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Autore: The Writer Of The Stars    27/02/2018    1 recensioni
"Sakura vi aveva visto qualcosa di diverso e che non era abituata a riscontrare nei suoi clienti, c’era dolore nella cornea, solitudine nell’umor aqueo e fame disperata d’amore nell’iride. Gli occhi di Sasuke non erano altro che lo specchio buio dei suoi, sembravano due buchi neri pronti ad inghiottirla, le scintille da cui si era generato l’intero universo, il mare in piena tempesta disposto ad accogliere i naufraghi nel loro letto di morte."
“Cosa hai fatto ai miei occhi?”
**
Seguito della mia precedente One shot "Darling, I'll bathe your skin".
|Sasusaku AU!|
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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Perché ogni tanto torno anche io.
Nota:
One shot collegata alla mia precedente storia: “Darling, I’ll bathe your skin” (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3589989&i=1 ) di cui vi consiglio la lettura ai fini della comprensione di questo testo.

HEAVEN HELP THE FOOL WHO FALLS IN LOVE

Un essere umano può sopportare il freddo fino una temperatura di -80 C°, può resistere senza mangiare per un mese e restare sveglio per due settimane consecutive: sono i cosiddetti “limiti di sopravvivenza umana.”  Sakura aveva vissuto al limite per quasi due anni. Non aveva mai avvertito temperature così basse, ma aveva passato un intero inverno tra la neve con una decina di gradi sotto lo zero, senza vedere cibo per settimane infinite e quasi aveva dimenticato cosa significasse chiudere gli occhi per qualche ora. Per questo motivo trovava tanto difficile tornare ad un’esistenza normale e ordinaria, dimentica degli stenti e delle pene che le erano stati agghiaccianti compagni per tutto quel tempo; semplicemente, non era più abituata. Quando Sasuke l’aveva incontrata quella notte sulla sua panchina ad Akihabara*, le si era seduto accanto e le aveva parlato senza misericordiose parole di compassione, anzi, un po’ l’aveva attaccata e l’aveva colpita sebbene fosse solo un estraneo, non si era sentita, per la prima volta dopo tempo, il gioiellino sessuale dei predatori d’alto borgo, non era stata la pazza con i capelli rosa ma solo Sakura, una persona in difficoltà, un essere ai limiti della sopportazione umana, ma vivente. Era il 19 dicembre e nei giorni a seguire gli esperti avevano definito quella notte come la più gelida degli ultimi dieci anni, per Sakura sarebbe stata anche la cifra alle destra del trattino, proprio vicino alla data di nascita, inciso su una fredda lapide di marmo che nessuno avrebbe avuto cura di predisporle. Sepolta dalla neve, sarebbe stato il suo destino, una fine misera per una misera vita. Invece c’era stato Sasuke. Era rimasto seduto al suo fianco su quella panchina arrugginita e cigolante senza un motivo apparente, perché Sakura non riusciva davvero a capire cosa volesse da lei. Per un attimo aveva anche pensato che fosse venuto a conoscenza della sua fama di piccola prostituta dal corpo scheletrico ma che piaceva tanto agli uomini e voleva provare anche lui come ci si sentisse nell’incavo dei suoi seni, eppure non l’aveva sfiorata neppure con un dito, neppure per un istante, ma l’aveva accarezzata solo con gli occhi e non c’era nel suo sguardo alcun segno di lussuria o piacere nascosto. Sakura vi aveva visto qualcosa di diverso e che non era abituata a riscontrare nei suoi clienti, c’era dolore nella cornea, solitudine nell’umor aqueo e fame disperata d’amore nell’iride. Gli occhi di Sasuke non erano altro che lo specchio buio dei suoi, sembravano due buchi neri pronti ad inghiottirla, le scintille da cui si era generato l’intero universo, il mare in piena tempesta disposto ad accogliere i naufraghi nel loro letto di morte.

“Tu non dovresti andare a casa?”
“Nah” rispose con un’alzata di spalle “Non ho niente da fare là.” *


La temperatura stava scendendo in picchiata e loro non parlavano più. Sakura non riusciva più a percepire le dita delle mani, il sangue affluiva troppo lentamente al suo corpo e improvvisamente seppe che sarebbe morta.
                                                                   
“N- non voglio che t- tu muoia di f-freddo stanotte.” Gli disse con i denti che battevano senza controllo, ma era risoluta perché non poteva permettersi di condividere la morte con qualcuno che non aveva nessuna colpa. Lui non lo meritava, e nemmeno lei. Sasuke alzò le spalle con noncuranza, manteneva lo sguardo fisso ad un punto indistinto della strada dinanzi a sé, non mutò espressione.

“Nemmeno io voglio che tu lo faccia.” Quelle parole schiaffarono le guance di Sakura con violenza ed era certa che, se solo non fossero state insensibili a causa del freddo, avrebbe provato un dolore atroce. Lo osservò affondare le mani guantate nelle tasche del cappotto pesante e Dio solo seppe quanto gli invidiò quella calda coperta costosa.

“N-neanche mi conosci, non d- dovrebbe i-importarti.”  Ribatté con una convinzione sempre più vacillante e un groppo doloroso alla gola. Non la guardò nemmeno e Sakura per un attimo credette che il bel volto di quel ragazzo non fosse in grado di esprimere alcuno stato d’animo, se non fosse stato per quei maledetti occhi che dicevano tutto, parlavano da soli ed erano in grado di scombussolarle le viscere.

“Sarebbe omissione di soccorso, tecnicamente, e se ti lasciassi morire qui rischierei un bel po’ di anni di carcere.” Sakura si passò il dorso della mano screpolata sugli occhi lucidi e colmi di lacrime pungenti, portando via buona parte della matita nera già sbavata e che le donava ora l’aspetto di una bambola di porcellana: intoccabile e morta.

“Tranquillo, non ti denuncerebbe nessuno.” Sputò algida ma Sasuke, che non sapeva esprimere le emozioni ma sapeva cogliere perfettamente quelle altrui, percepì in quelle parole un tale senso d’abbandono e solitudine che quasi gli fece paura. Lanciò uno sguardo all’orologio da polso stretto al braccio sinistro – l’orologio che gli aveva regalato Itachi per il suo sedicesimo compleanno, quello di cui non si privava mai-  e sospirando si alzò di scatto dalla panchina. Sakura, a vederlo, temette di averlo convinto ad andarsene e che stesse davvero per abbandonarla lì alla sua morte; forse quella stilettata fu più dolorosa del vento mortifero penetratole nelle ossa.

“Forse hai ragione, ma non ho comunque intenzione di rischiare per te.”  Sasuke osservò gli occhioni troppo grandi di Sakura e nel leggervi il dubbio e l’insicurezza si lasciò andare all’ennesimo sospiro esasperato.

“Alzati, forza.” Esclamò apatico, voltandosi e prendendo a camminare. Sakura si alzò di scatto, percependo la testa girare per quel movimento troppo brusco ma ancora determinata a capire cosa volesse da lei quel tipo atipico. Lo seguì per qualche metro, prima di ripescare la forza e la voce dal fondo delle sue corde vocali infiammate per potergli chiedere:

“Dove stiamo andando?”
Sasuke si fermò per mezzo secondo, ruotando il busto verso di lei in maniera impercettibile prima di riprendere a camminare.

“A casa mia.”
*****
                                  
Sakura non si era ancora abituata al tepore di una coperta vera e alla morbidezza di un materasso, tanto che ancora non riusciva a dormire con il cuscino sotto la testa. Avrebbe voluto mangiare di più, finire tutta la carne che Sasuke le metteva nel piatto, ma il suo piccolo stomaco era più forte di lei e si rifiutava di farsi aiutare, rigettando quei cibi che ora le parevano così prelibati e squisiti rispetto alle poche schifezze che le capitava di mangiare in strada. Si vergognava sempre da morire quando riportava il piatto semipieno in cucina e Sasuke la guardava senza alcuna emozione, ma lei era certa che fosse deluso, perché diamine, l’aveva accolta sotto il suo tetto senza un motivo, le stava dando un letto e del cibo vero e lei non riusciva neanche a finirlo, non era in grado di dormire più di due ore per notte e Sasuke sapeva anche questo, perché dormivano nella stessa stanza, lui in una brandina improvvisata e lei nel suo letto. Avevano litigato per questo motivo, perché Sakura si sentiva già a disagio così e non voleva che dovesse anche rinunciare al suo letto per lei, ma Sasuke le aveva risposto male, come ormai si era abituata a sentirlo fare nelle ultime ore, e aveva bofonchiato che non lo faceva per lei ma per non sentire quella rottura di Naruto che lo avrebbe accusato di mancata galanteria. Già, Naruto. Non immaginava che il coinquilino del suo salvatore fosse anche una delle persone contro cui si era sempre aizzata e il loro primo incontro era stato quanto mai teso e bizzarro. Si erano scrutati per lunghi attimi senza parlare, Naruto non sembrava infastidito ma solo confuso e lei voleva solo scappare via e tornare sulla sua panchina per morire in pace, perché lo sapeva che si trattava solo di un inutile prolungamento della sua sentenza di morte, centellinare così quei giorni non avrebbe avuto alcun senso. Poi però Sasuke aveva trascinato il biondo in cucina e doveva avergli spiegato più o meno la situazione- già, quale situazione? Perché non poteva spiegarla anche a lei?- e poco dopo si era ritrovata stretta tra le braccia del ragazzo in un abbraccio a dir poco irruento e avventato; però, realizzò dopo pochi attimi, quell’abbraccio la scaldò più di ogni altra cosa e, forse, la morte poteva aspettare un altro po’ prima di riprendersela.  

Viveva a casa di Sasuke e Naruto da quasi tre settimane quando ebbe la prima crisi. Per qualche giorno non ci aveva neanche pensato alla droga, perché era abituata a non trovare quotidianamente la dose. Quel pomeriggio si era messa davanti ai fornelli, decisa a darsi da fare e stufa di sentirsi un peso per i suoi salvatori. Sasuke e Naruto erano all’università e lei aveva quindi rispolverato dalla propria mente la ricetta del pollo ripieno che le preparava sempre sua madre, per fare loro una sorpresa. Aveva avuto un iniziale momento di tristezza al pensiero di sua madre e vedendo il cordless poggiato a pochi metri da lei un istinto disperato l’aveva spinta ad afferrare il telefono e comporre il numero con foga.
“Pronto?” si ricordava di quando, da bambina, sua madre era impegnata a preparare i biscotti al cioccolato e correva a rispondere al telefono lasciando l’impasto nel forno, emetteva il suo “Pronto?” squillante con un leggero affanno perché temeva sempre di non arrivare in tempo per raccogliere la chiamata. Sakura udì la voce di sua madre attraverso la cornetta, riconobbe quello stesso identico tono di voce tra il gaio e il cordiale e subito percepì un groppo salirle alla gola per poi sfuggirle in un gemito straziato che la sua interlocutrice non poté udire, perché la ragazza aveva già attaccato il telefono con foga animale. Fu in quel momento che Sakura sentì la mancanza dell’eroina, di ciò che aveva preferito ai suoi genitori come una perfetta sciocca e, adesso che non poteva più avere loro, poteva comunque contare su di lei, giusto? Ma lei non c’era, non c’era nella sua vecchia borsa consunta, non c’era nelle tasche del maglione che le aveva prestato Sasuke, dove lei entrava tre volte ma almeno era al caldo, non c’era nei cassetti, non c’era da nessuna parte e questo non era giusto perché doveva essere lì, nelle sue vene.

Quando Sasuke aprì la porta di casa non udì alcun rumore ma notò subito come il tavolo della cucina fosse ricolmo di ingredienti ancora inutilizzati. Diede un’occhiata alla salsa che bolliva in un pentolino, afferrò un ramoscello di rosmarino avvicinandolo alle narici e inspirando a fondo; quell’odore gli ricordava sua madre, i pranzi in famiglia, casa sua. Abbandonò l’erbetta sul ripiano della cucina nel tentativo di ricacciare indietro i ricordi e chiamò a gran voce Sakura, perché era strano che non si fosse ancora fatta vedere. Ogni volta che rientrava in casa, infatti, Sakura gli correva incontro e lo salutava con un sorriso che gli sembrava quasi meno triste ogni giorno che passava, gli chiedeva come aveva passato la giornata e Sasuke non aveva potuto ammettere, almeno a se stesso, di essersi impossessato gelosamente di quei momenti di intima quotidianità che gli sembravano così sinceri e così reali. Sakura era diventata parte delle sue giornate e adorava passare le serate a suonare alla chitarra tutti i pezzi che lei gli chiedeva, perché avevano gusti musicali molto simili e lei aveva una voce tanto bella che sentirla cantare gli faceva bene al petto. Ma quel giorno non era corsa a salutarlo come sempre e si sentì ridicolo, ma non poté reprimere un moto di preoccupazione.

“Sakura?” la chiamò ancora, ma non giunse alcuna risposta alle sue orecchie. Sasuke si sentì preda di un brutto presentimento e non si fermò a riflettere sul fatto che stesse provando preoccupazione per qualcun altro, ma preferì correre al piano superiore dove si trovavano le stanze e il bagno. La camere erano vuote e perfettamente in ordine ma fu il rumore di uno specchio in frantumi a richiamare la sua attenzione verso il bagno.

Si dice che un’epifania sia un momento di apparizione improvvisa, quasi divina, che colpisce il cuore di chi ne è vittima come una stilettata nel petto. Di fronte alla porta bianca del bagno, Sasuke si sentì preda di un’epifania funesta perché rivide nelle piastrelle bianche di marmo del pavimento il corpo di Itachi riverso senza vita e con gli occhi sbarrati, la siringa conficcata nel braccio destro e la pelle più bianca della neve che stava tormentando Tokyo. Non urlò come allora, ma si appoggiò allo stipite della porta temendo di svenire, aspettando di udire il pianto straziato di sua madre e la mano di suo padre sugli occhi per celargli quella visione così macabra. Udì un grido disperato, sì era un grido ma non era quello di sua madre, non si trattava del pianto di un genitore privato del proprio figlio, udì un grido e improvvisamente sul pavimento del bagno non c’era più il corpo senza vita di Itachi ma solo Sakura, Sakura rannicchiata su se stessa e che tremava in preda alle convulsioni. Sasuke percepì una scarica elettrica scombussolare il suo corpo e subito si gettò sulla figura della ragazzina che giaceva ai suoi piedi.
“Sakura! Che diamine succede?!” non si rese nemmeno conto di urlare ma se ne accorse solo quando vide la ragazza portarsi le mani alle orecchie, infastidita. Le mani tremavano ed erano completamente imbrattate di sangue, ce ne era così tanto che le sporcò il volto lattiginoso, i capelli color rosa sfiorito, gli abiti che aveva indosso e anche le mani di Sasuke che corsero ad afferrarle il viso.

“Sakura, Sakura, cazzo, rispondimi!” era disperazione quella nel suo tono? Era la stessa voce, le stesse parole che avevano urlato dinanzi al cadavere di Itachi? Era davvero lui?
Sakura tremò ancora e riuscì a balbettare qualche fugace parola che colpì in pieno Sasuke.

Eroina. E’ una crisi d’astinenza.

“Sakura, ascoltami! Sakura, Sakura guardami!” fu solo trattenendola con tutta la sua forza che riuscì a placare le convulsioni della ragazza e la costrinse a fissare i suoi occhi nei propri; erano vacui e spenti e Sasuke si sentì terrorizzato.

“Sakura guardami, guardami. Sono io, sono Sasuke.” Non aveva la più pallida idea di cosa fare, forse stava agendo nella maniera più sbagliata del mondo, ma l’unica cosa che gli venne naturale fu calmarla e guardarla negli occhi, ci fossero volute anche ore non avrebbe avuto importanza ma doveva salvarla, perché lei non era come Itachi, lei era ancora viva e poteva ancora salvarsi. Forse non faceva poi così schifo come pensava, perché dopo pochi attimi Sakura sembrava un poco più calma, tremava meno e respirava con più lentezza. Poi d’improvviso scoppiò a piangere disperata ma per Sasuke fu quasi un sollievo vedere i suoi occhi colmi di lacrime, perché anche se si trattava di dolore non aveva importanza, erano comunque pieni ed erano tornati meravigliosi e vivi, erano gli occhi di Sakura, verdi e tristi. Biascicò parole di scuse e “mi dispiace” disperati e Sasuke non oppose resistenza quando lei si poggiò sul suo petto sfinita, al diavolo la sua camicia, chi se ne frega se si bagna, e soprattutto gli venne quasi istintivo e naturale cingere il suo esile corpicino con le proprie braccia. Le carezzò i capelli sporchi di sangue con le sue mani grandi e calde, lanciando uno sguardo allo specchio frantumato in terra, distrutto dalla sua furia incontrollata e macchiato anch’esso dal sangue di Sakura, raro e dolce come vino di ciliegie.

“A piccoli passi” le sussurrò all’orecchio con un filo di voce raccolto dalle corde vocali. “A piccoli passi ce la facciamo.”
 

Quella sera la tavola non venne apparecchiata. Naruto tornò a casa trovando il sugo nella pentola completamente bruciato e quando salì le scale si affacciò alla stanza di Sasuke, intravedendovi il ragazzo disteso sul letto, con Sakura avvinghiata a lui e profondamente addormentata. Sasuke lo notò e arrossì, mimandogli un “non è successo niente, levati dalle scatole” alquanto intimidatorio. Naruto increspò leggermente le labbra, lanciando un ultimo sguardo alla testa di Sakura poggiata sul petto di Sasuke, prima di uscire e chiudere la porta. A quanto pareva quei due non avevano molta fame. Dal suo canto Sasuke era esausto: dopo aver calmato Sakura sul pavimento del bagno l’aveva presa in braccio e portata a letto dove lei era subito crollata, sfinita. Avrebbe voluto andarsene e lasciarla dormire in pace perché proprio non ci riusciva a guardarla così inerme e indifesa, perché era troppo bella e sentiva ancora l’adrenalina circolargli in corpo, il terrore di averla persa come aveva perso Itachi continuava ad attanagliarli il cuore non più abituato a provare sentimenti. Non appena l’adagiò sul letto e fece per staccarsi da lei, però, si sentì afferrare per un braccio e vide la mano di Sakura che non voleva lasciarlo andare, che desiderava la sua presenza con bramosia spasmodica e lui non era proprio riuscito a lasciarla sola. Era passata ormai un’ora da quando Sakura si era assopita sul suo petto e Sasuke non aveva fatto altro che pensare a quella situazione in cui si era cacciato, a cosa diamine stesse combinando, perché lui non era affatto una persona altruista, tutt’altro, ma allora perché non riusciva a lasciar andare quella ragazzina, perché era così inaccettabile pensare che anche lei potesse morire? Non si trattava solo di Itachi, ormai lo stava ammettendo anche a se stesso: la verità era che da quando Sakura era entrata nella sua vita si sentiva meglio, era felice di sapere che stesse aiutando un altro essere umano, spesso non vedeva l’ora di tornare a casa solo per poterla rivedere e passare del tempo con lei, perché è vero, parlava troppo e senza sosta, ma lui si era talmente abituato alla sua voce che l’avrebbe sopportata per l’eternità. Dio, era amore quello? Poteva innamorarsi di quella ragazzina, che senso aveva tutto ciò?

“Sasuke …” si trovò a sobbalzare sorpreso, interrotto dalle sue elucubrazioni, e abbassando lo sguardo notò la testolina rosata di Sakura muoversi lentamente.

“Hm?” mugugnò senza mutare posizione. Sentì Sakura spostarsi e la vide alzare gli occhi verso l’alto, per incontrare i suoi. Erano tornati i suoi occhi e questo gli fece provare un immenso senso di sollievo.

“Perché lo stai facendo?” gli chiese con il tono di un bambino che scopre per la prima volta il mondo e Sasuke rimase in silenzio per un tempo sufficientemente lungo da diventare imbarazzante, se solo loro due non fossero stati così bene insieme anche senza dire una parola.

“Io non lo so.” rispose infine ed era la verità, non lo sapeva ancora, non ci capiva niente, sapeva solo che quando la sera prima aveva suonato “Skinny love” dei Bon Iver, al verso “Andiamo, gracile amore, resisti fino alla fine dell’anno” aveva subito pensato a lei, a quanto fosse fragile e a quanto volesse che restasse in vita tra le sue braccia e no, non poteva morire, non doveva morire.
Sakura non rispose subito ma mantenne lo sguardo fisso nei suoi occhi. Poi sorrise, un sorriso piccolo ma sincero e bello e soprattutto senza tristezza.

“Grazie.” Sussurrò. Aveva una lacrima negli occhi di giada.
****

Un anno dopo

Sasuke aprì pigramente gli occhi e trovò il viso sottile di Sakura a pochi centimetri dal suo. Dormiva profondamente e aveva due enormi solchi sotto gli occhi che di giorno cercava di nascondere con il trucco, ma sapeva che nella loro intimità era inutile celare segreti. Da quando era stata ammessa all’Università delle arti di Tokyo le ore di sonno avevano ceduto il posto ad esercizi al pianoforte e lezioni di solfeggio, ma nonostante la stanchezza Sakura era felice. Era stato un anno intenso e molto duro da affrontare: aiutata da Sasuke e Naruto aveva deciso di entrare in una comunità per superare la propria dipendenza, ma non era stato così semplice come avrebbe voluto, c’erano stati giorni buoni e altri meno buoni ma in compenso durante la riabilitazione aveva ricominciato a suonare il pianoforte. Sasuke aveva potuto allora constatare che era vero quanto aveva sentito, che Sakura aveva un talento innato per quello strumento e osservando quelle manine minute correre per i tasti aveva capito qual era il suo destino. Non appena uscita dalla comunità le aveva quindi proposto di tentare l’esame di ammissione all’università, ma Sakura era insicura, ancora fragile e inconsapevole delle sue capacità. Così ci era voluto del tempo, c’era voluta la sua vicinanza, perché Sasuke non l’aveva mai lasciata un attimo, nemmeno durante il periodo della riabilitazione; spesso non apriva bocca, come suo solito, ma la sola presenza bastava a Sakura come aiuto e ancora su cui fare affidamento in ogni momento. E ce l’aveva fatta, perché la Sakura che viveva di stenti sulla panchina di Akihabara aveva lasciato il posto a una pianista di vent’anni, talentuosa e con un futuro davanti a sé. Sasuke la amava, senza riserve. Amava sentirla suonare, amava vederla ridere, amava stuzzicarla e amava baciarla di sorpresa, perché lei si scioglieva in un sorriso sulle sue labbra e quella curva lo faceva impazzire. Amava anche vederla piangere di gioia, come quando l’aveva accompagnata dai suoi genitori e aveva visto sua madre stringerla a sé come se fosse il tesoro più prezioso al mondo, e in realtà lo era davvero.
Ora dormiva serena e, anche se struccata e con i capelli scompigliati, Sasuke non poté fare a meno di constatare che quello era il ritratto della serenità. Si volse verso il lato opposto, per controllare che ore fossero e quando si scontrò con la sveglia poggiata sul comodino si bloccò di colpo: non fece neanche caso all’orario, non gli importava così tanto, ma fu il suo riflesso nel vetrino dell’orologio a colpirlo. Sasuke sapeva bene che, sin dalla morte di Itachi, i suoi occhi erano stati lo specchio perfetto della sua anima e di ciò che si portava dentro: dolore nella cornea, solitudine nell’umor aqueo e fame disperata d’amore nell’iride. Ora guardava i suoi occhi, forse per la prima volta dopo diverso tempo, e non vi vedeva più nulla di tutto questo: il dolore nella cornea persisteva, ma era attenuato dalla sensazione di un ricordo immortale, nell’umor aqueo vide lui e Sakura seduti insieme alla stessa tavola e nell’iride c’era solo il sorriso di Sakura. Abbassò gli occhi e tornò a guardare la ragazza stesa al suo fianco, le carezzò i capelli e pensò che in effetti lui non le aveva mai detto tutte le cose sdolcinate che si dicono tra fidanzati e mai le avrebbe dette, perché non era da lui, però ora che dormiva così profondamente, ecco, forse ora poteva lasciarsi andare, giusto un poco. Mandò giù un enorme groppo di saliva, come se avesse paura di parlare.

“Cosa hai fatto ai miei occhi?” sussurrò quasi spaurito, mentre una mano correva a sfiorarle il collo niveo.

“Cosa cantasti a quel bambino solitario per farlo diventare così?” le labbra fredde si posarono sulla fronte spaziosa.

“Cosa hai fatto ai miei occhi?” ripeté, ma questa volta non c’era timore nella sua voce. Era gratitudine, quella che invadeva i suoi sussurri notturni.
 

*quartiere di Tokyo
*dialogo estratto dal finale della precedente one shot
 
   
 
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