con tono supplice. Occhi languidi, pensò.
L'alfar serrò la mascella. "Te la farò portare, ma ora torna dentro."
Joyce ubbidì. Andò da Leyra. "Sembrano all'erta. Anche se cercassimo di uscire non faremmo più di due o tre passi prima che lancino l'allarme."
L'acqua arrivò qualche minuto dopo e, con sorpresa di Joyce, fu Thali a portarla. Nel frattempo si era cambiato e aveva indossato un abito pulito. Anche le foglie cucite erano scomparse.
"Come state?" chiese poggiando a terra un otre piena d'acqua.
Joyce fece un cenno della testa verso Leyra, ancora distesa sulla stuoia. "Come vuoi che stia? Le persone a cui tiene stanno per essere uccise."
"Mi spiace molto" disse Thali.
"Dicci cos'è successo. Avete attaccato Rancey?"
Annuì. "Lui ci stava aspettando. Aveva più forze di quanto ci aspettassimo. Prima ancora di arrivare a colpire il suo accampamento siamo stati attaccati a nostra volta dai suoi evocatori."
"Gauwalt?" chiese Joyce ricordando il nome che aveva sentito spesso a Valonde.
Thali scosse la testa. "Non lo so."
"Per caso ha evocato un gigante?"
"Ragni."
"Ragni?"
Thali annuì. "Grossi come cavalli. Ce n'erano almeno tre. Siamo stati attaccati alle spalle."
"E poi che cosa è successo?"
L'espressione di Thali si fece cupa. "Non ricordo molto, era tutto confuso. Ci siamo sparpagliati nella foresta per sfuggire al loro contrattacco, ma sembravano essere ovunque. Galadiel e io abbiamo abbattuto uno dei ragni e ci siamo ritirati verso il folto della foresta."
"Siete fuggiti lasciando indietro gli altri?"
Thali arrossì e si strinse nelle spalle. "Siamo partiti in trenta e siamo tornati in nove. È già abbastanza dura accettare la cosa, credimi. Ho visto morire due buoni amici."
"E moriranno anche gli amici di Leyra se non li avvertiamo."
"Lo so" ammise Thali. "E a questo proposito..."
"Cosa?"
Thali esitò. "Ho un messaggio da parte di Maera."
Joyce si fece attenta. "Che cosa vuole?"
"Dice di tenervi pronte. Vi farà andare via."
"E poi?"
"Dipenderà da voi." Andò all'uscita e lasciò la tenda.
Joyce andò a sedersi vicino a Leyra. La ragazza alfar sembrava più serena.
"Visto? Abbiamo una speranza" disse Joyce.
"Speriamo che basti" disse Leyra. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, aggiunse: "Nidda?"
"Sì?"
"Grazie per quello che fai."
Joyce arrossì. "Non ho fatto molto in verità."
"Non eri obbligata ad aiutarci."
Joyce pensò alla risposta da darle. Era vero, non aveva alcun obbligo nei riguardi degli alfar, che al contrario l'avevano fatta prigioniera senza alcun motivo. "Combattiamo dalla stessa parte."
Leyra si chiuse di nuovo nel suo silenzio.
Si accucciarono sulla stuoia, in attesa.
Non dovettero attendere a lungo. Un paio d'ore dopo che Thali le aveva lasciate, udirono delle voci provenire dall'esterno. Il loro tono era concitato.
La tenda si aprì e il viso di Ceyne fece capolino. "Uscite" disse con tono perentorio.
Non se lo fecero ripetere.
Appena fuori dalla tenda, Joyce notò subito il motivo di tanta apprensione. A una ventina di metri uno degli alberi-torre era avvolto dalle fiamme.
Uomini e donne avevano formato una catena umana di secchi d'acqua per spegnere le fiamme. Joyce notò anche che nessuno badava a loro.
Ceyne e Launil guardavano l'incendio preoccupati.
"Portatele via di lì" ordinò Meara sopraggiungendo quasi di corsa.
Ceyne prese Joyce per un braccio mentre Launil si occupò di Leyra.
"Svelta" disse lo stregone trascinandola verso una tenda all'estremità opposta dell'accampamento.
Joyce voltò la testa di scatto e vide che Maera le stava seguendo con lo sguardo. Si lasciò guidare da Ceyne senza opporre resistenza.
"Qui" disse l'alfar indicando una tenda eretta a ridosso di un albero-torre.
L'attenzione di tutti era rivolta verso l'albero in fiamme. L'alta chioma bruciava senza emettere fumo e il fuoco rischiava di propagarsi agli altri alberi vicini.
Ceyne la guidò verso la tenda, scostò il lembo che la chiudeva e dall'interno balzò fuori Thali. Fu così veloce che Joyce lo vide appena.
Il ragazzo afferrò la mano di Ceyne e lo costrinse a voltarsi, il braccio piegato dietro la schiena.
"Rahim" esclamò Launil. "Che cosa fai?" Dicendolo lasciò la presa sul braccio di Leyra, che ne approfittò per darle una spinta e mandarla a terra.
Launil fece per rialzarsi, ma Thali le mostrò il palmo della mano, dove un dardo brillava già pronto a colpire.
"Non costringermi" disse il ragazzo.
"Traditore" disse la strega alfar.
"Voglio solo impedire un massacro."
"Saremo noi a essere massacrati" disse Ceyne.
"Se succederà, vorrà dire che ce lo saremo meritato. Ma la gente di Leyra non ha fatto niente di male e non merita di morire per colpa di un errore commesso da noi. Devono essere avvertiti." Guardò Leyra e Joyce. "Andate, di loro me ne occupo io. Posso darvi solo qualche minuto di vantaggio, forse un'ora."
Leyra gli fece un cenno con la testa e corse verso il limitare dell'accampamento.
"Grazie" disse Joyce avviandosi nella stessa direzione.
"Se vedi mio fratello" disse Thali. "Digli che mi spiace."
"Glielo dirai tu stesso" rispose Joyce infilandosi nell'erba alta.
 
Leyra correva districandosi con agilità e lei faticava a tenere il suo passo.
"Dobbiamo evitare i sentieri" disse la ragazza alfar col fiatone mentre si fermava per esaminare la corteccia di un albero.
"Che cosa cerchi?"
"Gamah" rispose lei.
Joyce si accigliò.
"Segni" spiegò Leyra. "Ci guideranno verso l'avamposto."
"Non conosci questa zona?"
"Questo è il territorio dei custodi. Non sono mai stata qui." Scrollò le spalle. "Un paio di volte, con Olfin e gli altri." Fece una pausa. "Più di un paio di volte, ma non facevamo niente di male. Davamo solo un'occhiata in giro."
"Non devi giustificarti con me" disse Joyce divertita. "Da che parte dobbiamo andare?"
Leyra diede un'occhiata al tronco. "Lì" disse indicando un punto tra gli alberi.
Joyce non avrebbe saputo dire se da quella parte c'era l'avamposto, ma doveva fidarsi di Leyra. Da sola non avrebbe fatto dieci metri in quella foresta.
Invece la ragazza alfar era del tutto a suo agio. Si muoveva con disinvoltura come se danzasse tra gli alberi, smuovendo appena le foglie al suo passaggio. Il suo passo era leggero e aggraziato, del tutto diverso dal suo.
Leyra si infilò in una densa macchia di alberi, sparendo alla vista. Per non farsi distanziare troppo Joyce accelerò il passo.
Udì un urlo.
Si fermò, il cuore in subbuglio.
"Leyra?"
Nessuna risposta.
"Leyra?" ripeté a voce più alta.
"Non venire" gridò la ragazza.
Joyce la ignorò gettandosi nella macchia di alberi più veloce che poteva. I rami si chiusero su di lei, come se cercassero di afferrarla e graffiarla. La macchia finì all'improvviso e lei si ritrovò ad annaspare nel vuoto.
Inciampò e cadde in ginocchio.
Fu quello a salvarla.
Un metro più avanti, sospesa tra due alberi-torre, c'era la ragnatela più grande che avesse mai visto. Con gli occhi seguì la trama a spirale che dall'esterno portava all'interno. Qui, più o meno al centro, vi era una forma umana come sospesa nel vuoto.
Era Leyra.
La ragazza era rimasta impigliata nella ragnatela e lottava per liberarsi.
"Ti aiuto" disse Joyce.
"No" fece lei con tono deciso. "Se la tocchi resterai intrappolata anche tu."
Joyce rifletté su quello che poteva fare. Adocchiò una pietra appuntita e la raccolse, la ripulì dal terriccio e la soppesò nella mano.
Si avvicinò alla ragnatela con cautela, facendo attenzione a non toccarla. I fili erano spessi come pezzi di spago e luccicavano alla luce del sole. Sembravano ricoperti da una strana sostanza appiccicosa.
Era quella a tenere imprigionata Leyra?
Usò la parte appuntita del masso per tagliare un paio di fili. "Funziona" disse. "Ti libero subito."
Leyra si agitò. "Arriva qualcuno. Devi andare via."
"Non ti lascio qui."
"Ma..."
"Niente ma" disse con tono perentorio. Stava cercando di immaginare l'animale che aveva intessuto quella ragnatela. Se il filo era così spesso, il ragno che dimensioni poteva avere?
Ricordò che Thali aveva parlato di ragni giganti e altri animali al servizio di Rancey e accelerò i suoi sforzi per liberare Leyra.
Il fogliame alla sua destra frusciò e lei si sentì prendere dal panico. Era solo a metà dell'opera e Leyra non era ancora libera.
Se almeno avesse avuto qualche minuto in più...
"Siete qui" disse una voce alle sue spalle.
Si voltò di scatto, un dardo nella mano sinistra e la pietra appuntita in quella destra.
Zefyr alzò le mani come in segno di resa. "Calma, calma. Sono io."
Joyce non smise di puntargli contro il dardo. "Che ci fai qui? Ci hai lasciate sole."
"Eravate al sicuro" si giustificò lui.
"Non hai idea di che cosa abbiamo passato."
"E tu non hai idea di che cosa ho passato io. Questa foresta è un inferno. Sono due giorni che giro senza riuscire a trovare un sentiero."
"Potreste rimandare a dopo?" fece Leyra agitando il braccio libero. "Vorrei togliermi da qui se non vi spiace."
Zefyr raccolse una pietra e aiutò Joyce a liberare la ragazza.
Leyra si strappò di dosso gli ultimi fili come se scottassero.
Joyce notò che aveva la pelle arrossata dove l'avevano toccata. "Ti fa male?"
"Brucia" disse la ragazza con una smorfia di dolore.
Zefyr si guardò attorno. "Dobbiamo toglierci di qui. L'animale che ha tessuto questa ragnatela potrebbe tornare."
"Concordo" disse Joyce. Guardò Leyra.
La ragazza alfar sembrava essersi già ripresa. "Da questa parte" disse gettandosi tra gli alberi.
La seguirono faticando a reggerne il passo, anche se stavolta, prima di affrontare una macchia di alberi, si fermava per dare un'occhiata in giro.
Zefyr le seguiva in silenzio.
"Ho visto tuo fratello" disse Joyce.
"Cosa?"
"Esper. Sta bene."
Zefyr rimase in silenzio.
"Ora si fa chiamare Thali."
"Stupido."
"Perché hai detto che era morto?"
"Per me lo è."
"Ma..."
"Scusa, ma non voglio parlarne."
Joyce non voleva arrendersi. "Forse dovresti."
Zefyr trasse un profondo sospiro di rassegnazione. "Proprio non vuoi arrenderti, vero?"
"Cerco solo di capire."
Approfittarono di un momento di pausa mentre Leyra controllava gli alberi in cerca di un segno.
"Non puoi" disse Zefyr. "La mia famiglia ha fatto parte delle lame per generazioni. Mio padre, mio nonno, suo padre e così via. Tutti cavalieri ordinati."
"E Thali?"
"Esper" disse Zefyr. "Era destinato a diventare un comandante. Era il più abile di tutti, il degno erede di mio padre."
"E invece?"
Zefyr scrollò le spalle. "Aveva i poteri."
"È uno stregone?"
Lui annuì. "Mio padre non ha mai voluto accettare la cosa. Lo ha cresciuto come se non li avesse, negando l'evidenza. Ha costretto Esper a non usarli mai in pubblico. Abbiamo dovuto lasciare Nabunai o il circolo avrebbe cercato di arruolarlo. Mio padre non voleva. Esper era il figlio perfetto che aveva sempre desiderato. Il suo erede."
"Ma aveva il dono" disse Joyce.
"Negli ultimi tempi Esper aveva cominciato a contestare mio padre. Voleva essere come lui, ma al tempo stesso la consapevolezza di avere i poteri lo atterriva. Poi avvenne l'incidente."
"Incidente?"
"Esper stava scortando una carovana verso Nazedir quando vennero assaliti da una banda di predoni. Tutti i suoi compagni vennero uccisi, tranne uno. Riuscì a tornare alla fortezza e raccontò che Esper era caduto sul campo di battaglia."
"Ma non era morto."
"Questo lo scoprii dopo. Quando arrivammo sul luogo dello scontro, trovammo la carovana distrutta e in fiamme. Il fuoco aveva reso irriconoscibili i corpi, così li portammo alla fortezza per dare loro degna sepoltura. Mio padre era distrutto e non volle nemmeno presenziare ai funerali. Non riusciva a credere che Esper fosse morto. Da quel giorno cominciò a incolpare gli alfar della sua morte."
"E come scopristi che Esper era vivo?"
"Per caso. Seppi che sulla carovana vi erano otto persone invece di sette. Sommandoli a quelli delle lame cadute nell'imboscata, il numero non coincideva, mancava un corpo. Tornai sul luogo dell'agguato e mi misi a cercare. Erano passate settimane e le piogge avevano cancellato quasi tutto. Tornai varie volte in quel luogo, sperando di trovare una prova, una traccia. E un giorno..."
"Cosa?"
"Lui era lì."
"Tuo fratello?"
Annuì grave. "Era diventato un alfar. Vestiva come loro, parlava come loro. Me lo disse lui stesso. Gli avevano riferito di una lama d'argento che percorreva sempre lo stesso sentiero e si era insospettito. Quando mi aveva visto, aveva deciso di venire allo scoperto. Mi pregò di non dire niente a nostro padre. Lui credeva che fosse morto e così dovevano restare le cose. Era inutile farlo soffrire di più."
"E hai accettato?"
"Che altro potevo fare? Se mio padre l'avesse saputo, ne sarebbe morto." Rise. "E alla fine è morto lo stesso... e per colpa mia."
"È stata Gajza."
Si toccò il petto. "Io gli ho mentito. Ho alimentato il suo odio per gli alfar. Se gli avessi detto che lo avevano salvato e non ucciso, lui non avrebbe fatto di tutto per trovare una scusa per attaccarli e sarebbe ancora vivo."
"Volevi solo fare la cosa giusta."
"Non dovevo mentire a mio padre. Non se lo meritava."
"Tu non..."
L'albero-torre alla loro destra tremò come scossa da una forza poderosa. Dall'alto piovvero foglie e rami che si abbatterono al suolo.
Joyce fece appena in tempo a evitare di venirne investita.
Dall'alto calò qualcosa, un'ombra che coprì il sole per un istante. Un essere dal corpo rotondo, sostenuto da otto zampe pelose e sormontato da una testa con centinaia di piccoli occhi rotondi e scuri che non sembravano riflettere la luce del sole.
E in groppa alla creatura, come un cavaliere sul suo destriero, un uomo corpulento dagli zigomi marcati e un largo sorriso.
"Che incontro fortunato" disse con tono gioviale. "Lord Rancey sarà soddisfatto della mia caccia."

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