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Autore: heliodor    08/02/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Evocazioni pericolose
 
Il ragno torreggiò sopra di loro, le lunghe zampe snodate che cercavano di colpirli. Joyce scartò di lato per evitare di essere infilzata e andò a sbattere contro Zefyr.
Il ragazzo aveva estratto la spada e stava a sua volta correndo attorno al ragno cercando di evitare di essere colpito.
In quel momento Leyra gridò. Dal folto degli alberi era emerso un secondo ragno gigante. Anche questo era alto come tre uomini adulti, con il corpo rotondo e peloso e la testa ricoperta da centinaia di occhi.
A differenza dell'altro nessuno lo cavalcava, ma la ferocia con cui si gettò contro la ragazza alfar non era inferiore.
Leyra gli lanciò contro due dardi magici, eseguì una mezza piroetta in avanti ed evitò d'un soffio di essere colpita. Sembrava stesse danzando attorno al nemico, che grosso e impacciato faticava a starle dietro.
"Così non vale" gridò il tizio che cavalcava il ragno con tono indignato.
Joyce lo vide agitare le mani. Attorno alle zampe del ragno apparvero filamenti traslucidi che si espandevano come una macchia. Il cerchio si allargò e lei d'istinto si ritrasse indietro cercando di evitare il contatto con la sostanza lattiginosa.
Zefyr non fu altrettanto veloce e la sua gamba sinistra ne venne avvolta, come se i filamenti fossero vivi e dotati di volontà propria.
Il ragazzo gridò, diede uno strattone deciso e usò la spada per tagliare i filamenti. Una volta libero arretrò di una decina di passi fino a trovarsi con la schiena contro un albero-torre.
"Stai bene?" gli domandò Joyce, una decina di metri alla sua sinistra.
Zefyr annuì. "Quella robaccia brucia da morire."
Doveva essere la stessa che aveva ferito Thali. "È una specie di ragnatela."
"Ragnatela magica" disse Leyra, ancora impegnata a sfuggire al secondo ragno. "Provo a farmi seguire. Voi occupatevi dell'altro." Si gettò nella boscaglia seguita dal mostro.
"Dimmi che hai un incantesimo per fermare questo coso" disse Zefyr agitando la spada.
La mente di Joyce lavorò frenetica. Lanciò un dardo magico verso il ragno ma si dissolse contro lo scudo magico che lo avvolgeva.
"Ha uno scudo" gridò a Zefyr.
"L'ho notato."
Se era il tizio sul ragno a mantenere attivo lo scudo, non poteva lanciare altre magie se voleva mantenere il controllo sul mostro.
"Ho un'idea" disse Joyce.
"Sono con te" rispose Zefyr.
Joyce pronunciò la formula dell'oscurità e un buio denso e innaturale piombò sulla radura, avvolgendola come un sudario.
Nello stesso momento Joyce si spostò di lato. Qualcosa le sfiorò il fianco. Qualcosa di grosso e pesante a giudicare dalle vibrazioni trasmesse dal terreno ai suoi piedi.
Inciampò in qualcosa di viscido e cadde in avanti, colpendo il suolo. La sostanza si attaccò alle gambe, alle braccia e al torso, avvolgendola.
Sopra di lei udì mandibole gigantesche schioccare minacciose e affamate.
Nello stesso momento sentì il bruciore farsi strada attraverso la carne. Gridò per il dolore ma non smise di rotolare, avvolgendosi sempre di più nella sostanza urticante.
Il terreno vibrò, ma stavolta l'intensità andò scemando. Sentì qualcuno urlare e poi il lamento di una bestia colpita a morte.
Qualcosa di grosso impattò col terreno, producendo un piccolo terremoto.
"L'hai ucciso" gridò una voce stridula. "L'hai ucciso."
Joyce si sollevò su gambe malferme, la pelle che le bruciava da morire. Sentiva che stava per perdere i sensi, ma sapeva di doversi allontanare. Non aveva idea di quale direzione prendere in quel buio, ma sapeva che solo muovendosi ne sarebbe uscita.
Una mano le afferrò il braccio e la tirò a sé, spingendola verso un albero che era apparso come dal nulla.
Joyce sollevò gli occhi e incrociò quelli di Zefyr. Era coperto di sangue dalla testa ai piedi. Anche la spada era insanguinata.
Non sembrava ferito o sofferente, a parte le bruciature sul viso e le mani.
"Buona idea spegnere la luce" disse ansimando.
"L'hai ucciso?" chiese Joyce.
"Il ragno? Credo di sì. Lo stregone è ancora vivo."
Lui la guidò fuori dal buio e poi tra gli alberi-torre. Corsero senza fermarsi e senza prendere fiato per un tempo che le sembrò interminabile.
Joyce non ce la faceva più e crollò in avanti, vinta dal dolore e dalla fatica.
Zefyr l'aiutò a distendersi sulla schiena e sedette accanto a lei.
Joyce respirò fissando il cielo azzurro incorniciato dalle chiome degli alberi. Era una giornata meravigliosa, fatta eccezione per i ragni giganteschi che volevano ucciderla.
"Dobbiamo trovare il sentiero" disse Zefyr alzandosi.
"Come facciamo?" chiese Joyce rimettendosi in piedi a fatica. Si sentiva stanca e confusa, la vista era annebbiata. Crollò in ginocchio. "Mi sento male."
"È l'effetto di quella ragnatela" disse Zefyr. "Tra poco ti passerà."
"Come lo sai?"
"Non lo so. Lo spero."
Joyce tossì più volte. "Mi sento bruciare."
"Devi resistere." Zefyr la sollevò di peso.
"Lasciami qui" disse Joyce. Non lo pensava davvero e non voleva restare lì da sola, ma le sembrava una cosa decente da dire. "È inutile morire entrambi."
Zefyr la lasciò. "Vado a cercare aiuto. Tu resta qui, nascosta."
Se ne andava sul serio? Si chiese Joyce. Che razza di cavaliere era? Vyncent e Oren non l'avrebbero mai abbandonata lì da sola in mezzo a una foresta, con dei mostri giganteschi che le davano la caccia.
Stava per protestare e dirgli di non azzardarsi ad andarsene, ma prima di riuscire a trovare la forza di dire quelle cose, Zefyr si era già messo in marcia.
Lo vide sparire nel denso fogliame e attese che tornasse indietro pentito di ciò che aveva fatto, ma non accadde.
Vinta dallo sforzo e dalla stanchezza, si lasciò andare e crollò tra l'erba.
 
Dormì senza sognare e quando riaprì gli occhi la luce del sole le aggredì le pupille costringendola a coprirsi gli occhi con una mano.
"Nidda" disse una voce. "Stai bene?"
Il viso di un ragazzo apparve nella cornice di cielo delimitata dagli alberi.
"Nidda?" ripeté la voce.
"Sì" disse.
Il ragazzo sorrise sollevato. "È viva" disse a qualcuno che si trovava lì vicino. "Dammi una mano."
Un secondo ragazzo apparve nello stesso riquadro di cielo.
Ora Joyce stava mettendo a fuoco i loro visi. Li conosceva. Erano Olfin e Galaser, gli amici di Leyra.
"Che ci fate qui?"
"Siamo venuti a prenderti, nidda" disse Olfin.
Joyce si mise a sedere.
Solo allora notò che Zefyr era in piedi a pochi passi di distanza, il viso e il corpo ancora coperti di sangue.
"Li hai trovati tu?" gli chiese stupita.
Zefyr scrollò le spalle. "In verità sono loro che hanno trovato me."
"Credevo che Rancey vi avesse presi" disse Joyce rivolgendosi a Olfin.
Il ragazzo sorrise. "E noi pensavamo che avessero preso voi, perciò stavamo cercando il campo di questo Rancey."
"E lo avete trovato?"
Olfin annuì. "Ma poi abbiamo visto che andavano verso l'avamposto, così siamo tornati indietro."
"E abbiamo trovato voi" disse Galaser.
Joyce provò ad alzarsi e le gambe la ressero. Anche la vista stava tornando normale e la testa non le girava.
Zefyr si avvicinò. "Ce la fai a camminare?"
Annuì. "Sei andato via" esclamò indignata.
Il ragazzo accennò un mezzo sorriso. "Me lo hai chiesto tu."
"Non dicevo sul serio."
"Sei una strega o no? Ero sicuro che te la saresti cavata da sola."
"Non sono così abile."
"Credi? Senza di te quel ragno gigante ci avrebbe fatti a pezzi."
"Ragno gigante?" fece Olfin stupito.
Joyce annuì.
"Andiamo all'avamposto" disse Zefyr.
"E Leyra?" Joyce non voleva lasciarla da sola in quel posto. Per quanto ne sapevano quel ragno la stava ancora inseguendo.
"Se la caverà da sola. Conosce questo posto meglio di noi."
Zefyr aveva ragione ma Joyce non se la sentiva lo stesso di abbandonarla. Guardò Olfin. "Andresti a cercarla?"
"Meglio non dividerci di nuovo" suggerì Zefyr.
"Sei tu quello che sparisce" lo accusò Joyce.
Lui scrollò le spalle.
"Ha ragione lui, nidda" disse Olfin. "Leyra ci dice sempre di non andare mai da soli nella foresta."
"Appena tornati all'avamposto andremo a cercarla" disse Galaser.
Olfin annuì deciso.
"Visto?" fece Zefyr. "Tutto risolto."
Camminarono per un paio d'ore prima di arrivare alla palizzata. Olfin li guidò lungo il perimetro fino a che non si fermò all'improvviso. Infilò la mano tra due assi di legno e diede un leggero strattone.
Si aprì una porticina ben mimetizzata dall'erba alta. Era appena sufficiente per strisciarci dentro.
"Come sapevi che era lì?" chiese Zefyr.
"Tutta la palizzata è piena di passaggi segreti" spiegò Galaser. "Li usiamo per andare e venire di nascosto."
Dall'altra parte non c'erano abitazioni costruite sugli alberi e gli alberi-torre crescevano indisturbati come nel resto della foresta.
Olfin li guidò lungo un sentiero che si intravedeva appena nella boscaglia. Ci vollero altri trenta minuti per raggiungere l'avamposto vero e proprio.
Joyce notò subito che gli alfar erano scesi dagli alberi e si erano radunati in un unico luogo. Dovevano esserci almeno tremila persone riunite, la maggior parte erano giovani o anziani.
Arwen era tra loro.
In quel momento stava parlando con qualcuno.
Non ci mise molto a riconoscere Leyra.
Accelerò il passo per raggiungerli e mentre si avvicinava la folla divenne consapevole dei nuovi arrivati.
I loro volti mostravano tutta la preoccupazione che dovevano provare. Leyra doveva averli avvertiti di quello che stava per accadere.
Qualcuno tra gli anziani urlava e agitava minaccioso i pugni nell'aria.
"È colpa sua" stava gridando un uomo dai capelli grigi.
"Maera e Galadiel ce la pagheranno" gridò un altro.
"Dobbiamo punirli per quello che hanno fatto."
Arwel sembrava faticare a mantenere la calma.
Serime invece sembrava godersi lo spettacolo e si guardava attorno con espressione soddisfatta. Quando vide avvicinarsi Joyce e Zefyr un sorriso apparve sul suo viso.
"Eccoli" disse indicandoli col braccio teso. "Come vi avevo detto, le spie sono tornate per finire il lavoro."
Qualcuno agitò il pungo anche contro di loro, come se volesse colpirli. Nessuno osò farlo, ma tutti sembravano attendere una buona scusa per iniziare.
Leyra andò loro incontro. "Olfin, Galaser... nidda" disse con un misto di felicità e sollievo. "Ce l'avete fatta. Stavo dicendo a taras Arwel di mandare qualcuno a cercarvi."
"E noi stavamo per venire a cercare te" disse Joyce. Era contenta di vederla. "Come hai fatto a scappare?"
"Stavo per spiegarlo a taras Arwel."
Nel frattempo gli anziani si erano radunati attorno a loro, Serime in testa. "Portateli via" ordinò. "E stavolta trattateli senza tanti riguardi."
"Taras..." iniziò a dire Leyra.
"In quanto a te, hai deluso la tua guida" disse Serime con tono duro.
Arwel si fece avanti. "Nessuno li tocchi" disse con voce imperiosa, che non ammetteva repliche.
Serime le rivolse un'occhiataccia. "Perché prendi le parti di queste spie?"
"Non sono spie" disse Leyra con tono supplice.
Joyce stava per aggiungere qualcosa, ma Zefyr le strinse il braccio.
Lei si voltò e incontrò il suo sguardo.
"Non peggiorare le cose" disse il ragazzo.
Forse aveva ragione. In quel momento non c'era alcun bisogno di inasprire gli animi. Meglio attendere che Arwel facesse pesare la sua autorità e sperare per il meglio.
L'alfar si rivolse agli anziani e a tutti quelli che si erano radunati attorno a loro. "Prima di prendere una decisione, sentiamo che cosa hanno da dire."
"Altre bugie?" fece Serime. "Ne abbiamo abbastanza delle menzogne dei kodva."
Tra la folla si levò un brusio accompagnato da ampi cenni della testa.
Joyce cercò di contarli, ma sembravano più della metà e rinunciò.
Arwel attese che la folla si placasse. "Se quello che dice Leyra è vero, la vera minaccia sono gli uomini di Rancey."
"Sono loro che li hanno portati qui" disse Serime.
"No, è stato Galadiel" disse Leyra. "Lui vuole salvare il santuario."
"Ci occuperemo anche di questo a tempo debito." Serime indicò Joyce e Zefyr. "Dopo aver sistemato questi due come meritano."
La folla levò un grido di approvazione e si strinse attorno a loro. Joyce li sentì premere e desiderò essere da un'altra parte. Poteva usare la levitazione e portare con sé Zefyr, ma nel momento in cui si fosse alzata in volo, gli alfar li avrebbero presi di mira con i loro incantesimi.
Doveva restare ferma e sperare che Arwel riuscisse a calmarli.
L'alfar alzò una mano. "Volete davvero questo? Volete abbassarvi al livello dei kodva? Sono nostri ospiti."
"Un ospite non fugge via come un ladro" disse Serime.
Le sue parole furono seguite da un urlo di approvazione da parte della folla.
"Ma sono tornati" disse Arwel alzando la voce.
Quella frase sembrò calmare gli animi. Ci furono scambi di occhiate e parole sussurrate.
"Una spia tornerebbe indietro per avvertirci del pericolo?" chiese Arwel rivolgendosi alla folla. "Possono aver commesso un errore, ma non avevano cattive intenzioni." Guardò Joyce, invitandola a dire qualcosa.
Joyce si schiarì la gola. "È così" disse ad alta voce, cercando di farsi sentire sopra il brusio della folla. "Siamo andati via per cercare Rancey e la sua banda. Sono molto pericolosi e ora stanno venendo qui per attaccarvi. E hanno dei mostri con loro."
Leyra si fece avanti. "È vero. Hanno ragni giganti e orsi selvaggi."
"Evocazioni?" chiese qualcuno tra la folla.
Leyra annuì. "Le peggiori che abbia mai visto."
Joyce aveva visto di peggio quando Gauwalt aveva attaccato Valonde. I suoi mostri giganteschi avevano fatto a pezzi il tempio dove lei e Vyncent stavano per sposarsi.
Ripensare a quell'evento ormai lontano settimane le provocò un impeto di nostalgia. Non era mai stata così lontana da casa come quel giorno e ora lo sapeva. E chissà se l'avrebbe mai rivista.
Sembrava ch ogni suo sforzo la portasse sempre più lontana dalla sua meta.
E c'era ancora Oren da salvare. Se non riusciva a uccidere Rancey poteva dirgli addio per sempre. O forse la maledizione aveva già preso il sopravvento e per lui non c'era più niente da fare.
Scacciò quel pensiero e si concentrò su quello che stava accadendo nella radura.
Arwel riprese la parola. "Quel che fatto è fatto, ormai non possiamo più tornare indietro. Se Rancey sta venendo qui dobbiamo affrontarlo. Lui ha le evocazioni, ma noi abbiamo la palizzata e conosciamo la foresta. Voi tutti sapete che cosa dovete fare."
Dalla folla si levarono cenni di assenso a quelle parole.
Serime e pochi altri, ora in minoranza, si guardarono attorno con espressione smarrita.
L'alfar però non sembrava disposto a recedere. "Affrontarli è una pazzia. Ritiriamoci nel cuore della foresta finché siamo ancora in tempo."
"E poi?" chiese Arwel.
"Chiederemo l'aiuto degli altri avamposti e ricacceremo indietro quel maledetto kodva."
E nel frattempo Rancey avrebbe avuto il tempo di attaccare il santuario, prendere ciò che stava cercando e andarsene indisturbato, pensò Joyce.
Arwel sembrò comprendere in parte i suoi dubbi. "Chi ti dice che Rancey non torni con dei rinforzi? La prossima volta potrebbe essere alla testa di un vero esercito, con centinaia di stregoni e migliaia di guerrieri. E sarebbe la fine per tutti noi."
Serime fece una smorfia. "E allora che vuoi fare?"
"Affrontiamolo adesso, quando crede di poterci prendere alla sprovvista e diamogli une lezione che non dimenticherà facilmente" disse Arwel.
Stavolta dalla folla si levò un urlo convinto. Anche quelli che fino a quel momento avevano esitato si unirono a tutti gli altri.
Leyra si avvicinò.
"E ora?" le chiese Joyce.
"Ora combatteremo" rispose la ragazza.

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