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Autore: Ria    02/03/2018    3 recensioni
La ragazza saltò giù dalla sedia e fece un cenno verso il gigantesco monitor, su cui le figure tridimensionali ruotavano e si fondevano in un unico corpo confuso. [...]
« Quindi i frammenti potrebbero essere ovunque? »
« In ogni dimensione possibile e su ogni pianeta possibile che l'Incrocio raggiunga. » ammise MoiMoi con un sospiro. Minto si premette forte le dita sulla fronte al culmine dell'irritazione:
« Perfetto! E noi dovremmo collaborare per...?! »
« Per tutto il tempo necessario, caro passerotto. »
« Richiamami ancora a quel modo, Kisshu, e sarà la collaborazione più breve della tua vita! »
[...] « Tu mi hai salvato già una volta, tre anni fa. Sono certo che ci riuscirai di nuovo, perché sei la più forte di tutti. »
« Ao No Kishi... »
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Intersection'
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Siori e siore, PENULTIMO CAPITOLO!

Wow non ci credo sono riuscita a completarlo °-°"! Questo capitolo è stato un parto, sia perché è stato intricatissimo scriverlo in modo che non fosse un pippone, ma cosicché riuscissi a spiegare tutto quello che era rimasto in sospeso, ho dovuto scriverlo e riscriverlo e riscriverlo, rileggerlo, tagliare e ritagliare, una palla -.-"! Poi ovviamente è capitato a cavallo tra la fine della gravidanza e la nascita della nuova pupetta (quindi vai, combo di assenza/recupero forze e piccola depressione portata dalla stanchezza) quindi mi ci è voluto un po' per trovare le energie e la concentrazione per finire. Ora sono di nuovo in pista (con un sidecar doppio xD) e perciò sono solo triste perché ormai siamo in fondo TwT

Ok non mi dilungo oltre buona lettura ♥  

 

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Cap. 57 – Toward the Crossing: tenth road (epilogue)

                No pain, no gain

 

 

 

 

La brezza era decisamente più frizzante da un paio di giorni, la stagione estiva aveva compiuto gli ultimi passi verso quella invernale e Lasa si dovette stringere nelle spalle per far passare i brividini lungo le braccia. Non era mai stata una persona freddolosa, ma di recente sentiva caldo e freddo con più fastidio del normale; probabilmente era la pessima qualità del suo sonno, specie negli ultimi tempi.

Sospirò, in fondo non era strano che non riuscisse più a dormire a dovere.

Scuotendo la testa sovrappensiero si avviò a passo spedito verso l'ospedale in costruzione; di certo ai jeweliriani si doveva riconoscere l'innata capacità di adattarsi e riorganizzarsi con estrema rapidità pure nelle situazioni più difficili, in meno di due settimane dall'inizio dei lavori la struttura di base dell'edificio era già accessibile e funzionante, sebbene attivo a un regime minimo. In quel modo avevano potuto trasferire quasi tutti i pazienti ancora degenti nel bunker all'esterno, cosa che aveva facilitato la loro gestione e la cura dei casi più gravi, migliorando di molto l'atmosfera generale.

La donna si avvicinò all'ingresso presidiato da due soldati e mostrò il proprio permesso di accesso – uno degli inconvenienti dei lavori in corso, di solito cose così non la seccavano, ma dover esporre le proprie credenziali invece di entrare e basta le risultava fastidiosamente tedioso, visto il suo umore – quindi si avviò a passo spedito verso la piccola stanza dei medici. Prese dal proprio armadietto il sottile schermo dati trasparente e scorse la lista delle sue visite giornaliere, si sistemò indietro i lunghi capelli castagna e iniziò il proprio turno.

Le cose procedettero normalmente per la maggior parte del tempo: rilettura delle cartelle, monitoraggio dei parametri dei pazienti, eccetera, nulla di troppo impegnativo; tra un'attenta osservazione e una parola di conforto che mai guastava Lasa arrivò quasi alla fine del giro di controllo, quando qualcuno di piccolo e rumoroso le rovinò addosso rischiando di farla cadere.

« Insomma…! – sospirò esasperata e fissò severa verso le proprie ginocchia – Mi pareva di essere stata chiara. »

Due bambini di circa otto anni – il secondo forse appena più piccolo – entrambi con fasciature evidenti da sotto gli abiti, spalancarono gli occhioni e farfugliarono qualche scusa tirandosi in piedi dal pavimento.

« Siamo in ospedale, non al parco giochi. – proseguì ferma la donna – Non potete correre e saltellare come vi pare. »

Il bambino più piccolo non rispose, abbassando gli occhi e mormorando qualcosa, l'altro si fissò le punte dei piedi bofonchiando:

« Scusi dottoressa. »

Lasa li scrutò ancora duramente e poi, sospirando, aggiunse con più dolcezza:

« Lo capisco che sia noioso stare qui senza poter fare quello che vi pare, ma dovete resistere ancora un po', non siete ancora guariti del tutto. Inoltre non potete giocare senza pensare agli altri pazienti, ci sono persone che hanno bisogno di calma e riposo. »

I due piccini annuirono a disagio, imbronciati, e salutarono la donna poco convinti lasciandole spazio perché proseguisse le sue faccende. Mentre si allontanò Lasa scorse con la coda dell'occhio un terzo bambino raggiungere i primi due, che nel frattempo avevano preso a discutere.

« Io te l'avevo detto che non dovevamo! »

Si lagnò con una fortissima erre moscia il più piccolo, mortificato.

« Oh, piantala! Anche tu ti annoiavi! »

« Siete due stupidi, finirete per cacciarci nei guai per davvero! »

Sbuffò il terzo, una grossa fasciatura attorno alla fronte.

« È colpa di questo frignone – sbottò il primo indicando il più giovane – si lamenta che si annoia, poi non riesce a starti dietro. »

« Non è vero! – protestò il piccolino sbattendo un piede – Io te l'ho detto che non so correre così veloce! »

« Sì, perché sei un pidocchio piscialetto. »

Rise il primo e il terzo dietro, scatenando così le lacrime del secondo a cui entrambi reagirono preoccupati.

« No, dai, lascialo perdere. »

« Guarda che scherzavo. »

« Stupido! Lo dirò alla mamma! »

Il più piccolo zampettò piangendo nella direzione opposta da cui era arrivato, gli altri bambini dietro che lo intercettarono scusandosi ancora e calmandolo per poi allontanarsi con lui, già confabulando su come ammazzare il tempo in quel posto noiosissimo.

Lasa, che si era fermata poco distante ad osservarli distratta, sorrise nostalgica: quante ne aveva viste di scene simili quando i suoi ragazzi erano bambini, le sembrò fossero trascorse dieci vite da allora. Un senso di cocente malinconia le pizzicò la gola e dovette prendere un lungo respiro per non perdersi in ulteriori pensieri mesti, sforzandosi di sorridere con serenità mentre una delle giovani infermiere del reparto la vide arrivare:

« Ikisatashi-san, tutto bene? »

« Certo. – rispose la donna con calma – Sono solo bambini che si annoiano. Basta spiegargli e sono perfettamente in grado di adattarsi. »

La ragazza, due lunghe code verde accesso ai lati della testa, sorrise intanto che nuovi schiamazzi proruppero da una stanza vicina. Lasa sospirò con rassegnazione e l'infermiera ridacchiò condiscendente.

« Invece ci sono adulti che non capiscono nemmeno se li scrivi le cose in fronte. »

Borbottò la donna e spalancò decisa la porta della camera:

« Insomma voi due, quante volte devo ripetervi di smetterla con questa confusione? »

I due degenti oltre la soglia, impegnati a fare gli stupidi con non si sa quale discorso e morendo dalle risate saltellando sui materassi, sorrisero e si scusarono, ben poco convincenti nei loro persistenti scoppi di risa trattenute. Lasa corrugò la fronte fissando severa alla sua sinistra:

« Ti pare il caso di agitarti tanto? »

La vittima dell'occhiataccia si sforzò di ricomporsi con un grugnito e sporse la punta della lingua, grattandosi la nuca e Lasa sospirò avvicinandosi al letto:

« Hai punti e incrinature alla testa e alla fronte – ricordò, controllando le medicazioni – è già una fortuna che tu non sia in terapia intensiva, Purin-chan. Cerca di non esagerare. »

La biondina arrossì un pochino, consapevole di essere parecchio incosciente, e si limitò ad annuire:

« Scusa Lasa-san. »

La donna alzò un sopracciglio e la guardò un istante, le mani perse tra i ciuffetti biondi, sorridendole sottile; le fece una carezza e proseguì con il checkup, la mewscimmia che arricciò le labbra e ridacchiò.

« Sì, però è una palla qui…! »

« Tu sei un disgraziato, dovresti impedirle di agitarsi così tanto invece di fomentarla. »

Soffiò la donna e constatato che le bende di Purin non fossero da cambiare, né ci fossero altri problemi, andò all'altro letto sogghignando lievemente alla reazione del suo occupante:

« Taruto, devo controllarti la ferita. »

Il brunetto, rannicchiatosi un poco su se stesso, allentò la stretta sul braccio destro e guardò Lasa rabbuiato:

« Sì, sì, lo so. »

Lei cercò di non sorridere troppo, o quantomeno non troppo divertita, mentre il figlio saltellò fino al bordo del letto e le porse il braccio. Lui trattenne il fiato quando Lasa gli tolse la fasciatura che andava da sotto alla spalla fin poco sopra il gomito: Taruto sbirciò con un misto di disgusto e morbosa curiosità il lungo taglio, che arrivava quasi all'osso, e i punti di sutura che lo chiudevano, scuri sulla ferita ancora rossastra. S'irrigidì intanto che Lasa gli tolse la benda e pulì attorno al taglio medicato, soffiando secco al contatto con il disinfettante e strappando una risata a Purin. Le rivolse un'occhiataccia livorosa:

« Non fa ridere. »

« Ti lanci contro uno degli Ancestrali e ti fai quasi mozzare il braccio, poi ti lamenti per un po' di bruciore. Riderei anche io, tesoro. »

Lui squadrò la madre offeso e lei ridacchiò con dolcezza, finendo la medicazione e scompigliandogli la frangetta.

« Dai, mamma, piantala! Ho quattordici anni, non quattro! »

« Mi pare di avertelo già detto – proruppero dall'ingresso – finché non sarai maggiorenne, tua madre ha il diritto di coccolarti e trattarti da marmocchio quanto le pare e piace. »

Taruto borbottò qualcosa a denti stretti e Lasa, gentile, evitò di ridere troppo forte lasciando il piacere a Iader che entrò baldanzoso.

« Buongiorno Iader-san. »

« 'Giorno madamigella. »

« Credevo fossi di turno al Palazzo. »

« Sì, ma ho pensato di venire a controllare se, effettivamente, la mia attuale progenie fosse ancora viva e vegeta. – scherzò l'uomo dando un buffetto al suo terzogenito – Vista questa malsana abitudine di giocarsi la buccia prima dei settant'anni. »

Lasa scosse la testa sorridendo rassegnata e Purin rise allegra sedendosi poi sul bordo del materasso:

« Ti seguo Iader-san. »

« Non se ne parla, il dottore altrimenti mi esilia sul divano fino a data da destinarsi. »

La fermò e indicò, fingendo di nascondersi, la moglie e l'occhiata più torva che gli aveva scoccato:

« Gli ormoni la rendono suscettibile. »

« E tu sei di aiuto a gestirli come si deve. »

Sottolineò lei e Iader sogghignò divertito: la tendenza ad essere accomodante nei confronti di quei ragazzini era costata all'uomo una buona dose di lavate di capo, beccato a passeggiare coi due per l'ospedale ignorando il tassativo ordine di riposo per entrambi.

Purin sospirò, ma annuì obbediente. Iader le ammiccò, salutò ancora Taruto e uscì seguito da Lasa, che lasciò al figlio un bacio leggero sulla fronte; il brunetto scosse la testa, grugnendo, e Purin non gli fece notare il sorrisetto contento che tentò invano di nascondere dietro il broncio, limitandosi a stendersi e a riposarsi un po' prima di colazione.

 

 

***

 

 

Minto spostò il vassoio sullo spartano comodino accanto al letto inspirando soddisfatta, dopo tanti giorni provava un po' di nostalgia per la colazione salata alla giapponese – a differenza dei suoi connazionali, i jeweliriani tendevano a mangiare dolce al mattino – però la tazza di paina con quella curiosa cremina da mischiarvi e la pagnottella tipo brioche erano molto piacevoli appena svegli. La morettina si stiracchiò e scivolò con cautela giù dal letto, dirigendosi come sempre verso la fine del corridoio.

Quel rito quotidiano era, per quanto snervante, la sola cosa che le desse un senso del tempo trascorso; ancora trovava difficoltà a riordinare cosa fosse successo dopo la sconfitta di Arashi, era stata una sequenza di eventi così frastornante da sembrare uno strano incubo distante.

Avuta la certezza della dipartita dell'Ancestrale il piano generale sarebbe stato di andare a cercare i membri del gruppo ancora dispersi e, soprattutto, Deep Blue, prima che Ichigo finisse tra le sue grinfie. Nessuno si sarebbe aspettato di vedersi crollare la dimensione addosso e vederla scomparire quasi subito dopo, ritrovandosi di punto in bianco in mezzo ad una piana desolata, solo il cielo nero e le stelle ad osservarli e corpi immobili di nemici ed amici sparsi qui e là a decine di metri di distanza, i soli punti di colore sulla terra grigia.

Rabbrividì appena al ricordo, per lei un'immagine parecchio inquietante, e accelerò il passo ascoltando il ticchettio leggero delle proprie ciabattine. Ringraziò che pur segregata tra quattro mura le fosse stato concesso di mettersi a proprio agio ed indossare uno dei suoi pigiami, e non le scialbe e tristi divise in materiale termico-sintetico fornite dall'ospedale; in un certo senso la faceva sentire più "a casa" e toglieva alla situazione un po' della sua gravità.

Come nelle precedenti sei mattine si affacciò nella stanza da un angolino, guardinga, pronta a fare qualche passo indietro se un dottore o un infermiere fosse stato di controllo, oppure ad entrare e prendere posto sulla sedia accanto al letto se avesse visto solo quello e il suo semicosciente occupante. Dovette però sussultare, confusa, la camera era completamente deserta compreso il letto candido: non c'erano più tracce di strumentazioni di controllo, o di grucce per le flebo, né di qualcuno che ne avesse fatto uso fino alla sera prima; sembrò che la stanza fosse stata smantellata e riordinata perché non più necessaria.

L'ultima idea, che passò rapida e subdola nella testa di Minto, le fece stringere le dita contro lo stipite della porta scattando poi in avanti fino a rallentare, raggiungendo il letto vuoto. Posò una mano sulle lenzuola sfiorandone pieghe inesistenti, erano fredde.

La mewbird avvertì il violento bisogno di prendere più aria e mandò due respiri affannati, l'altra mano che salì lenta al viso: non capiva, però se fosse… Glielo avrebbero detto, perciò non capiva perché… Non…

« Oh, ma buongiorno! Ecco dov'eri, ti ho c- »

Minto sussultò a quella voce squittendo acuta e voltandosi come una molla, badando poco al fatto che la sua espressione avesse ammutolito l'interlocutore. Si coprì la bocca con la mano, l'ansia che l'aveva assalita svanita tanto rapidamente da serrarle la gola e farle venire comunque voglia di gridare, non seppe se di gioia o di rabbia.

Kisshu, più pallido del normale e chiaramente bendato da capo a piedi nonostante i vestiti lunghi dell'ospedale lo nascondessero un po', smise di mangiucchiare il frutto che aveva in mano e fece svanire il sorrisetto con cui era comparso sulla soglia nel vedere l'espressione attonita della mora, l'aria di chi fosse sul punto di piangere. Abbandonò il suo spuntino su un ripiano spoglio accanto all'ingresso e divorò il paio di falcate necessarie a raggiungere la ragazza, che scattò appena lui le fu a mezzo metro. Gli volò tra le braccia, ma invece di abbracciarlo o permettere a lui di farlo lo spinse via iniziando a prenderlo a pugni sul torace con quanta forza avesse.

« OHI! Ehi, piano razza di cornacchia bipolare! – sbuffò Kisshu con voce soffocata – Ehi! Ahio, cazzo! Guarda che sono ferito! »

« "Oh, ma buongiorno!"?! – berciò Minto, due lacrime infingarde ai bordi degli occhi – Che razza di modo di presentarsi è?! »

« Perché, questo sarebbe un modo?! »

Protestò il verde e le bloccò i polsi prima che un colpo mal dato gli facesse saltare i punti sul fianco. Socchiuse la bocca, probabilmente per rimarcare il concetto con un paio di parolacce mentre grugnì tentando di farla smettere di dimenarsi, ma non uscì replica mentre Minto scostò il viso per nasconderlo:

« Sei stato… Sei passato dal sonno alla coscienza per giorni, te ne rendi conto o no? – mormorò con sempre meno forze – Non reagivi, poi ti svegliavi borbottando cose senza senso o… O…! Sei stato ad un passo dall'aldilà praticamente… Sempre…! E tu…! Tu…! »

Si scosse nelle spalle tentando di sfuggire senza successo alla presa di Kisshu, poi sbuffò esasperata:

« Hanno detto che se MoiMoi-san ti avesse trovato cinque minuti più tardi… Probabilmente non avresti avuto abbastanza sangue in corpo nemmeno per decomporti. »

« Che razza di diagnosi sarebbe?! »

Sbottò schifato, ma Minto fece solo spallucce e abbassò la testa:

« E ora… Ti trovo sveglio, e in piedi e… Sai solo fare l'idiota. »

Aveva creduto di morire quando, svanita la dimensione degli Ancestrali, aveva visto comparire MoiMoi pallido e malconcio che si strascinava sulle spalle Kisshu, la testa riversa all'ingiù sul torace e un'unica, vistosissima macchia scura su tutto il lato sinistro degli abiti. Appena saliti sulla nave lo avevano medicato alla meno peggio perché non ci lasciasse la pelle e il verde per tutto il tempo, fino al ricovero e dopo, aveva dato solo previ cenni di presenza di sé con qualche vacuo lamento e bofonchiando in stato di semi-incoscienza.

Una volta giunti in ospedale avevano dovuto trascinare via Minto in tre, con tanto di intervento di Zakuro per convincerla a lasciare il capezzale di Kisshu, perché da sola la mewbird non avrebbe abbandonato neanche il reparto di terapia intensiva per poter controllare quando lo stupido fosse stato fuori pericolo.

La mora si morse il labbro inferiore e ricacciò indietro le lacrime di sollievo per concentrarsi su quanto la irritasse vederselo così, sorridente e noncurante come suo solito, dopo che lei aveva passato quasi una settimana a fare la vedova a lutto. Fu un concetto abbastanza seccante da impedirle di uccidere il proprio orgoglio frignando come una bambina.

Kisshu non disse nulla tenendola sempre ben stretta, pur con delicatezza – non si fidava così tanto del caratterino di lei per non impedirle altri diretti alla propria cassa toracica – e spiegò lentamente:

« … Mi sono svegliato prima dell'alba. Ho passato circa due ore a farmi rivoltare come un calzino da metà dello staff medico di turno, ho dovuto ringraziare che non ci fosse mia madre o oltre alla pazienza avrei perso pure le orecchie a furia di predicozzi. »

Minto emise un verso a metà tra uno sbuffo irato e una risata; smise di spingere con le braccia e Kisshu si azzardò a lasciarla andare poco a poco.

« Quando hanno finito di sondarmi anche il naso sono solo voluto uscire da qui. Ci ho messo un po' ad alzarmi – rise sarcastico e le accarezzò le dita, mollemente abbandonate tra le sue mani – e quando sono venuto a cercarti, non eri in camera. »

« … Però hai trovato il tempo di mangiare, noto. »

Mugugnò Minto, la testa bassa, squadrando i resti dello spuntino che il verde aveva abbandonato vicino all'ingresso. Lui accennò un ghigno leggero:

« Il menù delle flebo non era molto invitante. »

La mora gorgogliò tentando di non ridere. Non seppe neanche perché le venisse da ridere, era una battuta così idiota e infantile…

Kisshu le prese il volto tra le mani e lo sollevò sorridendole mentre con dolcezza le sfiorò i ciuffi ai lati del viso:

« Ciao passerotto. »

Minto sospirò e schioccò la lingua, ancora una risata inspiegabile che le piegò le labbra all'insù. Gli gettò le braccia al collo ignorando il leggero lamento che gli strappò schiaffeggiandolo sul naso coi capelli – anzi ridacchiando della cosa – le dita artigliate alla stoffa sulle spalle del verde e il volto affondato contro il suo collo, ripetendo in un'allegra cantilena dei ciao appena distinguibili. Kisshu le accarezzò la nuca e le baciò con forza la fronte e le guance, lasciando che la mora lo stritolasse nonostante le proteste delle proprie ferite, assecondando il suo strofinare il viso a casaccio contro la sua pelle finché non riuscì a baciarla come si deve.

Minto intuì di essersi seduta sul letto solo un momento prima di stendersi contro il materasso sottile; emise qualche leggera protesta, temendo di fare male a Kisshu in qualche modo visto quanto lo avvertì vicino a sé, ma lui non sembrò preoccuparsi minimamente della possibilità e si accovacciò con lei sul lettino.

« Kisshu… »

« Cosa? »

« Sei ferito… »

« Vuoi davvero che vada via? »

Minto corrugò appena la fronte al tono canzonatorio di lui, ma non gli rispose facendo una smorfia colpevole.

« Su, dovresti essere contenta – scherzò a bassa voce – sono tornato nel pieno delle forze. »

La mora alzò un sopracciglio scettica nonostante il sorrisino divertito e posò la mano sulla sua, che era già salita verso le spalle scivolando poi in basso lungo il fianco di lei. Gli avvolse con cautela le braccia attorno al torace e abbandonò la testa sul cuscino, sorridendo mentre si baciarono e il verde prese a farsi un po' più di spazio sotto il vezzoso pigiama chiaro cercando il contatto con la sua pelle.

« Quelle mani… »

« Prova a dirmi che ti da fastidio. »

Sogghignò sfiorandole il naso, riprendendo a baciarle il collo, e lei per risposta gli pizzicò il dorso di una mano strappandogli un piagnucolio esagerato.

« Su, sono convalescente, ho bisogno di attenzioni. »

« Mi sembra che tu ti sia ripreso anche troppo in fretta – puntualizzò la mora, divertita a stuzzicarlo – lo vedi che non sei normale? Non è umano tutto questo. »

« Tecnicamente non sono uman- »

« Kisshu. »

La predica si chiuse in un sospiro caldo e divertito intanto che il verde le accarezzò con studiata attenzione i fianchi e Minto si decise a smetterla, mandando solo un sospiro beato.

Aveva avuto talmente tanta paura di averlo perso, e ora Kisshu era lì, contro le sue labbra, a tracciarle la schiena con le mani, a spingerla contro di sé, e lei non aveva che bisogno di lui(*).

« Se proprio preferisci parlare – la stuzzicò il ragazzo all'orecchio – potremmo finire un certo discorso… »

« Non è possibile…! Voi! Due! »

La mewbird fece solo in tempo a razionalizzare l'asciutto rimprovero che tuonò nella stanza e a vedere la sagoma di un medico comparire alle spalle di Kisshu, poi il botto di qualcosa di rigido che planò secco contro un cranio e il verde si allontanò di scatto da lei puntellandosi sulle mani e imprecando a denti stretti.

« AHIO! Ma che cazzo fai, Ake?! »

« Questo dovrei chiederlo io. – tuonò il medico, l'irritazione che dardeggiò nelle iridi azzurra e nocciola – Si può sapere che diavolo pensavate di fare? »

L'uomo, il tubetto di paina stritolato tra i denti, gettò un'occhiataccia al verde mentre questo si sedette meglio sul bordo del letto massaggiandosi la nuca con aria imbronciata. Minto, ancora mezza sdraiata, si rese conto solo in quel momento di quanto poco ormai lasciasse all'immaginazione il suo vestiario, i bottoncini sul petto aperti, la camicetta calata sulle spalle e i pantaloni leggeri tirati su fino alla curva della coscia – come diavolo aveva fatto Kisshu in così poco tempo?! E lei non aveva protestato un momento! – e sentì l'imbarazzo azzannarle il viso. Ringraziò che Kisshu le facesse minimamente da paravento tra sé e lo sguardo severo di Ake per darsi un'aggiustata rapida e discreta, mentre il medico continuò ad apostrofare il ragazzo minacciandolo con lo stetoscopio:

« Qualcuno qui ha la minima idea di essere stato tirato via con le pinze dal mondo dei morti oppure no? »

« E spaccarmi la testa sarebbe di aiuto?! »

« La testa è proprio l'unico posto dove non ti abbiamo ricucito – sibilò Ake acido – e visto lo stato del resto potresti evitare di farti saltare punti e fasciature solo perché sei inflazionato di ormoni. »

Il verde borbottò un'altra cupa riga di parolacce mentre Minto, tentando di nascondere il disagio, finì di riassestarsi e scivolò giù dal letto; sbirciò verso Ake con l'intenzione di imbastire due parole di circostanza prima di squagliarsela, ma lui la precedette soffiando:

« Fila e a riposo, pure te. Via. Sciò. »

Dopo finì di tirare verso il letto un carrello con le strumentazioni di controllo, misuratore di pressione e altro, e la mora non lo fece ribadire oltre il comando scattando rigida verso la porta. Non avrebbe saputo dire perché, irritata e imbarazzata per la pessima figura, allo stesso tempo non riuscisse a smettere di mordicchiarsi il labbro per nascondere il sorriso.

« Ehi. »

Aveva appena girato oltre lo stipite, pronta comunque ad allontanarsi prima che Ake decidesse di usare oggetti contundenti anche contro di lei, che si sentì afferrare per un polso. Kisshu spuntò giusto con la testa dall'angolo, la tirò indietro e le schioccò un bacio veloce, ammiccando:

« Non mi avevi salutato. »

Poi gli sfuggì un altro lamento e Minto vide la cartelletta di Ake volare vero l'angolo opposto della stanza, rimpallata sulla nuca del verde mentre il dottore ringhiò a bassa voce nuove minacce.

« Vai, o alla prossima ti potrebbe impalare con la gruccia per la flebo – sussurrò Minto cercando di non ridere dei lamenti eccessivi di Kisshu – ha ragione, devi riposare. »

« Crudele. Non mi sembravi così preoccupata due minuti fa. »

Minto si rifiutò di rispondergli, lo spinse dentro e si avviò girando sulle punte, incapace di smettere di sorridere di nascosto.

« Poi tanto riprendiamo anche questo discorso. Tutti e due. »

« Ikisatashi, poggia immediatamente quel deretano striminzito qui sul letto, o ti ci lego per un mese! »

 

 

***

 

 

Zakuro si sistemò il maglioncino sulle spalle e fece vagare lo sguardo oltre le finestre che affacciavano sulla città; era stata abbastanza a lungo su Jeweliria per capire che non solo la temperatura era cambiata, diventando più fresca, ma anche la luce con cui il sole accarezzava gli edifici si era fatta più bassa, chiara eppure tenue, come quella che sulla Terra bordava di dorato le foglie settembrine. Sospirò, parve un'eternità da quando aveva visto Tokyo l'ultima volta.

Ormai a casa sarà già pieno Autunno...

Si appoggiò alla parete e dovette prendere fiato un momento, schioccando la lingua irritata.

La cosa che più stava trovando detestabile di quella convalescenza era la spossatezza che le sue ferite le avevano lasciato: fortunatamente, dopo qualche giorno di riposo assoluto, era già stata in grado di passeggiare e rilassarsi senza condannarsi alla lobotomia fissando il muro della sua stanza, ma perfino le azioni più semplici e tranquille le risultavano sfibranti. Era come se il suo corpo avesse smesso di appartenerle, lo avvertiva rigido, pesante, difficoltoso da muovere quasi che le avessero legato la testa a delle membra di ferro arrugginito e piombo; non riusciva a stare seduta in solo modo per troppo tempo, né sdraiata per i dolori, svegliandosi anche di notte – pur se per pochi minuti – per cambiare posizione, e perfino per una semplice passeggiata impiegava il doppio del tempo a cui era abituata, costretta a muoversi lentamente e a dover prendere fiato di tanto in tanto nemmeno stesse correndo.

La mewwolf sospirò ancora, rassegnata e in fondo ringraziando di essersela cavata a quel modo e di non essere inchiodata a un letto visto il pessimo stato in cui era tornata a Jeweliria, quindi inspirò a fondo finché non le tornarono un poco di forze e riprese il suo gironzolare. Ciondolando arrivò nel piccolo giardino interno che era stato realizzato, un fazzoletto verde con qualche panchina circondato dalle mura dell'ospedale; alcuni bambini giocavano in un angolo, redarguiti di quando in quando da un infermiere o un medico se il volume dei loro schiamazzi diventava eccessivo, un altro paio di pazienti sedevano qui e là da soli o chiacchierando tra loro o con visitatori. La mora guardò distrattamente attorno sicura di trovarlo lì, e accennò un sorriso quando individuò la familiare chioma arruffata e scura tra i presenti, ma non si avvicinò subito vedendo altre due persone.

Riconobbe il più alto, carnagione scura e capelli mandarino, il tenente colonnello Blies, mentre ignorò chi fosse l'altro sebbene avesse intuito dalla divisa si trattasse di un militare, probabilmente un ufficiale di alto grado da come Blies ed Eyner, seduto su una panchina defilata, gli si rivolgessero con tono rispettoso. Zakuro rimase in attesa solo un minuto studiando i due ufficiali in piedi parlare sommessi verso il bruno, poi l'ufficiale si accomiatò e si allontanò velocemente, passando accanto alla mora che colse con chiarezza solo la frase con cui si congedò:

« Ci rifletta con calma, capitano. »

Eyner replicò solo con un sorriso tirato e un cenno del capo. Blies rimase indietro un momento, studiando il suo sottoposto con i torvi occhi perlacei e una ruga di irritazione in mezzo alla fronte – Zakuro ebbe la sensazione che fosse, più che verso Eyner, verso quanto gli era stato detto – poi se ne andò anche lui rivolgendo un saluto spiccio alla giapponese. Lei ricambiò in silenzio e si avvicinò alla panchina mentre Eyner, vedendola, si rasserenò un poco in viso e le fece spazio accanto a sé:

« 'Giorno. »

« Buongiorno – gli sorrise la mora – come stai oggi? »

« Io? Una meraviglia, come sempre. »

Lei sorrise condiscendente studiando il suo braccio sinistro, bendato dalla seconda falange delle dita fin oltre la spalla e legato al collo, e lui protestò divertito:

« Da una mummia vivente non accetto certe critiche. »

Zakuro si limitò a sorridere, in effetti aveva abbastanza fasciature su ogni singolo arto e parte del corpo da non poter fare commenti di sorta. Eyner ridacchiò:

« Come hai dormito? »

« Ogni volta un po' meglio. – lo rassicurò mentre le baciò la guancia – Tu? »

« Finché riesco a non girarmi nel sonno dal lato sbagliato dormo come un pupo. Quasi meglio che a casa, almeno qui la sveglia non è all'alba. »

Zakuro rise a labbra chiuse:

« Sury-chan non ha convinto nessuno a farla entrare prima dell'orario di visita? »

« Fortunatamente no. Ci sto quasi prendendo gusto ad essere pigro. »

Lei scosse appena la testa continuando a sorridere sottile.

« … Hai dormito bene, allora? »

Le domandò ancora dopo qualche istante di silenzio; Zakuro non rispose subito, sbirciandolo con la coda dell'occhio mentre rigirò un suo ciuffo glicine tra le dita, quindi posò la testa contro la sua spalla stendendo un sorriso quieto:

« Sì. Bene. »

Lei non aveva detto niente a Eyner sul suo ultimo faccia a faccia con Toyu, ma non aveva potuto nascondere i segni fisici dello scontro, bende o meno, né il bruno aveva ignorato le reazioni insolite di lei subito dopo la battaglia, o che i medici si fossero preoccupati del suo sonno agitato non solo dai dolori delle ferite. Eyner in ogni caso non aveva fatto domande dirette, limitandosi a chiedere alla mora di giorno in giorno come stesse e a offrirle silenzioso appoggio, qualora lo avesse chiesto. Per Zakuro era stato più che sufficiente per stare meglio.

« Cosa volevano prima da te…? »

« Blies-san e Kapeka-san, generale di brigata. »

Spiegò spiccio e poi fece spallucce, forse per tagliare il discorso, ma l'occhiata penetrante che ricevette lo fece desistere subito; si studiò il braccio ferito, muovendo in piccoli scatti faticosi le dita, quindi sospirò:

« Il Corpo Disciplinare ha deliberato. »

Zakuro si mise dritta continuando a fissarlo, più seria. Lui annuì e stese un sorriso amaro:

« Escludendo le lesioni evidenti a muscoli e tendini – fece solo un cenno sarcastico per stemperare, con scarso successo – il braccio guarirà completamente. Però né Ake né altri sono riusciti a capire di preciso quale sia il danno dei nervi, ma c'è ed è improbabile si possa sistemare. »

La mora continuò a non dire niente e lo studiò continuare distratto a muovere le dita, quasi per sgranchirle:

« In sostanza, il mio braccio guarirà, ma non sarà mai più come prima. »

Si sistemò la benda attorno al collo e guardò un punto indefinito di fronte a sé:

« Secondo le valutazioni di Ake non supererò mai più il 60% di forza che avevo prima della Celebrazione della Prima Luna, perciò il Corpo Disciplinare ha deciso di conseguenza. »

Zakuro aggrottò appena la fronte:

« Ti hanno congedato? »

Il bruno fece un gesto con la mano per minimizzare:

« Sbattermi fuori non è nel loro stile, specie considerando le circostanze in cui mi sono ferito. »

« Perciò cosa ti hanno detto? »

« Il mio stato di servizio, citando testualmente Blies-san, "mi para discretamente il culo" – fece concedendosi uno sbuffo divertito – quindi mi hanno addirittura concesso più scelte per un cambio di assegnazione. »

« Posso immaginare nulla di entusiasmante. »

Lui alzò le sopracciglia sospirando:

« Ritiro da membro attivo (anche se, si spera, non dovrebbe essere più necessario in ogni caso) e da custodia e addestramento reclute, con reinserimento funzionario o supervisione al Consiglio Maggiore. »

« Cioè – riflettè un istante la mora – o lavoro d'ufficio, oppure con Iader-san? »

« Pressappoco.  Anche se sarei molto più legato, Iader-san e la maggior parte degli altri soldati a supervisione del Consiglio Maggiore hanno chiesto il trasferimento, o hanno raggiunto un'età per cui il ruolo di guardia è sufficiente, e in ogni caso possono ricevere nuova assegnazione se necessario o se la richiedessero. A detta di Blies-san, non avrei questa concessione. »

Zakuro mandò un muto verso di assenso e si corrucciò di nuovo:

« Sembra quasi che vogliano punirti. »

Eyner aprì i palmi eloquente:

« Seguono le nostre regole interne, la mia attuale potenza bellica non è funzionale ai ruoli che ricopro e un soldato deve stare dove è più utile. – ripetè a pappagallo scimmiottando aspro i suoi superiori – Inoltre non ho buoni precedenti in quanto a difficoltà di gestione delle mie capacità, quando non sono al massimo della forma. »

Le ricordò più amaro:

« Non hanno voglia di rischiare repliche in questo senso. »

« Non vedo come sia una buona ragione per chiuderti tra quattro mura. »

Commentò solo un pelo più acida ed Eyner le sorrise grato della sua irritazione:

« Blies-san si trova d'accordo con te, ma è già stato deciso. – sbuffò stancamente – Quantomeno nulla sarà effettivo finché non sceglierò dove farmi trasferire. »

Zakuro annuì di nuovo in silenzio guardandolo abbandonare la testa all'indietro. Alla sua domanda muta lui sospirò per l'ennesima volta:

« Finché non inizieranno ad alitarmi sul collo non voglio pensarci. »

Ammise e lei non lo contraddisse, limitandosi a posare la mano sulla sua.

 

 

***

 

 

« Non pensarci neanche. »

« Oh, per piacere Shirogane-san, non mettertici anche tu…! »

« Ryou nii-chan, sei noioso. »

« Ha ragione però, Sury-chan – disse Keiichiro con affetto – Retasu-san non deve sforzarsi troppo. »

« La convincete voi? »

« Pai nii-chan, sei un disco rotto! »

Protestò acuta la bambina e Pai, sistemandosi appena sulla stampella a cui era poggiato, si limitò a contrarre un occhio infastidito dall'acuto e mantenne l'espressione irremovibile.

Retasu, stesa sul suo letto, squadrò truce – per quanto le fosse possibile – sia lui che Ryou, reo di averle sequestrato il set da cucito con cui lei e Sury stavano facendo un pupazzetto:

« Ci stavamo solo distraendo un po'. »

« Direi che ti sei distratta abbastanza per oggi. »

Tagliò corto Ryou, seduto su una carrozzella a cuscino d'aria con tutta l'attrezzatura di Retasu in grembo, e Pai rincarò annuendo. La mewfocena aggrottò la fronte e scrutò il moro infastidita da quel comportamento paterno, ma lui la precedette prima che protestasse oltre e prese ad elencare:

« Due costole incrinate, tre rotte, danni alla clavicola e alla scapola sinistre, al muscolo grande dorsale e al diaframma. Tanto per citare qualcosa. »

La verde incassò tacendo e lo fissò torva, ogni volta che Pai le parlava in quel modo si domandava se davvero fosse contenta che il frequentarsi l'avesse reso meno rigido nei suoi confronti.

In ogni caso era consapevole che Pai non avesse torto e, anzi, che limitarsi a certe frecciatine invece che farle una giornaliera lavata di capo fosse il minimo da concedergli: la lista delle ferite che la verde si era procurata volendo combattere a tutti i costi contro gli Ancestrali, nonostante il suo stato fisico – lista tra cui si annoveravano incrinature a varie ossa di braccia, gambe e mani ed emorragie di diversa gravità – era molto più lunga di quanto il moro le ricordasse; se non ci aveva lasciato la pelle era stato solo grazie alla fortunata combinazione di velocità del loro rientro, rapido intervento medico e la resistenza maggiore di un comune essere umano che il gene m le aveva donato, Pai aveva tutti i diritti di rimproverarla se provava a fare sforzi eccessivi prima del tempo.

Per quanto neppure lui fosse in splendida forma, suturato per quasi tutta la lunghezza della schiena e fasciato dal collo in giù per salvargli il braccio, era stata lei quella rimasta sotto i ferri e i SRP per ore e a cui, ancora, era proibito ingerire cibi troppo solidi.

« Devi riposare. »

Insisté Pai con tono più gentile prendendole la mano e Retasu, sospirando, annuì e si arrese contro il cuscino.

« Per fortuna la MewAqua non ha influito sul gene m abbastanza velocemente e guarirai molto prima di quanto accadrebbe normalmente. – intervenne Keiichiro cercando di consolarla – Dovrai pazientare solo un altro poco. »

La verde annuì con un piccolo sorriso e d'istinto si sfiorò il petto poco sopra lo sterno, dove la voglia rosa delle focene non c'era più.

Come nella battaglia contro Deep Blue a Tokyo, pareva che l'influsso del Dono allo stato puro avesse inibito la modifica genetica delle MewMew. All'inizio non se n'erano accorte; solo Ichigo, ritrovata svenuta quando la dimensione degli Ancestrali era scomparsa, aveva riacquistato il suo normale aspetto, forse perché era stata la più vicina al cristallo di MewAqua quando Deep Blue lo aveva riattivato. Ritornati a Jeweliria, però, e riportato il Dono nella grotta della Città Sotterranea, questo aveva ripreso a rilasciare energia come tre anni prima, quando Kisshu e gli altri lo avevano portato sul pianeta, e a quel punto tutte le ragazze avevano riassunto le loro sembianze umane.

Ryou e Keiichiro avevano supposto che l'evento sarebbe stato solo temporaneo, come già accaduto, ma non avevano potuto confermarlo né le ragazze avevano avuto modo o desiderio che indagassero; da parte sua Retasu non era sicura, stavolta, di essere sollevata al pensiero che il DNA della neofocena non le appartenesse più.

« Ma Keii-chan, qui è noiosissimo! »

« Sfruttare Retasu per farti costruire dei peluche allieverebbe la noia? »

« Io non sfrutto – puntualizzò la bambina offesa – io aiuto Retasu nee-chan. E poi nemmeno tu dovresti andartene in giro! »

Protestò puntando l'indice contro Ryou che scrollò le spalle:

« A quanto pare sono più robusto del previsto. »

« Ringrazia che il gene m abbia retto anche per te – lo redarguì Keiichiro più severo – per come ti hanno conciato Lindèvi e Arashi hai rischiato di diventare uno spezzatino di gatto. »

« … Ma tu da che parte stai? »

Sury rise forte iniziando a girare fastidiosamente intorno al biondo e a prenderlo in giro, incurante dei borbottii che l'americano le soffiò contro. Retasu li osservò e sorrise mesta, il modo ostentato in cui in quei giorni Ryou si sforzasse di apparire compassato come sempre le faceva male al cuore ogni volta.

« Tutto bene? »

Si voltò verso Pai e strinse le dita con le sue sentendo di stare allargando il sorriso. Aveva avuto davvero paura quando erano stati tutti trascinati di peso all'ospedale, nonostante la cura di emergenza il moro aveva perso un sacco di sangue e lei non osava ricordare quanti punti avessero dovuto dargli per ricucirgli il braccio destro e parte del fianco al resto: vederlo già in forze dopo pochi giorni, sentire la sua voce, poterlo toccare erano cose che le riempivano il petto di una felicità quasi stordente, e quando ci pensava si pentiva sempre un po' delle proprie proteste circa il riposo forzato. Oltre a sentirsi terribilmente colpevole nei confronti di Ryou.

Sono qui, sono sveglia, sono viva e vegeta, e Pai con me. Dovrei davvero evitare di lamentarmi.

« … Sì – lo rassicurò – sono solo un po' preoccupata per Shirogane-san. »

Pai non le rispose sfiorandole il dorso della mano con il pollice e guardò di sbieco l'americano, per quanto continuasse a non essergli granchè simpatico non potè che provare empatia per quanto doveva star passando in quegli ultimi giorni.

« Non ci sono ancora novità? »

Sussurrò Retasu dolente e Pai s'incupì negando:

« Nessuna. Non si è ancora svegliata. »

La mewfocena si morse il labbro e abbassò lo sguardo sulle lenzuola, socchiudendo gli occhi quando lui le accarezzò distratto una guancia.

Quando Ichigo era stata soccorsa non era sembrata in gravi condizioni e neppure i controlli successivi all'ospedale avevano dato notizie di ferite nascoste o problemi troppo gravi. La sola cosa insolita era stata la mano destra della rossa, chiusa a pugno sin dal momento in cui l'avevano trovata: nessun esame o lastra era stato in grado di chiarire cosa la mewneko custodisse tra le dita – un piccolo oggetto, si era solo scoperto, di non più chiara identità – né tantomeno si era riusciti a fargliele aprire per sciogliere il mistero senza rischiare di farle del male, ma a quanto pareva non era qualcosa di pericoloso.

Si trattava solo dell'ennesima stranezza attorno a Ichigo, che nonostante tutte le rassicuranti diagnosi non aveva più ripreso i sensi e dormiva ormai da giorni.

Tutti erano in ansia, ma ovviamente chi stava subendo peggio la situazione era Ryou.

Dopo le prime quarantotto ore fisso al capezzale di Ichigo, con le ragazze che non facevano che cercare di spronarlo, il biondo aveva cambiato atteggiamento fingendosi sì preoccupato, ma assolutamente in grado di gestire la situazione solo per essere lasciato in pace; la cosa non aveva funzionato moltissimo, Retasu e le altre avevano smesso di consolarlo, ma non facevano che scrutarlo di sottecchi quasi temendo che lui crollasse da un momento all'altro. Il ragazzo le lasciava fare preferendo quel loro silenzio agli assillanti tentativi di confortarlo, svicolando in solitarie e cupe passeggiate quando sentiva di non riuscire a fingere oltre.

Era preoccupato, divorato dal rimorso per non essere riuscito di nuovo ad aiutare Ichigo nel momento più critico, ed era frustrato perché, togliendo un problema medico, la sola cosa che pensava potesse spiegare lo stato della rossa doveva legarsi al DNA del Gatto Selvatico o alla MewAqua, ma non gli era stato permesso di investigare sulla questione: Ichigo non poteva lasciare l'ospedale, lui stesso era sotto stretta osservazione, e non aveva neppure tutte le strumentazioni che aveva sulla Terra per poter indagare come avrebbe voluto.

Poteva solo rimanere in attesa, sballottato tra le visite dei dottori e l'ammazzare il tempo con gli altri tra i corridoi dell'ospedale. Keiichiro si sorprendeva che il suo protetto non avesse ancora iniziato a fare buchi nei muri con i piedi delle stampelle per sfogarsi.

« Dai Sury-chan, non importa, continueremo domani – fece Retasu cercando di fermare la bambina dal continuare a tormentare il biondo – hanno ragione, è meglio se… »

S'interruppe e tutti si voltarono verso la porta, da cui era spuntato tutto trafelato un infermiere dall'aria assonnata e i capelli prugna:

« Ikisatashi Pai-san? »

Il moro si mise più dritto che potè scrutando il giovane sulla soglia, però non chiese nulla. Quello, a disagio, tossicchiò e disse con più calma:

« Mi ha chiesto di cercarla Luneilim-san. »

Al nome del violetto Pai stese il volto in un'espressione sorpresa, diventando poi più cupo:

« Sì? »

« Era per… »

« Lo so. »

Lo interruppe e strinse il manico della stampella fino a farsi venire bianche le nocche. Sury lo studiò a disagio, sia lui che gli altri avevano messo su facce lugubri e afflitte per uno stesso motivo che lei non capì, ma che la spaventò:

« Che c'è? Che succede? »

Né Pai né gli altri due ragazzi le risposero; l'infermiere tossicchiò un'altra volta distogliendo lo sguardo da quello preoccupato della bambina:

« Mi ha detto che preferisce andare da sola – proseguì – voleva solo che le comunicassi questo. »

Di nuovo Pai sembrò sorpreso e poi, invece, triste. Continuando a non parlare fece un cenno al giovane che se ne andò, quindi lanciò un'occhiata allusiva a Retasu e uscì dalla stanza senza una parola, lo sguardo ametista scuro e afflitto. Ryou e Keiichiro lo imitarono andandosene in silenzio, il moro concedendosi giusto un sorriso verso Retasu che ricambiò e affondò di più con la nuca contro il cuscino.

« Nee-chan? »

La voce di Sury, confusa e inquieta, fu un sussurro piagnucoloso mentre la bambina scosse la manica della verde perché la considerasse:

« Che succede? »

Nemmeno Retasu le rispose. Le accarezzò la testa e piegò a fatica le labbra all'insù cercando di essere rassicurante, gli occhi lucidi dietro le lenti quasi fosse sul punto di piangere.

 

 

***

 

 

L'infermiera entrò nella stanza in punta di piedi, come se non volesse rompere la quiete che vi era all'interno; con movimenti lentissimi aprì la finestra per cambiare l'aria, controllò che gli inservienti fossero passati a pulire la camera e riordinare il letto a dovere, nonostante l'ospite, dopo prese ad annotare sul proprio schermo dati lo stato della degente. Il rumore lievissimo delle proprie dita sullo strumento elettronico frusciò attorno facendo da controcanto al respiro calmo della paziente che, ancora, non si era risvegliata da quando era arrivata.

L'infermiera sospirò constatando l'immutata regolarità di battito cardiaco ed encefalogramma, poi passò a sostituire la flebo guardando distrattamente verso il letto.

Se non avesse assistito coi propri occhi allo sfoggio delle capacità sue e delle sue colleghe, durante la Celebrazione della Prima Luna, le sarebbe stato impossibile credere che quella gracile terreste dai capelli rossi, placidamente addormentata, fosse responsabile della salvezza di Jeweliria: il corpo sotto le lenzuola sottili non aveva di certo la prestanza di una guerriera, a stento doveva pesare quarantacinque chili e di sicuro non erano tutti di muscoli, difficile immaginarsela mentre affrontava pericoli mortali o compiva imprese eroiche.

Guarda che faccetta, è solo una ragazzina… Sembra la mia sorellina.

Il pensiero la portò a studiare qualche altro momento il volto rilassato di Ichigo, i capelli sciolti sul cuscino e il pugno destro chiuso proprio come se stesse dormendo normalmente. Gli altri terrestri e quelli che la conoscevano si erano dati il cambio in continuazione per vegliarla, soprattutto il ragazzo dai capelli biondi e le sue amiche, a volte sedendo in silenzio nella stanza sussultando ad ogni minimo rumore, fiduciosi di vedere la mewneko aprire gli occhi, altre volte chiacchierando con lei nella speranza che la loro voce potesse svegliarla. Il solo che era stato più a lungo in quella camera era lo strano esserino di pelo rosa che in quel momento sonnecchiava sul comodino.

Sbirciando Masha l'infermiera storse un poco il naso e si aggiustò un ciuffo dei corti capelli mogano, molti del personale avevano avuto da ridire circa la presenza di quel coso non meglio definito – non pareva molto igienico con tutto quel pelo – ma la dottoressa Lasa e il dottor Ake avevano dato il loro benestare e non si era potuto protestare oltre. Per quanto la riguardava ringraziò almeno che stesse dormendo – o qualsiasi cosa facesse quell'affare – perché mal sopportava la vocetta acuta e i versetti striduli che faceva da sveglio, era troppo in là con il proprio turno per tollerare simili suoni a trapanarle le tempie.

Sistemò le ultime cose, regolò di nuovo le strumentazioni e aggiustò con un tocco leggero le coperte sopra Ichigo, voltandosi distratta un'ultima volta verso i suoi occhi castani.

… Occhi…?

« …! Oh mio…! »

La ragazza si fiondò sul trasmettitore fisso accanto alla porta chiamando la caporeparto e i colleghi e tornò di corsa verso il letto, travolgendo nell'operazione il comodino e svegliando Masha di soprassalto. Per la prima volta da quando era lì l'infermiera non badò allo snervante pigolio dell'esserino rosa e iniziò a controllare agitata lo stato della paziente, gli occhi faticosamente socchiusi e la bocca che si aprì due o tre volte mandando rantoli indistinti.

« Momomiya-san? Mi senti? Capisci quello che dico? »

La mewneko deglutì rumorosamente e annuì:

« D… D-dove…? Dove s…? »

« Ichigo! Ichigo! Sei sveglia, pii! »

L'infermiera scacciò brusca Masha, che aveva preso a svolazzare sopra in cerchi frenetici, quindi si chinò sulla rossa controllando la reazione delle pupille:

« Sei in ospedale – le spiegò rapidamente – ti hanno portata i tuoi amici mentre eri priva di sensi. »

« I miei… Gli altri… Dove…? Come…? »

« Stanno tutti bene – la rassicurò la donna, posandole una mano sulla spalla per impedirle di muoversi – erano malconci, ma li abbiamo più o meno rimessi in sesto. Sono qui, e sono vivi. »

A quelle parole Ichigo si lasciò guidare di nuovo contro il letto sospirando sollevata. L'infermiera l'aiutò a mettersi comoda e dopo cacciò un verso di stizza, voltandosi verso la porta e chiedendosi ad alta voce perché non fosse ancora arrivato qualcuno ad aiutarla, si affacciò seccata sul corridoio e sparì dietro l'angolo chiamando a gran voce. Ichigo distinse a malapena cosa le disse e dove si diresse, la testa che pulsò come un tamburo mettendo a fuoco la stanza; aveva il corpo pesantissimo, ma si sforzò comunque di muoverlo intanto che cercò di ricordare cosa avesse fatto prima di svenire.

La donna che le aveva parlato era jeweliriana, quindi erano tornati indietro.

Lei… Sì, aveva affrontato Deep Blue e… Lui… Era morto…

Il Dono… Il cristallo di MewAqua, lo aveva recuperato, c'era ancora dell'energia al suo interno… Se lo ricordò bene, la sfera trasparente con il suo goccio di acqua iridescente sul fondo…

Lei che riprendeva il suo aspetto e… La dimensione che crollava…

Provò a mettersi seduta – stritolando tra i denti due o tre parolacce per quanto fu difficile muovere i muscoli intorpiditi dal suo lunghissimo pisolino – portandosi d'istinto una mano alla testa per una fitta di dolore, grattando con le unghie delle bende ruvide – Sì, ricordava, qualcosa l'aveva colpita sulla nuca quando la dimensione degli Ancestrali era scomparsa… – e si domandò vagamente perché si stesse appoggiando sul pugno chiuso.

Pugno?

Perché stava tenendo il pugno destro chiuso?

Il primo pensiero fu di avere un danno di qualche genere alla mano, ma non aveva fasciature né stecche, o segni di sorta. Provò titubante ad aprire le dita e si rese conto di non avere difficoltà, a parte la fatica delle falangi anchilosate e la fastidiose sensazione della carne piagata da qualcosa che lei stessa vi aveva premuto contro troppo a lungo.

Nel palmo arrossato c'era ciò che sembrò un pezzetto di vetro trasparente, che mandò una leggera luce biancastra proiettando riflessi iridescenti sulle pelle della rossa.

Le parole confuse di Luz prima che scomparisse le risuonarono violente nella mente.

« Il… È tuo. Usa… »

Il frammento che aveva nel petto. Il suo frammento.

Usalo.

L'idea prese forma con la velocità del fulmine.

Usalo.

Una scarica di adrenalina le esplose nel petto così forte e rapida da scacciare ogni senso di torpore e farle dimenticare di essere rimasta immobile per una settimana. Lanciò le gambe oltre il bordo del letto, ignorando il terribile crepitio delle proprie giunture, e si spinse giù, ma solo i suoi piedi poggiarono a terra perché le ginocchia invece si piegarono come quelle di una marionetta senza fili; Ichigo si aggrappò d'istinto alla gruccia della flebo, senza rimanere in piedi, ma riuscendo almeno a non cadere con la faccia sul pavimento e trattenne un lamento al sentore dell'ago che minacciò di scapparle dalla vena. Soffiò tra i denti e si guardò il braccio, non avrebbe fatto molta strada trascinandosi dietro la stampella di acciaio: con attenzione si poggiò meglio sui piedi, le ginocchia che continuarono a tremarle poco propense a reggerla, quindi strinse la gruccia nell'incavo dell'altro braccio per darsi più sostegno e armeggiò con l'ago tentando di liberarsi.

Devo sbrigarmi…! Se sto dormendo da una settimana potrebbe anche…

Odiava gli aghi, le faceva impressione il metallo che bucava pelle, carne e arterie e l'idea del sangue zampillante le diede il capogiro, però per sua fortuna la flebo era infilata in un curioso aggeggio di plastica, a sua volta inserito nella vena: ne aveva visto già uno quando, qualche anno prima, sua nonna era stata sottoposta ad una piccola operazione ed era dovuta starsene il paio di giorni di degenza con quell'aggeggio perennemente addosso – ago cannula si chiamava, se ricordava bene – doveva servire per velocizzare l'inserimento e l'estrazione di aghi e simili senza dover ribucare ogni volta la vena. L'osservò un paio di istanti sforzando tutti i neuroni ancora intontiti e, pregando di non stare per fare la stupidaggine che l'avrebbe fatta svenire a metà strada per dissanguamento, sfilò la flebo; armeggiò nervosamente con l'ago cannula, il sangue che riempì il corpo di plastica – e la nausea che invece salì lungo la sua gola – e ruotò una ghiera sulla cima, chiudendolo.

« Ichigo, cosa fai?! Pii, pii! Siediti, siediti! »

Lei non sentì una sola parola. Prese due bei respiri e schioccò la lingua, la bocca secca, lasciò il rassicurante sostegno della gruccia e caracollò contro lo stipite della porta, tenuta in piedi solo dall'adrenalina. Sostenendosi alla parete barcollò coi piedi nudi sul pavimento freddo tentando di trovare un'indicazione che la guidasse, l'unico pensiero di muoversi più velocemente possibile.

Non ho tanto tempo.

Accelerò il passo continuando ad ignorare Masha che le pigolò attorno alla testa, l'andatura un po' più salda, e si morse l'interno di una guancia: se solo il DNA del Gatto Selvatico fosse stato ancora attivo avrebbe potuto usare i propri sensi potenziati, così andava completamente alla cieca.

« Ichigo! Ferma, ferma, pii! Sei ferita, pii! »

« Sto benissimo! »

Lo zittì brusca. Masha emise un cinguettio lagnoso, svolazzando agitato, e Ichigo lo guardò illuminandosi:

« Masha – fece, il respiro pesante – mi serve il tuo aiuto. »

 

 

***

 

 

Ake lo fissò in silenzio per più di un minuto, forse aspettandosi che ritrattasse la sua decisione o gli chiedesse di non andare; lui invece proseguì al suo fianco, il passo calmo, reagendo alle occhiate del medico solo quando fu lui stesso a fermarsi in mezzo al corridoio. Lo guardò a sua volta e Ake sospirò, prendendo il suo tubetto di paina tra le dita:

« Non sei costretta a decidere già adesso. »

MoiMoi abbassò lo sguardo sorridendo infelice:

« No. È meglio adesso, prima che cambi idea. »

L'uomo scrollò le spalle:

« … Nessuno te ne farebbe una colpa. »

« Lui sì. – gli ricordò con fermezza – E lo sai anche tu. »

Ake non replicò, la dicotomia delle sue iridi che parve far vibrare il suo sguardo adombrato:

« MoiMoi, tu- »

« Ti prego – lo fermò il violetto, il sorriso dolente sempre a piegargli le labbra – mi servi come medico, come mente razionale. Non puoi venire nel mio territorio emotivo proprio adesso. »

« Se volevo sostegno di raziocinio inflessibile, forse ti sarebbe convenuto portarti Ikisatashi appresso. »

Scherzò senza allegria il medico e MoiMoi mandò uno sbuffo che doveva essere una risata:

« Pai-chan voleva bene a Sando… A modo suo – si affrettò ad aggiungere e la sua espressione si rasserenò un momento – come tutti gli altri, del resto. Non potevo chiedere a nessuno di loro di dirgli addio un'altra volta, è già abbastanza doloroso per me. »

« Io invece sono un bastardo insensibile e posso reggere – scherzò ancora aspro Ake – bell'opinione del sottoscritto. »

« Tu sei un medico. »

Gli ricordò il violetto.

« Quindi sono uno stronzo? »

« Quindi sei obbiettivo in ogni caso. »

Aggiunse, più una speranzosa opinione che un'affermazione sicura. Ake scrollò le spalle di nuovo:

« Diciamo che sono abbastanza bravo a fingere di esserlo. »

Si rimise il paina tra i denti e sospirò facendo strada.

MoiMoi lo seguì simile ad uno zombie. L'ala dove avevano piazzato il reparto di terapia intensiva non era ancora molto affollato e i loro passi rimbombarono nei corridoi come in una cattedrale, risuonandogli a loro volta nel petto e affossandolo di minuto in minuto.

Aveva tergiversato fino ad allora, la scusa delle cure alla spalla e la preoccupazione verso gli altri e le loro condizioni, ma quella mattina si era svegliato e aveva deciso che non poteva aspettare oltre: se avesse atteso pure un giorno in più non avrebbe mai avuto il coraggio di dare il permesso, e Sando non gli avrebbe mai perdonato di lasciarlo per tutto il resto della sua vita attaccato ad una spina. Attraversando quei corridoi, però, MoiMoi tornò a chiedersi se avrebbe avuto la forza di vederlo un'altra volta e osservarlo mentre ciò che restava di lui, pur se solo un involucro di carne, veniva spento come un interruttore.

Il petto che avrebbe smesso di muoversi, il cuore di battere.

Il violetto inspirò a fondo tentando di non piangere, la sua sola speranza era di riuscire a non pensare per i successivi quarantacinque minuti, o per quanto sarebbe servito.

Era stato decisamente meglio non far venire gli altri, altrimenti sarebbe crollato e avrebbe fatto marcia indietro senza la minima esitazione.

La porta del reparto spuntò di fronte a lui quasi un'apparizione orripilante. MoiMoi inghiottì a vuoto, una mano serrata sul petto, e annuì lentamente perché Ake aprisse i battenti e gli facesse strada lungo gli ultimi, terribili cinque metri.

« MoiMoi-chan!! »

L'urlo lo fece sobbalzare tanto che dovette trattenere un urlo di sorpresa. Lui e Ake si voltarono confusi, spalancando gli occhi quando videro una chioma rossa trottare a passo spedito, anzi correre verso di loro preceduta da un puntino rosa fluttuante e cinguettante:

« Scovata! Scovata! Pii! Ichigo, l'ho trovata, pii! »

« MoiMoi-chan!

« I… Ichigo-chan?! »

Ake per poco non si fece cadere il tubetto di paina dalle labbra, passando in un secondo dallo stupore alla furia:

« Sei sveglia? E che… Diavolo ci fai qui?! In piedi?! A correre?! – tuonò rabbioso – Sei completamente impazzita?!? »

La rossa non gli rispose appoggiandosi malamente al muro, la fronte imperlata di sudore e senza più fiato.

« Ho trovato MoiMoi con il mio radar, pii! Sono stato bravo, sono stato molto bravo! Pii! »

Il violetto guardò il robottino e gli sorrise stentato, reagendo più d'istinto che riflettendo, e andò incontro ad Ichigo abbracciandola agitato:

« Gli Dei mi aiutino, Ichigo-chan! Sei sveglia! – mormorò e le prese il viso tra le mani – Ma cosa ti è saltato in mente?! Che stai facend…?! »

Si zittì vedendo Ichigo sollevare il pugno chiuso e portandoglielo sotto il naso. Il violetto sbattè le palpebre confuso e dopo sgranò gli occhi scorgendo un familiare baluginio tra le sue dita.

« … Ichigo-chan… Cosa…? »

La sua voce si spense quando la ragazza aprì il palmo e mostrò la piccola scheggia di cristallo lucente.

« Deep Blue… Me lo ha strappato via quando abbiamo lottato – disse la rossa con voce ancora un po' impastata – lo ha assorbito, ma poi… Ecco. »

MoiMoi continuò a passare lo sguardo dorato dal palmo di lei al volto della mewneko con aria totalmente frastornata e Ichigo sorrise:

« Tayou e Luz… Loro hanno detto che è mio, lo portavo dentro di me. Non si è fuso con il resto del Dono, è rimasto a me, è mio. »

MoiMoi non le disse niente, quasi non stesse riuscendo a seguire il suo discorso. Ichigo non smise di sorridere, ma il suo sguardo si rabbuiò un poco mentre scrutò più attentamente il frammento luminoso.

Era così piccolo e aveva così poca MewAqua al suo interno… Doveva contenerle proprio una goccia, una goccia minuscola…

Forse non sarebbe bastato. Forse… Forse si stava illudendo, e avrebbe illuso MoiMoi, però…

Il ricordo della voce leggera di Luz le vibrò nelle orecchie. Si era sempre fidata di Tayou, si sarebbe fidata anche della sorella.

Non sapendo bene che altro dire afferrò la mano MoiMoi e gli mise con forza il frammento nel palmo, chiudendovi sopra le dita di lui. Il violetto la lasciò fare incapace di reagire, il respiro che si spezzò mentre la sua mente si rasserenò chiarendogli cosa stesse succedendo.

« Voglio che lo abbia tu. »

Le iridi dorate di MoiMoi si sbarrarono e lui trattenne il respiro. Ichigo gli strinse entrambe le mani sulla sua, la voce che si abbassò angosciata:

« Ti prego, non dirmi che non ho fatto in tempo. »

Il violetto rimase immobile una manciata di secondi. Lui e Ake furono così silenziosi che si iniziarono a sentire i richiami verso la mewneko da parte di medici e infermieri – chiaramente corsi al suo inseguimento appena scoperto della sua fuga – ancor prima che questi spuntassero dal fondo del corridoio.

Di colpo MoiMoi ritrasse la mano da quelle della rossa e tendendosi più che potè le avvolse le braccia attorno alle spalle, tirandola in basso mentre si lasciò pian piano cadere in ginocchio in un pianto liberatorio. Ichigo, all'improvviso esausta, lo assecondò sentendosi sempre più stordita tanto da non badare a quanto forte lui la stesse stringendo, o allo staff dell'ospedale che li raggiunse e le intimò di tornare con loro per dei controlli; riuscì solo ad avvertire le lacrime del violetto che le inzupparono la maglia e la sua voce tra un singhiozzo e l'altro che continuò a mormorare grazie.

 

 

***

 

 

Il fracasso proveniente dalla camera si sentì perfino dall'ingresso del reparto; Lasa lo ascoltò un paio di secondi, basita, si resse una tempia con le dita e sospirando seccata partì a passo di marcia. La gente nel corridoio si spostò vedendola passare, o evitò con cura di incrociare il suo sguardo, sufficientemente minaccioso per convincere tutti che non fosse un buon momento per trovarsi faccia a faccia con la donna.

Insomma, questo resta un ospedale, per l'amor del cielo!

Forse avrebbe dovuto solo rallegrarsi della loro vitalità, ma a tutto c'era un limite!

Aveva capito benissimo la confusione del primo giorno: il risveglio di Ichigo era stato così improvviso che tra personale medico intento a controllarla dalla testa ai piedi. e tutto il gruppo di amici accalcato alla porta della sua stanza per vederla coi propri occhi, c'era stato un ricambio fisso di almeno tre, quattro persone attorno al letto della rossa per oltre mezza giornata.

Aveva potuto accettare un altro giorno di euforia; libera dalle grinfie di dottori e infermieri la mewneko si era potuta rilassare, aveva potuto parlare con calma e passare del tempo con le persone a lei care e convincersi che, finalmente, la loro avventura fosse finita.

Al terzo giorno Lasa riteneva di aver dato fin troppe concessioni.

Aprì la porta con un colpo così secco che il vociare, assordante nel primo secondo in cui spalancò l'ingresso, si spense in un istante e il sussurro irato della donna si potè sentire con chiarezza:

« Possibile che non sappiate regolare il volume delle chiacchiere? Vi si sente in tutto il reparto. »

Ichigo, seduta sul letto, rimise lentamente il cucchiaio di budino nel suo contenitore– o almeno, di un dolce che le avevano offerto nel pranzo e che le aveva ricordato il budino – e abbassò gli occhi obbediente. Nonostante non fosse molto alta Lasa le sembrò stagliarsi imponente sulla soglia, forse per l'espressione severa così simile a quella di Pai.

« Io ve l'avevo detto di darvi una regolata! »

Sbuffò Minto a disagio. Purin si grattò la guancia:

« Ops… »

« Perdonaci Lasa-san, non ci eravamo resi conto di fare tanto baccano. »

« Tu non dovresti essere neppure qui, figurati agitarti tanto. »

Sospirò la donna studiando Retasu sulla carrozzella a cuscino d'aria e la verde scostò il viso con fare colpevole. Lasa inspirò a fondo rilassando le spalle, scoccando solo un'ultima occhiata eloquente verso Zakuro, elegantemente seduta in un angolo, la muta domanda sul perché almeno lei non avesse cercato di frenare le sue amiche; la mora si limitò ad un sorriso sibillino e a fare spallucce.

« Ragazze, capisco il vostro buon umore, davvero – disse Lasa con più gentilezza – ma cercate di non esagerare. »

Posò affettuosa una mano sulla spalla di Retasu, ancora molto pallida anche se molto più in forze rispetto ai giorni passati, e la mewfocena accennò un sorriso imbarazzato.

« Ma', hai paura che ti mettiamo k.o. la futura nuora? »

« Tu fai meno lo spiritoso. »

Sentenziò dura la donna squadrando Kisshu, appollaiato con noncuranza sulla finestra. Retasu alla battuta si rannicchiò su se stessa nascondendo le guance scarlatte.

« Sei peggio dei bambini, te e la tua mania di svignartela dalla tua stanza conciato come sei. Bisognerebbe legarti al letto. »

« Hai per caso parlato con Ake? Perché suggeriva la stessa cosa… »

« Tanto per capire il tuo livello. »

« Non fare tanto l'antipatica cornacchietta, mi preferisci decisamente libero. »

Minto si rifiutò di rispondere sollevando il nasino imperiosa.

« Potreste smetterla di pomiciare anche parlando, voi due? Date la nausea. »

Fece Taruto maligno e ostentò un verso disgustato.

« Tu non ti sei mai visto da fuori a tubare con la scimmietta, credo che mi si siano cariati già quattro o cinque denti. »

« Oh, ma chiudi il becco, idiota! »

Due rispostacce tra i due e il chiacchiericcio nella stanza riprese invariato, giusto a volume più contenuto vista la presenza di Lasa. Dal suo punto privilegiato sul letto Ichigo non prese parte alla discussione, studiando i presenti ad uno ad uno mentre Lasa, rassegnata, ignorò la situazione controllando il suo stato di salute, e le venne da sorridere.

Il risveglio della rossa aveva scatenato un gran tumulto, soprattutto tra i medici che non erano riusciti a raccapezzarsi sulle sue condizioni all'arrivo né a spiegarsi il perché della sua incoscienza. Certo, aveva riportato lesioni anche considerevoli dopo la lotta contro Deep Blue – incredibile, comunque, forse non così gravi come altri membri del gruppo – ma nulla che giustificasse lo stato di coma in cui era stata. Appurato che non vi fossero lesioni cerebrali o danni del genere i dottori si erano arresi all'inspiegabile miracolo limitandosi a rimetterla in sesto, per di più che Ichigo non aveva saputo dare dettagli per aiutarli a capire e non ricordava granchè dopo il suo svenimento.

C'era solo un'immagine che non voleva abbandonarle la mente, ma non era sicura si trattasse di qualcosa realmente accaduto o solo di un brandello di sogno e non ne aveva parlato con nessuno, neppure le ragazze.

Ricordava lo spazio bianco in cui aveva avuto l'ultima conversazione con Luz e Tayou e la sensazione di essere molto, molto stanca. Era seduta su una specie di letto, anche se non era certa della sua forma, e nonostante la stanchezza non riusciva a dormire, la sensazione che chiudere gli occhi l'avrebbe esposta al pericolo.

Poi un sorriso familiare, un volto indistinto. Una mano che le accarezzava i capelli e una voce che la rassicurava.

La logica le diceva che non poteva trattarsi di Ao No Kishi, lui era scomparso assieme a Luz con ogni altro residuo dell'esistenza di Deep Blue. Eppure il tocco di quella mano, quella voce, era certissima appartenessero a Tayou.

Sei stata meravigliosa.

Ora devi riposare.

Il tuo fisico e il tuo cuore hanno sopportato una grande fatica… Non preoccuparti, starò accanto a te finché non ti sveglierai.

Il tuo fisico e il tuo cuore hanno sopportato una grande fatica… Forse era stata quella la ragione del suo sonno. Aveva condiviso il corpo con un frammento di Dono a cui si erano aggrappate le coscienze dei due fratelli Melynas, probabilmente era stato uno sforzo eccessivo che l'aveva costretta ad un riposo forzato.

Restava comunque solo una sua idea e non aveva prove; tuttavia stava bene e il pensiero di aver riposato sotto l'occhio vigile di Ao No Kishi la confortava abbastanza da non ritenere necessario trovare un perché.

Aveva preferito concentrarsi su altre cose, meno criptiche e più piacevoli, come la magnifica consapevolezza di essere tutti vivi – e più o meno vegeti – le ultime notizie sullo stato del pianeta o le novità sul portale per la Terra.

Subito dopo il ritorno del Dono a Jeweliria la sezione scientifica aveva registrato di nuovo emissioni di MewAqua nella zona in cui si era formato il passaggio la prima volta: come le aveva detto Tayou qualsiasi luogo che fosse entrato in contatto con il Dono ne rimaneva impregnato alla maniera di una radiazione, e a quanto pareva il triangolo dove MoiMoi e Pai avevano stabilizzato il passaggio non era stato un'eccezione; finché il Dono però si era trovato lontano da Jeweliria, le emissioni erano state così deboli da non poter essere registrate, né convogliate per riaprire il portale.

La capo consigliere Meryold aveva annunciato l'approvazione da parte del Consiglio Maggiore, dopo la notizia, del progetto di contatto con il Pianeta Azzurro nonché l'immediato ordine di riprendere a lavorare sul portale, per riaprirlo del tutto e rafforzarlo. LA decisione aveva scatenato un'euforia identica a quella che era esplosa alla scoperta di poter mantenere aperto il portale, tornati da Belia, nonostante le solite notifiche da parte di Pai per ridimensionare il fracasso.

« Ci vorrà del tempo, non sarà immediato. Le tracce del passaggio sono ancora chiare, ma ci vorrà molta energia per riattivarlo e fare in modo di poterlo aprire e chiudere a nostro piacimento. »

« In ogni caso lo riapriremo – interveniva in genere MoiMoi sorridendo solare – e finché non vi sarete ripresi come si deve, voialtri rimarrete qui. Tanto a casa siete coperti. »

L'assenza da Tokyo in effetti era un argomento che aveva preso a serpeggiare tra le ragazze assieme alle preoccupazioni per i familiari e per l'ira degli stessi, che di sicuro non avrebbero preso bene la loro sparizione. Keiichiro le aveva rassicurate dell'aiuto a distanza di Ayumi, rassicurazione consolidata quando il bruno, dopo qualche giorno di lavoro, era riuscito a rimettersi in contatto con la ragazza tramite le strumentazioni jeweliriane; i cellulari di Kiddan, infatti, dopo l'ultima, miracolosa chiamata fatta da Akasaka, erano tutti morti: il bruno e gli altri cervelloni avevano supposto che la telefonata fosse stato un caso fortuito, un ultimo spasmo delle radiazioni di MewAqua su cui il segnale aveva "viaggiato in ritardo", ma alla fine non erano riusciti a raccapezzarsi sulla cosa e avevano lasciato perdere gli strumenti del vecchio scienziato.

Dopo aver contattato Ayumi e aver ceduto al raccontarle per filo e per segno il perché del loro ritardo – e, visti i precedenti, le sue amiche si erano ben guardate dal mentirle, provocando strilli tali da essere uditi per strada – la rossa le aveva tranquillizzate dicendo che si sarebbe occupata di controllare gli schermi fino al loro ritorno, coprendo la loro assenza per quanto lunga fosse stata.

« Avremo settimane di vita quotidiana da doverci riguardare e memorizzare. »

« E di scuola da recuperare – gemeva sempre Ichigo scatenando gli sbuffi di Minto – mi viene già da piangere! »

« Su, su, Ichigo-chan. Avete salvato almeno due pianeti nell'ultimo mese, non credo che qualche paginetta di compiti sarà un gran problema. »

E dopo la stessa rassicurazione, tutte le volte, MoiMoi se ne tornava in laboratorio quasi ballando.

Nel giro di una giornata il violetto era tornato allegro e solare come lo avevano conosciuto, ma se all'inizio Ichigo era stata felicissima di vederlo così il suo entusiasmo ormai era decisamente scemato.

Come aveva temuto il suo frammento aveva in sé una quantità di MewAqua così misera da non aver sortito l'effetto che avrebbe voluto e Sando era uscito dallo stato vegetativo, purtroppo senza svegliarsi: Ake aveva assicurato che le possibilità che riprendesse conoscenza, oltre ad esserci, erano comunque alte e a MoiMoi era parso bastare come responso, visto che non aveva fatto altro che saltellare pazzo di gioia e ringraziare la mewneko, altrettanto felice.

Mai Ichigo si sarebbe aspettata che a frenare la sua esaltazione sarebbe stato Kisshu.

« Hai fatto una cazzata. »

« Come scusa? – lei lo aveva fissato con tanto d'occhi, sbottando – Vorresti dirmi che non dovevo? »

« No, ma se pensavi già che quella goccia fosse troppo poca avresti dovuto rifletterci sopra un secondo di più, prima di correre e sbandierarla al mondo. »

« Ma cosa stai dicendo?! Sando-san adesso è…! »

« È ancora in coma. – la bloccò – Sentì micetta, non ti sto dicendo che non sia contento, ti sto dicendo che avresti dovuto pensarci prima di fiondarti a portare quell'affare dalla senpai. »

« Cosa avrei dovuto aspettare secondo te? »

Il verde aveva sospirato guardandola serio.

« Che staccassero la spina?! »

« Non ho detto questo. »

« O chiedere il permesso? »

« Micetta, ascoltami un momento e ragiona… »

« Ora c'è una speranza! »

« Sì, ma non è una cosa certa. – disse grave – E più passerà il tempo, meno lo sarà. »

Ichigo aveva smesso di protestare intuendo dove volesse andare a parare.

« E se non si svegliasse comunque? »

La rossa aveva sussultato portandosi la mano alla bocca e Kisshu aveva sospirato di nuovo massaggiandosi il collo:

« Non ti sto dicendo che non dovevi, o che non sia felice anch'io, o che non avrei fatto la stessa cosa. Però forse avresti dovuto chiedere alla senpai di aspettare e vedere un attimo come comportarti, cercare di riflettere a mente più fredda possibile con lei, invece di offrirle la soluzione miracolosa così, sbattuta davanti al naso quando, alla fine, non sappiamo per certo se in effetti sistemerà tutto. »

Ichigo aveva preso a torturarsi una ciocca di capelli senza rispondergli, lo sguardo ansioso fisso nel nulla.

« Sperare in continuazione a volte fa più male che rassegnarsi. »

Ancora, la rossa non era stata in grado di replicare, e Kisshu aveva deciso di non insistere, dandole un buffetto sulla testa e lasciandola sola coi suoi pensieri.

Dopo quella conversazione, quando MoiMoi capitava nel suo campo visivo Ichigo si domandava quanta della sua allegria nascondesse in realtà la delusione per l'ennesima giornata in cui Sando non si era ancora risvegliato.

« Ehi, tutto bene? »

La domanda di Purin la sorprese tanto che per poco non scattò con il braccio rendendo il cucchiaino una catapulta a simil budino.

« Certo… Certo, sto benissimo. – sorrise, rimettendo il cucchiaino dentro al contenitore mezzo vuoto – Ero solo sovrappensiero. »

La biondina fece spallucce ritornando allegra:

« Ti stavo chiedendo, mi dai un po' di dolce? »

E mentre lo disse rubò ciò che rimaneva del dessert dalle mani della rossa, gustandosene due poderose cucchiaiate mugolando soddisfatta.

« Ehi, ridammelo subito! »

« Sembri una mocciosa vecchiaccia, impara a condividere. »

« Già, del resto un po' meno dolcetti non guasterebbero. »

« Ripetetelo un po' più vicini! »

Tuonò la mewneko imbracciando il vassoio come un'arma:

« Voi due insopportabili…! Purin, il mio dolce! »

 

 

 

 

 

 

 

« Sono a casa! »

Il silenzio che ricevette come risposta le fece uno strano effetto, un misto tra delusione e sollievo: non era del tutto pronta a rivedere i suoi genitori dopo un mese di assenza e fingere che per lei non ci fosse stato, eppure il non ritrovare subito i loro visi familiari dopo lo snervante viaggio di ritorno da Jeweliria fu quasi deprimente.

« Nessuno? »

Ichigo scosse solo la testa, entrando e togliendosi le scarpe:

« Papà sarà ancora bloccato in ufficio e… Oggi è giovedì, scommetto che al supermercato c'è qualche offerta e mamma è a saccheggiare gli scaffali. »

Rise un po' rigida e Ryou si limitò ad un cenno affermativo con le sopracciglia. Avrebbe accompagnato la rossa a casa sua pure se lei non avesse voluto, ancora preoccupato per la sua salute nonostante la mewneko si fosse ormai ripresa del tutto, ma doveva ammettere che era stato piacevole vederla supplicare perché le facesse compagnia fino a casa.

Ci erano volute un paio di settimane prima che tutti loro ricevessero il benestare per lasciare l'ospedale e quasi una settimana di viaggio in astronave per tornare a casa, visto che il passaggio non era stato ancora stabilizzato – grazie al cielo la navetta era stata decisamente più grande del volo precedente – e il calendario terrestre era già girato in ottobre quando loro stabilirono di poter partire.

Non c'erano state fanfare per la loro partenza, niente feste in pompa magna né arrivederci struggenti: era stato meno pesante per tutti, un saluto alla partenza come se ci si dovesse rivedere il giorno dopo, anche se un paio di lacrimucce erano scappate a parecchi – senza contare la piccola Sury che aveva pianto come una fontana, pretendendo giuramento di essere contattata appena avessero messo piede a Tokyo. Il viaggio era andato un po' meglio, anche perché escludendo MoiMoi, fisso a lavorare sul portale, tutta la comitiva era partita con loro – cosa che Ryou sapeva non essere necessaria, ma si era guardato bene dal farlo notare pensando che lui avrebbe fatto lo stesso – ma quando la Terra era comparsa sul radar l'atmosfera all'interno della navetta si era fatta malinconica e silenziosa, tanto che all'atterraggio il biondo aveva sentito ben pochi saluti e i jeweliriani erano ripartiti quasi subito dopo che l'ultimo di loro aveva posato il piede a terra. Ryou aveva immaginato che tutti i saluti fossero stati fatti prima dell'atterraggio e non era nel suo stile domandare a qualcuno come stesse, soprattutto vedendo i volti mogi delle ragazze mentre rientrarono al Cafè per scambiarsi ciascuna con il proprio schermo.

« Ti va un the? »

« No, sono a posto. »

Ichigo rispose solo con un ah deluso, non sembrò sapere bene come comportarsi. La scusa di farsi accompagnare per non dover camminare, domandando tra le righe un po' di sostegno morale da parte di Ryou, era parsa essere recepita dal biondo, ma il suo solito atteggiamento distaccato in quel momento le era più di confusione che di aiuto.

Rimasero qualche momento dov'erano, lui in piedi oltre l'ingresso lei con una mano appoggiata al tavolo della cucina, poi il biondo sospirò raggiungendola e con un mezzo sorriso le posò una mano sulla nuca, tirandola piano contro di sé. Ichigo sentì il cuore saltare un battito avvertendo il profumo del biondo riempirle le narici, poi inspirò lentamente rilassandosi contro la sua spalla e chiuse gli occhi abbracciandolo.

Nonostante le settimane e le occasioni non avevano mai parlato di quanto successo sulla navicella, quando erano andati all'inseguimento degli Ancestrali; in realtà non era certissima servisse aggiungere altro a quello che si erano detti quella sera, però quando pensava alle pessime capacità comunicative di Ryou – e il fatto che non avessero avuto particolari momenti "da coppia" da quando si era svegliata – si chiedeva se non fosse meglio fare una bella chiacchierata.

Lì nella cucina di casa sua, però, accovacciata contro di lui, la sua mano ad accarezzarle la nuca e il suo odore così familiare, si sentì così tranquilla e serena da decidersi ad ignorare le sue inutili paranoie, lasciandosi cullare nella stretta rassicurante del biondo.

« Ti faccio compagnia finché vuoi. »

Lei sorrise, mandando un sospiro soddisfatto, e sfregò il naso contro di lui facendo un cenno di diniego:

« Tra poco torneranno i miei. Io sono troppo stanca per trovare una giustificazione per la tua presenza e non credo di avere le energie per trattenere Shintaro Momomiya da crisi sospettose o di gelosia paterna. »

« Abbiamo affrontato dei pazzi assassini e devo avere paura di tuo padre? »

« Il mio ultimo ragazzo lo ha accolto a colpi di shinai. »

« One point on you. – disse posandole un bacio leggero sulla tempia – Meglio avere l'appoggio di Sakura. »

« Che c'entra mia madre? E da quando la chiami per nome? »

Lui la guardò divertito:

« Mi ha dato il permesso lei – le ricordò e sorrise furbo – non so se ricordi, ma le sono molto simpatico. »

Ichigo borbottò qualcosa di indistinto e cercò di nascondere le orecchie feline, ricordando in imbarazzo quando Ryou era andato a casa sua per darle ripetizioni e i commenti sul ragazzo da parte di sua madre.

« Bene. – fece lui lasciando la presa – Allora vado. »

Ichigo annuì e sbadigliò fino a dislocarsi la mascella, accigliandosi quando lo vide sorridere sornione della cosa:

« Ho bisogno di dormire in un letto decente e possibilmente alzarmi con la luce del sole. »

« Concordo. »

Annuì lei e sbadigliò ancora fregandosi gli occhi con due dita, era un pezzo che non si sentiva così stanca. Accompagnò Ryou fino alla porta guardandolo mettersi le mani in tasca.

« Allora… Ci vediamo domani? »

« Il Cafè sarà ancora chiuso domani, ginger – le ricordò vagamente – Keii vuole darvi la libera uscita per un altro paio di giorni. »

Concluse con tono sostenuto, come se pensasse che il suo tutore fomentasse la pigrizia tra le sue dipendenti.

« Sì, me lo ricordo – bofonchiò la rossa, anche se fu chiaro il contrario – dicevo in generale. »

Aggiunse a disagio e Ryou non potè evitare di sorridere intenerito:

« Certo. »

Aprì la porta voltandosi giusto prima di uscire:

« Per qualsiasi cosa, chiama. Ok? »

« Ok. »

La baciò e si chiuse la porta alle spalle. Ichigo restò dove si trovava con un sorriso beato stampato in faccia ascoltando il motore della moto del biondo accendersi e allontanarsi, finché il pigolare di Masha non vibrò nel salotto intanto che il robottino cantilenò:

« Siamo a casa, siamo a casa, pii! »

« Già. »

Sospirò lei trascinandosi per le scale, unico obbiettivo il suo amato letto comodo e il cuscino:

« Siamo a casa. »

 

 

***

 

 

Il cielo si era presentato bianco latte al mattino, residuo della nevicata che aveva coperto di un leggero velo candido tutta la zona di Tokyo e dintorni. Non era una rarità, però negli ultimi anni erano state poche le giornate in cui la neve era scesa attaccandosi a strade e palazzi per più di qualche ora e Retasu era rimasta deliziata alzandosi e scorgendo il paesaggio innevato fuori dalla sua finestra.

Raggiungere la scuola era stato un po' meno piacevole, tra il freddo e il ghiaccio che si nascondeva negli angoli dei marciapiedi sfuggendo al sale arrivare a destinazione si era dimostrato un viaggio impervio, e cambiarsi per l'ora di ginnastica, nonostante il riscaldamento interno, non era il massimo del confort a metà dicembre.

La verde, stanca della giornata – educazione fisica all'ultima ora era una scelta crudele e inumana – iniziò lentamente a rivestirsi fissando distratta lo specchio dietro l'appendiabiti, mise via la divisa da ginnastica e iniziò ad abbottonarsi la camicetta, fermandosi quando il suo sguardo fu attirato da una piccola macchiolina rosa riflessa sul vetro.

Alzò lo sguardo incupendosi un poco. Si sfiorò con due dita la voglia m sul petto, riapparsa a tutte circa un paio di settimane dopo il loro rientro, e ovviamente il suo pensiero andò a Jeweliria e a Pai che ormai non vedeva da tre mesi.

Era un argomento che con le altre non discutevano mai. Era sorto una specie di tacito accordo, nessuna nominava direttamente Jeweliria, o Pai, Kisshu, Taruto, Eyner, o chiunque altro, e nessuna chiedeva alle altre come andasse in merito alla lontananza; di tanto in tanto qualcuna accennava a quanto tempo fosse trascorso dal loro ritorno, ma non si andava oltre.

Pazientare dopo tutto quello che era successo era un'impresa più ardua di quanto uno potesse immaginare, fomentare la nostalgia affrontandola di petto non aiutava nessuno.

Retasu lasciò la camicia mezza aperta, prese a frugarsi nella borsa e tirò fuori il cellulare di Kiddan: sapeva benissimo che non funzionasse più, non riusciva ad usarlo neppure per comunicare con le ragazze, eppure lo portava con sé ovunque, sempre acceso, e ogni tanto ne fissava lo schermo senza una vera ragione.

Lei e Pai, tornando da Jeweliria, si erano salutati prima che la navetta atterrasse sulla Terra, entrambi decisi a voler evitare gli sguardi degli altri in melodrammatici addii; la verde si era ripromessa di non fare scenate com'era successo prima della Celebrazione della Prima Luna, quando pensavano di dover rientrare entro poche ore, e avrebbe voluto salutarlo sorridendo consapevole che la sua attesa sarebbe stata un'inezia rispetto al non vedersi mai più, o a un destino peggiore. Malgrado i suoi buoni propositi quando si era trovata di fronte il moro che le annunciava l'imminente atterraggio, Retasu aveva dovuto abbassare la testa per nascondere le lacrime.

« Scusa – aveva mormorato, detestandosi – non volevo, e invece… »

Pai le si era avvicinato in silenzio e l'aveva abbracciata con forza, quasi sollevandola in punta di piedi:

« Ti ho detto cento volte che non hai motivo di scusarti con me. »

Retasu aveva ricambiato l'abbraccio, affondando con il viso nell'incavo del suo collo prima di baciarlo, e avrebbe giurato che la sua stretta fosse stata tanto forte per nascondere un lieve tremore.

Tre mesi. Non lo vedeva da soli tre mesi, com'era possibile le sembrassero così lunghi soli tre mesi?

Come fanno le altre a non dare di matto?

Di Zakuro non si stupiva, era brava a celare i propri tormenti e gestire la nostalgia dubitava fosse più difficile di altro, o se così non fosse stato era bravissima a nasconderlo. Purin non faceva mistero della sua crescente malinconia, durante i turni al locale la si vedeva sempre più spesso fermarsi dal fare qualcosa e piantarsi con il naso contro una finestra fissando in su, come in attesa di vedere un disco volante fiondarsi giù dalle nuvole. Minto invece fingeva abbastanza bene di non avere di che angustiarsi, tranne quando si perdeva a fissare la tazza del suo the pomeridiano pensando a chissà che, o quando scattava stizzita verso la cucina se Ichigo si dilungava troppo a lungo nei dettagli dei suoi ultimi sviluppi amorosi.

Forse lei non era messa così male, si limitava a sentirsi uno schifo e a sospirare come una ciminiera.

« Che faccina cupa! »

La verde sussultò quando Ayumi le spuntò alle spalle dandole un affettuoso pizzicotto sul fianco:

« Ayu-chan, mi hai fatto prendere un colpo! »

« Almeno hai cambiato espressione – ribattè la rossa convinta – sembra che tu venga da un funerale. »

Retasu non le rispose e tornò un momento a studiare il telefono muto, che aveva stretto d'istinto al petto per lo spavento. Ayumi schioccò la lingua:

« Aaah, ecco che succede! – esclamò con fare da intenditrice – Momento nostalgia? »

Retasu sospirò e annuì soltanto; la rossa le passò affettuosa un braccio attorno alle spalle:

« Allora ci vuole un pomeriggio di buonumore. Che ne dici, saltiamo il club oggi e facciamo un giretto al 109? Cerchiamo qualcosa di carino per la festa di Natale. »

« Mmm, vediamo. – rispose vaga la verde – Ho un paio di cose da finire al club, poi ho da studiare, sono indietro con storia mondiale. »

Ayumi fece una faccia poco convinta delle scuse, ma lasciò perdere e andò a finire di vestirsi; aveva toppato con il tentativo di distrarre l'amica, nominare una festa per coppiette era stata una pessima scelta(**).

Retasu mandò l'ennesimo sospiro e fece per posare il cellulare nella borsa, quando un secondo prima di lasciarlo lo sentì vibrare sotto le dita. Spalancò gli occhi chiari e lo tirò fuori di scatto fissandolo confusa, trattenendo il fiato allo scorgere la piccola notifica sullo schermo e il mittente.

Ciao.

La mewfocena rimase immobile un paio di secondi. Poi come una molla cacciò il telefono nella borsa, si allacciò di furia la divisa e lanciandosi la giacca e la sciarpa sulle spalle corse fuori dagli spogliatoi incurante dei richiami delle compagne.

« Che succede?! »

« Scusa Ayu-chan, devo…! Ti spiego poi! »

« Ma…! »

« Ma che le è preso? »

« A saperlo, Moe – fece Miwa confusa inclinando la testa – sembrava aver visto un fantasma! »

« Però sorrideva – notò la biondina – come se fosse successo qualcosa di bello. »

Ayumi si voltò verso Ichigo cercando di capire e vide la rossa sorridere furbetta mentre metteva via il cellulare; con fare cospiratore si avvicinò all'amica e le mostrò cosa avesse ricevuto, strappando ad Ayumi uno verso esagerato:

« Ah, ecco. »

Incrociò le braccia seccata e si sbrigò a finire di vestirsi, ignorando le occhiate perplesse di Moe e Miwa.

« Fammi indovinare – le sussurrò Ichigo all'orecchio – vuoi andare a tirargli le orecchie. »

« Le orecchie e qualche altra appendice meno nobile – sogghignò la rossa minacciosa – ma sarò delicata. Per Retasu-chan. »

« Per Retasu, ovvio. »

« Mi fai compagnia? »

« Vederti strigliare quello lì? – sorrise la mewneko indossando il piumino – Non me lo perderei mai. »

 

 

***

 

 

Correre con il freddo non era un'idea geniale, l'aria gelata bruciava la gola più della corsa in sé e il montgomery, la sciarpa, i guanti erano impicci che le facevano sentire troppo caldo rispetto alla temperatura esterna, condannandola insieme a non poterseli togliere per rinfrescarsi pena il rischio di un febbrone da cavallo per il sudore ghiacciato. In ogni caso Retasu non rallentò il passo puntando come una furia verso il punto del parco dove a primavera era spuntato il passaggio per Jeweliria, scrutando attorno alla ricerca di una sagoma familiare.

Dovette fermarsi qualche metro prima dell'arrivo, ormai senza fiato, e lo vide seminascosto appoggiato ad un albero poco distante, così fermo che nessuno l'avrebbe visto passando distrattamente. La mewfocena immaginò che avesse lo schermo alzato per mascherarsi agli occhi umani, ma le fece comunque uno strano effetto vederlo lì, nel tranquillo paesaggio invernale, intanto che il cuore smise di trottare per lo sforzo scorgendo lo sguardo ametista.

Pai aspettò che lei lo raggiungesse, ricambiando piano il sorriso luminoso della verde che quando se lo trovò di fronte, esattamente come ad Aprile, sembrò non sapere cosa dirgli:

« Ciao… »

Si domandò come facesse a starsene così poco vestito con un simile freddo, lei che passate le vampe della corsa stava congelando, ma dal calore della mano che le sfiorò la guancia dedusse che il moro avesse una temperatura interna due volte più alta della sua. Tuttavia si sarebbe volentieri tolta giacca e accessori mentre si baciarono, erano troppo ingombranti per stringersi al ragazzo bene come avrebbe voluto.

« Quando sei arrivato? »

« Siamo. Da cinque minuti – disse con fare rassegnato – gli altri sono corsi via appena siamo usciti dal passaggio. »

« Il passag…? Oh, ci siete riusciti? – esclamò entusiasta – È fantastico! Aspetta… "Siamo"? »

Il moro accennò un sorriso sottile e Retasu s'illuminò al punto che Pai quasi si mise a ridere intenerito.

« Conoscendoli si saranno fiondati in un solo posto. »

« Purin-chan è sicuramente al Cafè – confermò lei con un sorriso – non so Zakuro-san e… Ops…! »

« Uh? »

« Minto è agli allenamenti – si ricordò ad alta voce – spero che Kisshu-san non piombi lì senza dirle niente. »

Pai non commentò l'ultima frase e alzò un sopracciglio, eloquente, strappandole un sorriso forzato.

Pensare che Kisshu, dopo tre mesi che non vedeva la mewbird, aspettasse il suo arrivo paziente era assurdo. E si poteva solo pensare cosa avrebbe combinato solo per stuzzicarla dopo tanto tempo, specie quando l'avesse vista in body e calzettoni assieme ad un nugolo di filiformi e vezzose fanciulline parimenti svestite.

Sarà divertente spiegare al Consiglio perché, al primo viaggio, torniamo indietro già con un uomo in meno.

 

 

***

 

 

Dicembre passò senza che la colonnina del termometro concedesse un clima più mite e stessa sorte toccò a Gennaio, trascorso in un tran tran impensabile da lì a pochi mesi prima, con visitatori alieni aggiunti.

Zakuro, come sempre, sembrava essersi già abituata ad avere Eyner e Sury così spesso in casa, mentre lui ancora trovava curioso scorgere la sorellina giocare sul divano della mora, o scivolare a piedi nudi sul bel parquet del salotto rotolando a terra e ridendo come una matta. Probabilmente non ci avrebbe messo ancora molto tempo a trovarlo normale, in temporaneo congedo in attesa di scegliere la risposta da dare al Corpo Disciplinare aveva molto tempo libero, e Zakuro aveva una camera in più che ormai Sury aveva colonizzato.

Il bruno osservò qualche minuto la piccola, concentratissima sulla conversazione che stava facendo tenere a due pupazzi dall'aria vissuta, poi raggiunse Zakuro sul terrazzo. La mora, le braccia conserte contemplando il panorama, gli rivolse un leggero sorriso e finì il suo the, poi si appoggiò alla ringhiera stringendosi nel maglione.

« Non mi abituerò mai alla vostra resistenza al freddo. »

Gli disse sbirciandolo con la coda dell'occhio. Eyner sorrise e fece spallucce, posò la tazza di the accanto a quella vuota di lei e la imitò poggiandosi al parapetto:

« Tutta pratica. »

La mora trattenne un sospiro divertito sistemandosi distratta dietro l'orecchio qualche ciuffo, che il vento tentò di portarle sul viso:

« Immagino di sì. »

Dentro uno schiamazzo di Sury li fece voltare un momento, strappando dei sorrisi quando la videro saltellare sul divano e lanciarsi di schiena su di esso coinvolta in chissà quale avventura.

« Terra o Jeweliria, mi sembra che qualcuno non abbia problemi a divertirsi in ogni caso. »

Zakuro annuì concorde e sorrise intenerita.

« Almeno qualcuno ci riesce… Io sto iniziando ad impazzire dalla noia. »

Disse vago massaggiandosi il collo. Zakuro di nuovo non replicò e il bruno iniziò a fissarla di sottecchi, intuendo che stesse riflettendo su qualcosa, ma non riuscendo ad immaginare cosa.

« … Cosa farai adesso? »

Di sicuro non si sarebbe aspettato quella domanda, non così a bruciapelo. La vide gettare una scorsa al suo braccio sinistro, le cicatrici dell'ultima lotta che ne seguivano la forma dalla spalla fin oltre il polso, e lui d'istinto strinse la mano destra sull'incavo del gomito opposto fissando di fronte a sé incupito:

« Non lo so. – ammise – Decisamente non sono uno da scartoffie. Sto cercando di pensare a qualcos'altro, però… »

Abbassò la testa con una risata amara:

« Ho fatto solo il soldato per tutta la mia vita. »

« E via da Jeweliria? »

« Cosa? »

Eyner soppesò la sua domanda qualche secondo tornando a guardarla; Zakuro invece restò con lo sguardo rivolto sempre di fronte a sé, le parole che uscirono neutre e tranquille, seppur lei muovesse nervosa le dita sulla balaustra in un lento circolo.

« Qui ci sono molti lavori che potrebbe fare uno come te; non sono proprio mansioni da soldato, ma sono meno deprimenti di una scrivania. »

« "Qui", intendi… Qui? Sulla Terra? »

La domanda gli suonò tanto stupida quanto banale, ma la pronunciò per accertarsi di star recependo correttamente le parole della mewwolf, come se la sua mente stesse di colpo lavorando ad un regime più fiacco del normale. Zakuro ovviamente non gli rispose e continuò a restare ferma dove si trovava, pure lei cercando forse di trovare le corrette parole da usare.

Il suo sguardo seguì il volo di due uccelli che spuntarono dal nulla e si appollaiarono sul terrazzo di un palazzo vicino, tubando e rassettandosi le penne tra di loro. Zakuro si appoggiò con gli avanbracci alla ringhiera, risistemandosi altri ciuffi scostati dalla fresca brezza di gennaio:

« … Tortore. – soppesò sovrappensiero – Sono un po' in anticipo, fa ancora freddo. »

Eyner rispose solo un piccolo grugnito, studiando poco interessato i volatili.

« Lo sai che le tortore sono monogame? »

Il bruno mandò solo un altro suono indistinto; ignorò completamente dove volesse andare a parare il suo discorso, ma qualche ingranaggio nella sua testa stava lentamente spingendolo verso un'intuizione che preferì non azzardare, temendo il risultato, e rimase ad ascoltare la mewwolf senza commenti.

« Le persone spesso dicono che la monogamia è inesistente, che si tratta solo di una convenzione sociale umana. Invece molte specie animali lo sono, quasi tutte le razze di uccelli scelgono un solo compagno, anche varie specie di mammiferi. »

La mora non si girò alla sua sinistra, però avvertì con chiarezza il bruno tendersi alle sue parole, il loro ultimo potenziale significato che prese forma con prepotenza.

« Creature che decidono di rimanere assieme per tutta la loro vita, come gli orsi e le volpi. »

Zakuro lo sentì sollevarsi piano sui palmi, poggiandoli alla ringhiera, e voltarsi con altrettanta calma verso di lei, quasi guardingo.

« Come i lupi. »

Finalmente la mora si voltò. Eyner la stava fissando con gli occhi grigio-blu spalancati finendo di processare le sue parole, osservando il suo volto rilassato nonostante le labbra strette poco più del normale e il respiro appena più veloce.

Il bruno le mise le mani sulla vita avvicinandosi il più possibile, lo sguardo vibrante fisso in quello celeste di lei che vide il suo volto scivolare via dalla trance stupefatta e rimirarla serio e innamorato:

« … Tu hai scelto? »

Ancora, gli sembrò una domanda completamente stupida, eppure capì di non aver sbagliato a porla; non c'era titubanza sul viso di Zakuro, ma gli occhi chiari nascosero una lucina che, più che di dubbio, parve ansia per l'importanza della propria decisione.

Quanto poteva apparire lunga una vita al fianco di qualcuno, per una persona che aveva stabilito di vivere meglio con se stessa? Suonava come un tempo ben più lungo di quanto fosse tollerabile.

Però, se Zakuro pensava a quella vita senza Eyner le sembrava ancora più lunga e insopportabile di una qualsiasi eternità.

« Ho scelto te. »

Disse semplicemente. Sentì Eyner contrarre nervoso le mani sulla sua vita e prenderle il viso tirandola a sé, fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra:

« Sei sicura? – la voce roca non tradì insicurezza, solo impazienza – Completamente sicura? »

« Sì. »

La baciò così frenetico e impetuoso che Zakuro avvertì un deciso fremito al petto e si strinse d'istinto al suo torace, il confuso sentore di avere poco equilibrio.

Poi, un piccolissimo brivido. La sensazione di qualcosa di caldo e piacevole che scivolò lungo la spina dorsale e un leggero pizzicore lungo il braccio.

Stavolta la mora fu sicura di arrancare goffa sui piedi se avesse perso la presa e si strinse a Eyner ancora più forte; allentò la stretta solo quando non ebbe più fiato per baciarlo più a lungo e subito si guardò il braccio sinistro: la manica morbida era risalita un altro po' mentre si erano abbracciati e Zakuro vide nitide le linee appena più scure della sua pelle che si disegnarono lungo l'avambraccio. Il tonfo al cuore fu quasi assordante.

Unmei.

« … Come sapevi che avrebbe funzionato? »

Eyner, il viso contro il suo mentre si dondolò impercettibilmente sul posto, scrollò solo le spalle:

« Con altre razze simili a noi funziona, se il sistema bio-nervoso è affine. – bofonchiò veloce, decisamente poco incline in quel momento a elucubrazioni scientifiche, e sospirando le baciò una tempia – Poi terrestri e jeweliriani hanno la stessa origine… Credo che biologicamente parlando dobbiamo appartenere allo stesso genere, o alla stessa famiglia, non so. »

Zakuro rispose con un monosillabo indistinto baciandolo di nuovo e sbirciando attraverso le ciglia il braccio sinistro di lui, scorgendo segni come i suoi che risalirono lungo la pelle del bruno e che divennero poco a poco più sbiaditi fino a scomparire. Si rese conto che anche i segni sul suo braccio non erano più visibili: indecisa provò a concentrarsi, la fronte contro quella di Eyner e solo un occhio aperto, e vide l'unmei ricomparire per alcuni istanti, esattamente come aveva detto una volta Lasa.

« In ogni caso – continuò lui in un sussurro, allontanando il viso giusto il necessario per vedere con chiarezza il suo – non funziona se non lo si vuole entrambi. »

Le sorrise e Zakuro fece altrettanto di rimando, fregando leggera la guancia contro la sua. Lui sospirò forte, come un tubo a vapore che debba far calare la pressione, e abbandonò la testa sulla spalla della mora:

« Ok, mi serve un minuto. Due. – si corresse – Devo… Processare. »

Zakuro lo sentì ridere nervoso e rise a sua volta scuotendo la testa:

« Hai fatto tutto tu. »

« Sto focalizzando adesso. »

« Se ci hai ripensato basta dirlo. »

Lo punzecchiò con dolcezza e lui le baciò il collo, mormorando:

« Non dirla neppure per scherzo una cosa simile. »

Lei rise ancora a labbra chiuse e mandò un lieve mugolio soddisfatto, assecondando i suoi movimenti finché non la baciò ancora.

« È… Solo successo un po' prima di quanto progettassi. »

« Progettavi? »

Gli domandò divertita non nascondendo un sorriso più deciso per il senso di quella frase.

« Forse. – replicò sorridendo un po' a disagio – A tempo debito. »

Ammise alla fine; Zakuro stese un sorrisetto malizioso passando leggera le dita sulle sue spalle:

« Cioè quando avevi in mente, di preciso? »

« Questa è una domanda antipatica. »

Sbuffò per gioco e fu troppo contento di sentirla ancora ridere discreta, troppo euforica per non sfogarsi almeno così.

« Beh – gli disse dopo un po', giocando con il suo codino tra indice e medio – in pratica io ho detto niente. »

Puntualizzò. Eyner spalancò un secondo gli occhi sorridendole poi sottile:

« È un cavillo. »

« No, è così. – insisté divertita – Non ho chiesto assolutamente nulla. Ho solo risposto. »

« Uhu. »

Continuò a studiarla furbo sfiorandole il naso con il proprio:

« Quindi in teoria non è successo niente di ufficiale? »

Lei gli diede un impercettibile pizzicotto sulla spalla:

« Quindi in pratica non occorre nient'altro – specificò con voce calda – ma mettiamo che in teoria qualcuno avesse progettato qualcosa… »

« Sei solo curiosa o hai tanta voglia di prendermi in giro? »

Fece incapace di smettere di sorridere e allo stesso tempo con un lievissimo guizzo stizzito del sopracciglio e Zakuro gli passò le braccia attorno al collo, sorridendo ancora di più e dicendo piano:

« Vorrei che me lo chiedessi, come progettavi. »

Eyner tacque alcuni istanti e la cinse per la curva della schiena tirandola a sé più che potè:

« … Minto e Shirogane vorranno la mia testa. »

« Del signorino non mi preoccuperei, ha di che farsi perdonare – replicò lei sibillina – E Minto vedrai che si calmerà subito, quando le proporrò di farmi da damigella d'onore. »

« Oh… Perciò sul classico terrestre all'occidentale? »

Lo guardò sorpresa:

« E tu che ne sai? »

« Ho una sorellina di otto anni. E conosce Ichigo Momomiya. »

Le ammiccò e lei rise piano:

« Avevi altro in mente? »

Eyner scosse la testa e le accarezzò una guancia:

« Sono sicuro che il bianco ti doni quanto il viola. »

« Prima devo risponderti. »

Insisté a scherzare ed Eyner si chinò su di lei fermandosi giusto prima di baciarla:

« Vuoi sposarmi? »

Pur sapendo, Zakuro avvertì lo stesso il cuore dispettoso perdere un colpo mentre sorridendogli gli sussurrò un .

Accovacciata dietro lo schienale del divano Sury si strinse le manine sulla bocca per fare silenzio, sbirciando felicissima i due frenando la voglia di correre loro contro e saltargli in braccio gridando di gioia: poteva lasciargli un altro paio di secondi per il loro momento.

 

 

***

 

 

« Dai, accelera! Siamo in stra-ritardo! »

« Tu hai impiegato un'ora a prepararti – sbuffò Ryou guardandola scettico – E non si corre in ospedale. »

Ichigo si fiondò su per il corridoio ignorando le sue proteste e arrivò trafelata  nel reparto maternità, annunciando il suo ingresso spalancando la porta con la grazia di un bufalo.

« Abbiamo fatto in tempo, vero?! »

« Sei fortunata, stiamo aspettando. – sentenziò supponente Minto – Ma sei in ritardo. Come al solito. »

Ichigo replicò grugnendo e si accasciò pesantemente sulla sedia accanto a Kisshu: lui teneva le mani davanti al viso così serrate che c'era da temere iniziassero a scricchiolare, frantumandosi. Ryou entrò un paio di minuti dopo la rossa, guardandolo divertito:

« Sembra che debba essere tu a partorire. »

« Spiritoso, Shirogane! – enfatizzò acido – Spiritosissimo! Ora mi rotolo sulla sedia! »

« Se avete intenzione di battibeccarvi potete uscire anche adesso. »

Sibilò Pai tenendosi la fronte con una mano, la mascella contratta, e Kisshu fu troppo nervoso per rispondergli per le rime. Taruto sedeva poco distante, le mani sotto il sedere, oscillando sulla seduta come un pendolo.

« Dai Taru-Taru andrà tutto benissimo. »

La sua faccia non si mostrò molto convinta.

« Eyner e Zakuro non ci sono? »

« Sury-chan si è messa a fare i capricci – ammise Retasu con un sorrisetto – perché non può ancora entrare in reparto… Hanno detto di dirgli quando sarà finita e faranno a turno. »

« Potremmo fare entrare la piccola di straforo. »

« Bell'esempio. »

« Era per proporre! »

Fece Kisshu sulla difensiva e Minto roteò gli occhi, il nascituro sarebbe diventato un delinquente con simili fratelli maggiori.

Qualcuno aprì la porta dall'altra parte della sala e tutti saltarono sul posto come molle. L'infermiera non potè non ridere sommessa:

« Ora potete entrare. »

I tre Ikisatashi si guardarono a vicenda nella speranza che uno qualsiasi di loro si muovesse per primo. Fu Pai alla fine ad accollarsi l'onere, e rigido manco fosse di piombo entrò nella stanza seguito dai fratelli e dagli altri presenti.

Lasa era stata aiutata a sedersi sul letto, una pila di cuscini dietro la schiena, e sorrideva raggiante nonostante la stanchezza dipinta sul viso; la sua attenzione e quella di Iader, in piedi accanto a lei e quasi con la stessa faccia stravolta, era tutta per il fagottino tra le braccia della donna e connessero dopo alcuni secondi la presenza dei visitatori.

« È arrivato quello nuovo e non ci consideri più? »

Ridacchiò Kisshu senza riuscire a nascondere un sorriso nervoso. Lasa scosse la testa e Iader fece loro segno di avvicinarsi; Taruto restò nascosto dietro ai due più grandi, sbirciando attraverso le loro braccia.

« È una bimba. »

Sorrise Lasa sottovoce mentre Pai scostò la copertina che avvolgeva il neonato.

« Kisshu, è incredibile, non hai ancora detto una parola. »

Lo canzonò Minto ma lui non rispose, allungando titubante  una mano verso la piccola e osando sfiorarle la manina paffutella con l'indice. Iader ostentò un teatrale tirar su con il naso:

« Finalmente…! Dopo anni di tribolazioni con questi figli degenerati, una dolce femminuccia! »

« Ehi! »

Taruto fece l'offeso e si avvicinò con fare sostenuto al letto; il suo viso si accese appena posò lo sguardo sulla piccola, ma insisté a voler sembrare distaccato nonostante il sorriso, ottenendo una curiosa smorfia sghemba. Lasa gli sorrise:

« Vuoi prenderla in braccio? »

Lui scattò all'indietro come se lo avessero punto, il viso che si arrossava di contentezza:

« Io?! N-no, non posso…! – replicò nervoso scuotendo la testa – È-è piccola, ho paura di farle male…! »

« Kisshu e Pai hanno tenuto in braccio te quando sei nato – lo rassicurò – stavolta è il tuo turno. E poi tu sei anche più grande di quando toccò a loro. »

« E non credo la farai cadere come ho fatto io… »

« Cos'è che avresti fatto?! »

« Taru-Taru, credo che Kisshu nii-chan ti stia prendendo in giro. »

Il brunetto arrossì stizzito e il fratello se la sghignazzò, una strana espressione euforica mentre lui e Pai continuarono a guardare la bambina. Iader sospirò rassegnato e troppo felice per spedirlo fuori a calci, prese la piccina tra le braccia e la mise in quelle di Taruto, che poco mancò se la desse a gambe.

« Tienile su la testa. Bravo, così… – l'uomo ridacchiò piano – Ha del talento! Tu che dici Purin? »

« Non farle domande con strani doppi sensi! »

« Credo che sarebbe un ottimo papà, Iader-san. »

« E tu non dargli corda! »

Anche Purin rise e si accostò al brunetto posandogli la testa sulla spalla ammirando con le amiche la bambina, la testina tonda quasi calva con pochissimi e sottilissimi capelli color castagna, gli occhietti chiusi.

« Ok, passala un po' qui, prima che decidano di portarsela a casa. »

Rise piano Kisshu notando gli sguardi trasognati delle ragazze. Minto incrociò le braccia arrossendo un poco:

« Sei davvero un cafone, ma non dovrei stupirmi ormai. »

« Ammettilo che ti piacerebbe averne una uguale. »

Scese uno strano silenzio mentre la mewbird sgranò gli occhi in un'espressione stranita. Kisshu si sarebbe aspettato gli inveisse contro, invece la mora borbottò un paio di parole confuse e uscì dicendo di andare a chiamare Zakuro, lasciando il verde a guardarsi attorno confuso:

« Ma che ho detto? »

Lasa sospirò e guardò in tralice Iader.

« Io non sono mai stato così. »

« D'accordo – disse divertita – poi ricordami di raccontarti ancora come hai chiesto di sposarmi e ne riparliamo… »

Purin e Retasu si guardarono e sorrisero, e la biondina si fece spazio tra i tre ragazzi che facevano da guardie del corpo alla bambina:

« Come si chiama? »

« Tofi(***). »

Quasi avesse già capito che la madre si riferiva a lei, la piccola socchiuse gli occhietti indaco e sbadigliò, afferrando l'indice del fratello maggiore. Retasu lo vide sorridere appena, ma non disse niente intenerita.

« Allora benvenuta, Tofi. »

Come a rispondere alla biondina Tofi emise un piccolo vagito e parve sorridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) credits to Hypnotic Poison ♥  che mi passa deliri fantastici di fanshipposo delirio (perdonatemi, questa frase era troppo perfetta per non rubargliela vilmente ♥ )

(**) un po' di cultura giapponese… Il 109 è un noto grattacielo/centro commerciale situato proprio in centro, a Shibuya; all'inizio del 2000 era noto per essere il punto di incontro di tutte le gals (le ragazze trendy, fissate con un particolare codice di abbigliamento e trucco marcati) di Tokyo.
Natale in Giappone, pur esistendo una branca praticante di cattolici, non ha la valenza dell'Occidente, è considerata una festa commerciale e in particolar modo dedicata alle coppie di innamorati (specialmente la Vigilia di Natale) più che alle famiglie, o più che al contesto religioso.

(***) seguiamo la tradizione dell'Ikumi di adoperare dolciumi per i nomi, come coi suoi fratelloni xD viene da toffee, un tipo di caramella, generalmente morbida, composta da zucchero, glucosio o melassa, burro, latte o latte condensato.

 

 

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

*stappa spumante e saltella* yeeheee!! Visto che sono brava? Sono tutti salvi e contenti, sì sono troppo brava, non va bene x°°DD!

Tutti: seee, certo!

La parte più difficile di questo capitolo, anzi, le parti, sono state non far capire nella prima parte cosa stesse succedendo e farvi salire l'ansia :P e rendere fluida la lettura con tutti questi salti temporali… Magari qualcuno avrebbe voluto leggere più dettagli di cose successe tra un momento e l'altro, ma ho scelto quegli eventi che ritenevo migliori e adatti per parlare un po' di tutte le coppie ;) ♥  (ops, ho lasciato da parte Purin e Taruto che fan le comparse °-°" vabbè pazienza :P)

Purin: Ria cattiva ç_ç

Taruto: ma non eravamo i tuoi preferiti -.-?

Sì e non fate i musoni, siete quelli che hanno sofferto di meno dall'inizio ^^!

Non ho molto da dire, a parte ringraziare 19g (ultima arrivata, sempre benvenutaa ♥ ), Amuchan, Danya, Sissi1978 e The RosaBlue91 per i loro commenti, tutti i lettori occasionali, gli affezionatissimi che non commentano (ma che spero facciano un salutino in questi ultimi capitoli :3) e ovviamente sempre e cmq Hypnotic che mi stressa in continuazione e mi vuole tanto bene xD

ALLA PROSSIMA CON L'EPILOGO!

ULTIMISSIMO CAP!

ULTIMO ULTIMO! FINE! THE END!

 


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

   
 
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