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Autore: Yugi95    11/02/2018    2 recensioni
§La presente fanfiction rappresenta il continuo della storia “La rinascita della Fenice - Parte 1”. Di conseguenza è altamente consigliato leggere la parte precedente per poter comprendere appieno questa fanfict§. La missione delle Winx, volta a salvare la Dimensione Magica dalla distruzione, continua. Sky, dopo aver scoperto di essere il Custode della Fiamma della Fenice, sta dando tutto se stesso per migliorare i suoi nuovi poteri da stregone. Allo stesso tempo, però, lo stress, la stanchezza e gli eventi, accaduti nella Sala del Flusso Interrotto nella storia precedente, incrinano il suo rapporto con Bloom. Tale frattura si riflette anche sul gruppo di amici e rischia di minarne le fondamenta. Tuttavia il tempo a disposizione scarseggia e non può essere sprecato in futili litigi. L’esercito di Ksendras diventa giorno dopo giorno sempre più forte; mentre l’ultima scintilla della Fiamma della Fenice si ormai quasi del tutto esaurita. Come se non bastasse nuovi nemici si profilano all’orizzonte… nemici insospettabili, pronti a qualsiasi cosa pur di ottenere ciò che desiderano. La guerra è ormai alle porte e con il suo avvento nulla sarà più come prima. Nuovi alleati, vecchi amici e poteri ancestrali giocheranno un ruolo fondamentale e determineranno le sorti della battaglia.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Winx
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Winx Club - Cassiopea's Chronicles'
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Capitolo IV – Il segreto di Avalon

 
Era ormai trascorsa più di una settimana dalla discussione avvenuta all’interno dell’infermeria di Fonterossa. Grazie alla decisa presa di posizione dei loro amici, Aisha e Sky avevano compreso quanto il loro atteggiamento fosse stato superficiale e meschino. Di conseguenza entrambi, mettendo da parte l’orgoglio, la diffidenza e il rancore, si scusarono con Max e Elizabeth e, pur sapendo che non sarebbe stato affatto facile, cercarono di recuperare il legame di amicizia che li univa ai due. Allo stesso modo, la Fata degli Elementi e il suo fidanzato chiesero alle Winx e ai ragazzi di perdonarli per avergli mentito. In particolare Elizabeth ebbe una lunga conversazione con Aisha e le altre, finalizzata a chiarire una volta per tutte le faccende rimaste in sospeso. Max, invece, riconquistò la fiducia di Sky e il rispetto degli altri membri della squadra facendo vedere loro una serie di film intitolata Guerre Stellari. Dopotutto si sa: i ragazzi sono persone semplici. Se da un lato il confronto tra le giovani fate aveva permesso al gruppo di ricompattarsi, dall’altro aveva portato a galla una verità, che per troppo tempo era stata tenuta nascosta. L’aver appreso in quel modo della morte dei genitori e della sorella di Flora, aveva scioccato le Winx. Per tutto quel tempo la loro amica aveva tenuto per sé il dolore, la rabbia e la disperazione che quella perdita aveva causato. Non riuscivano neanche ad immaginare quanto Flora avesse sofferto, chiusa in un bozzolo di solitudine ed indifferenza. Non riuscivano a crede che, per tutto quel tempo, nessuna di loro si fosse accorta di nulla. Non riuscivano ad accettare che Rodols, Alyssa e Miele, le persone più buone, gentili e generose che avessero mai conosciuto, fossero state assassinate senza un apparente motivo. Di conseguenza alcuni giorni prima della fine di gennaio, dopo aver esercitato innumerevoli pressioni sulla Fata della Natura, le ragazze e i loro fidanzati si recarono su Linphea. Le Winx volevano rendere omaggio alla famiglia della loro amica; volevano salutarli per un’ultima volta; volevano scusarsi per non aver capito il disagio della loro amata Flora e, soprattutto, volevano promettergli che da quel momento in poi non le sarebbe più accaduto nulla di male. La figlia di Rodols e Alyssa, invece, non appena rivide le marmoree tombe dei suoi genitori e della sua sorellina, scoppiò a piangere e, stringendosi ad Helia, li pregò di concederle la forza per poter finalmente accettare la loro scomparsa. Per cinque mesi non aveva rimesso piede su Linphea; per cinque mesi non era tornata a casa; per cinque mesi non aveva avuto il coraggio di rivedere quei luoghi tanto amati; per cinque mesi aveva nascosto la verità ai suoi amici senza rendersi conto che solo la loro presenza, solo il loro affetto potevano rimarginare quelle ferite apparentemente insanabili. Per cinque mesi Flora aveva fatto a meno delle sue amiche, ma in quel preciso momento, lì, davanti a quelle lapidi giurò che mai avrebbe commesso lo stesso sbaglio.
«Cara, posso concederti solo cinque minuti… non di più».
«Basteranno» replicò Bloom con un filo di voce.
Ofelia fece un leggero cenno di assenso con la testa, poi alzandosi dalla sedia accompagnò la ragazza alla porta della sezione dell’infermeria dedicata agli uomini. Dopo aver frugato per alcuni secondi nel taschino del suo camice bianco, estrasse una piccola chiave argentea con la quale aprì la serratura. La Custode della Fiamma del Drago entrò in punta di piedi nella stanza, mentre l’infermiera chiudeva l’anta alle sue spalle. Una volta rimasta sola, Bloom s’incamminò verso uno dei letti posti alla sua destra. La camera era immersa nell’oscurità, tutte le finestre erano chiuse e coperte dalle lunghe tende, i cui bordi lambivano il grigio pavimento. Soltanto una abatjour, posta su un lontano comodino, rischiarava un po’ l’ambiente. La Fata della Fiamma del Drago, facendo attenzione a non sgualcire troppo le coperte, si sedette sul bordo del materasso. Accavallò le gambe e, tenendo la testa bassa, si limitò ad osservare il ragazzo disteso accanto a sé, accarezzandogli di tanto in tanto il pallido viso e spostandogli alcune ciocche di capelli dagli occhi. La ragazza continuò a fissare l’amico per alcuni minuti, poi, ricordandosi che non aveva molto tempo a disposizione, si decise a fare ciò che doveva.
«Ehi… Brendon, come stai?» sibilò la Principessa di Domino.
Come era prevedibile, a quella domanda non vi fu alcuna risposta. La rossa, allora, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, riprese a parlare:
«Sai… dall’ultima volta che sono venuta a trovarti, sono successe tante cose. Aisha e Elizabeth si sono finalmente riappacificate. In realtà non è stato affatto semplice, ma grazie all’impegno delle altre Winx e dei ragazzi, le divergenze tra le due sono state risolte. Adesso, il gruppo è più unito che mai e sembra che nulla possa fermarci. Musa e Selina si sono ormai ristabilite e tre giorni fa hanno lasciato l’infermeria di Fonterossa. Credo che la più contenta della loro guarigione, sia stata Ofelia: non riusciva più a tollerare il continuo via vai di noi Winx e, soprattutto, era esasperata dalle infinite lamentele di quella strega dai capelli verdi. Anche le condizioni di salute di Faragonda sono migliorate, tuttavia dovrà restare sotto osservazione per un altro po’ di tempo. Fortuna che c’è Elizabeth a tenerle compagnia. Ormai ci siamo lasciati il peggio alle spalle; tutto sembra andare per il meglio anche se…»
La Principessa di Domino s’interruppe bruscamente, mentre i suoi occhioni blu iniziavano a gonfiarsi di lacrime. Era indecisa, non sapeva se continuare a raccontare al suo amico cos’altro fosse accaduto in quel breve lasso di tempo. Aveva paura che il metterlo al corrente di determinati fatti avrebbe potuto condizionare negativamente quella sua degenza già così difficile. Non voleva addossare a Brendon il peso di quelle responsabilità, delle sue responsabilità. Purtroppo, però, quel peso la stava schiacciando; sentiva il disperato bisogno di parlarne con qualcuno, di confidarsi, di… di mettere a nudo il proprio animo. Di conseguenza, soffocando le lacrime e il dolore, si rivolse per una seconda volta all’amico:
«Anche se tra noi c’è ancora chi soffre. Non più di una settimana fa abbiamo saputo che i genitori di Flora e sua sorella erano stati assassinati in circostanze sconosciute agli inizi di settembre. Questa notizia ci ha devastato, non potevamo credere che lei e Helia ci avessero nascosto una simile disgrazia. Per cinque mesi hanno tenuto il segreto, soffrendo e consolandosi a vicenda. Non oso immaginare quanto sia stato difficile per loro… quanto sia stato straziante per Flora. Avremmo dovuto accorgercene, io avrei dovuto accorgermene. Sono la sua compagna di stanza, nell’ultimo periodo l’assillavo ogni sera con i miei problemi: mi lamentavo delle mie responsabilità come Custode della Fiamma del Drago; mi lamentavo di Sky e delle sue continue ramanzine; mi lamentavo di te e dei tuoi modi odiosi. Lei mi ascoltava, mi comprendeva, mi aiutava… aveva sempre un saggio consiglio da mettere in pratica o una buona parola per chiunque. Quando ho saputo cosa fosse accaduto a Rodols, Alyssa e Miele, mi sono sentita una stupida… una fallita che non riesce a vedere oltre la punta del proprio naso. Nonostante abbia delle abilità empatiche, ero così concentrata su me stessa che non sono riuscita a percepire il disagio di Flora. Non me lo perdonerà mai… non mi perdonerò mai l’essere stata così stupida».
Bloom prese la gelida mano dell’amico e, massaggiandone delicatamente il dorso, ormai vittima delle lacrime piagnucolò:
«Brendon, ho bisogno del tuo aiuto. Non so a chi altri rivolgermi: Flora soffre ancora per la morte della sua famiglia; Sky ha gli allenamenti e, come se non bastasse, è ancora arrabbiato con me; le altre Winx sono prese da altro. Ho bisogno di qualcuno con cui parlare, di qualcuno che mi ascolti, di qualcuno che capisca e mi aiuti. So che può sembrare egoista da parte mia, ma devi svegliarti… devi aprire gli occhi e tornare indietro. Noi abbiamo bisogno di te, io ho bisogno di te, dei tuoi consigli, delle tue offese… io ho bisogno della tua presenza. Per favore Brendon, torna da me».
A quel punto la rossa si accasciò in avanti e, poggiandosi sul petto del ragazzo, scoppiò a piangere. Trascorsero alcuni secondi di assoluto silenzio finché un borbottio, quasi un rantolo di sofferenza non coprì i singhiozzi della Principessa di Domino.
«Possibile che tu non ne combini mai una giusta?»
La testa di Bloom si alzò di scatto, mentre tutta la sua attenzione si concentrò su quegli occhi neri così profondi e inespressivi. I loro sguardi s’incrociarono per una frazione di secondo, poi, realizzato cosa stesse accadendo, la Principessa di Domino, tirando a sé l’amico in un tenero abbraccio, gridò con gioia:
«Ti sei svegliato! Finalmente ti sei svegliato! Ofelia, Ofelia corri… presto vieni qui, Brendon si è sve…mmm».
Il ragazzo, stizzito da quelle urla isteriche e liberatosi dalla micidiale morsa della rossa, le aveva appena tappato la bocca con una mano per impedirle di parlare.
«Stammi bene a sentire, razza di sciroccata. Ho la testa che mi scoppia, braccia e gambe intorpidite, come se non bastasse mi fischiano anche le orecchie. Smettila di starnazzare come un’anatra e di avvinghiarti a me come una piovra; altrimenti giuro che ti faccio volare dalla finestra, intesi?».
La Fata della Fiamma del Drago, impossibilitata a rispondere alcunché, si limitò a fare “si” con la testa per un paio di volte. Solo allora Brendon rimosse la sua mano dalla bocca della ragazza e, sbuffando distrattamente, si lasciò cadere all’indietro sul materasso. Tuttavia il ragazzo non ebbe neanche il tempo di poggiare nuovamente la testa sul cuscino che Bloom gli diede uno schiaffo, il cui eco si diffuse per tutta la stanza.
«Ma… ma sei impazzita?!» balbettò Brendon, non riuscendo a capire il motivo di quel gesto.
«Perché non mi hai detto che quel liquido nero conteneva l’essenza di Belial?!» ringhiò l’altra mettendosi a cavalcioni su di lui.
«Se l’avessi saputo, non l’avresti mai usato. Non potevamo…» cercò di giustificarsi l’altro, ma Bloom lo colpì nuovamente.
«Perché mi hai tenuto nascosto il fatto che, la sera del mio compleanno, sei stato attaccato da un nostro vecchio nemico?!»
«Non volevo che vi preoccupaste inutilmente e che…» replicò il ragazzo, ma per una seconda volta fu interrotto dall’amica che, singhiozzando come una bambina, lo prese a pugni sul petto.
«Perché nella Sala del Flusso Interrotto ha liberato Belial?! Perché hai preferito lasciarti andare senza pensare alle conseguenze?! Sei rimasto in coma per quasi un mese, mi hai spaventato a morte… credevo di averti perso. Non provare mai più a fare una sciocchezza del genere, mai più!»
Brendon rimase in silenzio ad osservare la ragazza che, piangendo come una fontana, lo colpiva sul torace. Era la prima volta che qualcuno si preoccupava tanto per lui, che qualcuno temesse per la sua vita. Elizabeth e Max, consapevoli delle sue capacità, non si erano mai curati di lui. Certo gli volevano bene, un mondo di bene, ma erano ben lontani dall’essere in apprensione. Ai loro occhi Brendon era invincibile, niente e nessuno avrebbero potuto fargli del male. Eppure, nonostante la Fata della Fiamma del Drago sapesse di cosa fosse capace il suo amico, si era preoccupata per lui, stava addirittura piangendo per lui. Il ragazzo, senza stringere forte, le bloccò i polsi, poi, guardandola negli occhi, le sorrise. Bloom incrociò il suo sguardo e, tirando su con il naso, si spinse in avanti poggiando nuovamente la testa sul petto dell’amico. Quest’ultimo le liberò le mani e, stringendo le braccia intorno alla sua vita, le sussurrò con dolcezza:
«D’accordo. Ti prometto che starò più attento».
I due rimasero legati in quello strano abbraccio per alcuni secondi, poi la porta dell’infermeria si spalancò all’improvviso.
«Bloom, mi dispiace. Il tempo per le visite e finito devi…»
Ofelia non riuscì neanche a terminare la frase che, avendo frainteso il significato della scena che si trovava dinanzi, lanciò un tale urlo da far rimbombare i vetri delle finestre. Subito dopo la donna recuperò uno sgabello di metallo e, avventandosi contro Brendon, gridò:
«Razza di pervertito, lascia immediatamente quella povera ragazza!»
La Principessa di Domino si separò dal suo amico e, ponendosi tra questi e l’infermiera di Alfea, le disse con voce concitata:
«Ferma, Ofelia! Non mi stava facendo nulla di male».
La donna si arrestò immediatamente e, tenendo ancora lo sgabello pericolosamente sollevato sopra la sua testa, con fare inquisitorio le chiese:
«Sei sicura?!»
«Si, sono sicura. Brendon non mi farebbe mai del male» replicò, divertita, la rossa, mentre tornava a sedersi accanto al suo amico.
«È sempre un piacere rivederti, Ofelia» sospirò sarcasticamente Brendon facendole un saluto con un gesto della mano.
A quel punto l’infermiera di Alfea si convinse della cosa e, una volta messa da parte quella sua pericolosa “arma”, si lasciò cadere su uno dei tanti letti. Fissò intensamente i due ragazzi per alcuni secondi, poi, quasi avesse avuto una specie d’illuminazione, scattò in piedi ed esclamò:
«Un momento… Brendon è sveglio! Come, quando… è successo?!»
Bloom, vedendo l’espressione sconvolta della donna, trattenne a stento una risata, mentre il ragazzo scosse rassegnatamente il capo. Una volta che Ofelia sembrò aver “digerito” la notizia, l’altra cercò di raccontarle che cosa fosse accaduto in quei cinque minuti. Nonostante la scarsa quantità di dettagli e le misere ipotesi, avanzate dalla rossa, l’infermiera di Alfea sembrò essere soddisfatta di quella singolare spiegazione e, dopo aver rapidamente controllato le particolari condizioni di salute di Brendon, si congedò lasciando la stanza.
«Strano. Di solito non è così arrendevole» commentò Brendon massaggiandosi il mento con fare pensieroso.
«Evidentemente le risulti così antipatico che, pur di non vederti, ha preferito andarsene» constatò, ironicamente, la Fata della Fiamma del Drago.
«Probabile» sospirò l’atro facendo spallucce.
Bloom, non riuscendo più a trattenersi, scoppiò a ridere e, per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, riuscì a strappare un sorriso anche al suo amico. Sorriso che ben presto si trasformò, però, in un broncio rattristato.
«Senti…» biascicò Brendon chinando la testa «Per quanto, per quanto tempo…»
«Tre settimane. Hai “dormito” per quasi tre settimane» lo anticipò la Principessa di Domino.
«Capisco…».
La rossa gli strinse la mano, poi, quasi sentisse una voce nella sua testa che la invogliasse a farlo, gli diede un bacio sulla guancia. L’amico, del tutto impreparato a quel gesto, rimase immobile, pietrificato per l’emozione e l’imbarazzo. Allo stesso modo Bloom arrossì: il cuore le batteva forte, mentre la testa le diventava sempre più leggera. Consapevole di essersi spinta un po’ troppo oltre, si ritrasse subito e al fine di superare la tensione venutasi a creare, farfugliò alcune parole:
«Dai, non… non fare così. Tu… tu non hai alcuna colpa».
«Davvero, Bloom» sbottò, improvvisamente, l’altro «Davvero pensi che non sia il responsabile di tutto quello che è successo?»
«Un momento, tu… tu…» biascicò la ragazza, ma Brendon la interruppe bruscamente:
«Io so tutto. Credevi forse che il mio “essere incosciente” mi isolasse dal mondo esterno? Bloom, io non sono un normale essere umano, non lo sono più da tempo. Nonostante le mie condizioni suggerissero il contrario, ero pienamente cosciente di ciò che accadeva intorno a me. Nonostante non potessi muovermi, parlare o aprire gli occhi, sentivo le vostre voci, i vostri lamenti, le vostre accuse. Non sei l’unica ad essermi venuta a trovare in questo periodo. Max, Elizabeth, Selina e perfino Stella, ognuno di loro è venuto qui… è venuto a raccontarmi una parte della storia. Visita dopo visita, ho rimesso insieme i pezzi e, sebbene non sapessi quando una determinata cosa avesse avuto luogo, mi si è delineato il quadro della situazione. Una situazione creata dalla mia stupidità».
«Non è come pensi, non è colpa tua» mormorò la rossa avendo capito a cosa stesse alludendo l’amico.
«Invece è proprio come penso» replicò tranquillamente l’altro assumendo un atteggiamento rilassato «Sky e Aisha avevano pienamente ragione: dovrei essere rispedito nella mia dimensione a calci. Liberando Belial, ho messo tutti in pericolo. Ho esposto te, Selina, Max e Elizabeth ad un qualcosa più grande di voi, più grande di me. Non potrò mai perdonarmi per ciò che ho fatto in quella stanza. È vero: Acheron era malvagio, ma, conoscendo bene il “modo di fare” di Belial, nessuno meriterebbe quella fine, nemmeno lui. All’interno della Sala del Flusso Interrotto ho mostrato il mio lato peggiore, la mia vera natura… ho rivelato il mostro che porto dentro di me, il mostro che definisce cosa sono».
Per tutto quel tempo la Fata della Fiamma del Drago non proferì parola. Non se la sentiva di interrompere il suo amico, non se la sentiva di impedirgli di aprirsi a quel modo con qualcun altro. Per la prima volta dopo anni di silenzio e autoisolamento, Brendon stava “mettendo a nudo” il proprio animo, la propria coscienza. Sebbene la Principessa di Domino fosse stata in grado di percepire i sentimenti del ragazzo già all’interno della Sala del Flusso Interrotto, il sentire con le proprie orecchie quelle parole le fece provare delle intense emozioni. Ai suoi occhi Brendon le era apparso sempre forte, indipendente e imperscrutabile; di conseguenza vederlo in quelle condizioni, vederlo così fragile e vulnerabile come un qualsiasi essere umano, la turbava nel profondo.
«Sbagli ad addossarti tutte le responsabilità».
«Bloom, ti prego non…» cercò di replicare il giovane, ma l’altra lo interruppe immediatamente:
«È vero, hai liberato Belial, ma l’hai fatto per proteggerci. Volevi salvare Selina dalle grinfie di Acheron, lo so bene… Lockette e le altre Pixies me l’hanno ripetuto non so quante volte. Se non fosse stato per il tuo intervento, non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere. Tu, ci hai salvato… è questa l’unica cosa che conta».
«Non mi sembra che anche gli altri siano dello stesso parere» sibilò il Brendon abbozzando un sorriso.
«Non tutti reagiamo allo stesso modo: ognuno ha bisogno dei suoi tempi» puntualizzò la rossa con fare vago.
«Anche Sky?» le domandò, maliziosamente, il ragazzo.
«Anche… Sky» sibilò l’altra tendendo lo sguardo basso e mordendosi un labbro.
Brendon indugiò a lungo sull’esile e slanciata figura della sua amica. Aveva esagerato, sapeva di aver azzardato troppo. Pur di evitare che si continuasse a discutere del suo stato d’animo, aveva preferito “colpire” nel punto dove faceva più male. Aveva riaperto una ferita non ancora del tutto rimarginata, senza pensare alle conseguenze. Conseguenze di cui si era però ben presto reso conto. Si sentiva un inutile vigliacco, un egoista troppo preoccupato di se stesso e dei suoi problemi per poter comprendere la sofferenza altrui. Aveva appena “offeso” una delle poche persone che gli avevano dimostrato fin da subito affetto e simpatia. Lei era lì, dinanzi a lui. Il capo chino e gli occhi pieni di lacrime. Si era ammutolita e, continuando a tenergli la mano, aveva iniziato a singhiozzare.
«Bloom, mi dispiace… non volevo» si scusò il ragazzo dai capelli neri.
«Non preoccuparti. Dopotutto hai ragione» sibilò l’altra rialzando la testa e asciugandosi gli angoli degli occhi «Adesso però devo andare, si è fatto tardi».
La rossa fece per alzarsi dal materasso, ma il braccio di Brendon la tirò nuovamente giù. La Principessa di Domino si voltò nuovamente verso l’amico. I suoi grandi occhi blu erano ormai irriconoscibili a causa del gonfiore e dell’eccessivo apporto di sangue. Brendon lasciò la presa sul polso della ragazza e, dopo aver lentamente sollevato la sua mano in aria, le accarezzò la guancia. Bloom fu pietrifica da quel gesto d’affetto che mai si sarebbe aspettata. Nonostante ciò, quel tocco, sebbene fosse freddo, quasi glaciale, le risultava delicato e gradevole. Dal palmo di Brendon s’irradiò un’insolita sensazione di calore che, passando attraverso le gote della Principessa di Domino, si diffuse in tutto il suo corpo cingendolo in una sorta di abbraccio.
«Ascolta…» sibilò, improvvisamente, il ragazzo dai capelli neri «Tu sai meglio di chiunque altro quanto Sky ti ami. Certo, a volte sa essere irascibile o presuntuoso, troppo presuntuoso; ma è anche per questi suoi difetti che ti sei innamorata di lui, dico bene? Dopotutto in quanto a testardaggine e orgoglio siete molto simili».
«Beh… …ecco… …forse, forse…» farfugliò la Fata della Fiamma del Drago in preda all’imbarazzo.
«La verità è che in tutta la mia vita non ho mai conosciuto nessuno come te e Sky. Il modo in cui ti guarda, ti ascolta, ti parla… riflette l’immenso amore che prova nei tuoi confronti. Non lasciare che delle piccole incomprensioni mettano in crisi il vostro rapporto; non lasciare che la mia amicizia vi sia d’intralcio. Vogliatevi bene e abbiate fiducia l’uno per l’altra: solo così sarete in grado di superare le avversità sul vostro cammino».
Bloom gli rivolse un luminoso sorriso, un sorriso capace d’intenerire anche il più duro degli uomini; poi, sistemandosi nuovamente accanto a Brendon, esclamò dolcemente:
«Sai, penso di avere ancora un po’ di tempo: di cosa vogliamo parlare?»
Thoren chiuse lentamente la porta della camera di sua moglie, al fine di non fare troppo rumore. Era distrutto, non vedeva l’ora di potersi stendere sul suo comodo letto e di addormentarsi. S’incamminò lungo il corridoio del quarto piano di Fonterossa, determinato a raggiungere quanto prima il proprio alloggio. Tuttavia, una volta girato l’angolo, il Paladino, poiché distratto, si scontrò con qualcosa, anzi… con qualcuno.
«Mi scusi Professor Avalon. Spero non si sia fatto male» esclamò il ragazzo, mentre si massaggiava la fronte indolenzita.
«Non è nulla, Thoren. Non preoccuparti» replicò l’insegnate con voce dolce.
Il marito di Daphne, allora, fece un piccolo cenno con il capo, superando poi il suo interlocutore, riprese a camminare o almeno ci provò. Avalon, infatti, aveva inspiegabilmente afferrato il suo braccio destro, costringendolo a rimanere sul posto.
«Professore, cosa… cosa vuole da...» balbettò, confuso, Thoren, ma l’insegnante di Percezione Cognitiva lo interruppe bruscamente.
«Dobbiamo parlare!»
Il giovane Paladino osservò per alcuni secondi il viso del professor Avalon. Sebbene non lo conoscesse bene come le Winx e il resto dei suoi compagni di squadra, non l’aveva mai visto così teso e preoccupato. Sembrava quasi che avesse paura, un’inspiegabile paura dettata dalla natura di ciò che stava per dire.
«Ti prego, seguimi».
Thoren fece un semplice cenno d’assenso e, una volta che il suo braccio fu libero, s’incamminò con l’insegnate lungo uno stretto corridoio laterale. Durante il tragitto i due non proferirono parola: Avalon camminava davanti con passo spedito, mentre l’altro lo seguiva in silenzio. Impiegarono circa tre minuti a raggiungere la loro destinazione: una piccola aula ubicata nell’anello più basso del corpo centrale di Fonterossa. Dopo aver aperto la porta, il professore invitò il ragazzo ad entrare; poi, assicuratosi che non vi fosse nessun’altro nei paraggi, richiuse l’anta alle sue spalle. L’interno della camera era angusto e poco illuminato. Le pareti erano scrostate in più punti, mentre il pavimento era ricoperto da crepe e macchie. Non vi era nulla al di fuori di due comode poltroncine in pelle, poste in quello strano luogo dallo stesso Avalon per l’occasione. Quest’ultimo fece apparire tra le sue mani una sfera luminosa e, lanciatala verso l’alto, la posizionò al centro della stanza in modo tale da rischiarare l’ambiente. Fatto ciò prese posto su una delle poltroncine, indicando a Thoren l’altra. Il Paladino si accomodò a sua volta e, scrutando l’espressione austera del suo interlocutore, gli domandò leggermente accigliato:
«Perché mi ha portato qui? Cosa significa tutta questa segretezza?»
«Te l’ho detto: dobbiamo parlare» replicò tranquillamente Avalon accavallando le gambe.
«Di cosa?» sbottò il marito di Daphne, ormai vittima del nervosismo e della stanchezza.
«Del tuo sogno ricorrente»
Thoren rimase con la bocca spalancata: non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere, non in quel momento. Il giovane, infatti, aveva completamente rimosso di aver parlato con Avalon di quel suo problema. Per di più in quegli ultimi giorni, aveva dormito così poco che il numero delle visioni si era sensibilmente ridotto. Deglutì preoccupato e, stringendo più che poté i braccioli della poltrona, iniziò a sudare freddo. L’insegnate di percezione cognitiva gli aveva detto che quei suoi sogni erano per l’appunto dei semplici sogni, niente di più. Gli aveva assicurato che non ci fosse nulla da preoccuparsi e che ben presto sarebbero finiti. Lui gli aveva creduto, si era fidato della preparazione e della bravura di Avalon. Aveva smesso di preoccuparsi e, facendo tesoro di quelle rassicuranti parole, stava pian piano cercando di ritrovare la sua tranquillità. All’improvviso, però, come un fulmine a ciel sereno, tutto era cambiato, tutto andava messo nuovamente in discussione.
«P-p-pensavo c-c-che q-q-quelle… quelle visioni non avessero alcun significato» balbettò, terrorizzato, il giovane.
«Perdonami, non era mi intenzione mentirti… non potevo sapere» biascicò l’uomo con tono rassegnato.
«Sapere, cosa?» esclamò furente Thoren allargando le braccia e battendo i piedi per terra.
«Che voi fosse a conoscenza di tutto, a conoscenza di Cassiopea» sibilò l’altro assottigliando lo sguardo.
Il marito di Daphne non riuscì a comprendere appieno il significato di quella risposta e le sue possibili implicazioni. Di conseguenza, lasciandosi sprofondare nella poltroncina, disse con un filo di voce:
«La prego sia più chiaro, perché non ci sto capendo nulla».
«D’accordo! Facciamo in questo modo allora…»
A quel punto Avalon si protrasse in avanti e, senza neanche dare al ragazzo il tempo di capire cosa stesse accadendo, posizionò sulla fronte di questo due dita. In quello stesso istante gli occhi di Thoren divennero completamente bianchi, mentre la sua testa ricadde all’indietro. Il Paladino si ritrovò in uno sconfinato spazio vuoto, avvolto dall’oscurità. Il luogo era molto simile a quello che gli appariva durante le visioni; tuttavia non vi era traccia né delle sfere luminose né del minaccioso globo oscuro. Si guardò intorno al fine di capire dove fosse finito; poi, dopo aver percepito una mano che si posava sulla sua spalla sinistra, si voltò di scatto vedendo il professor Avalon accanto a sé.
«Dove mi ha portato?» gli chiese Thoren, mentre continuava a muovere gli occhi in tutte le possibili direzioni.
«Ci troviamo ad Aarin Ti Aye, ovvero il “centro del mondo”» rispose l’umo con tranquillità.
«Mi spiace, ma continuo a non capire» replicò il giovane «Perché siamo venuti in questo posto e, soprattutto, cosa centra con il mio sogno o con Cassiopea?»
Avalon sorrise dolcemente e, dopo aver schioccato le dita, fece apparire tra le sue mani una catenina d’oro avente un ciondolo di cristallo azzurro a forma di goccia. Il marito di Daphne osservò con curiosità quell’oggetto, domandandosi a cosa potesse servire.
«Questo è il Ciondolo della Vita» spiegò il professore indicando il monile «Fu creato dalle Tre Fate Eteree tantissimi secoli fa ed in seguito regalato ad un uomo».
«A chi?!»
«Al Generale Galdor… l’artefice della nascita della nostra Cassiopea».
Per una seconda volta il marito di Daphne non riuscì a far altro che boccheggiare come un pesce. L’affermazione di Avalon l’aveva scombussolato nel profondo, portandolo a mettere in discussione le poche certezze che credeva di avere. Le rivelazioni di Arcadia sulla vera origine della Dimensione Magica avevano già fatto crollare, come un castello di carte, il suo mondo. Tuttavia, sebbene la visione d’insieme dell’universo magico si fosse drasticamente complicata, il tutto continuava ad essere in accordo con determinate leggi fondamentali. Quest’ultime, però, sembravano essere totalmente contraddette dalle parole del professore. Drago e Fenice avevano creato la vita nella dimensione di oscurità dominata da Ksendras: Bloom non poteva essere stata ingannata anche su questo. Dopotutto, qualora Avalon avesse avuto ragione, gli stessi Custodi, il medaglione, le quattro scintille e la Fiamma del Drago non avrebbero avuto alcuna ragione di esistere… o almeno questo era quello che ipotizzava il ragazzo. Il Paladino, infatti, non era in grado di trovare una spiegazione che conferisse un senso logico a tutta quella storia.
«Comprendo i tuoi dubbi e la tua confusione, Thoren» intervenne improvvisamente l’insegnante di Alfea «Adesso ti spiegherò ogni cosa, ti prego solo di non interrompermi e di prestare la massima attenzione».
«D’accordo» esclamò l’altro facendo appello a quel po’ di concentrazione che gli era rimasto.
A quel punto l’uomo strinse nel pugno destro il Ciondolo della Vita e, dopo esserselo portato all’altezza del cuore, iniziò il suo racconto:
«Bene… come ti dicevo prima, questo è Aarin Ti Aye, o meglio una sua proiezione al di fuori del tempo e dello spazio. “Il Centro del Mondo”, infatti, non esiste più da miliardi di anni ormai, ma credo che questo ti sia stato chiaro fin da subito. Dopotutto hai assistito numerose volte alla sua distruzione, non è vero? L’hai visto, l’hai visto in quelle visioni che tormentavano i tuoi sogni. Thoren, tu… tu sei stato spettatore inconsapevole di uno dei più grandi e affascinanti misteri dell’universo magico. Tu hai osservato la nascita di Cassiopea, hai avuto modo di vedere l’operato del Drago e della Fenice: un privilegio concesso soltanto a pochi eletti».
«No, si sbaglia! Tutto ciò che ho visto erano delle sfere luminose» mugugnò il marito di Daphne, incrociando le braccia.
«Ne sei sicuro?» sibilò l’uomo abbozzando un sorrisetto malizioso «Perché non osservi con più attenzione, sono sicuro che rimarrai sorpreso».
In quello stesso istante sulle loro teste si aprì una specie di crepa, uno squarcio dal quale fuoriuscirono lampi, fiamme e degli strani vapori colorati. Piano piano questi ultimi si concentrarono in un unico punto, assumendo la forma di un drago rosso dalle sfumature dorate e di una fenice blu scuro dai riflessi argentei. Subito dopo comparve una gigantesca astronave nera dalla forma alquanto singolare. Questa, infatti, era dotata di tre moduli sottili e ruotanti che si avvolgevano intorno ad un centro comune lungo più di un chilometro. La nave spaziale era illuminata da un’infinità di luci esterne che la rendevano molto simile ad una città fluttuante. Sotto lo sguardo attonito di Thoren, le due entità si posizionarono dinanzi l’astronave. Sembrava fossero in attesa di un comando, di un ordine che dicesse loro cosa fare. Trascorsero alcuni secondi che al giovane Paladino sembrarono un’eternità, poi dalla parte anteriore del veicolo partì un raggio di energia dorato, che si perse nell’infinità di quel luogo. Drago e Fenice, allora, si mossero in direzioni opposte e, dando libero sfogo ai loro poteri, diedero il via alla creazione di Cassiopea.
«Cosa ti dicevo: non è magnifico?» cinguettò Avalon con una nota di soddisfazione nella voce.
«Cos’è quella?! Cos’è quella nave?!» esclamò il ragazzo senza curarsi minimamente dello spettacolo al quale stava assistendo.
L’insegnante di Percezione Cognitiva posò il proprio sguardo sull’astronave e, indugiando a lungo su quell’eccentrica figura elicoidale, si lasciò trasportare dal flusso dei propri pensieri e dei propri ricordi. Soltanto quando Thoren richiamò la sua attenzione, si ridestò dalla trance, in cui era caduto, e riprese a parlare:
«Quella è la nave spaziale Estele, capitanata dal Generale Galdor. Fu proprio lui a condurre il Drago e la Fenice qui, all’ Aarin Ti Aye e a spingerli a creare quella che un tempo era conosciuta come Cassiopea. Vedi, Galdor giunse in questo posto da molto lontano, grazie all’aiuto delle Tre Fate Eteree che lo guidarono attraverso il tempo e lo spazio. Il Generale non era però solo: al suo seguito vi erano quasi cinquemila tra donne, uomini e bambini. L’Estele aveva rappresentato la loro unica speranza di salvezza, la loro unica speranza di raggiungere una nuova casa».
«Un momento» lo interruppe il giovane Paladino scuotendo la testa «Se queste persone hanno assistito alla nascita di Cassiopea, allora significa che l’esistenza stessa della vita è indipendente dall’operato di Drago e Fenice».
«In parte è così, ma le cose non sono mai semplici come sembrano».
«In che senso?»
«Cassiopea è una creazione delle due Entità, ma ciò che veniva prima gli è tutt’ora estraneo» fu la secca risposta dell’uomo.
La confusione di Thoren, però, aumentava sempre di più. Non riusciva a capire il perché Avalon gli avesse detto quelle cose; non riusciva a capire perché aveva visioni riguardanti la nascita di Cassiopea; non riusciva a capire il ruolo di Galdor, del Drago e della Fenice in tutta quella storia. Il professore, intuendo lo smarrimento e la frustrazione del ragazzo, gli sorrise e, abbandonando per la prima volta quel tono mistificatorio che tanto gli piaceva, disse:
«Thoren perdona il mio modo di fare, ma è più forte di me. Tuttavia credo che sia arrivato il momento di essere diretti e di non perderci in inutili giri di parole. Dopotutto la salvezza del nostro universo dipende anche da questo».
Il marito di Daphne si limitò ad un timido cenno del capo, mentre l’altro continuava il suo racconto.
«La creazione di Cassiopea risale a circa mille miliardi di anni prima dell’Anno della Luce. Il Generale Galdor, un uomo proveniente dall’Orlo Esterno, raggiunse l’Aarin Ti Aye e con l’aiuto delle Tre Fate Eteree sprigionò il potere del Drago e della Fenice. Le due Entità iniziarono la loro opera di creazione sotto la guida del comandante. Tuttavia dar vita ad un nuovo universo o meglio ad una nuova parte di esso richiede, oltre ad un enorme quantità di energia, un’infinità di tempo. Di conseguenza le Fate Eteree donarono a Galdor il più potente e antico artefatto magico mai esistito: il Ciondolo della Vita, un oggetto che imbriglia l’essenza vitale e ne perpetua l’esistenza. Grazie ad esso il Generale fu in grado di sovrintendere all’operato del Drago e della Fenice fino a quando non comparvero le prime forme di vita. Successivamente il Comandante e la maggior parte dei discendenti dei suoi vecchi compagni di viaggio si stabilirono tra gli uomini formando le civiltà più antiche del nostro universo. Fino ad allora, infatti, avevano vissuto su Fallat, Orex e Rot: i tre pianeti sacri… i primi pianeti ad essere creati, i pianeti che incarnano il potere e l’essenza delle Fate Eteree. In particolare il Generale si trasferì sulla Terra e lì conobbe una donna, originaria del luogo, dalla quale ebbe due figli: Amdir, il primo Paladino che Cassiopea abbia mai avuto, e Sybilla, la prima fata a spiegare le proprie ali».
«Sybilla?! La Fata Maggiore della Giustizia, quella Sybilla?!» starnazzò il marito di Daphne, portandosi le mani alle tempie e massaggiandosele per il troppo sforzo.
«Proprio lei» cinguettò, allegramente, Avalon facendo l’occhiolino «Sybilla è la figlia di Galdor e come tale è una discendente diretta di tutte quelle persone che giunsero all’Aarin Ti Aye con l’Estele; è una discendente del cosiddetto Popolo di Galdor».
Nonostante le parole dell’uomo non fossero mai state così chiare e comprensibili, Thoren continuava a non capirci nulla. Per quanto si sforzasse di dare un senso a tutte quelle informazioni, non riusciva a credere al racconto del professore. In particolare si chiedeva come fosse stato possibile che Arcadia avesse avuto il coraggio e la sfrontatezza di omettere tali informazioni nel suo colloquio con Bloom. Per di più non riusciva ancora capacitarsi del perché i suoi incubi fossero collegati alla creazione di Cassiopea. Infine, una domanda in particolare… una sola misera domanda tormentava i suoi pensieri impedendogli di riflettere lucidamente.
«Professore, c’è una cosa che proprio non mi è chiara» esclamò il ragazzo portandosi con fare meditabondo l’indice e il pollice al mento «Lei come fa a sapere queste cose? Chi le ha raccontato questa storia?»
L’insegnante di Alfea si strinse nelle spalle, mentre sul suo viso comparve una vena di tristezza. Il giovane Paladino, però, sembrò non accorgersi del disagio provato dal suo interlocutore. Di conseguenza rimase in attesa di una qualche risposta. Intanto il ricordo della nascita di Cassiopea continuava a svolgersi: stelle e pianeti erano creati o distrutti a seconda dei movimenti del Drago e della Fenice. L’Estele, invece, manteneva la sua posizione e osservava l’operato delle due Entità. Trascorsero alcuni istanti, poi Avalon, dopo aver preso un profondo respiro, si rivolse nuovamente al ragazzo con tono imbarazzato:
«Beh… ecco… diverso tempo fa il mio maestro e mentore mi rivelò questa incredibile storia. Si chiamava Atanvar e, proprio come Sybilla, Amdir e gli altri, era un lontano discendente del Popolo di Galdor. Lui mi ha insegnato tutto ciò che so, tutto ciò che è necessario per sopravvivere. Vedi… Atanvar era un grande mago e la sua forza così come la sua bontà d’animo erano conosciute in tutta Cassiopea. Era davvero…»
«Aspetti un secondo!» lo interruppe improvvisamente il marito di Daphne facendo dei gesti incomprensibili con le braccia pur di ricevere attenzione «Cassiopea?! Ma… ma questo è impossibile a meno che…»
«A meno che Atanvar non avesse con sé il Ciondolo della Vita» concluse il professore abbozzando un sorriso beffardo.
«Doveva essere molto vecchio, allora» osservò Thoren iniziando finalmente a comprendere un qualcosa di quel discorso.
«Non così tanto» sospirò l’altro trattenendo con difficoltà le lacrime «Aveva solo 177 anni, quando fu brutalmente assassinato».
«Assassinato?! Da chi?» starnazzò il giovane, mentre un fremito di inspiegabile rabbia gli correva lungo la schiena.
Il professore non rispose nell’immediato: rivangare il passato, quei tragici avvenimenti non era affatto semplice. Il ricordo del dolore e della disperazione era ancora impresso nella sua memoria. Per anni aveva evitato di richiamare alla mente quelle immagini così strazianti. Si era ripromesso che per la sua e, conseguentemente, l’altrui sicurezza nessuno sarebbe venuto a conoscenza di quella storia. Tuttavia ormai non era più possibile rimandare l’inevitabile: Thoren doveva sapere, era un suo diritto essere messo al corrente del suo passato… delle sue origini. Avalon schioccò improvvisamente le dita della mano destra, generando un’intensa e accecante luce bianca che avvolse lui e il suo interlocutore. Subito dopo i due si ritrovarono nuovamente all’interno della piccola stanza di Fonterossa, dalla quale sembravano non essersi mai allontanati. Il marito di Daphne, spaesato da quell’improvviso cambio di scenario, cercò di alzarsi dalla poltrona e di chiedere all’insegnante cosa fosse successo. Il professore di Percezione Cognitiva, però, lo fermò con un semplice gesto della mano; poi giungendo le mani all’altezza delle labbra, disse:
«Thoren… devi sapere che il Popolo di Galdor, in virtù delle proprie origini, ha sempre avuto un ruolo attivo nella salvaguardia del nostro universo. Con la comparsa di Ksendras e delle sue Legioni d’Ombra, numerosi discendenti del Generale affiancarono nel corso dei secoli i Custodi delle due Fiamme. Lo stesso Collegio di Linphea, la più antica tra le accademie magiche, fu fondato da Indil, lontano pronipote di Amdir, al fine di fornire un’istruzione adeguata ai superstiti della sua razza. Ovviamente, già prima della divisione di Cassiopea, solo poche persone erano a conoscenza delle gesta del Generale e della sua discendenza, che per millenni aveva vissuto tra gli umani. Tuttavia, in seguito alla nascita della Dimensione Magica, l’identità e la storia del Popolo di Galdor furono cancellati dalla memoria collettiva, nessuno escluso. Gli unici ad evitare il potere dell’incantesimo scagliato dai due Custodi, furono gli abitanti di Fallat, Orex e Rot, poiché posti sotto la protezione delle Tre Fate Eteree, e Atanvar grazie al potere del Ciondolo della Vita. Quest’ultimo gli fu donato circa cinquant’anni prima della divisione dallo stesso Indil, che lo nominò preside del Collegio di Linphea. Il mio maestro, inoltre, temendo per la sicurezza dei suoi “simili”, ormai privati del loro stesso passato, chiese alle Fate Eteree di cancellare le ultime tracce del Popolo di Galdor ancora presenti nella Dimensione Magica. In aggiunta, al fine di giustificarne l’esistenza e di non creare sospetti, consentì l’accesso alla sua scuola anche ai semplici umani. Purtroppo, nonostante i suoi sforzi, Atanvar non riuscì ad evitare il peggio…»
«C-c-cosa s-s-successe?» balbettò il cugino di Sky, ormai completamente rapito dal racconto dell’uomo.
«Nel lontano 1377 il Consiglio degli Anziani, andando ben oltre la propria autorità, ordinò al “Guanto della Giustizia”, un’organizzazione segreta e violenta facente parte dell’Ordine dei Templari, di sterminare il Popolo di Galdor. Nessuno fu risparmiato: donne, bambini e anziani furono incarcerati, processati e giustiziati senza conoscere neanche il motivo della loro colpa. In circa trent’anni più del 95% dei discendenti del Generale e dei suoi compagni fu spazzato via dalla furia di Arcadia e del suo braccio destro: il Capitano Maximus. Nessuno fu in grado di sfuggire a quella barbarie, nemmeno i miei genitori e se…»
«Anche lei… anche lei fa parte del Popolo di Galdor?!» lo interruppe il Paladino, scattando in piedi a causa della portata di quella rivelazione.
«Si» sentenziò il professore lapidariamente «Fu Atanvar a rivelarmelo, quando mi salvò da un’imboscata degli uomini del Guanto della Giustizia».
«Fu allora che lo conobbe?»
Il viso dell’uomo era un miscuglio di emozioni contrastanti: alla felicità del ricordo del suo amato mentore, infatti si mescolavano il dolore della perdita e la rabbia provata nei confronti del Consiglio degli Anziani. I suoi occhi erano pieni di lacrime, mentre le dita delle mani non la smettevano di ticchettare compulsivamente sui braccioli della poltrona. Per Avalon era una sofferenza il dover affrontare quel discorso, ma ormai non mancava molto… doveva compiere quell’ultimo sforzo affinché quel ragazzo così giovane ed inesperto comprendesse l’importanza del suo ruolo. Di conseguenza, alzandosi a sua volta dal proprio posto, si posizionò di fronte a Thoren e, guardandolo dritto negli occhi, esclamò con la voce carica di commozione:
«Sebbene abbia trascorso con lui non più di nove anni, ho fatto tesoro dei suoi insegnamenti e delle sue esperienze. Atanvar mi insegnò tutto ciò che sapeva, mi rivelò le mie origini… le origini del Popolo di Galdor. Vagammo insieme per la neonata Dimensione Magica alla ricerca di altri superstiti, ma il nostro viaggio fu vano. Il mio maestro, allora, si convinse che, oltre a quei pochi rimasti sui tre pianeti sacri, io e lui fossimo gli ultimi esponenti di una razza ormai estinta. Allo stesso modo, dopo la morte di Atanvar, credetti di essere solo, per sei lunghi secoli ho pensato di essere solo».
«Sei secoli?! Lei ha più di seicento anni?!» starnazzò il marito di Daphne, non riuscendo a capacitarsi di un dettaglio che gli sarebbe dovuto essere chiaro fin da subito.
«Te l’ho detto: questo oggetto è portentoso» replicò divertito l’insegnante di Alfea mostrando nuovamente il Ciondolo della Vita.
Il giovane Paladino sorrise a sua volta; poi, assumendo un’espressione seria, si rivolse con decisione ad Avalon. Doveva chiederglielo, doveva porgli quella domanda e dissipare una volta per tutte un dubbio sorto durante quel racconto.
«Professore…» bisbigliò il marito di Daphne «Questa storia, tutta questa storia cos’ha a che fare con me e con i miei incubi?»
«Io credo che tu l’abbia già capito» rispose l’altro porgendogli il Ciondolo della Vita.
Thoren, sebbene fosse ancora titubante, afferrò con la sua mano destra la gemma cristallina. Questa, non appena fu sfiorata dalle dita del ragazzo, iniziò a brillare di un’intensa luce azzurra.
«Atanvar si era sbagliato» sibilò, soddisfatto, Avalon «Il Popolo di Galdor non si è estinto e tu ne sei la prova, Thoren».
 
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Note dell’autore: Buondì a tutti!!! Eccoci arrivati anche al quarto capitolo. Dite la verità: ho esagerato con i colpi di scena XD. Io vi avevo avvisati: sebbene l’azione scarseggi in questa parte della storia, ho trovato un modo per tenervi con il fiato sospeso ahahahahahahah. Tralasciando la prima parte del capitolo, focalizzata sull’improvviso risveglio di Brendon e il suo colloquio con Bloom (ci torneremo più avanti su questo strano rapporto, ve lo giuro XD), passiamo ad Avalon e Thoren. Innanzitutto: lo so, è un accoppiamento stranissimo: questi sono due personaggi che nella serie originale non si sono mai visti, forse neanche si conoscono ahahahahahahah. Quindi vi starete sicuramente chiedendo: “per quale caspiterina di motivo ha deciso di creare un tale casino?”. La risposta a questa domanda è complessa, non impossibile… ma davvero, davvero difficile. Alloooora… io direi di andare con ordine in modo tale da capire che cosa diamine mi sta passando per la testa 😊. 1) Fin da subito ho adorato il personaggio di Thoren e, poiché nella settima serie è misteriosamente scomparso insieme a Daphne, ho deciso di affidargli questo “nuovo ruolo” che più avanti nelle note analizzeremo. 2) Avalon ha sempre ricoperto il ruolo di “guida spirituale” all’interno della serie, quindi ho deciso di trasformarlo nel mentore del giovane Paladino. In secondo luogo ho voluto giocare proprio sul ruolo del marito della futura Regina di Domino. Thoren, infatti, è un Paladino e sapete chi altri era chiamato Paladino nella seconda serie??? Si, esatto… proprio Avalon (adesso non so se lo chiamavano così perché era un Paladino come Thoren o Nex, oppure un’altra specie: io e MartiAntares abbiamo avuto un’accesa discussione su questa cosa ahahahahahahahahahaha). Anyway, giocando su questa “assonanza”, ho conferito al ruolo di Paladino della Dimensione Magica una nuova veste che risale, come avete letto, agli albori dell’universo magico. Piccolo spoiler: la forma da Paladino di Avalon, la ricordate??? Beh, non sarà più l’unico ad averla ^_^. 3) Questo penso sia il punto fondamentale… perché ho dovuto affiancare a Drago e Fenice una sorta di guida??? I motivi sono principalmente due: come sapete mal sopporto le cose che accadono senza motivo, quindi figuriamoci come potevo “digerire” l’idea che due esseri sbucassero fuori dal nulla e iniziassero a creare la vita così a caso; dovevo conferire un ruolo di spicco alle Tre Fate Eteree, un ruolo che sarà approfondito più in là nella serie e che sarà fondamentale per capire cosa ci sia oltre 😉. So di aver creato ulteriori dubbi con l’introduzione del Popolo di Galdor e tutto il resto della storia XD… mi dispiace dirvi però che per avere delle risposte dovrete attendere moooolto a lungo. Concludo dicendovi che sul Drive è stato caricato (nella sezione “Approfondimenti”) il file Word contenente la gerarchia della Dimensione Magica (ovviamente di questa fanfiction ahahahahahahah). Vi invito a leggerla perché viene spiegato il rapporto tra le Fate Eteree e il Consiglio degli Anzini (aspetto fondamentale d questa storia). Ho caricato anche la parte di cronistoria dedicata al passato di Atanvar e Avalon. Come sempre leggetela perché sono contenute informazioni preziose. Infine nella sezione “Immagini” troverete la foto dell’Estele (in realtà presa pari, pari dal film Passengers XD). Beh, penso di avervi detto tutto, come al solito scusate la lunghezza di queste note 😉. Spero di risentirvi al prossimo capitolo, un saluto e a presto 😊 😊 😊.
Yugi95
   
 
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