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Autore: heliodor    25/02/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Zabiko
 
Il buio calò attorno a lei. Un buio più profondo della notte che andava diradandosi, sconfitta dai primi raggi del sole che stava nascendo.
Un buio che l'avvolgeva, palpabile, come un mantello nero calato sopra di loro.
L'aquila gigante emise una specie di verso strozzato, uno 'squeak' simile a quello di un anatra o di una gallina a cui avessero strappando una piuma.
Sarebbe stato divertente e le avrebbe strappato un sorriso, se in quel momento non stesse lottando tra la vita e la morte.
Passò un solo istante e la presa dell'animale si allentò. Gli artigli lunghi come pugnali abbandonarono la sua carne martoriata, permettendole di liberarsi.
Joyce represse un grido di gioia e di dolore. Doveva restare concentrata.
In quel momento stava precipitando al buio verso gli alberi. Se non l'avessero uccisa i rami, l'avrebbe fatto l'impatto col suolo.
L'oscurità si diradò all'improvviso, rivelando quanto fosse vicina agli alberi. Tempo un battito di ciglia e li avrebbe sfiorati.
Mormorò la formula di levitazione e frenò la discesa.
Dietro e sopra di lei udì un frullare di ali e un grido. Non osò voltarsi, ma sapeva che erano Ertham e la sua aquila gigante. 
Invece di rallentare, puntò verso il suolo sfiorando le cime degli alberi.
L'aquila guadagnò terreno.
Joyce sapeva che se l'avesse afferrata di nuovo, stavolta non si sarebbe messa a giocare con lei. Ertham l'avrebbe fatta dilaniare da quei micidiali artigli, ne era certa.
Mormorò di nuovo la formula del manto oscuro. Di nuovo il buio li avvolse e di nuovo sentì il verso strozzato dell'aquila.
"Non ti piace il buio, vero?" urlò Joyce precipitando nell'oscurità. Sentiva gli alberi vicinissimi mentre li sfiorava. A quella velocità l'impatto contro uno di essi sarebbe stato fatale.
Il buio si dissolse un attimo prima di impattare contro un ostacolo solido, un albero-torre che era lì da chissà quanti secoli e che sarebbe rimasto lì, muta sentinella di quanto stava avvenendo in quella foresta.
Joyce lo sfiorò con una decisa cabrata che le strappò un grido di dolore.
La bestia di Ertham non  fu altrettanto rapida, forse perché, nella foga di afferrarla, lo stregone aveva aumentato la velocità.
Joyce udì un tonfo sordo, seguito da un grido acuto di dolore. Controllò la discesa fino al suolo, planando tra l'erba e il folto fogliame che ricopriva il sottobosco.
Riuscì a fare due passi prima di crollare, vinta dal dolore e dalla tensione.
Boccheggiò, in attesa che qualcosa accadesse, gli occhi rivolti in alto, sicura che Ertham e la sua mostruosa aquila fossero sopravvissuti in qualche modo al tremendo impatto.
Non accadde niente.
Il dolore alla spalla la fece piegare in due. Non osava toccare il punto in cui gli artigli dell'aquila l'avevano afferrata, ma poteva immaginare la ferita. In quel momento sperò che non le lasciasse una profonda cicatrice. Sentiva il sangue colare dalla ferita ancora fresca, ma strinse i denti.
Aveva ancora del lavoro da fare e lo scontro con Ertham l'aveva distratta.
Si guardò attorno. Era in mezzo agli alberi, lontana dalla battaglia, ma ancora entro i confini della palizzata.
Non vide abitazioni né camminamenti tesi tra gli alberi, ma solo arbusti carichi di frutta e altre piante che crescevano avviluppate ai tronchi.
Era nell'orto degli alfar, il posto dove coltivavano il loro cibo?
Non ne aveva idea, ma le sembrava l'ipotesi migliore. Un posto valeva l'altro, quindi decise che quello sarebbe andato bene. Non aveva la forza di andare più lontano e temeva che allontanandosi avrebbe impiegato troppo per tornare all'albero.
Aveva forze appena sufficienti per imprimere un marchio e forse per risalire in cima. Il resto doveva risparmiarlo per il richiamo di massa che aveva intenzione di usare.
Si chinò e impresse il marchio sul terreno. Il sigillo brillò di una luce cangiante per qualche secondo e poi scomparve.
Soddisfatta, si incamminò verso il luogo dello scontro. Prima di arrivarci mormorò la formula di invisibilità. L'aria si increspò attorno al suo corpo, facendola sparire in un istante.
Avanzò tra gli alberi, tesa all'ascolto dei rumori della battaglia. Sentiva le urla arrivare ovattate e lontane, come se si trovasse dietro un muro, ma sapeva che quel velo era sottile e che sarebbe bastata una sua mossa falsa per farlo crollare.
Poco oltre il limitare degli alberi, segnato da un confine invisibile, iniziava la radura attorno alla quale sorgeva l'avamposto.
La maggior parte degli edifici era stato consumato dalla fiamme. I pochi rimasti integri si trovavano a qualche centinaio di metri da lei. Dal'alto provenivano dardi e palle di fuoco che cercavano di fermare gli invasori, che ormai stavano dilagando.
Vide soldati vestiti con pesanti armature e stregoni abbigliati con mantelli grigi e senza simboli sciamare nella radura alla ricerca di un posto coperto dal quale attaccare i pochi difensori assediati in alto.
Due enormi orsi giacevano a terra ormai ridotti a brandelli dai colpi degli alfar. Quanti dardi avevano impiegato per abbatterli? E quanti di essi sarebbero invece stati più utili contro i soldati e gli stregoni attaccanti?
Le forze di Rancey sembravano ancora integre. Contò solo una ventina di corpi nemici disseminati in giro. Il grosso delle sue truppe doveva essere ancora lì, pronto a colpire.
Compreso Rancey.
Joyce non aveva dimenticato che lo stregone era il suo obiettivo, ma in quel momento non aveva la forza di affrontarlo.
Poteva solo cercare di salvare le persone ancora nascoste nella biblioteca, se era ancora in piedi.
Guardò in alto, nella direzione dalla quale era partita solo qualche minuto prima. L'albero era ancora lì e l'orso alla sua base cercava ancora di abbatterlo.
Quanto era tenace quella creatura?
Doveva volare verso l'albero ma per farlo doveva uscire dall'invisibilità. In quel momento sarebbe stata visibile a chiunque stesse guardando dalla sua parte. Se uno degli stregoni di Rancey l'avesse presa di mira con un dardo, per lei sarebbe stata la fine.
Non aveva scelta, doveva rischiare se voleva salvare quella gente e Indis.
Mormorò la formula della levitazione. Il velo che la rendeva invisibile si dissolse e i suoi piedi si staccarono dal suolo.
Si era appena innalzata di qualche metro, quando udì dei passi alle sue spalle. Qualcosa le afferrò il piede e la tirò verso il basso.
Joyce urlò per la sorpresa mentre veniva sbattuta con violenza contro il terreno. Urlò quando colpì la dura terra e il dolore ormai attenuato tornò a esplodere nel suo fianco martoriato.
Rotolò su se stessa, ignorando il dolore lancinante che sembrava trafiggerle la spalla e giacque sulla schiena.
Sollevò la testa e vide chi le aveva afferrato il piede. Era un uomo enorme, il più grande che avesse mai visto. Aveva il torace scoperto e pieno di cicatrici, braccia muscolose e un collo taurino. Il viso, sporco di sangue, era coperto per metà da un tatuaggio.
E i suoi occhi brillavano di una luce cupa mentre sorrideva. "Non si sfugge a Zabiko. Zabiko fa buona guardia. Zabiko copre le spalle ai suoi amici come padron Rancey gli ha ordinato di fare."
"Fammi indovinare" disse Joyce alzandosi a fatica. "Ti chiami per caso Zabiko?"
L'uomo grugnì qualcosa. "Zabiko ha ucciso poco, oggi. Zabiko ha voglia di uccidere prima che la battaglia finisca."
Joyce tossì sangue. Nella caduta si era morsa la lingua. "Zabiko sa anche parlare in modo comprensibile?"
"A Zabiko piacciono i tuoi capelli. Zabiko ci farà una parrucca dopo averti uccisa. Zabiko farà in modo di non sciuparli troppo."
Joyce rise. "Zabiko dovrà sudarseli i miei capelli se li vuole."
L'omaccione avanzò di un passo. Gli occhi smisero di brillare nello stesso istante. "Zabiko prende quello che vuole. Zabiko vuole la vita della ragazza rossa."
"Sono la strega rossa, prego" disse Joyce con una punta d'orgoglio.
Zabiko scosse le spalle. "Per Zabiko è lo stesso."
Joyce evocò un dardo magico e glielo mostrò. "Avanti, vieni."
Zabiko evocò lo scudo.
"Ti credevo più coraggioso" disse Joyce evocando il suo. Si sentiva stanchissima, ma non poteva affrontarlo senza una difesa.
Zabiko iniziò a danzarle attorno. A dispetto della mole era molto agile. "Zabiko viene dalle isole del sole."
"Io vengo da Valonde."
"Zabiko c'è stato, una volta, quando era mozzo sulla nave di suo zio Karik. Zabiko ha bei ricordi di quel posto."
"Visto che abbiamo qualcosa in comune?" fece Joyce cercando di guadagnare tempo.
L'uomo si muoveva in fretta come se stesse cercando di distrarla. Cercava una crepa nella sua difesa o aveva capito che era allo stremo delle forze?
Joyce faticava a mettere a fuoco la scena e tenere alto lo scudo. Tra poco le forze le sarebbero venute meno e Zabiko avrebbe avuto i suoi capelli in maniera semplice e veloce.
Non voleva morire.
E soprattutto non voleva morire calva.
Quella sarebbe stata davvero una beffa atroce, oltre che un'ingiustizia.
Voleva vivere almeno per uccidere Rancey o saperlo morto.
Zabiko dovette cogliere un suo attimo di cedimento perché scelse quel momento per balzare verso di lei.
Solo allora Joyce notò che nella sua mano brillava una spada magica, una lama fatta di energia che aveva già visto usare a Bryce. Un'evocazione che non aveva niente da invidiare alle spade vere per precisione e letalità.
Zabiko sollevò la spada sopra la sua testa e affondò il colpo. Joyce alzò lo scudo in risposta e lo parò, finendo a terra per il contraccolpo.
Zabiko si riprese in fretta e cercò di colpirla con un fendente, che lei evitò balzando all'indietro. Mise un piede in fallo e cadde sulla schiena.
Zabiko le saltò addosso e affondò la lama nel terreno dove si trovava Joyce un attimo prima.
Lei nel frattempo era rotolata di lato per evitare il colpo mortale.
Zabiko sollevò di nuovo l'arma e si preparò a un nuovo affondo.
Due dardi esplosero all'altezza del suo ventre muscoloso, proiettandolo all'indietro per alcuni metri e facendolo finire sulla schiena.
Joyce sollevò la testa di scatto e vide Leyra.
La giovane alfar era sporca di sangue. I capelli chiari erano arruffati e pieni di fuliggine come il viso, ma sembrava che stesse bene a parte quello.
Joyce si trascinò verso di lei.
"Nidda" esclamò la ragazza. "Che ci fai qui? Dovresti essere alla biblioteca."
Joyce non fece in tempo a risponderle che uno schianto improvviso coprì la sua voce. Voltò la testa verso l'albero-torre in cima al quale sorgeva la biblioteca e lo vide crollare dopo essersi spezzato in due.
Non vide gli occupanti, ma sentì le loro grida mentre precipitavano da quell'altezza enorme. Lo schianto del legno che si spezzava al suolo coprì ogni altro suono e dopo di quello vi fu solo silenzio.
Joyce rimase con gli occhi fissi sulla scena, incredula.
"Non ho fatto in tempo" disse con un filo di voce.
"Nidda" fece Leyra con tono disperato.
Joyce non l'ascoltava. "Ce l'avevo quasi fatta" mormorò. "Avrebbe funzionato se non fosse stato per..." Poi ricordò la promessa che aveva fatto a Indis.
Si era fidata della sua parola e in cambio lei l'aveva abbandonata al suo destino. Per quanto tempo aveva atteso il suo ritorno, fiduciosa che l'intrepida Joyce l'avrebbe salvata?
Quell'attesa le era stata fatale. Avrebbe dovuto lasciarla fare. Indis avrebbe messo in salvo se stessa e quelle persone, invece Joyce voleva giocare alla coraggiosa maga e salvarli nel modo più elaborato,  più spettacolare e più inutile.
Avrebbe avuto tempo per dannarsi di quella decisione scellerata, ma sapeva di non averne molto.
La radura attorno a loro si era riempita di ombre.
Le sagome di soldati di Rancey che le tenevano sotto tiro con le balestre e le loro armi.
Joyce pensò che era giunta la fine, ma non arrivò il colpo mortale.
Dalle ombre emerse una figura femminile avvolta in un mantello cremisi con ricami in oro, capelli neri e fluenti e un ghigno disegnato sul volto dai lineamenti affilati.
La riconobbe subito.
Era Eryen.
La ragazza camminò fino a loro con grazia spavalda, quasi pavoneggiandosi. Solo allora Joyce notò che tra i soldati di Rancey molti esibivano sugli scudi il simbolo di Nazedir.
"Lo sapevo che ti avrei trovata qui" disse Eryen fermandosi a due passi di distanza.
Joyce riuscì ad alzarsi quel tanto che bastava a fissarla negli occhi, ma lei continuava a sovrastarla. Solo allora si rese conto che l'intenso dolore alla spalla e la stanchezza la costringevano a restare piegata su se stessa, sprofondata in un inchino al quale non poteva sottrarsi.
"E in che condizioni ti trovo" aggiunse Eryen. "Sono bastati pochi giorni per trasformarti in uno di questi selvaggi" disse storcendo la bocca in una smorfia di disgusto.
Joyce non aveva voglia di ascoltarla. Tutto ciò che riusciva a pensare erano Indis e quelli che erano morti per colpa sua. Che non si erano salvati per colpa sua, a essere precisi.
Non fa alcuna differenza, si disse.
Eryen sospirò in maniera plateale, sottolineando il gesto con una mano sul fianco. "Per fortuna ci siamo noi qui."
"Noi?"
"Gajza e io, ovviamente. E tutto l'esercito di Nazedir. Con le nostre forze e quelle di Rancey elimineremo una volta per tutte questi selvaggi."
"Gajza è un'assassina" disse Joyce. "Ha ucciso Jhazar e Gastaf."
Gli occhi di Eryen luccicarono maligni. "Ti sbagli, mia cara. Gastaf è stato ucciso da Jhazar, che l'ha attirato in trappola grazia a Therenduil, quel selvaggio col quale aveva fatto comunella. Ma sta tranquilla, sappiamo benissimo che tu non c'entri niente con questa storia."
"Ti sbagli, io l'ho vista uccidere Gastaf e Jhazar con questi occhi" disse con tono di voce appena udibile.
Eryen scosse la spalle. "Non ha importanza, ormai. La guerra è iniziata e nessuno potrà fermarla. Andiamo, ti porto da Gajza. Vorrà parlarti."
"Lei è qui?"
"Ha guidato di persona l'attacco."
"Con Rancey?"
"Lord Rancey" la corresse lei. "Era impegnato altrove e non ha partecipato."
Dannazione, si disse Joyce. Se fosse stato con Gajza avrebbe potuto provare a ucciderlo. "Preferisco stare qui."
Eryen la guardò sorpresa. "Qui?"
Joyce indicò Leyra, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, ignorata dalle altre due.
"Con i selvaggi? Sei proprio una sciocca. Mi spiace, non è possibile. Ordini di Gajza." Fece un cenno ai soldati.
Sei di loro si avvicinarono.
Joyce valutò se fosse il caso di resistere, ma non aveva la forza nemmeno per reggersi in piedi.
Leyra si lasciò catturare senza opporsi. Doveva aver capito anche lei che l'avrebbero uccisa senza tanti complimenti.
"Cosa le farete?" chiese Joyce a Eryen.
"A Gajza servono prigionieri" rispose lei.
"Per quale motivo?"
Eryen sorrise. "Dice di voler organizzare uno spettacolo."

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