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Autore: Cici_Ce    01/03/2018    2 recensioni
Dopo la rinascita del Nemeton e la possessione da parte del Nogitsune, Stiles si scopre più turbato e ferito di quanto pensava di essere. Quando il branco scopre che ogni notte sogna una strana figura che cerca di affogarlo e che al mattino si sveglia completamente fradicio, Stiles decide che è il momento di risolvere qualsiasi trauma gli sia rimasto. Nota così che in tutti gli eventi importanti della sua vita, l'acqua è sempre presente. (Questa storia ha partecipato al Teen Wolf Big Bang Italia del 2014)
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Sceriffo Stilinsky, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 4

Help Me close My Eyes - Those Dancing Days

 

 

Derek amava il panino con gamberi, lattuga e salsa rosa.

Era una nozione che andava al di là di qualsiasi ipotesi Stiles avesse fatto fino a quel momento, ipotesi che identificavano Derek come strenuo divoratore di carni, preferibilmente al sangue. Per quanto potesse essere insignificante, come dettaglio su di lui, Stiles era convinto di vederci un mondo, al di dietro: il ragazzone grande, grosso e zannuto, sempre così accigliato e aggressivo, nascondeva dentro di sé un normalissimo ragazzo amante di gusti delicati come il pesce e magari, chissà, anche di un tea pomeridiano con biscotti.

Improbabile.

Quel pensiero, quel dettaglio, però, da più di una settimana insisteva a non abbandonare la sua mente, e aveva egregiamente soppiantato il terrore folle che si era insinuato dentro di lui dopo la prima visione. Dopo quella prima volta, infatti, nulla era riuscito a cancellare l’immagine del volto di Derek, dipinto di freddo dall’acqua, che esangue affondava lentamente senza che lui fosse in grado di fare alcunché.

Non aveva dormito quella notte, né quella seguente o quella dopo ancora, tanto che la preoccupazione che Scott già provava in precedenza aveva raggiunto livelli allarmanti; Scott aveva cominciato a trovare qualsiasi scusa per stargli sempre attaccato, da bravo alpha: si faceva venire a prendere ogni mattina perché «con la moto rischio sempre di investire qualcuno» e al ritorno andava direttamente a casa con Stiles, «così ci alleniamo/studiamo/giochiamo a World of WarCraft». Aveva persino proposto una maratona di Star Wars, alla quale Stiles aveva rifiutato di cedere perché semplicemente non lo sopportava più.

Non riusciva a stare con Scott, o a studiare con Malia, o semplicemente a passare del tempo con il branco senza che il ricordo di quel viso irrompesse nella sua mente; ogni volta il cuore cominciava a battere frenetico e lo assaliva il timore che potesse essere successo davvero. Quando si rendeva conto che Derek era vivo e vegeto, allora subentrava la paura che presto o tardi sarebbe accaduto di nuovo; Derek sarebbe stato di nuovo in pericolo, e stavolta  Stiles non avrebbe potuto fare nulla per aiutarlo.

Quel pensiero era per lui semplicemente inaccettabile. Non che, nelle ore di intenso rimuginare, Stiles avesse capito perché  la sola idea lo turbasse tanto. No. Semplicemente, a pensarci, era come se un pezzo di cuore gli venisse strappato.

Quel malessere si era però ammorbidito, quasi assopito, quando inaspettatamente l’uomo che era al centro delle sue preoccupazioni aveva cominciato a presentarsi in casa sua.

La prima sera Stiles quasi non riusciva a credere ai suoi occhi. Suo padre gli aveva annunciato che avrebbe aumentato i turni di notte – non gli aveva spiegato il perché e Stiles, per il bene di entrambi, non aveva ammesso di conoscerlo – e che quindi non avrebbero potuto cenare insieme. Stiles lo aveva abbracciato, semplicemente, per ringraziarlo con parole che non aveva per tutti i sacrifici che quell’uomo compiva ogni giorno per lui, non ultimo il sopportarlo sempre e comunque.

Quella prima sera Stiles non era riuscito a concludere nulla. Dopo che il padre si era diretto al lavoro, aveva ficcato nel lettore dvd “L’impero colpisce ancora” e aveva staccato il cervello. Forse aveva solo bisogno di smettere di guardarsi alle spalle ogni secondo, forse il suo cervello si era davvero preso un periodo di pausa, restava il fatto che quando qualche ora dopo entrò nella cucina buia e accese la luce, per poco non gli venne un infarto

Seduto al tavolo c’era Derek Hale, braccia incrociate, espressione truce e tutto il resto, che lo fissava accigliato come se lo stesse aspettando da ore. Gettando un’occhiata fugace all’orologio Stiles pensò distrattamente che, forse, era proprio così.

«Che diavolo ci fai qui?» sbottò.

«Ti aspetto. Da qualcosa come un’ora,» ringhiò Derek.

«Nessuno ti aveva invitato.»

Al di fuori di ogni logica la discussione terminò lì e, come se fosse una cosa abituale, Stiles cominciò a cercare qualcosa per preparare una cena degna di tale nome. Per entrambi. Non trovò nulla di accettabile, perciò si limitarono a mangiare gli avanzi del cinese, eppure… eppure fu un momento talmente rilassante che quando quella notte andò a letto, Stiles non ebbe affatto timore di vedere di nuovo il viso morto dell’amico, anzi.

Ciò che lo spiazzò più di tutto fu che due sere dopo si ripeté la stessa scena, solo che insieme a Derek sul tavolo era comparsa una busta della spesa.

«E questi?» domandò Stiles, sollevando un barattolo di plastica.

«Sono gamberi.»

«E cosa dovrei farci, scusa?»

«Il mio panino.»

Fine della discussione. Stiles preparò un panino a entrambi: pane bianco,gamberi, lattuga e salsa rosa per Derek, focaccia, patatine fritte e un miscuglio di tutte le salse che aveva in casa per sé.

Quella parte della giornata era diventata presto una routine, una nuova, incredibilmente rassicurante routine: Stiles preparava la cena e insieme la mangiavano in silenzio, un silenzio meraviglioso perché Derek non cercava di imporgli un modo per affrontare i problemi, né insisteva per sapere cosa gli stesse succedendo. Derek stava lì, in quel modo che era così da Derek, mangiava con lui poi se ne andava. E Stiles non poteva non pensare che quella innocente compagnia fosse una delle cose che più lo facevano stare bene da un po’ di tempo a quella parte.

 

 

«Ragazzi, non siamo all’asilo.»

Cora scosse la testa e si appoggiò di nuovo contro la grande vetrata, in paziente attesa mentre il branco si fermava un istante a fissarla, solo per poi riprendere la discussione che stavano portando avanti da una buona mezz’ora.

Discutevano di Stiles, ovviamente. Cora era colpita, ammirata da come creature tanto diverse riuscissero non solo a essere unite in un unico branco, ma anche ad avere cura l’uno dell’altro in quel modo così tipico dei lupi. Se solo pochi mesi prima le avessero parlato di un branco formato da un Vero Alpha, un licantropo, un coyote mannaro, una banshee, una kitsune e un umano… beh, l’avrebbe considerato pazzo.

Da quando era tornata per quella che doveva essere una breve visita, Cora non poteva fare a meno di fissarli, ammaliata e quasi invidiosa. Ma era anche orgogliosa di loro, e grata. Grazie alla loro compagnia, Derek tornava lentamente a somigliare al Derek di un tempo; non lo sarebbe mai stato di nuovo, non del tutto, ma non era importante. Ciò che contava per lei, la sola cosa che le importasse, era che Derek si lasciasse di nuovo amare.

Il portellone del loft si aprì con un cigolio arrugginito e il centro dei pensieri di Cora fece il suo ingresso nella stanza. Cora ridacchiò di fronte all’espressione immediatamente seccata del fratello, che non riuscì a emettere nemmeno mezzo ringhio prima che il branco al completo lo assalisse, Scott in testa.

«Allora? Ti ha detto niente?»

Derek li scansò tutti malamente, dirigendosi verso la zona del loft dove era stato piazzato il suo letto.

«Derek!»

 

 

 

Derek si voltò nel sentire la disperazione nella voce di Scott, così forte che poté giurare di aver sentito un «ti prego» a conclusione dell’esclamazione.

«No. È stata una perdita di tempo, come le altre volte.»

Con quella frase sembrò che l’intero mondo fosse caduto sulle spalle dell’aplha. Cora si schiarì la voce, ma Derek la ignorò.

Non era stata una perdita di tempo, per niente. Ne era stato convinto, all’inizio, sin dal momento in cui Scott gli aveva proposto quell’assurda idea delle cene da Stiles perché sarebbe stato troppo se ci si fosse fiondato lui stesso, cosa su cui tutti erano stati d’accordo.

Andare a tenere compagnia a Stiles per la cena. Per quanto anche lui fosse in grado di notare che le cose non andavano, non gli sembrava la decisione più adatta alla situazione. Il ragazzo era praticamente chiuso in sé stesso, deciso più che mai a cavarsela da solo. Piantonarlo a ogni ora del giorno, compresi i suoi unici momenti di tranquillità, non sarebbe servito assolutamente a nulla.

 Si era dovuto ricredere.

Già la prima sera Derek aveva imparato che non importava quanto Stiles tenesse la bocca chiusa, era capacissimo di parlare anche restando in silenzio. Non si trattava del suo inarrestabile fiume di parole, quello dietro cui si nascondeva sempre; no: Stiles parlava con il corpo.

La prima sera che si era presentato a casa sua, Derek era entrato nella cucina buia con l’attitudine di chi sta per partecipare a un funerale. Rigido, fermamente convinto di essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato; si era seduto al tavolo e aveva aspettato, senza che però nulla accadesse. Dopo un’abbondante mezz’ora Stiles non era ancora comparso e Derek diventava sempre più certo  che presentarsi fosse stato un errore. Silenziosamente si era alzato e aveva dato un’occhiata dalla porta socchiusa, per poi scuotere il capo trattenendo a stento un ringhio esasperato: Stiles si era addormentato. Da dove si trovava, Derek riusciva a distinguere chiaramente la sagoma immobile sul divano, a sentire il suono del suo respiro regolare.

Ripensandoci, Derek non riusciva a credere di essere tornato a sedersi, in attesa, invece di svegliarlo buttandolo giù a terra. Anche se l’istinto lo spingeva altrove, i fatti gli avevano dimostrato di aver fatto la scelta migliore.

Stiles era entrato in cucina una trentina di minuti dopo e il suo odore era il più rilassato che avesse avuto addosso in quegli ultimi tempi; quando aveva acceso la luce, però, la sua espressione era stata impagabile. Derek aveva dovuto trattenersi per non liberare il sorrisetto che premeva agli angoli della bocca, ci era riuscito a stento. Dopotutto, prima di entrare in quella casa, aveva deciso di adottare la tattica del “sii te stesso”. Non sapeva perché ma era certo che sarebbe stato meglio. Perciò era rimasto a braccia incrociate, studiandolo.

Stiles lo aveva aggirato come avrebbe fatto una preda braccata, con tanto d’occhi da cerbiatto sorpreso dai fari. Poi avevano battibeccato. E no, non avrebbe mai ammesso che non era lì solo a causa di Scott, che qualcosa dentro gli diceva che doveva esserci.

E Stiles era riuscito a stupirlo: Stiles, che parlava anche con il silenzio, riusciva a rendere gesti semplici delle piccole gemme, come tostare accuratamente entrambi i lati del suo panino prima di servirglielo. Derek non gli aveva chiesto niente anche se aveva un bisogno quasi disperato di sapere cosa diavolo gli stesse succedendo.  Si era imposto di non farlo e il silenzio che li avvolgeva sembrava aver prodotto una sorta di fiducia tra di loro. Non che ci fosse modo di dimostrarlo, ancora; era più che altro una sensazione.

Il rumore del portellone che si apriva e si richiudeva subito dopo con un tonfo sordo riportò Derek al presente. Si infilò una maglia pulita e guardò fuori dalla vetrata, ignorando qualsiasi componente del branco fosse rimasto ad affollare il suo loft. Pioveva. Un lampo illuminò la stanza ma non lo seguì alcun tuono, e Derek pensò istintivamente al ragazzino che aveva appena lasciato da solo a casa, salvo poi cercare di indirizzare la sua mente verso qualcos’altro. Cora continuava a fare insinuazioni, a mettergli in testa idee assurde, idee che Derek non voleva assolutamente associare a Stiles. Non era certo un particolare interesse per lui che gli aveva fatto prendere tanto a cuore la sua situazione. Era una semplice preoccupazione per un membro del branco, niente di più, niente di meno.

 

 

L’assenza di Derek diventava sempre più un fastidio a dir poco fisico; ogni volta che se ne andava lasciava dentro Stiles un vuoto che lui per primo non capiva, la mancanza di qualcosa che associava al benessere che provava durante le loro cene.

Quei momenti gli avevano ridato una sicurezza che aveva perso e che lo guidò, quella sera, fino alla scrivania. Stiles fissò l’armadietto sottostante con ferma forza di volontà, prima di chinarsi e aprirlo. Il vaso di rame lo aspettava come un amico che non vedeva da tanto tempo. Allungò una mano a prenderlo: al tatto il materiale freddo sulla pelle gli diede quasi una scossa, ma fu più una sensazione psicologica che una propriamente fisica.

Dopo giorni che non osava fare nulla al riguardo, giorni in cui gli incubi erano proseguiti, così come i risvegli fradici, il suo cervello si era come ridestato da un lungo sonno, riattivando così anche tutta la sua grinta. Era come se il solo decidere di riprovarci gli avesse dato un’iniezione di adrenalina.

Dalla prima visita di Derek, da quella prima notte di sonno ininterrotto e ristoratore, gli incubi erano ripresi – grazie al cielo senza includere Derek –  e così anche i risvegli fradici. Stiles non aveva osato fare nulla per giorni, quella piccola routine gli aveva donato una serenità che dubitava avrebbe guadagnato altrimenti, e il suo cervello si era come ridestato da un lungo sonno, riattivando così anche tutta la sua grinta. Era come se il solo decidere di provarci gli avesse dato un'iniezione di adrenalina.

Stiles afferrò il bacile e si fiondò in bagno, in cui si chiuse a chiave. Appoggiò il vaso nel lavandino e lo riempì d’acqua; l’attesa fu quasi insopportabile, così come l’incertezza del risultato. Non stava operando come avrebbe dovuto: non aveva incenso, non era rilassato, non stava usando acqua di fonte. Le probabilità di riuscita erano quantomeno minime, ma non poteva aspettare, non ora che aveva deciso di riprendere. Gli tremarono le mani mentre chiudeva il rubinetto e si accingeva a riprovare un rito del cui funzionamento non era minimante certo.

Poi chiuse gli occhi, inspirò, e cominciò.

 

 

 

   
 
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