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Autore: heliodor    17/02/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La breccia
 
Il buio si distese come un nero sudario sulla foresta. Con il cielo velato dalle nuvole e senza i fuochi accesi, l'avamposto sembrava la versione spettrale di quello che Joyce ricordava.
Non c'erano più le lanterne accese sopra gli ingressi delle porte e lungo i camminamenti sospesi per illuminare la via.
Nel pomeriggio c'era stato un consiglio di guerra al quale non era stata invitata e nemmeno Zefyr. In compenso era stato loro concesso di muoversi liberamente nell'avamposto col consiglio di non allontanarsi.
Joyce non se lo fece ripetere due volte e tornò all'alloggio che le era stato assegnato la prima volta. Lo ritrovò come l'aveva lasciato.
Ne approfittò per indossare degli abiti puliti dopo essersi data una rinfrescata. Mangiò qualche frutto per rimettersi in forze e ripassò gli incantesimi a memoria.
Verso sera Leyra venne a portarle delle notizie.
"Gli anziani hanno deciso" disse sedendosi sulla stuoia. "Combatteremo."
"Credevo che avessero già deciso" disse Joyce sorpresa.
Leyra sorrise. "Da noi facciamo così. Si vota per prendere una decisione così importante."
"Ma Arwel ha detto..."
"Lei non è un capo o una regina, come le avete voi" spiegò l'alfar. "Noi votiamo. Gli anziani votano, per la precisione, ma a volte votano anche i giovani, tutti insieme."
"Votate?"
Leyra annuì.
Joyce sapeva che esistevano le repubbliche oltre alle monarchie e che in entrambi i continenti spesso le decisioni venivano prese col voto. Anche suo padre il re doveva sottostare alla decisioni del consiglio del circolo, quando questo si riuniva per votare una decisione.
"C'è qualcosa che non ti convince, nidda?"
"No" disse subito, ma poi aggiunse: "In verità sì. Mi sembra tutto molto scomodo."
"Noi votiamo solo quando c'è da prendere una decisione molto importante."
"Lo capisco" fece Joyce. "Da noi è il re a prendere queste decisioni."
"Da solo?"
Annuì.
Leyra la guardò sorpresa. "Senza ascoltare gli anziani?"
"Quando si tratta di affari di stato, sì. Ma di solito ascolta i suoi ministri e consiglieri, anche se poi è il sovrano ad avere l'ultima parola."
"E se si sbaglia?"
"Se ne assume la responsabilità." O almeno dovrebbe, pensò. C'erano storie di regni che erano stati portati alla rovina da sovrani incapaci che poi erano fuggiti in esilio per sottrarsi alla furia dei loro popoli.
Suo padre diceva sempre che un re doveva ascoltare prima il suo popolo, quindi i suoi consiglieri e infine la sua pancia. Se tutti e tre concordavano, allora stava prendendo la decisione giusta.
Leyra sembrava perplessa. "Ma se commette un errore molto grave? E se è incapace di prendere la decisione giusta?"
Joyce si strinse nelle spalle. "Dalle mia parti fanno così. Di solito funziona."
Leyra si limitò ad annuire. "Gli anziani hanno radunato tutti quelli che non possono combattere negli alberi più alti. Sarà più facile difenderli."
"E gli altri?"
"I guerrieri staranno al coperto, pronti a colpire i nemici con le frecce" spiegò Leyra. "Avrai notato che non abbiamo molte armi."
Joyce non aveva visto molte spade e corazze in giro, né scudi o balestre. Gli archi e le frecce invece abbondavano e tutti sembravano averne uno.
Leyra le mostrò il suo. "Sai usarlo?"
Joyce non aveva mai imparato a farlo. A malapena sapeva da che parte afferrare una spada. Fece di no con la testa.
"Allora sarai tra gli stregoni" disse Leyra. "Si posizioneranno lungo i camminamenti, in modo da poter colpire Rancey e i suoi dall'alto senza essere visti."
Al primo lancio di dardi gli stregoni di Rancey li avrebbero individuati, ma era una strategia migliore dell'affrontarli a viso aperto sul terreno. Cercavano di sfruttare l'unico vero vantaggio che avevano.
"Non sarebbe meglio sorvegliare la palizzata?" suggerì Joyce. "Rancey e i suoi devono per forza passare da lì."
"La palizzata è troppo lunga e non abbiamo abbastanza forze per coprirla tutta" spiegò Leyra. "Inoltre non reggerebbe a un attacco in massa. Gli anziani pensano che Rancey possa sfondarla. Se lo fanno e ci trovano divisi mentre si ritiriamo, sarà la sconfitta."
"Quindi lo lasciano passare indisturbato?"
Leyra sorrise. "Non del tutto. Arwel dice di avere un piano per quello, ma non ci è dato sapere che cosa vogliono fare di preciso."
Joyce sperò che funzionasse. Dipendeva tutto da quello.
Leyra si trattenne fino a sera e quando stava per andarsene udirono il suono di un corno diffondersi come un lamento tra le case dell'avamposto.
Leyra balzò in piedi. "È il segnale" disse.
Joyce la seguì fuori. Dal punto in cui si trovavano la palizzata era nascosta da una fila di alberi-torre, ma questi non potevano nascondere la fiamme che si stavano levando alte nel cielo.
"Incendiano la palizzata" disse Leyra avviandosi lungo il camminamento.
Raggiunsero uno dei nodi dove si erano radunati alcuni anziani e dei giovano armati di arco e frecce.
Tra di essi c'era Arwel. "Leyra" disse rivolgendosi alla ragazza. "Tu vai sull'albero-torre a ovest della palizzata."
Leyra annuì. "Che la madre di protegga, nidda" disse a Joyce prima di andarsene via di corsa.
"Cosa devo fare io?" chiese Joyce.
Arwel indicò la sua casetta. "Torna lì e resta al sicuro."
"Voglio fare la mia parte."
Arwel sospirò. "Questa è una vera battaglia."
"Ho già combattuto altre volte" disse sicura.
Arwel le scrutò il viso. "Che sai fare meglio?"
"So volare e so rendermi invisibile."
"Incantesimi d'attacco?"
"Dardi. E raggi." E posso evocare dei bellissimi danzatori d'ombra, disse ridacchiando tra sé e sé.
Arwel sembrava delusa. "Avrei preferito palle di fuoco e catene di fulmini, ma ce le faremo bastare. Te la senti di unirti a quelli che difendono la biblioteca? È lì che abbiamo sistemato una parte di quelli che non possono combattere."
Joyce annuì.
"Allora vai."
Joyce corse lungo il camminamento, felice di poter fare la sua parte. Sentiva già l'energia fremere dentro di sé, mentre premeva per uscire. Era una sensazione meravigliosa, che la faceva sentire forte e utile.
Lungo la via incrociò Zefyr. Imbracciava la sua spada d'argento mentre era alla testa di una dozzina di alfar armati di daghe e cotte di maglia.
"Dove vai?" chiese Joyce sorpresa di vederlo lì.
"Qualcuno deve pur organizzare la loro fanteria e io sono il maggior esperto qui in giro."
"Arwel lo sa?"
Annuì. "È stata lei a chiedermelo."
"Combatterai dalla loro parte?"
"Non credo che alla banda di Rancey importi molto" disse stringendosi nelle spalle. "Se voglio salvarmi la pelle mi conviene darmi da fare."
"Ha tutta l'aria di una scusa" disse lei ridendo.
Zefyr sospirò. "Scusa, ma ho altro da fare."
"Tuo padre sarebbe orgoglioso di te."
Zefyr si fermò, sembrò sbandare, poi si riprese. "Se non fosse stato per quello che è successo a mio fratello, credo che gli sarebbero piaciuti gli alfar."
"Lui sta bene. È al santuario."
"Mi fa piacere saperlo, ma per il momento devo pensare alla mia di salute e non alla sua."
Joyce annuì.
"Arwel ha dato qualcosa da fare anche a te?"
"Devo difendere la biblioteca."
"Appena arrivata e già ti imboschi nelle retrovie" disse lui con tono canzonatorio.
"Non è vero" fece Joyce offesa.
"Ci vediamo nella battaglia" disse Zefyr. Le presentò la spada. "Colpisci forte e mira bene" disse prima di andarsene seguito dagli alfar.
Joyce proseguì fino alla biblioteca, che riconobbe anche al buio. Non era cambiata affatto, tranne per le assi inchiodate alle finestre per sigillarle. L'unica entrata era sorvegliata da due alfar molto giovani, quasi dei ragazzini.
Entrando, si rese conto che l'interno era stipato di persone. Tutti sedevano sulle stuoie e c'era un silenzio irreale che dominava l'ambiente.
La maggior parte dei presenti erano bambini e anziani. Tutti gli altri erano fuori a prepararsi per la battaglia.
Nessuno le rivolse la parola né le diede fastidio ma accettarono la sua presenza di buon grado.
Tutti a parte uno.
"Anche tu qui, kodva?" le chiese Serime emergendo da un angolo buio della sala.
Joyce lo guardò ostile. "Arwel mi ha detto di difendere la biblioteca."
"Non sarai certo da sola, stupida" disse l'alfar con tono sgarbato. "Siamo in cinque e tu sei quella che vale di meno."
"Se ti hanno messo qui nemmeno tu vali molto" disse Joyce non resistendo alla tentazione di ferirlo.
Lui rise. "Sciocca, io sono qui per le mie abilità. Non immagini nemmeno di cosa sono capace."
"Io so solo che tu sei qui mentre Arwel e gli altri combattono."
"Sei doppiamente sciocca, ragazzina kodva. Sei come tutti i tuoi simili."
Joyce stava perdendo la pazienza.
"I miei poteri sono rari e non posso essere sacrificato sul campo di battaglia come un qualsiasi miserabile."
Lo disse ad alta voce e a Joyce sembrò che lo facesse di proposito. Non stava parlando soltanto a lei ma a tutti i presenti.
"E quali sarebbero i tuoi poteri?"
"Li vedrai quando sarà il momento, sciocca."
"Non vedo l'ora" disse con tono sprezzante.
Serime rise. "Fai pure l'arrogante, sciocca ragazza kodva, ma sappi una cosa. Se la battaglia volgerà a nostro sfavore, mi assicurerò che né tu, né il tuo amico d'argento sopravviviate."
Stavolta parlò con tono più basso, a malapena udibile.
Joyce si sentì rizzare i capelli in testa. "Mi stai minacciando?"
"Ti sto avvertendo, sciocca. Non sai riconoscere la differenza tra una minaccia e un avvertimento? Vuoi che sia più chiaro? Ti prometto che se le cose andranno male per noi, per te andranno molto peggio. Sei contenta adesso?"
Joyce annuì. "Adesso ho capito" disse.
Serime la squadrò dall'alto in basso. "Ora togliti dai piedi. Non mi importa dove vai ma non starmi vicino quando inizierà la battaglia. Nella confusione potrei scambiarti per un bersaglio."
Joyce non aveva alcuna intenzione di rimanere lì. Uscì dalla biblioteca e fece mezzo giro lungo il camminamento che circondava l'albero. Contò sei alfar armati di arco e tre streghe e stregoni, oltre a quelli che sorvegliavano l'entrata.
Sembravano nervosi e guardavano in direzione della palizzata, ben visibile da quel punto.
Tra di essi, Joyce riconobbe Indis.
"Nidda" disse la giovane alfar salutandola. "Anche tu qui?"
"Devo fare la mia parte" disse con falsa modestia. In verità dentro di sé sentiva crescere la paura, ma cercava di non darlo a vedere.
Indis annuì. "Tutti dobbiamo" disse con voce incrinata dall'emozione.
"È la tua prima battaglia?" le domandò col tono della veterana. A pensarci bene, lei ne aveva già viste parecchie. Il primo attacco a Valonde, Vanoria, Taloras, il secondo attacco a Valonde e lo scontro a Mar Qwara.
Era una veterana ormai, eppure si sentiva tremare le gambe.
Indis annuì. "Tu hai combattuto già?"
"Qualche volta."
"E cosa si prova?"
Confusione, dolore, speranza, sofferenza. Impossibile descrivere tutto con una sola parola.
Stava per dirglielo, quando il suono di un corno risuonò due volte nell'avamposto.
"Il segnale" disse Indis irrigidendosi. "Sono arrivati."
Gli altri alfar incoccarono le frecce negli archi o si diressero alle loro posizioni.
Joyce ricordò che non aveva un ruolo ufficiale in tutto quello. Decise di rimanere lì dov'era, nell'attesa di rendersi utile.
Indis indicò la palizzata. "Reggerà?"
La risposta arrivò qualche secondo dopo, quando un tonfo tremendo colpì le mura e si udì lo schianto del legno che si spezzava.
Due giganteschi orsi, i più grandi che Joyce avesse mai visto, si erano gettati contro la palizzata e l'avevano sfondata.
Subito gli alfar che erano appostati sugli alberi vicini fecero fuoco verso la breccia, bersagliando i due animali con dardi e palle di fuoco.
Il risultato fu un incendio che divampò in quel tratto di palizzata, divorando anche la parte ancora integra.
I due orsi si fecero strada tra i proiettili e si lanciarono di corsa verso la base di due alberi vicini, colpendoli con tutta la forza di cui erano capaci.
Le cime degli alberi vennero scosse da una forza tremenda e i tronchi si spezzarono, facendo precipitare nel vuoto quelli che si trovavano appostati su di essi.
Joyce sussultò a quella vista e temette per le vite di quelli sugli alberi, ma vide che prima del crollo una dozzina di alfar si erano calati con delle corde.
Gli orsi li caricarono, ma vennero fermati dai dardi lanciati da un secondo gruppo appostato sugli alberi.
Di nuovo si ripeté la scena di prima, con gli orsi che si lanciavano verso la base degli alberi per abbatterli.
Di nuovo ci fu un crollo disastroso e gli alfar che si calavano dall'alto e fuggivano per evitare la furia di quelle bestie.
Dalla breccia aperta nella palizzata entrarono soldati in armatura. Ognuno di essi reggeva uno scudo col quale si proteggeva dalla pioggia di dardi che pioveva dagli alberi vicini.
Due ragni giganteschi si mischiarono ai soldati e puntarono verso gli alberi. A differenza degli orsi non cercarono di abbatterli ma iniziarono a scalarli con le loro zampe.
Gli alfar concentrarono su di loro il fuoco riuscendo a rallentarli, ma i loro colpi si infrangevano contro uno scudo magico che avvolgeva i due mostri.
Altri due ragni si gettarono nella braccia mentre i loro simili raggiungevano la cima degli alberi. Dalla postazione attaccata si levarono delle grida e qualcosa precipitò al suolo.
All'inizio Joyce pensò che si trattasse di manichini, ma poi capì che quelli erano gli alfar che difendevano la postazione.
I ragni li stavano scaraventando di sotto.
Ogni tonfo la fece sobbalzare, strappandole un rantolo di orrore per quello che stava guardando. I corpi che toccavano il suolo rimanevano immobili in posizioni scomposte.
Ne contò cinque prima che i due ragni iniziassero la loro discesa dall'albero.
Non era come le battaglie che aveva immaginato leggendo i romanzi. Non c'erano le azioni eroiche dei difensori o le astute tattiche degli attaccanti.
Un gruppo di alfar sbucò dal folto della foresta e iniziò a bersagliare di palle di fuoco uno dei ragni. L'altro li aggirò preparandosi ad attaccare, ma lo scudo del primo cedette e i dardi penetrarono nella carne dell'animale, riducendolo a brandelli.
Poi il secondo ragno, come preso da una frenesia inarrestabile, si lanciò verso gli alfar, schiacciando i primi due con le sue zampe.
I quattro sopravvissuti indietreggiarono senza smettere di lanciare dardi magici verso il ragno, che continuava ad avanzare protetto dallo scudo.
Con una delle zampe afferrò uno degli alfar che si era attardato e lo spezzò in due.
Joyce vide le due metà del corpo volare in direzioni diverse. Qualcosa le gorgogliò nella gola premendo per uscire fuori.
I tre alfar rimasti ripiegarono verso una della casupole costruite alla base di un albero, concentrando il fuoco contro il ragno che continuava ad avanzare non ancora sazio dopo la strage che aveva compiuto.
Era quasi sopra di loro quando una figura emerse da dietro l'albero e si posizionò alla sua sinistra. Dalle sue mani tese in avanti eruppe un raggio di energia accecante che investì in pieno il mostro.
La bestia non sembrava ferita, ma Joyce notò che l'aria attorno al suo corpo non era più increspata dai dardi lanciati dai tre alfar.
Invece i colpi andarono a segno crivellando il corpo del mostro. Nel giro di pochi istanti la bestia si abbatté al suolo priva di vita.
La figura sembrò rivolgere qualche parola agli alfar rimasti e poi si voltò, correndo in direzione opposta.
Solo allora Joyce la riconobbe. Era Arwel.
Lo sguardo di Joyce venne attratto da quello che stava accadendo a due o trecento metri dal punto in cui sorgeva l'albero sul quale si trovava.
Lì i guerrieri armati di scudo stavano combattendo contro gli alfar, cercando di farsi strada in una formazione compatta.
Un altro gruppo stava cercando di aggirare i difensori sul fianco, muovendosi di corsa.
Davanti a loro si parò un manipolo di alfar armati di spade e scudi. Alla loro testa riconobbe Zefyr e la sua lama d'argento che scintillava.
Il ragazzo si lanciò per primo contro i nemici, evitò un affondo e colpì un soldato nemico al fianco, abbattendolo.
Nella confusione della battaglia Joyce lo perse di vista. Stava per spostarsi, quando l'albero vibrò come scosso da una forza poderosa.
Joyce si sporse verso il basso. Uno degli orsi mostruosi stava caricando l'albero con tutta la sua forza. Nello stesso momento, uno dei ragni giganti si stava arrampicando lungo il tronco, le orribili zampe che strappavano pezzi di corteccia a ogni passo.
Joyce rabbrividì al pensiero di quello che stava per accadere.
"Puoi ancora scappare, sciocca" disse Serime sporgendosi per guardare.
Joyce strinse i pugni. "Io non mi muovo di qui."
"E allora morirai come tutti quelli su quest'albero" disse l'alfar.
Si voltò senza darle il tempo di rispondere.

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