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Autore: heliodor    21/02/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Duello aereo
 
Il ragno era a metà strada verso la cima dell'albero quando iniziarono a bersagliarlo di dardi magici.
Serime dava ordini secchi ai tiratori. "Lanciate solo se siete sicuri di colpire. Non sprecate colpi inutilmente."
Lo scudo attorno al ragno assorbiva tutti i colpi che riceveva. Una palla di fuoco esplose ai piedi del mostro e venne deviata dalla scudo, colpendo l'albero. Il fuoco attecchì subito sulla corteccia.
Serime si voltò verso i tiratori. "Chi è stato?" chiese con voce alterata.
Nessuno rispose.
"Niente palle di fuoco" disse l'alfar tornando a guardare in basso.
Joyce si unì ai tiratori e lanciò due dardi magici verso la creatura. Anche i suoi vennero assorbiti dallo scudo.
"Dobbiamo trovare un altro modo" gridò.
"Tu hai un'idea migliore, stupida kodva?" disse Serime con tono sgarbato.
Joyce si morse il labbro. Recitò la formula del raggio magico e puntò le mani verso il ragno. Un fascio di energia largo un palmo colpì la creatura al fianco. Lo scudo assorbì il colpo, ma il ragno venne sbilanciato per un istante.
Joyce smise di puntare verso il mostro il suo raggio. "Ho un'idea" gridò a Serime allontanandosi.
Lui non cercò di fermarla e la ignorò.
Joyce corse verso l'altro lato dell'albero, dove due alfar stavano bersagliando l'orso gigante che cercava di abbatterli prima che il ragno li raggiungesse.
"Indis" disse richiamando la giovane alfar.
"Nidda" fece lei con voce stanca. Aveva una freccia già incoccata e pronta per essere lanciata.
"Puoi usare il raggio magico?"
Lei annuì.
Joyce si sporse verso il basso e saltò sul bordo del parapetto, rimanendo in bilico sul baratro.
"Che fai?" chiese Indis sgomenta. "Finirai di sotto."
"So volare" disse Joyce lasciandosi andare dopo aver recitato la formula della levitazione.
Indis sgranò gli occhi vedendola fluttuare nel vuoto.
Joyce le tese le mani. "Vieni. Ti porto a fare un giro."
Indis esitò per un istante. "E se cadiamo di sotto?"
"Non sarà peggio che restare qui" rispose Joyce.
Indis saltò verso di lei.
Joyce l'afferrò con entrambe le braccia. L'alfar era più piccola a leggera di lei, ma pur sempre un bel peso da portare. Non sapeva per quanto avrebbe resistito, ma sperava di farcela lo stesso.
"Almeno sai che cosa stai facendo?" chiese la ragazza.
"Credo di sì."
"Credi?" chiese lei con gli occhi sgranati.
Joyce fece spallucce e accennò un debole sorriso. Annaspando si diede una spinta decisa con le gambe verso la parte opposta dell'albero, quella lungo la quale il ragno si stava arrampicando.
Mentre lei era impegnata a trasportare Indis, la bestia aveva percorso altri metri, arrivando a tre quarti della salita. Era quasi al limite della linea di tiro degli stregoni e tra poco avrebbe avuto strada libera fino alla cima.
"Quando te lo dico io colpiscilo col raggio magico sul fianco" disse Joyce.
"Non gli farà niente con quello scudo."
"Tu fallo e basta" disse perentoria.
"Come vuoi" fece Indis poco convinta.
Joyce fluttuò verso il ragno con lentezza esasperante.
La pioggia di dardi magici si era fatta più intensa e qualcuno, rimbalzando sullo scudo, volò verso di loro. Uno la sforò alla gamba e per poco un altro non la passò da parte a parte.
Strinse i denti e avanzò decisa, ignorando il pericolo.
"Quando?" chiese Indis nervosa.
"Non ancora" rispose avvicinandosi al ragno.
Arrivarono a pochi metri, quasi poteva osservare il suo riflesso negli occhi del mostro, quei piccoli bulbi che a centinaia crescevano sulla sommità della sua testa.
Per la prima volta il mostro sembrò accorgersi della loro presenza. Fino a quel momento doveva essersi concentrato sulla sua folle scalata, ignorando tutto quello che accadeva lì attorno.
"Ciao" disse Joyce con la voce rotta per la fatica e la tensione. "Ti ricordi di me?"
Il ragno si fermò.
"Adesso" gridò Joyce.
Indis tese la braccia e dai suoi palmi scaturì un fascio di energia che in un istante coprì la distanza che la separava dal mostro.
Il ragno non ebbe il tempo di reagire.
Il raggio lo colpì al fianco, così vicino e così forte che lo scudo assorbì la sua energia, ma non il contraccolpo.
Le zampe del mostro si staccarono dall'albero annaspando nel vuoto. Il ragno precipitò così veloce che Joyce ebbe appena il tempo di rendersene conto.
L'impatto col suolo produsse un tonfo sordo, come attutito da qualcosa di morbido. Joyce guardò in basso e vide il ragno coricato sulla schiena, le zampe tese e immobili. Una chiazza di liquido marrone si allargava sotto il suo corpo.
All'improvviso si rese conto che le sue braccia non ce la facevano più a reggere Indis e iniziò a scendere.
"No, no" disse la ragazza. "Riportami verso la cima."
Ma Joyce era allo stremo e ogni movimento poteva farle perdere la presa. Non riusciva nemmeno a trovare la forza per parlare, tanto era concentrata.
Indis dovette capirlo perché tacque finché non toccarono il suolo.
Joyce si piegò sulle gambe, esausta per lo sforzo. Boccheggiando, cercò di rialzarsi, ma le gambe non ressero il suo peso e ricadde in ginocchio.
"Nidda, stai bene?" le chiese Indis.
Annuì. "Ora mi passa."
Poco distante da lì, l'orso gigante continuava la sua opera demolitrice sul tronco dell'albero. Joyce vide che era coperto di ferite che sanguinavano copiose. Si chiese quale incantesimo avesse trasformato quell'animale i n una creatura così folle.
Dardi magici piovvero dall'alto sul mostro, colpendolo alla testa e al collo muscoloso. L'orso non smise di caricare l'albero, anzi sembrò procedere con rinnovata foga, come se le ferite lo avessero aizzato ancor di più.
Joyce guardò in alto, dove i camminamenti in fiamme bruciavano sullo sfondo di un cielo senza stelle che andava schiarendosi.
"Tra poco sarà giorno" disse.
Indis la tirava per la manica. "Dobbiamo andare via di qui" disse la ragazza.
Solo allora Joyce realizzò che erano al suolo, nel bel mezzo della battaglia.
C'erano corpi che giacevano a terra in posizioni innaturali e altri che strisciavano. Vide un uomo coperto di sangue dalla testa ai piedi ma non sapeva dire se era uno degli aggressori o un difensore.
Udiva l'eco delle urla rimbalzare sugli alberi. Alcuni erano ordini gridati a squarciagola, altre grida rabbiose o invocazioni d'aiuto.
Le sembrò che qualcuno stesse pregando in una lingua che non conosceva o forse era solo la cacofonia delle voci confuse che le procurava quelle allucinazioni.
Vide un gruppo di sei o sette alfar esplodere quando una palla di fuoco li raggiunse e nessuno di loro fece in tempo a evocare uno scudo magico per deviarla.
Scorse un drappello di soldati nemici asserragliati in un angolo, gli scudi ormai a brandelli. Il metallo cedette di schianto e i dardi magici li trafissero uno a uno, abbattendoli.
Un uomo senza una gamba si trascinava verso un albero.
Una donna era inginocchiata e reggeva la testa a una ragazza, gli occhi spalancati e vuoti.
Una ragazza incoccava una freccia dopo l'altra nel suo arco e tirava verso i soldati nemici che avanzavano verso di lei. Scoccata l'ultima freccia, estrasse una corta daga e si lanciò verso i soldati urlando.
Joyce distolse lo sguardo da quell'orrore che la stava sopraffacendo.
Sentiva una voce sussurrarle all'orecchio, ma non riusciva ad allontanare quelle immagini dalla sua vista, nemmeno se chiudeva gli occhi.
E se lo faceva, si riproponevano più vivide che mai.
"Nidda ti prego. Nidda."
Indis.
La ragazza alfar la stava scuotendo per un braccio.
"Nidda" piagnucolò.
Joyce le rivolse un sorriso. Era così inopportuno in tutto quell'orrore, ma al tempo stesso sentiva il bisogno di abbandonarsi a una risata liberatoria, come se potesse allontanare da lei quelle scene orribili.
"Ti prego."
Joyce trasse un profondo respiro. Era durato solo un attimo, ma fu come se avesse trascorso in quella battaglia metà della sua vita.
Per un lungo istante niente ebbe importanza. Valonde, Vyncent, Oren, Bryce, suo padre, la guerra, sua madre, i suoi fratelli, il libro... tutto si fuse in un vortice, che poi si ridusse a un unico puntino luminoso.
Socchiuse gli occhi e strinse la mano di Indis. "Andiamo" disse.
"Dove?"
Joyce mormorò la formula della levitazione, afferrò Indis e dopo essersi data una spinta con le gambe, scattò verso l'alto.
Salirono in fretta lungo l'albero e la depositò oltre il parapetto.
Di Serime e degli altri difensori non vi era più traccia. Il resto degli alfar era nell'edificio.
"Forse stanno combattendo da un'altra parte" suggerì Indis.
"Ma dovevano difendere l'albero" protestò Joyce.
Quello complicava le cose. Lei e Indis da sole non avrebbero retto a un altro attacco e poi c'era l'orso.
"Dove vai?" chiese Indis.
"Mi occupo dell'orso. Devo allontanarlo da qui."
"È troppo tardi."
"Allora troverò un altro modo per salvare quelle persone." Guardò i camminamenti, ormai consumati dalle fiamme. Impossibile passare di lì senza correre il rischio che cedessero facendoli precipitare di sotto. Non aveva a forza né il tempo di prenderli uno alla volta e portarli di sotto, al sicuro. Non da sola, almeno. "Chi altri sa volare?"
Indis si strinse nelle spalle. "Non molti."
E nessuno di loro è qui, pensò Joyce. "Allora ci penserò io." Nella sua mente si stava formando un piano.
Guardò in basso, cercando un punto dove poter planare e ne trovò uno distante trecento metri. Lì c'era uno spiazzo vuoto e la battaglia non era ancora arrivata.
"Raduna tutti nell'edificio e digli di aspettare il mio ritorno." Fece per andarsene.
"Non sarebbe meglio farli scendere? Abbiamo le funi..."
"Ho un'idea migliore" disse Joyce. Le era tornato in mente il piano che aveva usato a Vanoria. Poteva usarlo anche lì.
Indis le afferrò il braccio. "Dove vai, nidda?"
Lei l'allontanò con delicatezza. "Tornerò a prendervi tutti quanti" disse col tono più rassicurante che riuscì a trovare.
Si librò in direzione degli alberi, dove la battaglia non era ancora arrivata. C'era uno spiazzo libero lì in mezzo. Vi avrebbe posto un marchio e poi sarebbe tornata indietro. Con un richiamo di massa come quello di Vanoria, quando aveva trasportato fuori dalle caverne decine di persone, poteva portarli lontani e al sicuro.
Le serviva solo arrivare a un posto sicuro. Il resto era facile. Il resto...
Immersa nei suoi pensieri non vide l'ombra allargarsi sul suolo. Non udì il frullare di ali alle sue spalle né il vento accarezzargli la pelle.
Invece sentì gli artigli penetrare nella sua spalla e trascinarla per metri e metri. Sentì il dolore lancinante avvamparle nella parte destra del corpo, come se dei pugnali l'avessero trapassata tutti insieme.
Ruotò la testa in alto, incrociando lo sguardo con quello severo del rapace.
Un'aquila gigantesca, con un corpo grande quanto quello di un cavallo e ali che coprivano il cielo, l'aveva afferrata con i suoi artigli e la stava trascinando via.
A cavalcioni dell'animale sedeva un ometto che aveva già visto prima di allora. Riconobbe subito il viso rubizzo e gli occhi che sembravano voler schizzare fuori dalle orbite.
Era identico a quello dell'uomo che cavalcava il ragno gigante che li aveva aggrediti nella foresta.
"Hai fatto male al mio cucciolo" gridò con voce stridula. "Parola di Erthan, te la farò pagare."
Nella confusione, Joyce non afferrò le ultime parole. La sua mente pensava solo al modo di liberarsi da quella presa. Il dolore alla spalla, passato il primo attimo di sorpresa, si stava attenuando e la mente si stava schiarendo.
L'aquila l'aveva afferrata con i suoi artigli per la spalla, ma aveva l'altra mani libera. Con uno sforzo immenso ruotò il busto e la puntò verso l'alto, sparando due dardi magici.
Ertham li deviò con lo scudo magico, che sembrava circondare sia lui che la creatura. "Dovrai metterci più impegno" gridò l'ometto.
L'aquila picchiò verso il basso e Joyce annaspò, travolta dall'orrore nel vedere avvicinarsi il suolo a quella velocità folle.
Ertham gridò e rise, prima che l'aquila si risollevasse facendole sfiorare il terreno.
L'ometto emise un grido d'esultanza. "Com'è stato? Divertente? È quello che ha provato il mio cucciolo quando l'hai fatto precipitare. Io ho visto tutto. Ero in lui quando è successo."
Joyce non aveva idea di come funzionassero le evocazioni, ma sapeva che la creatura evocata e lo stregone mantenevano un certo legame per tutta la durata dell'incantesimo. Si diceva che gli evocatori più forti riuscissero a provare i sentimenti delle loro creature e a guidarle fino a un certo punto.
Ertham era uno di loro?
Se era così,  poteva sfruttare a suo vantaggio quella informazione. Qualsiasi cosa avrebbe fatto all'aquila o a un'altra sua evocazione, lui l'avrebbe provata in prima persona.
"Prima di morire proverai cento volte lo stesso terrore" gridò Ertham facendo scendere di nuovo in picchiata l'aquila.
Joyce sentì i dolore alla ferita riacutizzarsi mentre veniva sballottata dall'animale. Gridò per la paura e il dolore quando l'aquila cambiò di nuovo direzione, tornando su.
Ertham rise sguaiato. "Ti è piaciuto? Adesso viene il bello."
Joyce vide con terrore che stava puntando verso la chioma degli alberi. Se fosse passata lì in mezzo a quella folle velocità, i rami l'avrebbero fatta a pezzi.
Se era fortunata.
Se non lo era, l'avrebbero ferita in maniera orrenda.
Mentre vedeva il pericolo avvicinarsi, la sua mente pensò frenetica a una soluzione. Non poteva colpire l'aquila o Ertham, non aveva abbastanza forza per superare il suo scudo magico. Non poteva liberarsi dalla presa degli artigli.
Doveva indurre il mostro a farlo, ma non aveva idea di come fare.
Poi ricordò una cosa che le era capitata anni prima. Una volta suo fratello Roge aveva portato a castello un falcone. Ricordava l'aggressività dell'animale, inavvicinabile se non dal suo istruttore.
Suo padre le aveva ordinato di starne alla larga e lei aveva ubbidito, ma a sette anni era difficile tenere a freno la curiosità per troppo tempo.
Così un giorno lei e Bryce si erano avvicinate per guardarlo meglio. L'animale aveva un cappuccio che gli copriva la testa. Finché la sua vista restava celata, non avrebbe fatto loro del male, ma se avessero provato a toglierlo...
Ora sapeva cosa fare e si preparò. Doveva agire col giusto tempismo o sarebbe stato tutto inutile. Ignorò il dolore intenso al fianco e alla spalla, ricordando a memoria la formula magica giusta.
Vide gli alberi avvicinarsi, attendendoli con pazienza. Se aveva fatto bene i suoi calcoli e se quell'aquila era solo una versione gigantesca dei suoi simili, aveva una speranza.
In caso contrario...
Era sorpresa dalla calma che aveva raggiunto. Stava per morire, ma non aveva paura. In lei c'era solo la consapevolezza dell'incantesimo che doveva lanciare e dal quale dipendeva tutto. Scacciò ogni altro pensiero e sentì di essere pronta, come non lo era mai stata prima.
Chiuse gli occhi e con tutta la calma che aveva mormorò la formula magica.

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