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Autore: Cici_Ce    14/02/2018    3 recensioni
Dopo la rinascita del Nemeton e la possessione da parte del Nogitsune, Stiles si scopre più turbato e ferito di quanto pensava di essere. Quando il branco scopre che ogni notte sogna una strana figura che cerca di affogarlo e che al mattino si sveglia completamente fradicio, Stiles decide che è il momento di risolvere qualsiasi trauma gli sia rimasto. Nota così che in tutti gli eventi importanti della sua vita, l'acqua è sempre presente. (Questa storia ha partecipato al Teen Wolf Big Bang Italia del 2014)
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Sceriffo Stilinsky, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2

What The Water Gave me - Florence and The Machine

 

 

Stiles aprì lentamente gli occhi ma subito li richiuse, strizzando forte le palpebre. C'era decisamente troppa luce. Si abbandonò contro il cuscino massaggiandosi il viso e non poté nascondere una smorfia quando la nebbia del sonno passò e si rese conto di essere fradicio. Di nuovo.

«Non è possibile» sbuffò quasi esasperato da quello che stava diventando, a tutti gli effetti, un problema di natura decisamente anormale.

«La tua reazione significa che svegliarti bagnato fino alle mutande è un'abitudine? Per caso la fai ancora nel letto?»

«Cazzo!»

Considerato il fatto che suo padre era al lavoro, Stiles non si aspettava certo che al suo risveglio ci fosse qualcuno. Di sicuro non Malia. A dirla tutta aveva decisamente troppe cose di cui preoccuparsi, il fatto che qualcuno si intrufolasse in camera sua durante la notte era l'ultimo dei suoi problemi. Per lo spavento si alzò di scatto a sedere, ma la crisi di panico lo aveva fatto finire al limitare del letto; cercò di sostenere la schiena portando indietro la mano che però non trovò un piano d'appoggio adeguato e il tutto si concluse con un bel tonfo sul pavimento. Stiles mugolò quando, nella caduta, picchiò il gomito contro lo spigolo del comodino e il nervo colpito gli spedì scintille di dolore dritte al cervello.

Mezzo steso sul pavimento, con una gamba ancora aggrovigliata nelle lenzuola, giurò di aver sentito Malia ridere ma quando si mise faticosamente in piedi lei lo fissava con la solita inespressività.

«È questo che ti insegna Scott? Come entrare in casa d'altri passando per le finestre?»

«Sono passata dalla porta. Era aperta.»

In effetti suo padre non chiudeva mai a chiave se usciva prima di lui. Non più, almeno. Stiles scosse mentalmente la testa. Tanto se avesse trovato chiuso sarebbe entrata comunque, pensò massaggiandosi il gomito.

«Sai, non so come funzioni nei boschi, ma qui nel mondo civilizzato non si entra nella camera di qualcuno che sta dormendo con il preciso intento di fargli venire un infarto. A dirla tutta non si entra proprio nelle case altrui senza permesso. Derek lo fa, ma con lui ho perso ogni speranza.»

«E qui è normale svegliarsi fradici come dopo un tuffo in un lago?»

Touché. Stiles afferrò il bordo della canotta bagnata per levarsela ma tentennò un istante e posò lo sguardo su di lei, che non si scompose minimamente. In un altro momento non gli sarebbe dispiaciuto avere una ragazza in camera a fissarlo mentre si spogliava ma ora era stanco, aveva passato una notte d'inferno e i muscoli gli facevano male. E voleva una doccia calda, tipo subito.

«Lo è se vivi a Sunnydale.»

Per la prima volta Malia gli sembrò davvero confusa. «Tu vivi a Beacon Hills.»

Il ragazzo si immobilizzò e si voltò a guardarla come al rallentatore, incredulo di ciò che aveva appena sentito. «Stai scherzando, vero? Sunnydale, la Bocca dell'Inferno.» Al diniego della ragazza sgranò gli occhi. Era un oltraggio bello e buono e il colmo era che sembrava lui il pazzo. «Non hai mai visto Buffy.»

Ai suoi occhi quell'affermazione avrebbe dovuto spiegare tutto, ma Malia si limitò a inclinare la testa da un lato fissandolo come se si aspettasse di vederlo sputare fuoco.

«È così. Tu non hai mai visto Buffy. Ma cosa diavolo hai fatto tutti questi anni, me lo dici?»

«Sono scappata perché ho ucciso mia madre e mia sorella.»

Non lo aveva detto con cattiveria, di questo Stiles era sicuro; lei era... un po' atipica, leggermente senza filtri e incapace di capire cosa dire e cosa tenere per sé. Ci avrebbero lavorato. Come lui avrebbe lavorato sulla propria maledettissima linguaccia.

«Già. Beh, devi rimediare. Come puoi essere un licantropo e non aver mai visto Buffy, è assurdo. Buffy è tipo... la base della vostra esistenza mannara, è la vostra Bibbia, è...» gesticolò verso di lei, che inarcò entrambe le sopracciglia. «E non mi guardare in quel modo. Dovrei essere io a guardarti così, ti faccio notare che sei ancora in camera mia. Dove sei entrata senza chiedere il permesso.»

Malia alzò le spalle come se la cosa non le importasse ma dimostrò quasi curiosità quando si mise in piedi e cominciò a osservare attentamente la stanza, come un segugio in cerca della preda. O un coyote. Stava anche... annusando uno dei suoi calzini? Stiles si passò una mano sugli occhi. Non che la ragazza gli desse fastidio, poteva quasi definirla tenera, ma avere a che fare con lei di primo mattino non era proprio una cosa da augurare a chiunque. E aveva lo strano sospetto che lei fosse lì per assicurarsi che lui stesse bene. Il che era, se non altro, un miglioramento nelle sue relazioni sociali.

«Senti, io mi faccio una doccia, ok? Tu NON entrare nel bagno, non morsicarmi le ciabatte e non rubarmi i calzini. Torno subito.»

Si chiuse la porta alle spalle nel momento esatto in cui fu entrato in bagno, consapevole del fatto che Malia non aveva assolutamente colto la sua allusione canina. Sospirò appoggiando la schiena al legno fresco, poi alzò gli occhi sulla doccia.

Aveva sempre amato gettarsi sotto lo scroscio bollente dell'acqua, lo trovava rilassante e ne usciva rinato; era come un piccolo eremo isolato e riposante. Ora, per la prima volta, quel buco di vetro e piastrelle appariva ai suoi occhi esattamente come un buco, una profonda voragine nera da cui non sarebbe più uscito, e piuttosto che entrare lì dentro avrebbe preferito donarsi al Nogitsune. Maledicendo a bassa voce il suo subconscio e qualsiasi cosa stesse cercando di dirgli durante le sue notti agitate, Stiles lanciò a terra i vestiti ed entrò nel box.

Il rumore improvviso e familiare dell'acqua, il calore e il vapore che saliva, riuscirono a rilassarlo abbastanza perché si abbandonasse sotto il getto, cominciando a sciogliere i muscoli tesi dopo l'attacco di panico. Non doveva smettere di amare le docce solo perché soffriva di incubi acquatici e probabilmente anche di sonnambulismo, giusto? Se solo fosse riuscito ad arrivare alla radice di tutto... Ma dopo alcuni minuti la sensazione di quelle dita gelide strette attorno alla caviglia ritornò così prepotentemente da fargli sgranare gli occhi, boccheggiante. Si lavò a velocità di record e schizzò letteralmente fuori dal box nell'esatto istante in cui l'ultima bolla di sapone fu scivolata via dal suo corpo.

«Bene. Adesso ho paura di farmi una doccia» ansimò, appoggiato al lavandino. Gli tremavano le mani.

Cercò di non pensare a quanto quella situazione assurda si avvicinasse al sogno di quella notte e spostò lo sguardo attorno a sé in cerca del cambio di vestiti. Che non aveva portato.

«Perché tutte a me?» implorò tutti e nessuno, alzando lo guardo verso il cielo.

Nel breve lasso di tempo in cui si legò un asciugamano in vita e mise mano sulla maniglia, era certo di essere diventato completamente bordeaux; per un istante il suo cervello iperattivo si era lasciato andare: il ricordo della notte passata insieme a Malia, a Eichen House, era sbocciato con una dolcezza infinita, caldo, rassicurante come lo era stato quello stesso atto, in un luogo e in un momento in cui c'era stato tutto, fuorché la dolcezza. Sorrise di un sorriso leggero, più sereno di prima. Ma se Malia se ne fosse uscita con una delle sue frasi senza filtro, beh, avrebbe anche potuto prendere in considerazione l'idea di scappare in qualche altro continente.

«Ehm, sto uscendo,» borbottò schiudendo la porta. «Girati e non guardare. Lo stai facendo? Cioè, ti stai girando, non stai guardando, vero? Ti stai girando? Malia?»

Ma quello che trovò in camera da letto non era certo Malia.

«Cazzo!»

Nel momento in cui riconobbe Derek Hale – un Derek che era inequivocabilmente nella sua stanza e che aveva un’aria inequivocabilmente assassina – fece un passo indietro per rintanarsi nel bagno e possibilmente coprirsi di più che con un misero asciugamano, ma il piede scivolò sulle piastrelle umide e Stiles finì dritto col culo per terra.

Derek incrociò le braccia al petto.

«Tranquillo, non ho bisogno di nessun aiuto,» borbottò ironico Stiles, massaggiandosi la parte dolente. Che meraviglioso inizio di giornata. Sentì un brivido attraversargli la schiena e, alzando lo sguardo, scoprì Derek a fissarlo con gli occhi stretti in una fessura minacciosa.

Stiles deglutì istintivamente e altrettanto istintivamente si affrettò a chiudere l'asciugamano.

«Cosa ci faceva Malia qui?»

Oh! «Secondo te? Abbiamo passato una sfrenata notte di passione. Sai com'è, siamo giovani, ormoni a palla, energie inesauribili. E poi lei dalla sua ha il lato animalesco, mi ha ucciso, giuro.»

«Tu dovresti aiutarla! Non sa ancora come comportarsi, si lascia andare all'istinto.»

«E tu sei scemo.» Stiles era sicuro di aver sentito una nota di fastidio nel tono del licantropo, ma non avrebbe mai pensato che a Derek potesse piacere Malia. Certo, la cosa poteva anche essere indicativa di un suo futuro da psicopatica, quindi se fosse stato in lei non ne sarebbe stato molto felice. Sicuramente, però, dopo aver dato dell'idiota a Derek si affrettò a mettere più distanza possibile tra loro. Non si poteva mai sapere.

«Secondo te davvero potevo andare a letto con Malia? Pensi così male di me?» e sperò che si percepisse la sua indignazione. «Mi sono svegliato stamattina e lei era qui. Non chiedermi perché, o meglio, lo so il perché, perché ancora non ha la minima idea di come ci si comporti fuori da un bosco, ma gliel'ho detto, sai? Cioè, le ho detto che non si fa.»

«Stiles.»

Il ragazzo aveva infilato la testa in un cassetto alla disperata ricerca di un paio di mutande.

«Sì, le ho spiegato che è sbagliato, ma non credo abbia ben capito. Se poi tu le dai questo esempio... Ma è così che allevi dei cuccioli, mostrandogli come si entra dalle finestre?»

«Stiles.»

«Ti pare il modo? Ah no, ma è Scott che se ne occupa, non tu. E sinceramente non credevo che ti saresti buttato su Malia, sicuro di non essere in calore? I lupi mannari vanno in calore? Se vai in calore sta’ lontano da questa casa, ti pre-»

«STILES!»

Stiles si voltò di scatto verso Derek, giusto per controllare che non stesse per squarciargli la gola. Con i denti.

«E aveva detto che non parlavi,» sbottò Derek.

«Chi, scusa?»

Era sinceramente colpito. Non si illudeva certo che Derek andasse in giro a chiedere informazioni su di lui, ma da quell'uscita poteva intuire che qualcuno, di lui, avesse parlato e forse Derek si era trovato a qualche metro di distanza e aveva sentito tutto. Perché la questione sembrasse stargli così a cuore, a Stiles non importava particolarmente.

«Nessuno,» liquidò l'argomento l'altro. «Si può sapere cosa diavolo stai facendo?»

«Ora? Sto per infilarmi le mutande, no perché sai mi sento piuttosto lusingato ma con te qui... Non intendevi ora ora, vero?» si interruppe al suono del suo ringhio.

«Sto parlando di te. Scott dice che hai di nuovo gli incubi. E puzzi di paura.»

Derek teneva le braccia incrociate strettamente al petto, come se volesse trattenersi dall'usarle. E in base al suo sguardo truce forse era proprio così. Stiles si rabbuiò.

«Quindi tu, tua sorella e Scott parlate di me?» domandò volutamente acido, tuffandosi di nuovo nella cassettiera. Possibile che quelle mutande non fossero da nessuna parte?

«Scott è preoccupato.»

Stiles non lo guardò, non si girò nemmeno. Strinse tra le dita un pezzo di tessuto non meglio identificato e chiuse gli occhi respirando piano. «E tua sorella anche? Avete paura che ritorni il mostro cattivo? Magari l'Uomo Nero. Pitch esiste, lo sappiamo tutti che esiste, e non l'abbiamo ancora visto da queste parti. Chissà, magari verrà attirato anche lui dal Nemeton e io finirò a spargere tanta sabbia nera un po' ovunque. E tu?» sbottò voltandosi di scatto verso l’altro, che non si mosse. «Hai paura anche tu? Di me? Chissà cosa potrei farvi ora che sapete che ho di nuovo gli incubi, vero?» La rabbia – o il rancore, o la paura, o qualsiasi cosa fosse – salì velocemente e altrettanto rapidamente gli fece battere il cuore nel petto. E ultimamente non era un buon segno. «Dillo. Dillo che tu e Scott state pensando che non farò altro che trascinarci in altri guai! Dillo che mor-mph!»

«Giuro che se non chiudi quella bocca ti faccio saltare tutti i denti,» ringhiò esasperato Derek, dopo averlo inchiodato al muro con una mano ben piantata sulla bocca.

Stiles lo fissò a metà tra l'irritato e lo stupito, e non si ribellò. Forse, semplicemente, dopo un periodo così lungo a distanza di sicurezza non si aspettava più un approccio tanto fisico da parte di Derek.

Più”? Perché, se l'era mai aspettato?

Il ragazzo scosse mentalmente la testa. Se cominciava a pensare certe idiozie senza nemmeno volerlo, poteva anche iniziare a preoccuparsi sul serio. Ciò non toglieva, però, che fosse arrabbiato, deluso e anche molto, molto preoccupato. I suoi amici avevano paura e ne avevano per lui, non era così stupido da credere davvero che pensassero solo a loro stessi. Non Scott. Non gli piaceva che parlassero di lui come di un problema da risolvere, ma li capiva.

Lui stesso cominciava a ritenersi tale. E se avesse davvero portato in città altri guai? Se quegli incubi non fossero stati solo incubi? Il ricordo di Eichen House, di quello che aveva provato quando si sospettava che avesse la stessa malattia di sua madre, lo fece tremare sotto la presa di Derek, che se ne accorse e la allentò. E se avesse fatto del male alle persone che amava?

«Smettila di pensare al branco e pensa un po' a te stesso.»

Fu una frase detta con una serietà tale da essere quasi palpabile. Stiles aprì gli occhi, che non si era accorto di aver chiuso, e incontrò lo sguardo dell'altro. Lo guardò quasi con disperazione, come a implorarlo di spiegarsi. Incredibilmente, Derek lo fece.

«Stai pensando che darai di nuovo problemi al branco, o idiozie simili. Devi smetterla.» Derek non interruppe il contatto visivo nemmeno per un istante. «Sei tu che stai male, non il branco, per quanto tu possa esserne parte. Non farai del male a loro, non ci farai del male perché sappiamo come guardarci le spalle. Sei tu l'umano. Smettila di fare mamma lupa e comincia a pensare un po' a te stesso.»

Solo allora il licantropo si allontanò di un passo e gli puntò un dito contro il petto. Forse un po' troppo forte.

«Prima di risolvere i problemi degli altri, forse dovresti trovare pace per i tuoi.»

Derek mantenne lo sguardo incollato al suo ancora per un po', prima di andarsene così come era arrivato, ma lasciando dietro di sé molta più desolazione.

 

 

 

Derek saltò giù dalla finestra della camera di Stiles e atterrò a due passi dal suv, ma non se ne andò subito; alzò lo sguardo e lo fissò insistentemente su quei vetri, quasi aspettandosi che Stiles si affacciasse per colpirlo con qualcosa.

Era stato precipitoso. Presentarsi nella camera del ragazzino dopo tanto tempo non era stata la sua prima opzione, anzi, l'idea originale era stata quella di aspettare Scott fuori da scuola e usarlo come scusa; quando però era montato in macchina non era più riuscito a trattenersi. Guidare fino a casa Stilinski era stato tanto naturale quanto immediato, e si era quasi stupito di ritrovarsi di nuovo, dopo tanto tempo, nel bel mezzo di quella camera non sua, eppure così familiare.

A Derek non era ben chiaro perché provasse quell'interesse, quella preoccupazione, per Stiles. Lo ammirava – così coraggioso, così forte – e sentire la paura impregnare ogni superficie della sua camera da letto lo aveva spiazzato. Aveva provato quasi gratitudine per non essere stato altro che una parte marginale nel problema con il Nogitsune; essendosi dovuto occupare solamente degli effetti collaterali, e non di gestire Stiles, il suo ricordo di lui era pressoché intatto. Sapeva ovviamente che lo spirito era stato dentro di lui, sapeva tutto quello che era successo, ma l'unica volta che aveva visto davvero il doppione cattivo era stato abbastanza impegnato a combattere, perciò a stento associava lo Stiles che conosceva con l'essere che aveva portato morte e caos nelle loro vite.

Ed era il motivo grazie al quale gli aveva rivolto quelle parole. Per i ragazzi, per Scott, preoccuparsi delle possibili cause esterne, oltre che per il loro amico, era ormai quasi automatico, mentre lui avvertiva come un legame che lo univa a Stiles, un leggerissimo e impalpabile filo che legava insieme quella che era una parte di loro, e non qualcosa di esterno. Perché Derek sapeva quanto fare del male potesse lasciare cicatrici, anche se quel male non era voluto; perché sapeva quanto fosse facile ritenersi responsabili di un grande dolore. Perché Derek era certo di sapere come Stiles nascondesse, dietro il suo fiume di parole, il terrore di diventare di nuovo un veicolo per qualcos'altro, di essere di nuovo l'artefice della sofferenza delle persone che amava.

Quello che gli faceva corrugare la fronte, mentre distoglieva lo sguardo dalla finestra e se ne andava a bordo del suo suv, era perché lo trovasse talmente preoccupante da non riuscire quasi a pensare ad altro. Forse proprio a causa del suo bisogno di riuscire a comprendere la situazione in cui si trovava quel benedetto ragazzino. Anche se secondo Cora non si trattava di semplice empatia, pensiero che però non si era sprecata a illustrargli.

 

 

 

 

Stiles non riuscì a seguire una sola lezione, quella mattina, era come se il suo cervello si fosse improvvisamente spento. Gli sembrava di essere davanti a una lavagna vuota, con un gesso in mano ma incapace di usarlo.

Il consiglio di Derek, perché alla fine di quello si trattava, aveva devastato completamente il normale corso dei suoi pensieri, così tanto che Stiles si sentiva stordito, perché non c'era modo che riuscisse anche soltanto a pensare di essere egoista. Pensare a se stesso? E come? Amava incondizionatamente le persone che gli erano state messe accanto; suo padre, Scott, Lydia... persino Derek. Era grato per la loro esistenza e avrebbe fatto di tutto per preservarla, soprattutto dopo essere stato la causa della morte di alcune di loro.

Ma Derek gli aveva detto di pensare a se stesso, che loro se la sarebbero cavata. Per quanto quelle parole non venissero certo da qualcuno noto per la propria saggezza, gli erano state dette con una profondità che Stiles aveva colto e non era riuscito a ignorare. Derek poteva non essere stato l'Alpha dell'anno, ma sapeva di cosa stava parlando.

Forse... forse l'approccio giusto poteva essere allentare l'impegno per il branco e sforzarsi un po' di più per sé, così da proteggerli eliminando il problema alla radice. Era comunque per loro, ma seguiva anche il consiglio di Derek. Giusto?

«Scott, devo andare un attimo in un posto, ci vediamo dopo, ok?» disse chiudendo l'armadietto e ignorando la sensazione dello sguardo di Malia fisso sulla propria schiena.

«Certo. Dove vai?»

«Mi sono dimenticato che devo finire la relazione per il Coach. Quello è pazzo, “analizzare, studiare ed esplicare gli schemi di gioco”? Sul serio? Solo perché sono finito addosso a Danny crede che non sappia da che parte devo correre.» Diede un pugno sulla spalla di Scott quando l'amico ridacchiò sotto i baffi. «Ah-ha. Molto divertente, sì. Quell'uomo mi darà il tormento, vivo per Halloween, giuro, non aspetto altro.»

«Scusa amico. Io e Malia dobbiamo fare un salto nel bosco, altrimenti mi sarei fermato con te.»

«Tranquillo, credo di poter sopravvivere a qualche oretta chiuso in biblioteca. Sempre se non muoio di noia prima. Ma sono positivamente ottimista, gli farò un resoconto completo così bello che piangerà lacrime di commozione e chiederà di adottarmi. E tu sarai lì per immortalarlo.»

Se ne andò con il pugno della vittoria svettante fiero verso l'alto e la risata calda di Scott nelle orecchie, salvo fermarsi subito dietro l'angolo a riprendere fiato. Mentire in quel modo al suo migliore amico era stata una delle cose più difficili che avesse mai fatto e il cuore gli batteva così forte che si stupì che Scott non l'avesse sentito. Il caro vecchio Scott, sempre così fiducioso.

Raggiunse la biblioteca in fretta e altrettanto in fretta si infilò tra due scaffali che ben conosceva. Aveva cercato più volte tra quei libri polverosi che quasi nessuno leggeva, abbastanza spesso da conoscerne perfettamente l'ubicazione. Un lampo illuminò la stanza, seguito a poca distanza dal suo tuono.

Stiles alzò lo sguardo verso l'ampia vetrata e fissò, serio, le gocce di pioggia cominciare a scivolare sulla superficie. Acqua. Iniziava davvero ad avere la nausea di quel liquido insulso, che solo poco tempo prima invece aveva amato. Non aveva però mai amato i temporali, perciò cercò in fretta il libro che gli interessava e si sedette sul pavimento.

Tra mito e realtà – analisi storico-religiosa dell'Irlanda pre-cristiana”.

Con un titolo del genere non si stupiva che nessuno l'avesse mai anche solo sfiorato; la prima volta che aveva preso in mano quel volume era pressoché nuovo, mentre ora presentava orecchie, piegature, segni di usura tipici di molteplici letture. Le sue. Quando era stato in cerca di notizie sul Nemeton, in quel libro aveva trovato tutto quello che gli serviva. Stiles sorrise, aprendolo, certo che al suo interno avrebbe trovato quello che faceva al caso suo, e cominciò a sfogliarlo velocemente.

Un altro fulmine illuminò la biblioteca e un altro tuono, molto più forte del precedente, lo seguì. Era ironico come tutto sembrasse rimandare alla stessa, semplice cosa. Ma Stiles cominciava a dubitare che si trattasse di mere coincidenze.

 “L'acqua era considerata, dai religiosi pagani, elemento di purificazione, di amore ed emozioni e l'elemento per eccellenza della mente subconscia; simbolo di sonno e sogni, oltre che di vita e morte. Ciò perché era ritenuto che l'acqua, al proprio passaggio, ricevesse e memorizzasse le informazioni a essa circostanti, conservandole al suo interno per poi passarle ad altri elementi.

Da tale capacità nacquero i primi tentativi, in seguito riprovati e resi definitivi, di divinazione dell'acqua, o idromanzia.

L'idromanzia consisteva nella divinazione di avvenimenti passati, presenti o futuri, tramite uno specchio d'acqua.

Il druido, o la sacerdotessa, utilizzava un bacile, spesso di rame, entro il quale raccoglieva acqua di fonte; con dell'incenso aiutava la concentrazione per poi immergersi nell'osservazione. Sovente erano necessarie diverse ore affinché delle immagini comparissero sulla superficie; inoltrealcuni operanti usavano gettare oggetti personali per facilitare la mantica, se avevano necessità di rivolgersi a un particolare soggetto.

Molte erano le creature legate all'elemento acqua, come il Kelpie, demone acquatico dalla forma di cavallo, o la...”

Stiles chiuse il libro e se lo strinse forte al petto. Se il suo subconscio continuava a fargli avere incubi acquatici e docce indesiderate, forse non doveva fare altro che dargli retta. Non era certo di muoversi nel modo giusto; in un altro momento, forse, avrebbe chiesto consiglio a Deaton, ma era convinto di potersela sbrigare da solo e, soprattutto, non voleva che i suoi amici fossero portati a preoccuparsi maggiormente. Dopotutto, si poteva dire che Deaton ormai fosse l’Emissario di Scott.

Se fosse riuscito a vedere qualcosa, in quell'acqua, qualcosa che potesse aiutarlo a risolvere i suoi problemi – qualunquecosa forse non ci sarebbe stato bisogno di far intervenire qualcun altro. Non gli restava che trovare una fonte e un bacile di rame e sperare di essere un almeno un po’ veggente.

 

 

 

 

Vi chiedo scusa se ho saltato una settimana, spero comunque vi piaccia! Alla prossima
   
 
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