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felice milioni di scrittori.
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essere indifferente!
Salva anche tu una
tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere
gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.
Siori e siore,
PENULTIMO CAPITOLO!
Wow non ci credo sono
riuscita a completarlo °-°"! Questo capitolo è stato un parto, sia perché è
stato intricatissimo scriverlo in modo che non fosse un pippone,
ma cosicché riuscissi a spiegare tutto quello che era rimasto in sospeso, ho
dovuto scriverlo e riscriverlo e riscriverlo, rileggerlo, tagliare e
ritagliare, una palla -.-"! Poi ovviamente è capitato a cavallo tra la
fine della gravidanza e la nascita della nuova pupetta
(quindi vai, combo di assenza/recupero forze e piccola depressione portata
dalla stanchezza) quindi mi ci è voluto un po' per trovare le energie e la
concentrazione per finire. Ora sono di nuovo in pista (con un sidecar doppio xD) e perciò sono solo triste perché ormai siamo in fondo TwT
Ok non mi dilungo
oltre buona lettura ♥
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Cap. 57 – Toward the Crossing: tenth road (epilogue)
No pain, no gain
La brezza era decisamente più frizzante da un paio di giorni, la stagione estiva aveva compiuto gli ultimi passi verso quella invernale e Lasa si dovette stringere nelle spalle per far passare i brividini lungo le braccia. Non era mai stata una persona freddolosa, ma di recente sentiva caldo e freddo con più fastidio del normale; probabilmente era la pessima qualità del suo sonno, specie negli ultimi tempi.
Sospirò, in fondo non era strano che non riuscisse più a dormire a dovere.
Scuotendo la testa sovrappensiero
si avviò a passo spedito verso l'ospedale in costruzione; di certo ai
jeweliriani si doveva riconoscere l'innata capacità di adattarsi e
riorganizzarsi con estrema rapidità pure nelle situazioni più difficili, in
meno di due settimane dall'inizio dei lavori la struttura di base dell'edificio
era già accessibile e funzionante, sebbene attivo a un regime minimo. In quel
modo avevano potuto trasferire quasi tutti i pazienti ancora degenti nel bunker
all'esterno, cosa che aveva facilitato la loro gestione e la cura dei casi più
gravi, migliorando di molto l'atmosfera generale.
La donna si avvicinò all'ingresso presidiato da due soldati e mostrò il proprio permesso di accesso – uno degli inconvenienti dei lavori in corso, di solito cose così non la seccavano, ma dover esporre le proprie credenziali invece di entrare e basta le risultava fastidiosamente tedioso, visto il suo umore – quindi si avviò a passo spedito verso la piccola stanza dei medici. Prese dal proprio armadietto il sottile schermo dati trasparente e scorse la lista delle sue visite giornaliere, si sistemò indietro i lunghi capelli castagna e iniziò il proprio turno.
Le cose procedettero normalmente per la maggior parte del tempo: rilettura delle cartelle, monitoraggio dei parametri dei pazienti, eccetera, nulla di troppo impegnativo; tra un'attenta osservazione e una parola di conforto che mai guastava Lasa arrivò quasi alla fine del giro di controllo, quando qualcuno di piccolo e rumoroso le rovinò addosso rischiando di farla cadere.
« Insomma…! – sospirò esasperata e fissò severa verso le proprie ginocchia – Mi pareva di essere stata chiara. »
Due bambini di circa otto anni – il secondo forse appena più piccolo – entrambi con fasciature evidenti da sotto gli abiti, spalancarono gli occhioni e farfugliarono qualche scusa tirandosi in piedi dal pavimento.
« Siamo in ospedale, non al parco giochi. – proseguì ferma la donna – Non potete correre e saltellare come vi pare. »
Il bambino più piccolo non rispose, abbassando gli occhi e mormorando qualcosa, l'altro si fissò le punte dei piedi bofonchiando:
« Scusi dottoressa. »
Lasa li scrutò ancora duramente e poi, sospirando, aggiunse con più dolcezza:
« Lo capisco che sia noioso stare qui senza poter fare quello che vi pare, ma dovete resistere ancora un po', non siete ancora guariti del tutto. Inoltre non potete giocare senza pensare agli altri pazienti, ci sono persone che hanno bisogno di calma e riposo. »
I due piccini annuirono a disagio, imbronciati, e salutarono la donna poco convinti lasciandole spazio perché proseguisse le sue faccende. Mentre si allontanò Lasa scorse con la coda dell'occhio un terzo bambino raggiungere i primi due, che nel frattempo avevano preso a discutere.
« Io te l'avevo detto che non dovevamo! »
Si lagnò con una fortissima erre moscia il più piccolo, mortificato.
« Oh, piantala! Anche tu ti annoiavi! »
« Siete due stupidi, finirete per cacciarci nei guai per davvero! »
Sbuffò il terzo, una grossa fasciatura attorno alla fronte.
« È colpa di questo frignone – sbottò il primo indicando il più giovane – si lamenta che si annoia, poi non riesce a starti dietro. »
« Non è vero! – protestò il piccolino sbattendo un piede – Io te l'ho detto che non so correre così veloce! »
« Sì, perché sei un pidocchio piscialetto. »
Rise il primo e il terzo dietro, scatenando così le lacrime del secondo a cui entrambi reagirono preoccupati.
« No, dai, lascialo perdere. »
« Guarda che scherzavo. »
« Stupido! Lo dirò alla mamma! »
Il più piccolo zampettò piangendo nella direzione opposta da cui era arrivato, gli altri bambini dietro che lo intercettarono scusandosi ancora e calmandolo per poi allontanarsi con lui, già confabulando su come ammazzare il tempo in quel posto noiosissimo.
Lasa, che si era fermata poco distante ad osservarli distratta, sorrise nostalgica: quante ne aveva viste di scene simili quando i suoi ragazzi erano bambini, le sembrò fossero trascorse dieci vite da allora. Un senso di cocente malinconia le pizzicò la gola e dovette prendere un lungo respiro per non perdersi in ulteriori pensieri mesti, sforzandosi di sorridere con serenità mentre una delle giovani infermiere del reparto la vide arrivare:
« Ikisatashi-san, tutto bene? »
« Certo. – rispose la donna con calma – Sono solo bambini che si annoiano. Basta spiegargli e sono perfettamente in grado di adattarsi. »
La ragazza, due lunghe code verde accesso ai lati della testa, sorrise intanto che nuovi schiamazzi proruppero da una stanza vicina. Lasa sospirò con rassegnazione e l'infermiera ridacchiò condiscendente.
« Invece ci sono adulti che non capiscono nemmeno se li scrivi le cose in fronte. »
Borbottò la donna e spalancò decisa la porta della camera:
« Insomma voi due, quante volte devo ripetervi di smetterla con questa confusione? »
I due degenti oltre la soglia, impegnati a fare gli stupidi con non si sa quale discorso e morendo dalle risate saltellando sui materassi, sorrisero e si scusarono, ben poco convincenti nei loro persistenti scoppi di risa trattenute. Lasa corrugò la fronte fissando severa alla sua sinistra:
« Ti pare il caso di agitarti tanto? »
La vittima dell'occhiataccia si sforzò di ricomporsi con un grugnito e sporse la punta della lingua, grattandosi la nuca e Lasa sospirò avvicinandosi al letto:
« Hai punti e incrinature alla testa e alla fronte – ricordò, controllando le medicazioni – è già una fortuna che tu non sia in terapia intensiva, Purin-chan. Cerca di non esagerare. »
La biondina arrossì un pochino, consapevole di essere parecchio incosciente, e si limitò ad annuire:
« Scusa Lasa-san. »
La donna alzò un sopracciglio e la guardò un istante, le mani perse tra i ciuffetti biondi, sorridendole sottile; le fece una carezza e proseguì con il checkup, la mewscimmia che arricciò le labbra e ridacchiò.
« Sì, però è una palla qui…! »
« Tu sei un disgraziato, dovresti impedirle di agitarsi così tanto invece di fomentarla. »
Soffiò la donna e constatato che le bende di Purin non fossero da cambiare, né ci fossero altri problemi, andò all'altro letto sogghignando lievemente alla reazione del suo occupante:
« Taruto, devo controllarti la ferita. »
Il brunetto, rannicchiatosi un poco su se stesso, allentò la stretta sul braccio destro e guardò Lasa rabbuiato:
« Sì, sì, lo so. »
Lei cercò di non sorridere troppo, o quantomeno non troppo divertita, mentre il figlio saltellò fino al bordo del letto e le porse il braccio. Lui trattenne il fiato quando Lasa gli tolse la fasciatura che andava da sotto alla spalla fin poco sopra il gomito: Taruto sbirciò con un misto di disgusto e morbosa curiosità il lungo taglio, che arrivava quasi all'osso, e i punti di sutura che lo chiudevano, scuri sulla ferita ancora rossastra. S'irrigidì intanto che Lasa gli tolse la benda e pulì attorno al taglio medicato, soffiando secco al contatto con il disinfettante e strappando una risata a Purin. Le rivolse un'occhiataccia livorosa:
« Non fa ridere. »
« Ti lanci contro uno degli Ancestrali e ti fai quasi mozzare il braccio, poi ti lamenti per un po' di bruciore. Riderei anche io, tesoro. »
Lui squadrò la madre offeso e lei ridacchiò con dolcezza, finendo la medicazione e scompigliandogli la frangetta.
« Dai, mamma, piantala! Ho quattordici anni, non quattro! »
« Mi pare di avertelo già detto – proruppero dall'ingresso – finché non sarai maggiorenne, tua madre ha il diritto di coccolarti e trattarti da marmocchio quanto le pare e piace. »
Taruto borbottò qualcosa a denti stretti e Lasa, gentile, evitò di ridere troppo forte lasciando il piacere a Iader che entrò baldanzoso.
« Buongiorno Iader-san. »
« 'Giorno madamigella. »
« Credevo fossi di turno al Palazzo. »
« Sì, ma ho pensato di venire a controllare se, effettivamente, la mia attuale progenie fosse ancora viva e vegeta. – scherzò l'uomo dando un buffetto al suo terzogenito – Vista questa malsana abitudine di giocarsi la buccia prima dei settant'anni. »
Lasa scosse la testa sorridendo rassegnata e Purin rise allegra sedendosi poi sul bordo del materasso:
« Ti seguo Iader-san. »
« Non se ne parla, il dottore altrimenti mi esilia sul divano fino a data da destinarsi. »
La fermò e indicò, fingendo di nascondersi, la moglie e l'occhiata più torva che gli aveva scoccato:
« Gli ormoni la rendono suscettibile. »
« E tu sei di aiuto a gestirli come si deve. »
Sottolineò lei e Iader sogghignò divertito: la tendenza ad essere accomodante nei confronti di quei ragazzini era costata all'uomo una buona dose di lavate di capo, beccato a passeggiare coi due per l'ospedale ignorando il tassativo ordine di riposo per entrambi.
Purin sospirò, ma annuì obbediente. Iader le ammiccò, salutò ancora Taruto e uscì seguito da Lasa, che lasciò al figlio un bacio leggero sulla fronte; il brunetto scosse la testa, grugnendo, e Purin non gli fece notare il sorrisetto contento che tentò invano di nascondere dietro il broncio, limitandosi a stendersi e a riposarsi un po' prima di colazione.
***
Minto spostò il vassoio sullo spartano comodino accanto al letto inspirando soddisfatta, dopo tanti giorni provava un po' di nostalgia per la colazione salata alla giapponese – a differenza dei suoi connazionali, i jeweliriani tendevano a mangiare dolce al mattino – però la tazza di paina con quella curiosa cremina da mischiarvi e la pagnottella tipo brioche erano molto piacevoli appena svegli. La morettina si stiracchiò e scivolò con cautela giù dal letto, dirigendosi come sempre verso la fine del corridoio.
Quel rito quotidiano era, per quanto snervante, la sola cosa che le desse un senso del tempo trascorso; ancora trovava difficoltà a riordinare cosa fosse successo dopo la sconfitta di Arashi, era stata una sequenza di eventi così frastornante da sembrare uno strano incubo distante.
Avuta la certezza della dipartita dell'Ancestrale il piano generale sarebbe stato di andare a cercare i membri del gruppo ancora dispersi e, soprattutto, Deep Blue, prima che Ichigo finisse tra le sue grinfie. Nessuno si sarebbe aspettato di vedersi crollare la dimensione addosso e vederla scomparire quasi subito dopo, ritrovandosi di punto in bianco in mezzo ad una piana desolata, solo il cielo nero e le stelle ad osservarli e corpi immobili di nemici ed amici sparsi qui e là a decine di metri di distanza, i soli punti di colore sulla terra grigia.
Rabbrividì appena al ricordo, per lei un'immagine parecchio inquietante, e accelerò il passo ascoltando il ticchettio leggero delle proprie ciabattine. Ringraziò che pur segregata tra quattro mura le fosse stato concesso di mettersi a proprio agio ed indossare uno dei suoi pigiami, e non le scialbe e tristi divise in materiale termico-sintetico fornite dall'ospedale; in un certo senso la faceva sentire più "a casa" e toglieva alla situazione un po' della sua gravità.
Come nelle precedenti sei mattine si affacciò nella stanza da un angolino, guardinga, pronta a fare qualche passo indietro se un dottore o un infermiere fosse stato di controllo, oppure ad entrare e prendere posto sulla sedia accanto al letto se avesse visto solo quello e il suo semicosciente occupante. Dovette però sussultare, confusa, la camera era completamente deserta compreso il letto candido: non c'erano più tracce di strumentazioni di controllo, o di grucce per le flebo, né di qualcuno che ne avesse fatto uso fino alla sera prima; sembrò che la stanza fosse stata smantellata e riordinata perché non più necessaria.
L'ultima idea, che passò rapida e subdola nella testa di Minto, le fece stringere le dita contro lo stipite della porta scattando poi in avanti fino a rallentare, raggiungendo il letto vuoto. Posò una mano sulle lenzuola sfiorandone pieghe inesistenti, erano fredde.
La mewbird avvertì il violento bisogno di prendere più aria e mandò due respiri affannati, l'altra mano che salì lenta al viso: non capiva, però se fosse… Glielo avrebbero detto, perciò non capiva perché… Non…
« Oh, ma buongiorno! Ecco dov'eri, ti ho c- »
Minto sussultò a quella voce squittendo acuta e voltandosi come una molla, badando poco al fatto che la sua espressione avesse ammutolito l'interlocutore. Si coprì la bocca con la mano, l'ansia che l'aveva assalita svanita tanto rapidamente da serrarle la gola e farle venire comunque voglia di gridare, non seppe se di gioia o di rabbia.
Kisshu, più pallido del normale e chiaramente bendato da capo a piedi nonostante i vestiti lunghi dell'ospedale lo nascondessero un po', smise di mangiucchiare il frutto che aveva in mano e fece svanire il sorrisetto con cui era comparso sulla soglia nel vedere l'espressione attonita della mora, l'aria di chi fosse sul punto di piangere. Abbandonò il suo spuntino su un ripiano spoglio accanto all'ingresso e divorò il paio di falcate necessarie a raggiungere la ragazza, che scattò appena lui le fu a mezzo metro. Gli volò tra le braccia, ma invece di abbracciarlo o permettere a lui di farlo lo spinse via iniziando a prenderlo a pugni sul torace con quanta forza avesse.
« OHI! Ehi, piano razza di cornacchia bipolare! – sbuffò Kisshu con voce soffocata – Ehi! Ahio, cazzo! Guarda che sono ferito! »
« "Oh, ma buongiorno!"?! – berciò Minto, due lacrime infingarde ai bordi degli occhi – Che razza di modo di presentarsi è?! »
« Perché, questo sarebbe un modo?! »
Protestò il verde e le bloccò i polsi prima che un colpo mal dato gli facesse saltare i punti sul fianco. Socchiuse la bocca, probabilmente per rimarcare il concetto con un paio di parolacce mentre grugnì tentando di farla smettere di dimenarsi, ma non uscì replica mentre Minto scostò il viso per nasconderlo:
« Sei stato… Sei passato dal
sonno alla coscienza per giorni, te ne rendi conto o no? – mormorò con sempre
meno forze – Non reagivi, poi ti svegliavi borbottando cose senza senso o… O…!
Sei stato ad un passo dall'aldilà praticamente… Sempre…! E tu…! Tu…! »
Si scosse nelle spalle tentando
di sfuggire senza successo alla presa di Kisshu, poi sbuffò esasperata:
« Hanno detto che se MoiMoi-san ti avesse trovato cinque minuti più tardi… Probabilmente non avresti avuto abbastanza sangue in corpo nemmeno per decomporti. »
« Che razza di diagnosi sarebbe?! »
Sbottò schifato, ma Minto fece solo spallucce e abbassò la testa:
« E ora… Ti trovo sveglio, e in piedi e… Sai solo fare l'idiota. »
Aveva creduto di morire quando, svanita la dimensione degli Ancestrali, aveva visto comparire MoiMoi pallido e malconcio che si strascinava sulle spalle Kisshu, la testa riversa all'ingiù sul torace e un'unica, vistosissima macchia scura su tutto il lato sinistro degli abiti. Appena saliti sulla nave lo avevano medicato alla meno peggio perché non ci lasciasse la pelle e il verde per tutto il tempo, fino al ricovero e dopo, aveva dato solo previ cenni di presenza di sé con qualche vacuo lamento e bofonchiando in stato di semi-incoscienza.
Una volta giunti in ospedale avevano dovuto trascinare via Minto in tre, con tanto di intervento di Zakuro per convincerla a lasciare il capezzale di Kisshu, perché da sola la mewbird non avrebbe abbandonato neanche il reparto di terapia intensiva per poter controllare quando lo stupido fosse stato fuori pericolo.
La mora si morse il labbro inferiore e ricacciò indietro le lacrime di sollievo per concentrarsi su quanto la irritasse vederselo così, sorridente e noncurante come suo solito, dopo che lei aveva passato quasi una settimana a fare la vedova a lutto. Fu un concetto abbastanza seccante da impedirle di uccidere il proprio orgoglio frignando come una bambina.
Kisshu non disse nulla tenendola sempre ben stretta, pur con delicatezza – non si fidava così tanto del caratterino di lei per non impedirle altri diretti alla propria cassa toracica – e spiegò lentamente:
« … Mi sono svegliato prima dell'alba. Ho passato circa due ore a farmi rivoltare come un calzino da metà dello staff medico di turno, ho dovuto ringraziare che non ci fosse mia madre o oltre alla pazienza avrei perso pure le orecchie a furia di predicozzi. »
Minto emise un verso a metà tra uno sbuffo irato e una risata; smise di spingere con le braccia e Kisshu si azzardò a lasciarla andare poco a poco.
« Quando hanno finito di sondarmi anche il naso sono solo voluto uscire da qui. Ci ho messo un po' ad alzarmi – rise sarcastico e le accarezzò le dita, mollemente abbandonate tra le sue mani – e quando sono venuto a cercarti, non eri in camera. »
« … Però hai trovato il tempo di mangiare, noto. »
Mugugnò Minto, la testa bassa, squadrando i resti dello spuntino che il verde aveva abbandonato vicino all'ingresso. Lui accennò un ghigno leggero:
« Il menù delle flebo non era molto invitante. »
La mora gorgogliò tentando di non ridere. Non seppe neanche perché le venisse da ridere, era una battuta così idiota e infantile…
Kisshu le prese il volto tra le mani e lo sollevò sorridendole mentre con dolcezza le sfiorò i ciuffi ai lati del viso:
« Ciao passerotto. »
Minto sospirò e schioccò la lingua, ancora una risata inspiegabile che le piegò le labbra all'insù. Gli gettò le braccia al collo ignorando il leggero lamento che gli strappò schiaffeggiandolo sul naso coi capelli – anzi ridacchiando della cosa – le dita artigliate alla stoffa sulle spalle del verde e il volto affondato contro il suo collo, ripetendo in un'allegra cantilena dei ciao appena distinguibili. Kisshu le accarezzò la nuca e le baciò con forza la fronte e le guance, lasciando che la mora lo stritolasse nonostante le proteste delle proprie ferite, assecondando il suo strofinare il viso a casaccio contro la sua pelle finché non riuscì a baciarla come si deve.
Minto intuì di essersi seduta sul
letto solo un momento prima di stendersi contro il materasso sottile; emise
qualche leggera protesta, temendo di fare male a Kisshu in qualche modo visto
quanto lo avvertì vicino a sé, ma lui non sembrò preoccuparsi minimamente della
possibilità e si accovacciò con lei sul lettino.
« Kisshu… »
« Cosa? »
« Sei ferito… »
« Vuoi davvero che vada via? »
Minto corrugò appena la fronte al
tono canzonatorio di lui, ma non gli rispose facendo una smorfia colpevole.
« Su, dovresti essere contenta –
scherzò a bassa voce – sono tornato nel pieno delle forze. »
La mora alzò un sopracciglio scettica
nonostante il sorrisino divertito e posò la mano sulla sua, che era già salita
verso le spalle scivolando poi in basso lungo il fianco di lei. Gli avvolse con
cautela le braccia attorno al torace e abbandonò la testa sul cuscino,
sorridendo mentre si baciarono e il verde prese a farsi un po' più di spazio
sotto il vezzoso pigiama chiaro cercando il contatto con la sua pelle.
« Quelle mani… »
« Prova a dirmi che ti da fastidio.
»
Sogghignò sfiorandole il naso,
riprendendo a baciarle il collo, e lei per risposta gli pizzicò il dorso di una
mano strappandogli un piagnucolio esagerato.
« Su, sono convalescente, ho
bisogno di attenzioni. »
« Mi sembra che tu ti sia ripreso
anche troppo in fretta – puntualizzò la mora, divertita a stuzzicarlo – lo vedi
che non sei normale? Non è umano tutto questo. »
« Tecnicamente non sono uman- »
« Kisshu. »
La predica si chiuse in un
sospiro caldo e divertito intanto che il verde le accarezzò con studiata
attenzione i fianchi e Minto si decise a smetterla, mandando solo un sospiro
beato.
Aveva avuto talmente tanta paura
di averlo perso, e ora Kisshu era lì, contro le sue labbra, a tracciarle la
schiena con le mani, a spingerla contro di sé, e lei non aveva che bisogno di
lui(*).
« Se proprio preferisci parlare –
la stuzzicò il ragazzo all'orecchio – potremmo finire un certo discorso… »
« Non è possibile…! Voi! Due! »
La mewbird fece solo in tempo a
razionalizzare l'asciutto rimprovero che tuonò nella stanza e a vedere la
sagoma di un medico comparire alle spalle di Kisshu, poi il botto di qualcosa
di rigido che planò secco contro un cranio e il verde si allontanò di scatto da
lei puntellandosi sulle mani e imprecando a denti stretti.
« AHIO! Ma che cazzo fai, Ake?! »
« Questo dovrei chiederlo io. –
tuonò il medico, l'irritazione che dardeggiò nelle iridi azzurra e nocciola –
Si può sapere che diavolo pensavate di fare? »
L'uomo, il tubetto di paina
stritolato tra i denti, gettò un'occhiataccia al verde mentre questo si sedette
meglio sul bordo del letto massaggiandosi la nuca con aria imbronciata. Minto, ancora
mezza sdraiata, si rese conto solo in quel momento di quanto poco ormai
lasciasse all'immaginazione il suo vestiario, i bottoncini sul petto aperti, la
camicetta calata sulle spalle e i pantaloni leggeri tirati su fino alla curva
della coscia – come diavolo aveva fatto Kisshu in così poco tempo?! E lei non
aveva protestato un momento! – e sentì l'imbarazzo azzannarle il viso. Ringraziò
che Kisshu le facesse minimamente da paravento tra sé e lo sguardo severo di
Ake per darsi un'aggiustata rapida e discreta, mentre il medico continuò ad apostrofare
il ragazzo minacciandolo con lo stetoscopio:
« Qualcuno qui ha la minima idea
di essere stato tirato via con le pinze dal mondo dei morti oppure no? »
« E spaccarmi la testa sarebbe di
aiuto?! »
« La testa è proprio l'unico
posto dove non ti abbiamo ricucito – sibilò Ake acido – e visto lo stato del
resto potresti evitare di farti saltare punti e fasciature solo perché sei
inflazionato di ormoni. »
Il verde borbottò un'altra cupa
riga di parolacce mentre Minto, tentando di nascondere il disagio, finì di
riassestarsi e scivolò giù dal letto; sbirciò verso Ake con l'intenzione di
imbastire due parole di circostanza prima di squagliarsela, ma lui la
precedette soffiando:
« Fila e a riposo, pure te. Via.
Sciò. »
Dopo finì di tirare verso il
letto un carrello con le strumentazioni di controllo, misuratore di pressione e
altro, e la mora non lo fece ribadire oltre il comando scattando rigida verso
la porta. Non avrebbe saputo dire perché, irritata e imbarazzata per la pessima
figura, allo stesso tempo non riuscisse a smettere di mordicchiarsi il labbro
per nascondere il sorriso.
« Ehi. »
Aveva appena girato oltre lo
stipite, pronta comunque ad allontanarsi prima che Ake decidesse di usare
oggetti contundenti anche contro di lei, che si sentì afferrare per un polso.
Kisshu spuntò giusto con la testa dall'angolo, la tirò indietro e le schioccò
un bacio veloce, ammiccando:
« Non mi avevi salutato. »
Poi gli sfuggì un altro lamento e
Minto vide la cartelletta di Ake volare vero l'angolo opposto della stanza,
rimpallata sulla nuca del verde mentre il dottore ringhiò a bassa voce nuove
minacce.
« Vai, o alla prossima ti
potrebbe impalare con la gruccia per la flebo – sussurrò Minto cercando di non
ridere dei lamenti eccessivi di Kisshu – ha ragione, devi riposare. »
« Crudele. Non mi sembravi così
preoccupata due minuti fa. »
Minto si rifiutò di rispondergli,
lo spinse dentro e si avviò girando sulle punte, incapace di smettere di
sorridere di nascosto.
« Poi tanto riprendiamo anche
questo discorso. Tutti e due. »
« Ikisatashi, poggia
immediatamente quel deretano striminzito qui sul letto, o ti ci lego per un mese!
»
***
Zakuro si sistemò il maglioncino
sulle spalle e fece vagare lo sguardo oltre le finestre che affacciavano sulla
città; era stata abbastanza a lungo su Jeweliria per capire che non solo la
temperatura era cambiata, diventando più fresca, ma anche la luce con cui il
sole accarezzava gli edifici si era fatta più bassa, chiara eppure tenue, come
quella che sulla Terra bordava di dorato le foglie settembrine. Sospirò, parve
un'eternità da quando aveva visto Tokyo l'ultima volta.
Ormai
a casa sarà già pieno Autunno...
Si appoggiò alla parete e dovette
prendere fiato un momento, schioccando la lingua irritata.
La cosa che più stava trovando
detestabile di quella convalescenza era la spossatezza che le sue ferite le
avevano lasciato: fortunatamente, dopo qualche giorno di riposo assoluto, era
già stata in grado di passeggiare e rilassarsi senza condannarsi alla lobotomia
fissando il muro della sua stanza, ma perfino le azioni più semplici e
tranquille le risultavano sfibranti. Era come se il suo corpo avesse smesso di
appartenerle, lo avvertiva rigido, pesante, difficoltoso da muovere quasi che
le avessero legato la testa a delle membra di ferro arrugginito e piombo; non
riusciva a stare seduta in solo modo per troppo tempo, né sdraiata per i
dolori, svegliandosi anche di notte – pur se per pochi minuti – per cambiare
posizione, e perfino per una semplice passeggiata impiegava il doppio del tempo
a cui era abituata, costretta a muoversi lentamente e a dover prendere fiato di
tanto in tanto nemmeno stesse correndo.
La mewwolf sospirò ancora,
rassegnata e in fondo ringraziando di essersela cavata a quel modo e di non
essere inchiodata a un letto visto il pessimo stato in cui era tornata a
Jeweliria, quindi inspirò a fondo finché non le tornarono un poco di forze e
riprese il suo gironzolare. Ciondolando arrivò nel piccolo giardino interno che
era stato realizzato, un fazzoletto verde con qualche panchina circondato dalle
mura dell'ospedale; alcuni bambini giocavano in un angolo, redarguiti di quando
in quando da un infermiere o un medico se il volume dei loro schiamazzi
diventava eccessivo, un altro paio di pazienti sedevano qui e là da soli o
chiacchierando tra loro o con visitatori. La mora guardò distrattamente attorno
sicura di trovarlo lì, e accennò un sorriso quando individuò la familiare chioma
arruffata e scura tra i presenti, ma non si avvicinò subito vedendo altre due
persone.
Riconobbe il più alto, carnagione
scura e capelli mandarino, il tenente colonnello Blies, mentre ignorò chi fosse
l'altro sebbene avesse intuito dalla divisa si trattasse di un militare,
probabilmente un ufficiale di alto grado da come Blies ed Eyner, seduto su una
panchina defilata, gli si rivolgessero con tono rispettoso. Zakuro rimase in
attesa solo un minuto studiando i due ufficiali in piedi parlare sommessi verso
il bruno, poi l'ufficiale si accomiatò e si allontanò velocemente, passando
accanto alla mora che colse con chiarezza solo la frase con cui si congedò:
« Ci rifletta con calma,
capitano. »
Eyner replicò solo con un sorriso
tirato e un cenno del capo. Blies rimase indietro un momento, studiando il suo
sottoposto con i torvi occhi perlacei e una ruga di irritazione in mezzo alla
fronte – Zakuro ebbe la sensazione che fosse, più che verso Eyner, verso quanto
gli era stato detto – poi se ne andò anche lui rivolgendo un saluto spiccio
alla giapponese. Lei ricambiò in silenzio e si avvicinò alla panchina mentre
Eyner, vedendola, si rasserenò un poco in viso e le fece spazio accanto a sé:
« 'Giorno. »
« Buongiorno – gli sorrise la
mora – come stai oggi? »
« Io? Una meraviglia, come
sempre. »
Lei sorrise condiscendente
studiando il suo braccio sinistro, bendato dalla seconda falange delle dita fin
oltre la spalla e legato al collo, e lui protestò divertito:
« Da una mummia vivente non
accetto certe critiche. »
Zakuro si limitò a sorridere, in
effetti aveva abbastanza fasciature su ogni singolo arto e parte del corpo da non
poter fare commenti di sorta. Eyner ridacchiò:
« Come hai dormito? »
« Ogni volta un po' meglio. – lo
rassicurò mentre le baciò la guancia – Tu? »
« Finché riesco a non girarmi nel
sonno dal lato sbagliato dormo come un pupo. Quasi meglio che a casa, almeno
qui la sveglia non è all'alba. »
Zakuro rise a labbra chiuse:
« Sury-chan non ha convinto
nessuno a farla entrare prima dell'orario di visita? »
« Fortunatamente no. Ci sto quasi
prendendo gusto ad essere pigro. »
Lei scosse appena la testa
continuando a sorridere sottile.
« … Hai dormito bene, allora? »
Le domandò ancora dopo qualche
istante di silenzio; Zakuro non rispose subito, sbirciandolo con la coda
dell'occhio mentre rigirò un suo ciuffo glicine tra le dita, quindi posò la
testa contro la sua spalla stendendo un sorriso quieto:
« Sì. Bene. »
Lei non aveva detto niente a
Eyner sul suo ultimo faccia a faccia con Toyu, ma non aveva potuto nascondere i
segni fisici dello scontro, bende o meno, né il bruno aveva ignorato le
reazioni insolite di lei subito dopo la battaglia, o che i medici si fossero
preoccupati del suo sonno agitato non solo dai dolori delle ferite. Eyner in
ogni caso non aveva fatto domande dirette, limitandosi a chiedere alla mora di
giorno in giorno come stesse e a offrirle silenzioso appoggio, qualora lo
avesse chiesto. Per Zakuro era stato più che sufficiente per stare meglio.
« Cosa volevano prima da te…? »
« Blies-san e Kapeka-san,
generale di brigata. »
Spiegò spiccio e poi fece
spallucce, forse per tagliare il discorso, ma l'occhiata penetrante che
ricevette lo fece desistere subito; si studiò il braccio ferito, muovendo in
piccoli scatti faticosi le dita, quindi sospirò:
« Il Corpo Disciplinare ha
deliberato. »
Zakuro si mise dritta continuando
a fissarlo, più seria. Lui annuì e stese un sorriso amaro:
« Escludendo le lesioni evidenti
a muscoli e tendini – fece solo un cenno sarcastico per stemperare, con scarso
successo – il braccio guarirà completamente. Però né Ake né altri sono riusciti
a capire di preciso quale sia il danno dei nervi, ma c'è ed è improbabile si
possa sistemare. »
La mora continuò a non dire
niente e lo studiò continuare distratto a muovere le dita, quasi per
sgranchirle:
« In sostanza, il mio braccio
guarirà, ma non sarà mai più come prima. »
Si sistemò la benda attorno al
collo e guardò un punto indefinito di fronte a sé:
« Secondo le valutazioni di Ake
non supererò mai più il 60% di forza che avevo prima della Celebrazione della
Prima Luna, perciò il Corpo Disciplinare ha deciso di conseguenza. »
Zakuro aggrottò appena la fronte:
« Ti hanno congedato? »
Il bruno fece un gesto con la
mano per minimizzare:
« Sbattermi fuori non è nel loro
stile, specie considerando le circostanze in cui mi sono ferito. »
« Perciò cosa ti hanno detto? »
« Il mio stato di servizio,
citando testualmente Blies-san, "mi para discretamente il culo" –
fece concedendosi uno sbuffo divertito – quindi mi hanno addirittura concesso
più scelte per un cambio di assegnazione. »
« Posso immaginare nulla di
entusiasmante. »
Lui alzò le sopracciglia
sospirando:
« Ritiro da membro attivo (anche
se, si spera, non dovrebbe essere più necessario in ogni caso) e da custodia e
addestramento reclute, con reinserimento funzionario o supervisione al
Consiglio Maggiore. »
« Cioè – riflettè un istante la
mora – o lavoro d'ufficio, oppure con Iader-san? »
« Pressappoco. Anche se sarei molto più legato, Iader-san e
la maggior parte degli altri soldati a supervisione del Consiglio Maggiore
hanno chiesto il trasferimento, o hanno raggiunto un'età per cui il ruolo di
guardia è sufficiente, e in ogni caso possono ricevere nuova assegnazione se
necessario o se la richiedessero. A detta di Blies-san, non avrei questa
concessione. »
Zakuro mandò un muto verso di
assenso e si corrucciò di nuovo:
« Sembra quasi che vogliano
punirti. »
Eyner aprì i palmi eloquente:
« Seguono le nostre regole
interne, la mia attuale potenza bellica non è funzionale ai ruoli che ricopro e
un soldato deve stare dove è più utile. – ripetè a pappagallo scimmiottando
aspro i suoi superiori – Inoltre non ho buoni precedenti in quanto a difficoltà
di gestione delle mie capacità, quando non sono al massimo della forma. »
Le ricordò più amaro:
« Non hanno voglia di rischiare
repliche in questo senso. »
« Non vedo come sia una buona
ragione per chiuderti tra quattro mura. »
Commentò solo un pelo più acida
ed Eyner le sorrise grato della sua irritazione:
« Blies-san si trova d'accordo
con te, ma è già stato deciso. – sbuffò stancamente – Quantomeno nulla sarà
effettivo finché non sceglierò dove farmi trasferire. »
Zakuro annuì di nuovo in silenzio
guardandolo abbandonare la testa all'indietro. Alla sua domanda muta lui
sospirò per l'ennesima volta:
« Finché non inizieranno ad
alitarmi sul collo non voglio pensarci. »
Ammise e lei non lo contraddisse,
limitandosi a posare la mano sulla sua.
***
« Non pensarci neanche. »
« Oh, per piacere Shirogane-san,
non mettertici anche tu…! »
« Ryou nii-chan, sei noioso. »
« Ha ragione però, Sury-chan –
disse Keiichiro con affetto – Retasu-san non deve sforzarsi troppo. »
« La convincete voi? »
« Pai nii-chan, sei un disco
rotto! »
Protestò acuta la bambina e Pai, sistemandosi
appena sulla stampella a cui era poggiato, si limitò a contrarre un occhio
infastidito dall'acuto e mantenne l'espressione irremovibile.
Retasu, stesa sul suo letto,
squadrò truce – per quanto le fosse possibile – sia lui che Ryou, reo di averle
sequestrato il set da cucito con cui lei e Sury stavano facendo un pupazzetto:
« Ci stavamo solo distraendo un
po'. »
« Direi che ti sei distratta
abbastanza per oggi. »
Tagliò corto Ryou, seduto su una
carrozzella a cuscino d'aria con tutta l'attrezzatura di Retasu in grembo, e
Pai rincarò annuendo. La mewfocena aggrottò la fronte e scrutò il moro
infastidita da quel comportamento paterno, ma lui la precedette prima che
protestasse oltre e prese ad elencare:
« Due costole incrinate, tre
rotte, danni alla clavicola e alla scapola sinistre, al muscolo grande dorsale
e al diaframma. Tanto per citare qualcosa. »
La verde incassò tacendo e lo
fissò torva, ogni volta che Pai le parlava in quel modo si domandava se davvero
fosse contenta che il frequentarsi l'avesse reso meno rigido nei suoi
confronti.
In ogni caso era consapevole che Pai
non avesse torto e, anzi, che limitarsi a certe frecciatine invece che farle
una giornaliera lavata di capo fosse il minimo da concedergli: la lista delle
ferite che la verde si era procurata volendo combattere a tutti i costi contro
gli Ancestrali, nonostante il suo stato fisico – lista tra cui si annoveravano incrinature
a varie ossa di braccia, gambe e mani ed emorragie di diversa gravità – era
molto più lunga di quanto il moro le ricordasse; se non ci aveva lasciato la
pelle era stato solo grazie alla fortunata combinazione di velocità del loro
rientro, rapido intervento medico e la resistenza maggiore di un comune essere
umano che il gene m
le aveva donato, Pai aveva tutti i diritti di rimproverarla se provava a fare
sforzi eccessivi prima del tempo.
Per quanto neppure lui fosse in
splendida forma, suturato per quasi tutta la lunghezza della schiena e fasciato
dal collo in giù per salvargli il braccio, era stata lei quella rimasta sotto i
ferri e i SRP per ore e a cui, ancora, era proibito ingerire cibi troppo
solidi.
« Devi riposare. »
Insisté Pai con tono più gentile prendendole
la mano e Retasu, sospirando, annuì e si arrese contro il cuscino.
« Per fortuna la MewAqua non ha
influito sul gene m
abbastanza velocemente e guarirai molto prima di quanto accadrebbe normalmente.
– intervenne Keiichiro cercando di consolarla – Dovrai pazientare solo un altro
poco. »
La verde annuì con un piccolo
sorriso e d'istinto si sfiorò il petto poco sopra lo sterno, dove la voglia
rosa delle focene non c'era più.
Come nella battaglia contro Deep
Blue a Tokyo, pareva che l'influsso del Dono allo stato puro avesse inibito la
modifica genetica delle MewMew. All'inizio non se n'erano accorte; solo Ichigo,
ritrovata svenuta quando la dimensione degli Ancestrali era scomparsa, aveva
riacquistato il suo normale aspetto, forse perché era stata la più vicina al
cristallo di MewAqua quando Deep Blue lo aveva riattivato. Ritornati a
Jeweliria, però, e riportato il Dono nella grotta della Città Sotterranea,
questo aveva ripreso a rilasciare energia come tre anni prima, quando Kisshu e
gli altri lo avevano portato sul pianeta, e a quel punto tutte le ragazze
avevano riassunto le loro sembianze umane.
Ryou e Keiichiro avevano supposto
che l'evento sarebbe stato solo temporaneo, come già accaduto, ma non avevano
potuto confermarlo né le ragazze avevano avuto modo o desiderio che
indagassero; da parte sua Retasu non era sicura, stavolta, di essere sollevata
al pensiero che il DNA della neofocena non le appartenesse più.
« Ma Keii-chan, qui è
noiosissimo! »
« Sfruttare Retasu per farti
costruire dei peluche allieverebbe la noia? »
« Io non sfrutto – puntualizzò la
bambina offesa – io aiuto Retasu nee-chan. E poi nemmeno tu dovresti andartene
in giro! »
Protestò puntando l'indice contro
Ryou che scrollò le spalle:
« A quanto pare sono più robusto
del previsto. »
« Ringrazia che il gene m abbia retto anche per te – lo
redarguì Keiichiro più severo – per come ti hanno conciato Lindèvi e Arashi hai
rischiato di diventare uno spezzatino di gatto. »
« … Ma tu da che parte stai? »
Sury rise forte iniziando a girare
fastidiosamente intorno al biondo e a prenderlo in giro, incurante dei
borbottii che l'americano le soffiò contro. Retasu li osservò e sorrise mesta,
il modo ostentato in cui in quei giorni Ryou si sforzasse di apparire
compassato come sempre le faceva male al cuore ogni volta.
« Tutto bene? »
Si voltò verso Pai e strinse le
dita con le sue sentendo di stare allargando il sorriso. Aveva avuto davvero
paura quando erano stati tutti trascinati di peso all'ospedale, nonostante la
cura di emergenza il moro aveva perso un sacco di sangue e lei non osava
ricordare quanti punti avessero dovuto dargli per ricucirgli il braccio destro
e parte del fianco al resto: vederlo già in forze dopo pochi giorni, sentire la
sua voce, poterlo toccare erano cose che le riempivano il petto di una felicità
quasi stordente, e quando ci pensava si pentiva sempre un po' delle proprie
proteste circa il riposo forzato. Oltre a sentirsi terribilmente colpevole nei
confronti di Ryou.
Sono
qui, sono sveglia, sono viva e vegeta, e Pai con me. Dovrei davvero evitare di
lamentarmi.
« … Sì – lo rassicurò – sono solo
un po' preoccupata per Shirogane-san. »
Pai non le rispose sfiorandole il
dorso della mano con il pollice e guardò di sbieco l'americano, per quanto continuasse
a non essergli granchè simpatico non potè che provare empatia per quanto doveva
star passando in quegli ultimi giorni.
« Non ci sono ancora novità? »
Sussurrò Retasu dolente e Pai
s'incupì negando:
« Nessuna. Non si è ancora
svegliata. »
La mewfocena si morse il labbro e
abbassò lo sguardo sulle lenzuola, socchiudendo gli occhi quando lui le
accarezzò distratto una guancia.
Quando Ichigo era stata soccorsa non
era sembrata in gravi condizioni e neppure i controlli successivi all'ospedale
avevano dato notizie di ferite nascoste o problemi troppo gravi. La sola cosa
insolita era stata la mano destra della rossa, chiusa a pugno sin dal momento
in cui l'avevano trovata: nessun esame o lastra era stato in grado di chiarire
cosa la mewneko custodisse tra le dita – un piccolo oggetto, si era solo
scoperto, di non più chiara identità – né tantomeno si era riusciti a fargliele
aprire per sciogliere il mistero senza rischiare di farle del male, ma a quanto
pareva non era qualcosa di pericoloso.
Si trattava solo dell'ennesima
stranezza attorno a Ichigo, che nonostante tutte le rassicuranti diagnosi non
aveva più ripreso i sensi e dormiva ormai da giorni.
Tutti erano in ansia, ma
ovviamente chi stava subendo peggio la situazione era Ryou.
Dopo le prime quarantotto ore
fisso al capezzale di Ichigo, con le ragazze che non facevano che cercare di
spronarlo, il biondo aveva cambiato atteggiamento fingendosi sì preoccupato, ma
assolutamente in grado di gestire la situazione solo per essere lasciato in
pace; la cosa non aveva funzionato moltissimo, Retasu e le altre avevano smesso
di consolarlo, ma non facevano che scrutarlo di sottecchi quasi temendo che lui
crollasse da un momento all'altro. Il ragazzo le lasciava fare preferendo quel
loro silenzio agli assillanti tentativi di confortarlo, svicolando in solitarie
e cupe passeggiate quando sentiva di non riuscire a fingere oltre.
Era preoccupato, divorato dal rimorso
per non essere riuscito di nuovo ad aiutare Ichigo nel momento più critico, ed
era frustrato perché, togliendo un problema medico, la sola cosa che pensava potesse
spiegare lo stato della rossa doveva legarsi al DNA del Gatto Selvatico o alla
MewAqua, ma non gli era stato permesso di investigare sulla questione: Ichigo
non poteva lasciare l'ospedale, lui stesso era sotto stretta osservazione, e
non aveva neppure tutte le strumentazioni che aveva sulla Terra per poter
indagare come avrebbe voluto.
Poteva solo rimanere in attesa,
sballottato tra le visite dei dottori e l'ammazzare il tempo con gli altri tra
i corridoi dell'ospedale. Keiichiro si sorprendeva che il suo protetto non
avesse ancora iniziato a fare buchi nei muri con i piedi delle stampelle per
sfogarsi.
« Dai Sury-chan, non importa,
continueremo domani – fece Retasu cercando di fermare la bambina dal continuare
a tormentare il biondo – hanno ragione, è meglio se… »
S'interruppe e tutti si voltarono
verso la porta, da cui era spuntato tutto trafelato un infermiere dall'aria
assonnata e i capelli prugna:
« Ikisatashi Pai-san? »
Il moro si mise più dritto che
potè scrutando il giovane sulla soglia, però non chiese nulla. Quello, a
disagio, tossicchiò e disse con più calma:
« Mi ha chiesto di cercarla
Luneilim-san. »
Al nome del violetto Pai stese il
volto in un'espressione sorpresa, diventando poi più cupo:
« Sì? »
« Era per… »
« Lo so. »
Lo interruppe e strinse il manico
della stampella fino a farsi venire bianche le nocche. Sury lo studiò a
disagio, sia lui che gli altri avevano messo su facce lugubri e afflitte per
uno stesso motivo che lei non capì, ma che la spaventò:
« Che c'è? Che succede? »
Né Pai né gli altri due ragazzi
le risposero; l'infermiere tossicchiò un'altra volta distogliendo lo sguardo da
quello preoccupato della bambina:
« Mi ha detto che preferisce
andare da sola – proseguì – voleva solo che le comunicassi questo. »
Di nuovo Pai sembrò sorpreso e
poi, invece, triste. Continuando a non parlare fece un cenno al giovane che se
ne andò, quindi lanciò un'occhiata allusiva a Retasu e uscì dalla stanza senza
una parola, lo sguardo ametista scuro e afflitto. Ryou e Keiichiro lo imitarono
andandosene in silenzio, il moro concedendosi giusto un sorriso verso Retasu
che ricambiò e affondò di più con la nuca contro il cuscino.
« Nee-chan? »
La voce di Sury, confusa e inquieta,
fu un sussurro piagnucoloso mentre la bambina scosse la manica della verde
perché la considerasse:
« Che succede? »
Nemmeno Retasu le rispose. Le
accarezzò la testa e piegò a fatica le labbra all'insù cercando di essere
rassicurante, gli occhi lucidi dietro le lenti quasi fosse sul punto di
piangere.
***
L'infermiera entrò nella stanza
in punta di piedi, come se non volesse rompere la quiete che vi era all'interno;
con movimenti lentissimi aprì la finestra per cambiare l'aria, controllò che
gli inservienti fossero passati a pulire la camera e riordinare il letto a
dovere, nonostante l'ospite, dopo prese ad annotare sul proprio schermo dati lo
stato della degente. Il rumore lievissimo delle proprie dita sullo strumento
elettronico frusciò attorno facendo da controcanto al respiro calmo della paziente
che, ancora, non si era risvegliata da quando era arrivata.
L'infermiera sospirò constatando
l'immutata regolarità di battito cardiaco ed encefalogramma, poi passò a
sostituire la flebo guardando distrattamente verso il letto.
Se non avesse assistito coi
propri occhi allo sfoggio delle capacità sue e delle sue colleghe, durante la
Celebrazione della Prima Luna, le sarebbe stato impossibile credere che quella
gracile terreste dai capelli rossi, placidamente addormentata, fosse
responsabile della salvezza di Jeweliria: il corpo sotto le lenzuola sottili
non aveva di certo la prestanza di una guerriera, a stento doveva pesare
quarantacinque chili e di sicuro non erano tutti di muscoli, difficile
immaginarsela mentre affrontava pericoli mortali o compiva imprese eroiche.
Guarda
che faccetta, è solo una ragazzina… Sembra la mia sorellina.
Il pensiero la portò a studiare
qualche altro momento il volto rilassato di Ichigo, i capelli sciolti sul
cuscino e il pugno destro chiuso proprio come se stesse dormendo normalmente.
Gli altri terrestri e quelli che la conoscevano si erano dati il cambio in
continuazione per vegliarla, soprattutto il ragazzo dai capelli biondi e le sue
amiche, a volte sedendo in silenzio nella stanza sussultando ad ogni minimo
rumore, fiduciosi di vedere la mewneko aprire gli occhi, altre volte
chiacchierando con lei nella speranza che la loro voce potesse svegliarla. Il
solo che era stato più a lungo in quella camera era lo strano esserino di pelo
rosa che in quel momento sonnecchiava sul comodino.
Sbirciando Masha l'infermiera
storse un poco il naso e si aggiustò un ciuffo dei corti capelli mogano, molti
del personale avevano avuto da ridire circa la presenza di quel coso non meglio definito – non pareva
molto igienico con tutto quel pelo – ma la dottoressa Lasa e il dottor Ake
avevano dato il loro benestare e non si era potuto protestare oltre. Per quanto
la riguardava ringraziò almeno che stesse dormendo – o qualsiasi cosa facesse
quell'affare – perché mal sopportava la vocetta acuta e i versetti striduli che
faceva da sveglio, era troppo in là con il proprio turno per tollerare simili
suoni a trapanarle le tempie.
Sistemò le ultime cose, regolò di
nuovo le strumentazioni e aggiustò con un tocco leggero le coperte sopra
Ichigo, voltandosi distratta un'ultima volta verso i suoi occhi castani.
…
Occhi…?
« …! Oh mio…! »
La ragazza si fiondò sul
trasmettitore fisso accanto alla porta chiamando la caporeparto e i colleghi e
tornò di corsa verso il letto, travolgendo nell'operazione il comodino e
svegliando Masha di soprassalto. Per la prima volta da quando era lì
l'infermiera non badò allo snervante pigolio dell'esserino rosa e iniziò a
controllare agitata lo stato della paziente, gli occhi faticosamente socchiusi
e la bocca che si aprì due o tre volte mandando rantoli indistinti.
« Momomiya-san? Mi senti? Capisci
quello che dico? »
La mewneko deglutì rumorosamente
e annuì:
« D… D-dove…? Dove s…? »
« Ichigo! Ichigo! Sei sveglia, pii! »
L'infermiera scacciò brusca
Masha, che aveva preso a svolazzare sopra in cerchi frenetici, quindi si chinò
sulla rossa controllando la reazione delle pupille:
« Sei in ospedale – le spiegò
rapidamente – ti hanno portata i tuoi amici mentre eri priva di sensi. »
« I miei… Gli altri… Dove…?
Come…? »
« Stanno tutti bene – la
rassicurò la donna, posandole una mano sulla spalla per impedirle di muoversi –
erano malconci, ma li abbiamo più o meno rimessi in sesto. Sono qui, e sono
vivi. »
A quelle parole Ichigo si lasciò
guidare di nuovo contro il letto sospirando sollevata. L'infermiera l'aiutò a
mettersi comoda e dopo cacciò un verso di stizza, voltandosi verso la porta e
chiedendosi ad alta voce perché non fosse ancora arrivato qualcuno ad aiutarla,
si affacciò seccata sul corridoio e sparì dietro l'angolo chiamando a gran
voce. Ichigo distinse a malapena cosa le disse e dove si diresse, la testa che
pulsò come un tamburo mettendo a fuoco la stanza; aveva il corpo pesantissimo,
ma si sforzò comunque di muoverlo intanto che cercò di ricordare cosa avesse
fatto prima di svenire.
La donna che le aveva parlato era
jeweliriana, quindi erano tornati indietro.
Lei… Sì, aveva affrontato Deep
Blue e… Lui… Era morto…
Il Dono… Il cristallo di MewAqua,
lo aveva recuperato, c'era ancora dell'energia al suo interno… Se lo ricordò
bene, la sfera trasparente con il suo goccio di acqua iridescente sul fondo…
Lei che riprendeva il suo aspetto
e… La dimensione che crollava…
Provò a mettersi seduta –
stritolando tra i denti due o tre parolacce per quanto fu difficile muovere i
muscoli intorpiditi dal suo lunghissimo pisolino – portandosi d'istinto una
mano alla testa per una fitta di dolore, grattando con le unghie delle bende
ruvide – Sì, ricordava, qualcosa l'aveva colpita sulla nuca quando la
dimensione degli Ancestrali era scomparsa… – e si domandò vagamente perché si
stesse appoggiando sul pugno chiuso.
Pugno?
Perché stava tenendo il pugno
destro chiuso?
Il primo pensiero fu di avere un
danno di qualche genere alla mano, ma non aveva fasciature né stecche, o segni di
sorta. Provò titubante ad aprire le dita e si rese conto di non avere
difficoltà, a parte la fatica delle falangi anchilosate e la fastidiose
sensazione della carne piagata da qualcosa che lei stessa vi aveva premuto
contro troppo a lungo.
Nel palmo arrossato c'era ciò che
sembrò un pezzetto di vetro trasparente, che mandò una leggera luce biancastra
proiettando riflessi iridescenti sulle pelle della rossa.
Le parole confuse di Luz prima
che scomparisse le risuonarono violente nella mente.
« Il… È tuo. Usa… »
Il frammento che aveva nel petto.
Il suo frammento.
Usalo.
L'idea prese forma con la
velocità del fulmine.
Usalo.
Una scarica di adrenalina le
esplose nel petto così forte e rapida da scacciare ogni senso di torpore e
farle dimenticare di essere rimasta immobile per una settimana. Lanciò le gambe
oltre il bordo del letto, ignorando il terribile crepitio delle proprie
giunture, e si spinse giù, ma solo i suoi piedi poggiarono a terra perché le
ginocchia invece si piegarono come quelle di una marionetta senza fili; Ichigo
si aggrappò d'istinto alla gruccia della flebo, senza rimanere in piedi, ma
riuscendo almeno a non cadere con la faccia sul pavimento e trattenne un
lamento al sentore dell'ago che minacciò di scapparle dalla vena. Soffiò tra i
denti e si guardò il braccio, non avrebbe fatto molta strada trascinandosi
dietro la stampella di acciaio: con attenzione si poggiò meglio sui piedi, le
ginocchia che continuarono a tremarle poco propense a reggerla, quindi strinse
la gruccia nell'incavo dell'altro braccio per darsi più sostegno e armeggiò con
l'ago tentando di liberarsi.
Devo
sbrigarmi…! Se sto dormendo da una settimana potrebbe anche…
Odiava gli aghi, le faceva
impressione il metallo che bucava pelle, carne e arterie e l'idea del sangue
zampillante le diede il capogiro, però per sua fortuna la flebo era infilata in
un curioso aggeggio di plastica, a sua volta inserito nella vena: ne aveva visto
già uno quando, qualche anno prima, sua nonna era stata sottoposta ad una
piccola operazione ed era dovuta starsene il paio di giorni di degenza con
quell'aggeggio perennemente addosso – ago cannula si chiamava, se ricordava
bene – doveva servire per velocizzare l'inserimento e l'estrazione di aghi e
simili senza dover ribucare ogni volta la vena. L'osservò un paio di istanti
sforzando tutti i neuroni ancora intontiti e, pregando di non stare per fare la
stupidaggine che l'avrebbe fatta svenire a metà strada per dissanguamento,
sfilò la flebo; armeggiò nervosamente con l'ago cannula, il sangue che riempì
il corpo di plastica – e la nausea che invece salì lungo la sua gola – e ruotò
una ghiera sulla cima, chiudendolo.
« Ichigo,
cosa fai?! Pii, pii! Siediti, siediti! »
Lei non sentì una sola parola.
Prese due bei respiri e schioccò la lingua, la bocca secca, lasciò il
rassicurante sostegno della gruccia e caracollò contro lo stipite della porta,
tenuta in piedi solo dall'adrenalina. Sostenendosi alla parete barcollò coi
piedi nudi sul pavimento freddo tentando di trovare un'indicazione che la
guidasse, l'unico pensiero di muoversi più velocemente possibile.
Non
ho tanto tempo.
Accelerò il passo continuando ad
ignorare Masha che le pigolò attorno alla testa, l'andatura un po' più salda, e
si morse l'interno di una guancia: se solo il DNA del Gatto Selvatico fosse
stato ancora attivo avrebbe potuto usare i propri sensi potenziati, così andava
completamente alla cieca.
« Ichigo!
Ferma, ferma, pii! Sei ferita, pii!
»
« Sto benissimo! »
Lo zittì brusca. Masha emise un
cinguettio lagnoso, svolazzando agitato, e Ichigo lo guardò illuminandosi:
« Masha – fece, il respiro
pesante – mi serve il tuo aiuto. »
***
Ake lo fissò in silenzio per più
di un minuto, forse aspettandosi che ritrattasse la sua decisione o gli
chiedesse di non andare; lui invece proseguì al suo fianco, il passo calmo,
reagendo alle occhiate del medico solo quando fu lui stesso a fermarsi in mezzo
al corridoio. Lo guardò a sua volta e Ake sospirò, prendendo il suo tubetto di
paina tra le dita:
« Non sei costretta a decidere
già adesso. »
MoiMoi abbassò lo sguardo
sorridendo infelice:
« No. È meglio adesso, prima che
cambi idea. »
L'uomo scrollò le spalle:
« … Nessuno te ne farebbe una
colpa. »
« Lui sì. – gli ricordò con
fermezza – E lo sai anche tu. »
Ake non replicò, la dicotomia
delle sue iridi che parve far vibrare il suo sguardo adombrato:
« MoiMoi, tu- »
« Ti prego – lo fermò il
violetto, il sorriso dolente sempre a piegargli le labbra – mi servi come
medico, come mente razionale. Non puoi venire nel mio territorio emotivo proprio
adesso. »
« Se volevo sostegno di
raziocinio inflessibile, forse ti sarebbe convenuto portarti Ikisatashi
appresso. »
Scherzò senza allegria il medico
e MoiMoi mandò uno sbuffo che doveva essere una risata:
« Pai-chan voleva bene a Sando… A
modo suo – si affrettò ad aggiungere e la sua espressione si rasserenò un
momento – come tutti gli altri, del resto. Non potevo chiedere a nessuno di
loro di dirgli addio un'altra volta, è già abbastanza doloroso per me. »
« Io invece sono un bastardo
insensibile e posso reggere – scherzò ancora aspro Ake – bell'opinione del
sottoscritto. »
« Tu sei un medico. »
Gli ricordò il violetto.
« Quindi sono uno stronzo? »
« Quindi sei obbiettivo in ogni
caso. »
Aggiunse, più una speranzosa
opinione che un'affermazione sicura. Ake scrollò le spalle di nuovo:
« Diciamo che sono abbastanza
bravo a fingere di esserlo. »
Si rimise il paina tra i denti e
sospirò facendo strada.
MoiMoi lo seguì simile ad uno
zombie. L'ala dove avevano piazzato il reparto di terapia intensiva non era
ancora molto affollato e i loro passi rimbombarono nei corridoi come in una cattedrale,
risuonandogli a loro volta nel petto e affossandolo di minuto in minuto.
Aveva tergiversato fino ad
allora, la scusa delle cure alla spalla e la preoccupazione verso gli altri e
le loro condizioni, ma quella mattina si era svegliato e aveva deciso che non
poteva aspettare oltre: se avesse atteso pure un giorno in più non avrebbe mai
avuto il coraggio di dare il permesso, e Sando non gli avrebbe mai perdonato di
lasciarlo per tutto il resto della sua vita attaccato ad una spina.
Attraversando quei corridoi, però, MoiMoi tornò a chiedersi se avrebbe avuto la
forza di vederlo un'altra volta e osservarlo mentre ciò che restava di lui, pur
se solo un involucro di carne, veniva spento come un interruttore.
Il petto che avrebbe smesso di
muoversi, il cuore di battere.
Il violetto inspirò a fondo
tentando di non piangere, la sua sola speranza era di riuscire a non pensare
per i successivi quarantacinque minuti, o per quanto sarebbe servito.
Era stato decisamente meglio non
far venire gli altri, altrimenti sarebbe crollato e avrebbe fatto marcia
indietro senza la minima esitazione.
La porta del reparto spuntò di
fronte a lui quasi un'apparizione orripilante. MoiMoi inghiottì a vuoto, una
mano serrata sul petto, e annuì lentamente perché Ake aprisse i battenti e gli
facesse strada lungo gli ultimi, terribili cinque metri.
« MoiMoi-chan!! »
L'urlo lo fece sobbalzare tanto
che dovette trattenere un urlo di sorpresa. Lui e Ake si voltarono confusi,
spalancando gli occhi quando videro una chioma rossa trottare a passo spedito,
anzi correre verso di loro preceduta da un puntino rosa fluttuante e
cinguettante:
« Scovata!
Scovata! Pii! Ichigo, l'ho trovata, pii!
»
« MoiMoi-chan!
« I… Ichigo-chan?! »
Ake per poco non si fece cadere
il tubetto di paina dalle labbra, passando in un secondo dallo stupore alla
furia:
« Sei sveglia? E che… Diavolo ci
fai qui?! In piedi?! A correre?! –
tuonò rabbioso – Sei completamente impazzita?!? »
La rossa non gli rispose
appoggiandosi malamente al muro, la fronte imperlata di sudore e senza più
fiato.
« Ho
trovato MoiMoi con il mio radar, pii! Sono stato bravo, sono stato molto bravo!
Pii! »
Il violetto guardò il robottino e
gli sorrise stentato, reagendo più d'istinto che riflettendo, e andò incontro ad
Ichigo abbracciandola agitato:
« Gli Dei mi aiutino,
Ichigo-chan! Sei sveglia! – mormorò e le prese il viso tra le mani – Ma cosa ti
è saltato in mente?! Che stai facend…?! »
Si zittì vedendo Ichigo sollevare
il pugno chiuso e portandoglielo sotto il naso. Il violetto sbattè le palpebre
confuso e dopo sgranò gli occhi scorgendo un familiare baluginio tra le sue
dita.
« … Ichigo-chan… Cosa…? »
La sua voce si spense quando la
ragazza aprì il palmo e mostrò la piccola scheggia di cristallo lucente.
« Deep Blue… Me lo ha strappato
via quando abbiamo lottato – disse la rossa con voce ancora un po' impastata – lo
ha assorbito, ma poi… Ecco. »
MoiMoi continuò a passare lo
sguardo dorato dal palmo di lei al volto della mewneko con aria totalmente
frastornata e Ichigo sorrise:
« Tayou e Luz… Loro hanno detto
che è mio, lo portavo dentro di me. Non si è fuso con il resto del Dono, è
rimasto a me, è mio. »
MoiMoi non le disse niente, quasi
non stesse riuscendo a seguire il suo discorso. Ichigo non smise di sorridere,
ma il suo sguardo si rabbuiò un poco mentre scrutò più attentamente il
frammento luminoso.
Era così piccolo e aveva così
poca MewAqua al suo interno… Doveva contenerle proprio una goccia, una goccia
minuscola…
Forse non sarebbe bastato. Forse…
Forse si stava illudendo, e avrebbe illuso MoiMoi, però…
Il ricordo della voce leggera di
Luz le vibrò nelle orecchie. Si era sempre fidata di Tayou, si sarebbe fidata
anche della sorella.
Non sapendo bene che altro dire
afferrò la mano MoiMoi e gli mise con forza il frammento nel palmo, chiudendovi
sopra le dita di lui. Il violetto la lasciò fare incapace di reagire, il
respiro che si spezzò mentre la sua mente si rasserenò chiarendogli cosa stesse
succedendo.
« Voglio che lo abbia tu. »
Le iridi dorate di MoiMoi si
sbarrarono e lui trattenne il respiro. Ichigo gli strinse entrambe le mani
sulla sua, la voce che si abbassò angosciata:
« Ti prego, non dirmi che non ho
fatto in tempo. »
Il violetto rimase immobile una
manciata di secondi. Lui e Ake furono così silenziosi che si iniziarono a
sentire i richiami verso la mewneko da parte di medici e infermieri –
chiaramente corsi al suo inseguimento appena scoperto della sua fuga – ancor
prima che questi spuntassero dal fondo del corridoio.
Di colpo MoiMoi ritrasse la mano
da quelle della rossa e tendendosi più che potè le avvolse le braccia attorno
alle spalle, tirandola in basso mentre si lasciò pian piano cadere in ginocchio
in un pianto liberatorio. Ichigo, all'improvviso esausta, lo assecondò
sentendosi sempre più stordita tanto da non badare a quanto forte lui la stesse
stringendo, o allo staff dell'ospedale che li raggiunse e le intimò di tornare
con loro per dei controlli; riuscì solo ad avvertire le lacrime del violetto
che le inzupparono la maglia e la sua voce tra un singhiozzo e l'altro che
continuò a mormorare grazie.
***
Il fracasso proveniente dalla
camera si sentì perfino dall'ingresso del reparto; Lasa lo ascoltò un paio di
secondi, basita, si resse una tempia con le dita e sospirando seccata partì a
passo di marcia. La gente nel corridoio si spostò vedendola passare, o evitò con
cura di incrociare il suo sguardo, sufficientemente minaccioso per convincere
tutti che non fosse un buon momento per trovarsi faccia a faccia con la donna.
Insomma,
questo resta un ospedale, per l'amor del cielo!
Forse avrebbe dovuto solo
rallegrarsi della loro vitalità, ma a tutto c'era un limite!
Aveva capito benissimo la
confusione del primo giorno: il risveglio di Ichigo era stato così improvviso
che tra personale medico intento a controllarla dalla testa ai piedi. e tutto
il gruppo di amici accalcato alla porta della sua stanza per vederla coi propri
occhi, c'era stato un ricambio fisso di almeno tre, quattro persone attorno al
letto della rossa per oltre mezza giornata.
Aveva potuto accettare un altro
giorno di euforia; libera dalle grinfie di dottori e infermieri la mewneko si
era potuta rilassare, aveva potuto parlare con calma e passare del tempo con le
persone a lei care e convincersi che, finalmente, la loro avventura fosse
finita.
Al terzo giorno Lasa riteneva di
aver dato fin troppe concessioni.
Aprì la porta con un colpo così
secco che il vociare, assordante nel primo secondo in cui spalancò l'ingresso,
si spense in un istante e il sussurro irato della donna si potè sentire con
chiarezza:
« Possibile che non sappiate
regolare il volume delle chiacchiere? Vi si sente in tutto il reparto. »
Ichigo, seduta sul letto, rimise
lentamente il cucchiaio di budino nel suo contenitore– o almeno, di un dolce
che le avevano offerto nel pranzo e che le aveva ricordato il budino – e
abbassò gli occhi obbediente. Nonostante non fosse molto alta Lasa le sembrò stagliarsi
imponente sulla soglia, forse per l'espressione severa così simile a quella di
Pai.
« Io ve l'avevo detto di darvi
una regolata! »
Sbuffò Minto a disagio. Purin si
grattò la guancia:
« Ops… »
« Perdonaci Lasa-san, non ci eravamo
resi conto di fare tanto baccano. »
« Tu non dovresti essere neppure
qui, figurati agitarti tanto. »
Sospirò la donna studiando Retasu
sulla carrozzella a cuscino d'aria e la verde scostò il viso con fare
colpevole. Lasa inspirò a fondo rilassando le spalle, scoccando solo un'ultima
occhiata eloquente verso Zakuro, elegantemente seduta in un angolo, la muta
domanda sul perché almeno lei non avesse cercato di frenare le sue amiche; la mora
si limitò ad un sorriso sibillino e a fare spallucce.
« Ragazze, capisco il vostro buon
umore, davvero – disse Lasa con più gentilezza – ma cercate di non esagerare. »
Posò affettuosa una mano sulla
spalla di Retasu, ancora molto pallida anche se molto più in forze rispetto ai
giorni passati, e la mewfocena accennò un sorriso imbarazzato.
« Ma', hai paura che ti mettiamo
k.o. la futura nuora? »
« Tu fai meno lo spiritoso. »
Sentenziò dura la donna
squadrando Kisshu, appollaiato con noncuranza sulla finestra. Retasu alla
battuta si rannicchiò su se stessa nascondendo le guance scarlatte.
« Sei peggio dei bambini, te e la
tua mania di svignartela dalla tua stanza conciato come sei. Bisognerebbe
legarti al letto. »
« Hai per caso parlato con Ake?
Perché suggeriva la stessa cosa… »
« Tanto per capire il tuo
livello. »
« Non fare tanto l'antipatica
cornacchietta, mi preferisci decisamente libero. »
Minto si rifiutò di rispondere
sollevando il nasino imperiosa.
« Potreste smetterla di pomiciare
anche parlando, voi due? Date la nausea. »
Fece Taruto maligno e ostentò un
verso disgustato.
« Tu non ti sei mai visto da
fuori a tubare con la scimmietta, credo che mi si siano cariati già quattro o
cinque denti. »
« Oh, ma chiudi il becco, idiota!
»
Due rispostacce tra i due e il chiacchiericcio
nella stanza riprese invariato, giusto a volume più contenuto vista la presenza
di Lasa. Dal suo punto privilegiato sul letto Ichigo non prese parte alla
discussione, studiando i presenti ad uno ad uno mentre Lasa, rassegnata, ignorò
la situazione controllando il suo stato di salute, e le venne da sorridere.
Il risveglio della rossa aveva
scatenato un gran tumulto, soprattutto tra i medici che non erano riusciti a
raccapezzarsi sulle sue condizioni all'arrivo né a spiegarsi il perché della
sua incoscienza. Certo, aveva riportato lesioni anche considerevoli dopo la
lotta contro Deep Blue – incredibile, comunque, forse non così gravi come altri
membri del gruppo – ma nulla che giustificasse lo stato di coma in cui era
stata. Appurato che non vi fossero lesioni cerebrali o danni del genere i
dottori si erano arresi all'inspiegabile miracolo limitandosi a rimetterla in
sesto, per di più che Ichigo non aveva saputo dare dettagli per aiutarli a
capire e non ricordava granchè dopo il suo svenimento.
C'era solo un'immagine che non
voleva abbandonarle la mente, ma non era sicura si trattasse di qualcosa
realmente accaduto o solo di un brandello di sogno e non ne aveva parlato con
nessuno, neppure le ragazze.
Ricordava lo spazio bianco in cui
aveva avuto l'ultima conversazione con Luz e Tayou e la sensazione di essere
molto, molto stanca. Era seduta su una specie di letto, anche se non era certa
della sua forma, e nonostante la stanchezza non riusciva a dormire, la
sensazione che chiudere gli occhi l'avrebbe esposta al pericolo.
Poi un sorriso familiare, un
volto indistinto. Una mano che le accarezzava i capelli e una voce che la
rassicurava.
La logica le diceva che non
poteva trattarsi di Ao No Kishi, lui era scomparso assieme a Luz con ogni altro
residuo dell'esistenza di Deep Blue. Eppure il tocco di quella mano, quella
voce, era certissima appartenessero a Tayou.
Sei stata
meravigliosa.
Ora devi riposare.
Il tuo fisico
e il tuo cuore hanno sopportato una grande fatica… Non preoccuparti, starò
accanto a te finché non ti sveglierai.
Il
tuo fisico e il tuo cuore hanno sopportato una grande fatica… Forse era stata quella la ragione
del suo sonno. Aveva condiviso il corpo con un frammento di Dono a cui si erano
aggrappate le coscienze dei due fratelli Melynas, probabilmente era stato uno
sforzo eccessivo che l'aveva costretta ad un riposo forzato.
Restava comunque solo una sua
idea e non aveva prove; tuttavia stava bene e il pensiero di aver riposato
sotto l'occhio vigile di Ao No Kishi la confortava abbastanza da non ritenere
necessario trovare un perché.
Aveva preferito concentrarsi su
altre cose, meno criptiche e più piacevoli, come la magnifica consapevolezza di
essere tutti vivi – e più o meno vegeti – le ultime notizie sullo stato del
pianeta o le novità sul portale per la Terra.
Subito dopo il ritorno del Dono a
Jeweliria la sezione scientifica aveva registrato di nuovo emissioni di MewAqua
nella zona in cui si era formato il passaggio la prima volta: come le aveva
detto Tayou qualsiasi luogo che fosse entrato in contatto con il Dono ne
rimaneva impregnato alla maniera di una radiazione, e a quanto pareva il
triangolo dove MoiMoi e Pai avevano stabilizzato il passaggio non era stato un'eccezione;
finché il Dono però si era trovato lontano da Jeweliria, le emissioni erano
state così deboli da non poter essere registrate, né convogliate per riaprire
il portale.
La capo consigliere Meryold aveva
annunciato l'approvazione da parte del Consiglio Maggiore, dopo la notizia, del
progetto di contatto con il Pianeta Azzurro nonché l'immediato ordine di
riprendere a lavorare sul portale, per riaprirlo del tutto e rafforzarlo. LA
decisione aveva scatenato un'euforia identica a quella che era esplosa alla
scoperta di poter mantenere aperto il portale, tornati da Belia, nonostante le
solite notifiche da parte di Pai per ridimensionare il fracasso.
« Ci vorrà del tempo, non sarà
immediato. Le tracce del passaggio sono ancora chiare, ma ci vorrà molta
energia per riattivarlo e fare in modo di poterlo aprire e chiudere a nostro
piacimento. »
« In ogni caso lo riapriremo –
interveniva in genere MoiMoi sorridendo solare – e finché non vi sarete ripresi
come si deve, voialtri rimarrete qui. Tanto a casa siete coperti. »
L'assenza da Tokyo in effetti era
un argomento che aveva preso a serpeggiare tra le ragazze assieme alle
preoccupazioni per i familiari e per l'ira degli stessi, che di sicuro non
avrebbero preso bene la loro sparizione. Keiichiro le aveva rassicurate
dell'aiuto a distanza di Ayumi, rassicurazione consolidata quando il bruno,
dopo qualche giorno di lavoro, era riuscito a rimettersi in contatto con la
ragazza tramite le strumentazioni jeweliriane; i cellulari di Kiddan, infatti,
dopo l'ultima, miracolosa chiamata fatta da Akasaka, erano tutti morti: il
bruno e gli altri cervelloni avevano supposto che la telefonata fosse stato un
caso fortuito, un ultimo spasmo delle radiazioni di MewAqua su cui il segnale
aveva "viaggiato in ritardo", ma alla fine non erano riusciti a
raccapezzarsi sulla cosa e avevano lasciato perdere gli strumenti del vecchio
scienziato.
Dopo aver contattato Ayumi e aver
ceduto al raccontarle per filo e per segno il perché del loro ritardo – e,
visti i precedenti, le sue amiche si erano ben guardate dal mentirle,
provocando strilli tali da essere uditi per strada – la rossa le aveva
tranquillizzate dicendo che si sarebbe occupata di controllare gli schermi fino
al loro ritorno, coprendo la loro assenza per quanto lunga fosse stata.
« Avremo settimane di vita
quotidiana da doverci riguardare e memorizzare. »
« E di scuola da recuperare –
gemeva sempre Ichigo scatenando gli sbuffi di Minto – mi viene già da piangere!
»
« Su, su, Ichigo-chan. Avete
salvato almeno due pianeti nell'ultimo mese, non credo che qualche paginetta di
compiti sarà un gran problema. »
E dopo la stessa rassicurazione,
tutte le volte, MoiMoi se ne tornava in laboratorio quasi ballando.
Nel giro di una giornata il
violetto era tornato allegro e solare come lo avevano conosciuto, ma se
all'inizio Ichigo era stata felicissima di vederlo così il suo entusiasmo ormai
era decisamente scemato.
Come aveva temuto il suo
frammento aveva in sé una quantità di MewAqua così misera da non aver sortito
l'effetto che avrebbe voluto e Sando era uscito dallo stato vegetativo,
purtroppo senza svegliarsi: Ake aveva assicurato che le possibilità che
riprendesse conoscenza, oltre ad esserci, erano comunque alte e a MoiMoi era
parso bastare come responso, visto che non aveva fatto altro che saltellare
pazzo di gioia e ringraziare la mewneko, altrettanto felice.
Mai Ichigo si sarebbe aspettata
che a frenare la sua esaltazione sarebbe stato Kisshu.
« Hai fatto una cazzata. »
« Come scusa? – lei lo aveva
fissato con tanto d'occhi, sbottando – Vorresti dirmi che non dovevo? »
« No, ma se pensavi già che
quella goccia fosse troppo poca avresti dovuto rifletterci sopra un secondo di
più, prima di correre e sbandierarla al mondo. »
« Ma cosa stai dicendo?!
Sando-san adesso è…! »
« È ancora in coma. – la bloccò –
Sentì micetta, non ti sto dicendo che non sia contento, ti sto dicendo che avresti
dovuto pensarci prima di fiondarti a portare quell'affare dalla senpai. »
« Cosa avrei dovuto aspettare
secondo te? »
Il verde aveva sospirato
guardandola serio.
« Che staccassero la spina?! »
« Non ho detto questo. »
« O chiedere il permesso? »
« Micetta, ascoltami un momento e
ragiona… »
« Ora c'è una speranza! »
« Sì, ma non è una cosa certa. –
disse grave – E più passerà il tempo, meno lo sarà. »
Ichigo aveva smesso di protestare
intuendo dove volesse andare a parare.
« E se non si svegliasse comunque?
»
La rossa aveva sussultato
portandosi la mano alla bocca e Kisshu aveva sospirato di nuovo massaggiandosi
il collo:
« Non ti sto dicendo che non
dovevi, o che non sia felice anch'io, o che non avrei fatto la stessa cosa.
Però forse avresti dovuto chiedere alla senpai di aspettare e vedere un attimo
come comportarti, cercare di riflettere a mente più fredda possibile con lei, invece
di offrirle la soluzione miracolosa così, sbattuta davanti al naso quando, alla
fine, non sappiamo per certo se in effetti sistemerà tutto. »
Ichigo aveva preso a torturarsi
una ciocca di capelli senza rispondergli, lo sguardo ansioso fisso nel nulla.
« Sperare in continuazione a
volte fa più male che rassegnarsi. »
Ancora, la rossa non era stata in
grado di replicare, e Kisshu aveva deciso di non insistere, dandole un buffetto
sulla testa e lasciandola sola coi suoi pensieri.
Dopo quella conversazione, quando
MoiMoi capitava nel suo campo visivo Ichigo si domandava quanta della sua
allegria nascondesse in realtà la delusione per l'ennesima giornata in cui
Sando non si era ancora risvegliato.
« Ehi, tutto bene? »
La domanda di Purin la sorprese
tanto che per poco non scattò con il braccio rendendo il cucchiaino una
catapulta a simil budino.
« Certo… Certo, sto benissimo. –
sorrise, rimettendo il cucchiaino dentro al contenitore mezzo vuoto – Ero solo
sovrappensiero. »
La biondina fece spallucce
ritornando allegra:
« Ti stavo chiedendo, mi dai un
po' di dolce? »
E mentre lo disse rubò ciò che
rimaneva del dessert dalle mani della rossa, gustandosene due poderose
cucchiaiate mugolando soddisfatta.
« Ehi, ridammelo subito! »
« Sembri una mocciosa
vecchiaccia, impara a condividere. »
« Già, del resto un po' meno
dolcetti non guasterebbero. »
« Ripetetelo un po' più vicini! »
Tuonò la mewneko imbracciando il
vassoio come un'arma:
« Voi due insopportabili…! Purin,
il mio dolce! »
« Sono a casa! »
Il silenzio che ricevette come
risposta le fece uno strano effetto, un misto tra delusione e sollievo: non era
del tutto pronta a rivedere i suoi genitori dopo un mese di assenza e fingere
che per lei non ci fosse stato, eppure il non ritrovare subito i loro visi
familiari dopo lo snervante viaggio di ritorno da Jeweliria fu quasi
deprimente.
« Nessuno? »
Ichigo scosse solo la testa, entrando
e togliendosi le scarpe:
« Papà sarà ancora bloccato in
ufficio e… Oggi è giovedì, scommetto che al supermercato c'è qualche offerta e
mamma è a saccheggiare gli scaffali. »
Rise un po' rigida e Ryou si
limitò ad un cenno affermativo con le sopracciglia. Avrebbe accompagnato la
rossa a casa sua pure se lei non avesse voluto, ancora preoccupato per la sua
salute nonostante la mewneko si fosse ormai ripresa del tutto, ma doveva
ammettere che era stato piacevole vederla supplicare perché le facesse
compagnia fino a casa.
Ci erano volute un paio di
settimane prima che tutti loro ricevessero il benestare per lasciare l'ospedale
e quasi una settimana di viaggio in astronave per tornare a casa, visto che il
passaggio non era stato ancora stabilizzato – grazie al cielo la navetta era
stata decisamente più grande del volo precedente – e il calendario terrestre
era già girato in ottobre quando loro stabilirono di poter partire.
Non c'erano state fanfare per la
loro partenza, niente feste in pompa magna né arrivederci struggenti: era stato
meno pesante per tutti, un saluto alla partenza come se ci si dovesse rivedere
il giorno dopo, anche se un paio di lacrimucce erano scappate a parecchi – senza
contare la piccola Sury che aveva pianto come una fontana, pretendendo
giuramento di essere contattata appena avessero messo piede a Tokyo. Il viaggio
era andato un po' meglio, anche perché escludendo MoiMoi, fisso a lavorare sul
portale, tutta la comitiva era partita con loro – cosa che Ryou sapeva non
essere necessaria, ma si era guardato bene dal farlo notare pensando che lui avrebbe
fatto lo stesso – ma quando la Terra era comparsa sul radar l'atmosfera
all'interno della navetta si era fatta malinconica e silenziosa, tanto che
all'atterraggio il biondo aveva sentito ben pochi saluti e i jeweliriani erano
ripartiti quasi subito dopo che l'ultimo di loro aveva posato il piede a terra.
Ryou aveva immaginato che tutti i saluti fossero stati fatti prima dell'atterraggio
e non era nel suo stile domandare a qualcuno come stesse, soprattutto vedendo i
volti mogi delle ragazze mentre rientrarono al Cafè per scambiarsi ciascuna con
il proprio schermo.
« Ti va un the? »
« No, sono a posto. »
Ichigo rispose solo con un ah deluso, non sembrò sapere bene come
comportarsi. La scusa di farsi accompagnare per non dover camminare, domandando
tra le righe un po' di sostegno morale da parte di Ryou, era parsa essere
recepita dal biondo, ma il suo solito atteggiamento distaccato in quel momento
le era più di confusione che di aiuto.
Rimasero qualche momento
dov'erano, lui in piedi oltre l'ingresso lei con una mano appoggiata al tavolo
della cucina, poi il biondo sospirò raggiungendola e con un mezzo sorriso le
posò una mano sulla nuca, tirandola piano contro di sé. Ichigo sentì il cuore
saltare un battito avvertendo il profumo del biondo riempirle le narici, poi inspirò
lentamente rilassandosi contro la sua spalla e chiuse gli occhi abbracciandolo.
Nonostante le settimane e le
occasioni non avevano mai parlato di quanto successo sulla navicella, quando
erano andati all'inseguimento degli Ancestrali; in realtà non era certissima
servisse aggiungere altro a quello che si erano detti quella sera, però quando
pensava alle pessime capacità comunicative di Ryou – e il fatto che non
avessero avuto particolari momenti "da coppia" da quando si era
svegliata – si chiedeva se non fosse meglio fare una bella chiacchierata.
Lì nella cucina di casa sua,
però, accovacciata contro di lui, la sua mano ad accarezzarle la nuca e il suo
odore così familiare, si sentì così tranquilla e serena da decidersi ad
ignorare le sue inutili paranoie, lasciandosi cullare nella stretta
rassicurante del biondo.
« Ti faccio compagnia finché
vuoi. »
Lei sorrise, mandando un sospiro
soddisfatto, e sfregò il naso contro di lui facendo un cenno di diniego:
« Tra poco torneranno i miei. Io
sono troppo stanca per trovare una giustificazione per la tua presenza e non
credo di avere le energie per trattenere Shintaro Momomiya da crisi sospettose
o di gelosia paterna. »
« Abbiamo affrontato dei pazzi
assassini e devo avere paura di tuo padre? »
« Il mio ultimo ragazzo lo ha
accolto a colpi di shinai. »
« One point on you. – disse posandole un bacio
leggero sulla tempia – Meglio avere l'appoggio di Sakura. »
« Che c'entra mia madre? E da
quando la chiami per nome? »
Lui la guardò divertito:
« Mi ha dato il permesso lei – le
ricordò e sorrise furbo – non so se ricordi, ma le sono molto simpatico. »
Ichigo borbottò qualcosa di
indistinto e cercò di nascondere le orecchie feline, ricordando in imbarazzo
quando Ryou era andato a casa sua per darle ripetizioni e i commenti sul
ragazzo da parte di sua madre.
« Bene. – fece lui lasciando la
presa – Allora vado. »
Ichigo annuì e sbadigliò fino a
dislocarsi la mascella, accigliandosi quando lo vide sorridere sornione della
cosa:
« Ho bisogno di dormire in un
letto decente e possibilmente alzarmi con la luce del sole. »
« Concordo. »
Annuì lei e sbadigliò ancora
fregandosi gli occhi con due dita, era un pezzo che non si sentiva così stanca.
Accompagnò Ryou fino alla porta guardandolo mettersi le mani in tasca.
« Allora… Ci vediamo domani? »
« Il Cafè sarà ancora chiuso
domani, ginger – le ricordò vagamente
– Keii vuole darvi la libera uscita per un altro paio di giorni. »
Concluse con tono sostenuto, come
se pensasse che il suo tutore fomentasse la pigrizia tra le sue dipendenti.
« Sì, me lo ricordo – bofonchiò la
rossa, anche se fu chiaro il contrario – dicevo in generale. »
Aggiunse a disagio e Ryou non
potè evitare di sorridere intenerito:
« Certo. »
Aprì la porta voltandosi giusto
prima di uscire:
« Per qualsiasi cosa, chiama. Ok?
»
« Ok. »
La baciò e si chiuse la porta
alle spalle. Ichigo restò dove si trovava con un sorriso beato stampato in
faccia ascoltando il motore della moto del biondo accendersi e allontanarsi, finché
il pigolare di Masha non vibrò nel salotto intanto che il robottino cantilenò:
« Siamo
a casa, siamo a casa, pii! »
« Già. »
Sospirò lei trascinandosi per le
scale, unico obbiettivo il suo amato letto comodo e il cuscino:
« Siamo a casa. »
***
Il cielo si era presentato bianco
latte al mattino, residuo della nevicata che aveva coperto di un leggero velo candido
tutta la zona di Tokyo e dintorni. Non era una rarità, però negli ultimi anni
erano state poche le giornate in cui la neve era scesa attaccandosi a strade e palazzi
per più di qualche ora e Retasu era rimasta deliziata alzandosi e scorgendo il
paesaggio innevato fuori dalla sua finestra.
Raggiungere la scuola era stato
un po' meno piacevole, tra il freddo e il ghiaccio che si nascondeva negli
angoli dei marciapiedi sfuggendo al sale arrivare a destinazione si era
dimostrato un viaggio impervio, e cambiarsi per l'ora di ginnastica, nonostante
il riscaldamento interno, non era il massimo del confort a metà dicembre.
La verde, stanca della giornata –
educazione fisica all'ultima ora era una scelta crudele e inumana – iniziò
lentamente a rivestirsi fissando distratta lo specchio dietro l'appendiabiti, mise
via la divisa da ginnastica e iniziò ad abbottonarsi la camicetta, fermandosi
quando il suo sguardo fu attirato da una piccola macchiolina rosa riflessa sul
vetro.
Alzò lo sguardo incupendosi un
poco. Si sfiorò con due dita la voglia m sul petto, riapparsa a tutte circa un paio di settimane
dopo il loro rientro, e ovviamente il suo pensiero andò a Jeweliria e a Pai che
ormai non vedeva da tre mesi.
Era un argomento che con le altre
non discutevano mai. Era sorto una specie di tacito accordo, nessuna nominava
direttamente Jeweliria, o Pai, Kisshu, Taruto, Eyner, o chiunque altro, e
nessuna chiedeva alle altre come andasse in merito alla lontananza; di tanto in
tanto qualcuna accennava a quanto tempo fosse trascorso dal loro ritorno, ma
non si andava oltre.
Pazientare dopo tutto quello che
era successo era un'impresa più ardua di quanto uno potesse immaginare, fomentare
la nostalgia affrontandola di petto non aiutava nessuno.
Retasu lasciò la camicia mezza
aperta, prese a frugarsi nella borsa e tirò fuori il cellulare di Kiddan:
sapeva benissimo che non funzionasse più, non riusciva ad usarlo neppure per
comunicare con le ragazze, eppure lo portava con sé ovunque, sempre acceso, e
ogni tanto ne fissava lo schermo senza una vera ragione.
Lei e Pai, tornando da Jeweliria,
si erano salutati prima che la navetta atterrasse sulla Terra, entrambi decisi
a voler evitare gli sguardi degli altri in melodrammatici addii; la verde si
era ripromessa di non fare scenate com'era successo prima della Celebrazione
della Prima Luna, quando pensavano di dover rientrare entro poche ore, e
avrebbe voluto salutarlo sorridendo consapevole che la sua attesa sarebbe stata
un'inezia rispetto al non vedersi mai più, o a un destino peggiore. Malgrado i
suoi buoni propositi quando si era trovata di fronte il moro che le annunciava
l'imminente atterraggio, Retasu aveva dovuto abbassare la testa per nascondere
le lacrime.
« Scusa – aveva mormorato,
detestandosi – non volevo, e invece… »
Pai le si era avvicinato in
silenzio e l'aveva abbracciata con forza, quasi sollevandola in punta di piedi:
« Ti ho detto cento volte che non
hai motivo di scusarti con me. »
Retasu aveva ricambiato
l'abbraccio, affondando con il viso nell'incavo del suo collo prima di baciarlo,
e avrebbe giurato che la sua stretta fosse stata tanto forte per nascondere un
lieve tremore.
Tre mesi. Non lo vedeva da soli
tre mesi, com'era possibile le sembrassero così lunghi soli tre mesi?
Come
fanno le altre a non dare di matto?
Di Zakuro non si stupiva, era
brava a celare i propri tormenti e gestire la nostalgia dubitava fosse più
difficile di altro, o se così non fosse stato era bravissima a nasconderlo. Purin
non faceva mistero della sua crescente malinconia, durante i turni al locale la
si vedeva sempre più spesso fermarsi dal fare qualcosa e piantarsi con il naso
contro una finestra fissando in su, come in attesa di vedere un disco volante
fiondarsi giù dalle nuvole. Minto invece fingeva abbastanza bene di non avere
di che angustiarsi, tranne quando si perdeva a fissare la tazza del suo the
pomeridiano pensando a chissà che, o quando scattava stizzita verso la cucina se
Ichigo si dilungava troppo a lungo nei dettagli dei suoi ultimi sviluppi
amorosi.
Forse lei non era messa così
male, si limitava a sentirsi uno schifo e a sospirare come una ciminiera.
« Che faccina cupa! »
La verde sussultò quando Ayumi le
spuntò alle spalle dandole un affettuoso pizzicotto sul fianco:
« Ayu-chan, mi hai fatto prendere
un colpo! »
« Almeno hai cambiato espressione
– ribattè la rossa convinta – sembra che tu venga da un funerale. »
Retasu non le rispose e tornò un
momento a studiare il telefono muto, che aveva stretto d'istinto al petto per
lo spavento. Ayumi schioccò la lingua:
« Aaah, ecco che succede! – esclamò con fare da intenditrice –
Momento nostalgia? »
Retasu sospirò e annuì soltanto; la
rossa le passò affettuosa un braccio attorno alle spalle:
« Allora ci vuole un pomeriggio
di buonumore. Che ne dici, saltiamo il club oggi e facciamo un giretto al 109? Cerchiamo
qualcosa di carino per la festa di Natale. »
« Mmm, vediamo. – rispose vaga la
verde – Ho un paio di cose da finire al club, poi ho da studiare, sono indietro
con storia mondiale. »
Ayumi fece una faccia poco
convinta delle scuse, ma lasciò perdere e andò a finire di vestirsi; aveva toppato
con il tentativo di distrarre l'amica, nominare una festa per coppiette era
stata una pessima scelta(**).
Retasu mandò l'ennesimo sospiro e
fece per posare il cellulare nella borsa, quando un secondo prima di lasciarlo
lo sentì vibrare sotto le dita. Spalancò gli occhi chiari e lo tirò fuori di
scatto fissandolo confusa, trattenendo il fiato allo scorgere la piccola
notifica sullo schermo e il mittente.
Ciao.
La mewfocena rimase immobile un
paio di secondi. Poi come una molla cacciò il telefono nella borsa, si allacciò
di furia la divisa e lanciandosi la giacca e la sciarpa sulle spalle corse
fuori dagli spogliatoi incurante dei richiami delle compagne.
« Che succede?! »
« Scusa Ayu-chan, devo…! Ti spiego
poi! »
« Ma…! »
« Ma che le è preso? »
« A saperlo, Moe – fece Miwa
confusa inclinando la testa – sembrava aver visto un fantasma! »
« Però sorrideva – notò la
biondina – come se fosse successo qualcosa di bello. »
Ayumi si voltò verso Ichigo
cercando di capire e vide la rossa sorridere furbetta mentre metteva via il
cellulare; con fare cospiratore si avvicinò all'amica e le mostrò cosa avesse
ricevuto, strappando ad Ayumi uno verso esagerato:
« Ah, ecco. »
Incrociò le braccia seccata e si
sbrigò a finire di vestirsi, ignorando le occhiate perplesse di Moe e Miwa.
« Fammi indovinare – le sussurrò
Ichigo all'orecchio – vuoi andare a tirargli le orecchie. »
« Le orecchie e qualche altra
appendice meno nobile – sogghignò la rossa minacciosa – ma sarò delicata. Per Retasu-chan.
»
« Per Retasu, ovvio. »
« Mi fai compagnia? »
« Vederti strigliare quello lì? –
sorrise la mewneko indossando il piumino – Non me lo perderei mai. »
***
Correre con il freddo non era
un'idea geniale, l'aria gelata bruciava la gola più della corsa in sé e il montgomery,
la sciarpa, i guanti erano impicci che le facevano sentire troppo caldo
rispetto alla temperatura esterna, condannandola insieme a non poterseli togliere
per rinfrescarsi pena il rischio di un febbrone da cavallo per il sudore
ghiacciato. In ogni caso Retasu non rallentò il passo puntando come una furia
verso il punto del parco dove a primavera era spuntato il passaggio per
Jeweliria, scrutando attorno alla ricerca di una sagoma familiare.
Dovette fermarsi qualche metro
prima dell'arrivo, ormai senza fiato, e lo vide seminascosto appoggiato ad un
albero poco distante, così fermo che nessuno l'avrebbe visto passando
distrattamente. La mewfocena immaginò che avesse lo schermo alzato per mascherarsi
agli occhi umani, ma le fece comunque uno strano effetto vederlo lì, nel
tranquillo paesaggio invernale, intanto che il cuore smise di trottare per lo
sforzo scorgendo lo sguardo ametista.
Pai aspettò che lei lo
raggiungesse, ricambiando piano il sorriso luminoso della verde che quando se
lo trovò di fronte, esattamente come ad Aprile, sembrò non sapere cosa dirgli:
« Ciao… »
Si domandò come facesse a starsene
così poco vestito con un simile freddo, lei che passate le vampe della corsa stava
congelando, ma dal calore della mano che le sfiorò la guancia dedusse che il
moro avesse una temperatura interna due volte più alta della sua. Tuttavia si
sarebbe volentieri tolta giacca e accessori mentre si baciarono, erano troppo
ingombranti per stringersi al ragazzo bene come avrebbe voluto.
« Quando sei arrivato? »
« Siamo. Da cinque minuti – disse
con fare rassegnato – gli altri sono corsi via appena siamo usciti dal
passaggio. »
« Il passag…?
Oh, ci siete riusciti? – esclamò entusiasta – È fantastico! Aspetta…
"Siamo"? »
Il moro accennò un sorriso
sottile e Retasu s'illuminò al punto che Pai quasi si mise a ridere intenerito.
« Conoscendoli si saranno
fiondati in un solo posto. »
« Purin-chan è sicuramente al
Cafè – confermò lei con un sorriso – non so Zakuro-san e… Ops…! »
« Uh? »
« Minto è agli allenamenti – si ricordò
ad alta voce – spero che Kisshu-san non piombi lì senza dirle niente. »
Pai non commentò l'ultima frase e
alzò un sopracciglio, eloquente, strappandole un sorriso forzato.
Pensare che Kisshu, dopo tre mesi
che non vedeva la mewbird, aspettasse il suo arrivo paziente era assurdo. E si
poteva solo pensare cosa avrebbe combinato solo per stuzzicarla dopo tanto
tempo, specie quando l'avesse vista in body e calzettoni assieme ad un nugolo
di filiformi e vezzose fanciulline parimenti svestite.
Sarà
divertente spiegare al Consiglio perché, al primo viaggio, torniamo indietro
già con un uomo in meno.
***
Dicembre passò senza che la
colonnina del termometro concedesse un clima più mite e stessa sorte toccò a
Gennaio, trascorso in un tran tran impensabile da lì a pochi mesi prima, con
visitatori alieni aggiunti.
Zakuro, come sempre, sembrava
essersi già abituata ad avere Eyner e Sury così spesso in casa, mentre lui
ancora trovava curioso scorgere la sorellina giocare sul divano della mora, o
scivolare a piedi nudi sul bel parquet del salotto rotolando a terra e ridendo
come una matta. Probabilmente non ci avrebbe messo ancora molto tempo a
trovarlo normale, in temporaneo congedo in attesa di scegliere la risposta da
dare al Corpo Disciplinare aveva molto tempo libero, e Zakuro aveva una camera
in più che ormai Sury aveva colonizzato.
Il bruno osservò qualche minuto
la piccola, concentratissima sulla conversazione che stava facendo tenere a due
pupazzi dall'aria vissuta, poi raggiunse Zakuro sul terrazzo. La mora, le
braccia conserte contemplando il panorama, gli rivolse un leggero sorriso e
finì il suo the, poi si appoggiò alla ringhiera stringendosi nel maglione.
« Non mi abituerò mai alla vostra
resistenza al freddo. »
Gli disse sbirciandolo con la
coda dell'occhio. Eyner sorrise e fece spallucce, posò la tazza di the accanto
a quella vuota di lei e la imitò poggiandosi al parapetto:
« Tutta pratica. »
La mora trattenne un sospiro
divertito sistemandosi distratta dietro l'orecchio qualche ciuffo, che il vento
tentò di portarle sul viso:
« Immagino di sì. »
Dentro uno schiamazzo di Sury li
fece voltare un momento, strappando dei sorrisi quando la videro saltellare sul
divano e lanciarsi di schiena su di esso coinvolta in chissà quale avventura.
« Terra o Jeweliria, mi sembra
che qualcuno non abbia problemi a divertirsi in ogni caso. »
Zakuro annuì concorde e sorrise
intenerita.
« Almeno qualcuno ci riesce… Io
sto iniziando ad impazzire dalla noia. »
Disse vago massaggiandosi il
collo. Zakuro di nuovo non replicò e il bruno iniziò a fissarla di sottecchi, intuendo
che stesse riflettendo su qualcosa, ma non riuscendo ad immaginare cosa.
« … Cosa farai adesso? »
Di sicuro non si sarebbe
aspettato quella domanda, non così a bruciapelo. La vide gettare una scorsa al
suo braccio sinistro, le cicatrici dell'ultima lotta che ne seguivano la forma
dalla spalla fin oltre il polso, e lui d'istinto strinse la mano destra
sull'incavo del gomito opposto fissando di fronte a sé incupito:
« Non lo so. – ammise –
Decisamente non sono uno da scartoffie. Sto cercando di pensare a
qualcos'altro, però… »
Abbassò la testa con una risata
amara:
« Ho fatto solo il soldato per
tutta la mia vita. »
« E via da Jeweliria? »
« Cosa? »
Eyner soppesò la sua domanda
qualche secondo tornando a guardarla; Zakuro invece restò con lo sguardo
rivolto sempre di fronte a sé, le parole che uscirono neutre e tranquille,
seppur lei muovesse nervosa le dita sulla balaustra in un lento circolo.
« Qui ci sono molti lavori che
potrebbe fare uno come te; non sono proprio mansioni da soldato, ma sono meno
deprimenti di una scrivania. »
« "Qui", intendi… Qui? Sulla Terra? »
La domanda gli suonò tanto
stupida quanto banale, ma la pronunciò per accertarsi di star recependo
correttamente le parole della mewwolf, come se la sua mente stesse di colpo
lavorando ad un regime più fiacco del normale. Zakuro ovviamente non gli
rispose e continuò a restare ferma dove si trovava, pure lei cercando forse di
trovare le corrette parole da usare.
Il suo sguardo seguì il volo di
due uccelli che spuntarono dal nulla e si appollaiarono sul terrazzo di un
palazzo vicino, tubando e rassettandosi le penne tra di loro. Zakuro si
appoggiò con gli avanbracci alla ringhiera, risistemandosi altri ciuffi
scostati dalla fresca brezza di gennaio:
« … Tortore. – soppesò
sovrappensiero – Sono un po' in anticipo, fa ancora freddo. »
Eyner rispose solo un piccolo
grugnito, studiando poco interessato i volatili.
« Lo sai che le tortore sono
monogame? »
Il bruno mandò solo un altro
suono indistinto; ignorò completamente dove volesse andare a parare il suo
discorso, ma qualche ingranaggio nella sua testa stava lentamente spingendolo
verso un'intuizione che preferì non azzardare, temendo il risultato, e rimase
ad ascoltare la mewwolf senza commenti.
« Le persone spesso dicono che la
monogamia è inesistente, che si tratta solo di una convenzione sociale umana.
Invece molte specie animali lo sono, quasi tutte le razze di uccelli scelgono
un solo compagno, anche varie specie di mammiferi. »
La mora non si girò alla sua
sinistra, però avvertì con chiarezza il bruno tendersi alle sue parole, il loro
ultimo potenziale significato che prese forma con prepotenza.
« Creature che decidono di
rimanere assieme per tutta la loro vita, come gli orsi e le volpi. »
Zakuro lo sentì sollevarsi piano
sui palmi, poggiandoli alla ringhiera, e voltarsi con altrettanta calma verso
di lei, quasi guardingo.
« Come i lupi. »
Finalmente la mora si voltò.
Eyner la stava fissando con gli occhi grigio-blu spalancati finendo di
processare le sue parole, osservando il suo volto rilassato nonostante le
labbra strette poco più del normale e il respiro appena più veloce.
Il bruno le mise le mani sulla
vita avvicinandosi il più possibile, lo sguardo vibrante fisso in quello
celeste di lei che vide il suo volto scivolare via dalla trance stupefatta e
rimirarla serio e innamorato:
« … Tu hai scelto? »
Ancora, gli sembrò una domanda
completamente stupida, eppure capì di non aver sbagliato a porla; non c'era
titubanza sul viso di Zakuro, ma gli occhi chiari nascosero una lucina che, più
che di dubbio, parve ansia per l'importanza della propria decisione.
Quanto poteva apparire lunga una
vita al fianco di qualcuno, per una persona che aveva stabilito di vivere
meglio con se stessa? Suonava come un tempo ben più lungo di quanto fosse
tollerabile.
Però, se Zakuro pensava a quella
vita senza Eyner le sembrava ancora più lunga e insopportabile di una qualsiasi
eternità.
« Ho scelto te. »
Disse semplicemente. Sentì Eyner
contrarre nervoso le mani sulla sua vita e prenderle il viso tirandola a sé,
fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra:
« Sei sicura? – la voce roca non
tradì insicurezza, solo impazienza – Completamente sicura? »
« Sì. »
La baciò così frenetico e
impetuoso che Zakuro avvertì un deciso fremito al petto e si strinse d'istinto
al suo torace, il confuso sentore di avere poco equilibrio.
Poi, un piccolissimo brivido. La
sensazione di qualcosa di caldo e piacevole che scivolò lungo la spina dorsale
e un leggero pizzicore lungo il braccio.
Stavolta la mora fu sicura di
arrancare goffa sui piedi se avesse perso la presa e si strinse a Eyner ancora
più forte; allentò la stretta solo quando non ebbe più fiato per baciarlo più a
lungo e subito si guardò il braccio sinistro: la manica morbida era risalita un
altro po' mentre si erano abbracciati e Zakuro vide nitide le linee appena più
scure della sua pelle che si disegnarono lungo l'avambraccio. Il tonfo al cuore
fu quasi assordante.
Unmei.
« … Come sapevi che avrebbe
funzionato? »
Eyner, il viso contro il suo
mentre si dondolò impercettibilmente sul posto, scrollò solo le spalle:
« Con altre razze simili a noi
funziona, se il sistema bio-nervoso è affine. – bofonchiò veloce, decisamente
poco incline in quel momento a elucubrazioni scientifiche, e sospirando le
baciò una tempia – Poi terrestri e jeweliriani hanno la stessa origine… Credo
che biologicamente parlando dobbiamo appartenere allo stesso genere, o alla
stessa famiglia, non so. »
Zakuro rispose con un monosillabo
indistinto baciandolo di nuovo e sbirciando attraverso le ciglia il braccio
sinistro di lui, scorgendo segni come i suoi che risalirono lungo la pelle del
bruno e che divennero poco a poco più sbiaditi fino a scomparire. Si rese conto
che anche i segni sul suo braccio non erano più visibili: indecisa provò a
concentrarsi, la fronte contro quella di Eyner e solo un occhio aperto, e vide
l'unmei ricomparire per alcuni
istanti, esattamente come aveva detto una volta Lasa.
« In ogni caso – continuò lui in
un sussurro, allontanando il viso giusto il necessario per vedere con chiarezza
il suo – non funziona se non lo si vuole entrambi. »
Le sorrise e Zakuro fece
altrettanto di rimando, fregando leggera la guancia contro la sua. Lui sospirò
forte, come un tubo a vapore che debba far calare la pressione, e abbandonò la
testa sulla spalla della mora:
« Ok, mi serve un minuto. Due. –
si corresse – Devo… Processare. »
Zakuro lo sentì ridere nervoso e
rise a sua volta scuotendo la testa:
« Hai fatto tutto tu. »
« Sto focalizzando adesso. »
« Se ci hai ripensato basta
dirlo. »
Lo punzecchiò con dolcezza e lui
le baciò il collo, mormorando:
« Non dirla neppure per scherzo
una cosa simile. »
Lei rise ancora a labbra chiuse e
mandò un lieve mugolio soddisfatto, assecondando i suoi movimenti finché non la
baciò ancora.
« È… Solo successo un po' prima
di quanto progettassi. »
« Progettavi? »
Gli domandò divertita non
nascondendo un sorriso più deciso per il senso di quella frase.
« Forse. – replicò sorridendo un
po' a disagio – A tempo debito. »
Ammise alla fine; Zakuro stese un
sorrisetto malizioso passando leggera le dita sulle sue spalle:
« Cioè quando avevi in mente, di
preciso? »
« Questa è una domanda
antipatica. »
Sbuffò per gioco e fu troppo
contento di sentirla ancora ridere discreta, troppo euforica per non sfogarsi
almeno così.
« Beh – gli disse dopo un po',
giocando con il suo codino tra indice e medio – in pratica io ho detto niente.
»
Puntualizzò. Eyner spalancò un
secondo gli occhi sorridendole poi sottile:
« È un cavillo. »
« No, è così. – insisté divertita
– Non ho chiesto assolutamente nulla. Ho solo risposto. »
« Uhu. »
Continuò a studiarla furbo
sfiorandole il naso con il proprio:
« Quindi in teoria non è successo niente di ufficiale? »
Lei gli diede un impercettibile
pizzicotto sulla spalla:
« Quindi in pratica non occorre nient'altro – specificò con voce calda – ma
mettiamo che in teoria qualcuno
avesse progettato qualcosa… »
« Sei solo curiosa o hai tanta
voglia di prendermi in giro? »
Fece incapace di smettere di
sorridere e allo stesso tempo con un lievissimo guizzo stizzito del
sopracciglio e Zakuro gli passò le braccia attorno al collo, sorridendo ancora
di più e dicendo piano:
« Vorrei che me lo chiedessi,
come progettavi. »
Eyner tacque alcuni istanti e la
cinse per la curva della schiena tirandola a sé più che potè:
« … Minto e Shirogane vorranno la
mia testa. »
« Del signorino non mi
preoccuperei, ha di che farsi perdonare – replicò lei sibillina – E Minto
vedrai che si calmerà subito, quando le proporrò di farmi da damigella d'onore.
»
« Oh… Perciò sul classico terrestre all'occidentale? »
Lo guardò sorpresa:
« E tu che ne sai? »
« Ho una sorellina di otto anni.
E conosce Ichigo Momomiya. »
Le ammiccò e lei rise piano:
« Avevi altro in mente? »
Eyner scosse la testa e le accarezzò
una guancia:
« Sono sicuro che il bianco ti
doni quanto il viola. »
« Prima devo risponderti. »
Insisté a scherzare ed Eyner si
chinò su di lei fermandosi giusto prima di baciarla:
« Vuoi sposarmi? »
Pur sapendo, Zakuro avvertì lo
stesso il cuore dispettoso perdere un colpo mentre sorridendogli gli sussurrò
un sì.
Accovacciata dietro lo schienale
del divano Sury si strinse le manine sulla bocca per fare silenzio, sbirciando
felicissima i due frenando la voglia di correre loro contro e saltargli in braccio
gridando di gioia: poteva lasciargli un altro paio di secondi per il loro
momento.
***
« Dai, accelera! Siamo in stra-ritardo!
»
« Tu hai impiegato un'ora a
prepararti – sbuffò Ryou guardandola scettico – E non si corre in ospedale. »
Ichigo si fiondò su per il
corridoio ignorando le sue proteste e arrivò trafelata nel reparto maternità, annunciando il suo
ingresso spalancando la porta con la grazia di un bufalo.
« Abbiamo fatto in tempo, vero?!
»
« Sei fortunata, stiamo
aspettando. – sentenziò supponente Minto – Ma sei in ritardo. Come al solito. »
Ichigo replicò grugnendo e si
accasciò pesantemente sulla sedia accanto a Kisshu: lui teneva le mani davanti
al viso così serrate che c'era da temere iniziassero a scricchiolare,
frantumandosi. Ryou entrò un paio di minuti dopo la rossa, guardandolo
divertito:
« Sembra che debba essere tu a
partorire. »
« Spiritoso, Shirogane! –
enfatizzò acido – Spiritosissimo! Ora
mi rotolo sulla sedia! »
« Se avete intenzione di
battibeccarvi potete uscire anche adesso. »
Sibilò Pai tenendosi la fronte
con una mano, la mascella contratta, e Kisshu fu troppo nervoso per
rispondergli per le rime. Taruto sedeva poco distante, le mani sotto il sedere,
oscillando sulla seduta come un pendolo.
« Dai Taru-Taru andrà tutto
benissimo. »
La sua faccia non si mostrò molto
convinta.
« Eyner e Zakuro non ci sono? »
« Sury-chan si è messa a fare i
capricci – ammise Retasu con un sorrisetto – perché non può ancora entrare in
reparto… Hanno detto di dirgli quando sarà finita e faranno a turno. »
« Potremmo fare entrare la
piccola di straforo. »
« Bell'esempio. »
« Era per proporre! »
Fece Kisshu sulla difensiva e
Minto roteò gli occhi, il nascituro sarebbe diventato un delinquente con simili
fratelli maggiori.
Qualcuno aprì la porta dall'altra
parte della sala e tutti saltarono sul posto come molle. L'infermiera non potè
non ridere sommessa:
« Ora potete entrare. »
I tre Ikisatashi si guardarono a
vicenda nella speranza che uno qualsiasi di loro si muovesse per primo. Fu Pai
alla fine ad accollarsi l'onere, e rigido manco fosse di piombo entrò nella
stanza seguito dai fratelli e dagli altri presenti.
Lasa era stata aiutata a sedersi
sul letto, una pila di cuscini dietro la schiena, e sorrideva raggiante
nonostante la stanchezza dipinta sul viso; la sua attenzione e quella di Iader,
in piedi accanto a lei e quasi con la stessa faccia stravolta, era tutta per il
fagottino tra le braccia della donna e connessero dopo alcuni secondi la
presenza dei visitatori.
« È arrivato quello nuovo e non
ci consideri più? »
Ridacchiò Kisshu senza riuscire a
nascondere un sorriso nervoso. Lasa scosse la testa e Iader fece loro segno di
avvicinarsi; Taruto restò nascosto dietro ai due più grandi, sbirciando
attraverso le loro braccia.
« È una bimba. »
Sorrise Lasa sottovoce mentre Pai
scostò la copertina che avvolgeva il neonato.
« Kisshu, è incredibile, non hai
ancora detto una parola. »
Lo canzonò Minto ma lui non
rispose, allungando titubante una mano
verso la piccola e osando sfiorarle la manina paffutella con l'indice. Iader
ostentò un teatrale tirar su con il naso:
« Finalmente…! Dopo anni di
tribolazioni con questi figli degenerati, una dolce femminuccia! »
« Ehi! »
Taruto fece l'offeso e si
avvicinò con fare sostenuto al letto; il suo viso si accese appena posò lo sguardo
sulla piccola, ma insisté a voler sembrare distaccato nonostante il sorriso,
ottenendo una curiosa smorfia sghemba. Lasa gli sorrise:
« Vuoi prenderla in braccio? »
Lui scattò all'indietro come se
lo avessero punto, il viso che si arrossava di contentezza:
« Io?! N-no, non posso…! –
replicò nervoso scuotendo la testa – È-è piccola, ho paura di farle male…! »
« Kisshu e Pai hanno tenuto in
braccio te quando sei nato – lo rassicurò – stavolta è il tuo turno. E poi tu
sei anche più grande di quando toccò a loro. »
« E non credo la farai cadere
come ho fatto io… »
« Cos'è che avresti fatto?! »
« Taru-Taru, credo che Kisshu
nii-chan ti stia prendendo in giro. »
Il brunetto arrossì stizzito e il
fratello se la sghignazzò, una strana espressione euforica mentre lui e Pai
continuarono a guardare la bambina. Iader sospirò rassegnato e troppo felice
per spedirlo fuori a calci, prese la piccina tra le braccia e la mise in quelle
di Taruto, che poco mancò se la desse a gambe.
« Tienile su la testa. Bravo, così…
– l'uomo ridacchiò piano – Ha del talento! Tu che dici Purin? »
« Non farle domande con strani
doppi sensi! »
« Credo che sarebbe un ottimo
papà, Iader-san. »
« E tu non dargli corda! »
Anche Purin rise e si accostò al
brunetto posandogli la testa sulla spalla ammirando con le amiche la bambina,
la testina tonda quasi calva con pochissimi e sottilissimi capelli color
castagna, gli occhietti chiusi.
« Ok, passala un po' qui, prima
che decidano di portarsela a casa. »
Rise piano Kisshu notando gli
sguardi trasognati delle ragazze. Minto incrociò le braccia arrossendo un poco:
« Sei davvero un cafone, ma non
dovrei stupirmi ormai. »
« Ammettilo che ti piacerebbe averne
una uguale. »
Scese uno strano silenzio mentre
la mewbird sgranò gli occhi in un'espressione stranita. Kisshu si sarebbe
aspettato gli inveisse contro, invece la mora borbottò un paio di parole
confuse e uscì dicendo di andare a chiamare Zakuro, lasciando il verde a
guardarsi attorno confuso:
« Ma che ho detto? »
Lasa sospirò e guardò in tralice
Iader.
« Io non sono mai stato così. »
« D'accordo – disse divertita –
poi ricordami di raccontarti ancora come hai chiesto di sposarmi e ne
riparliamo… »
Purin e Retasu si guardarono e
sorrisero, e la biondina si fece spazio tra i tre ragazzi che facevano da
guardie del corpo alla bambina:
« Come si chiama? »
« Tofi(***).
»
Quasi avesse già capito che la
madre si riferiva a lei, la piccola socchiuse gli occhietti indaco e sbadigliò,
afferrando l'indice del fratello maggiore. Retasu lo vide sorridere appena, ma
non disse niente intenerita.
« Allora benvenuta, Tofi. »
Come a rispondere alla biondina
Tofi emise un piccolo vagito e parve sorridere.
(*) credits to Hypnotic Poison ♥ che mi passa deliri fantastici di fanshipposo delirio (perdonatemi, questa frase era troppo perfetta per non rubargliela vilmente
♥ )
(**) un
po' di cultura giapponese… Il 109 è un noto grattacielo/centro commerciale
situato proprio in centro, a Shibuya; all'inizio del 2000 era noto per essere
il punto di incontro di tutte le gals
(le ragazze trendy, fissate con un particolare codice di abbigliamento e trucco
marcati) di Tokyo.
Natale in Giappone, pur esistendo una branca praticante di cattolici, non ha la
valenza dell'Occidente, è considerata una festa commerciale e in particolar
modo dedicata alle coppie di innamorati (specialmente la Vigilia di Natale) più
che alle famiglie, o più che al contesto religioso.
(***) seguiamo la tradizione dell'Ikumi di adoperare
dolciumi per i nomi, come coi suoi fratelloni xD
viene da toffee,
un tipo di caramella, generalmente morbida,
composta da zucchero, glucosio o melassa, burro, latte o latte condensato.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
*stappa
spumante e saltella* yeeheee!! Visto che sono brava? Sono
tutti salvi e contenti, sì sono troppo brava, non va bene x°°DD!
Tutti: seee, certo!
La parte
più difficile di questo capitolo, anzi, le parti, sono state non far capire nella
prima parte cosa stesse succedendo e farvi salire l'ansia :P e rendere fluida
la lettura con tutti questi salti temporali… Magari qualcuno avrebbe voluto
leggere più dettagli di cose successe tra un momento e l'altro, ma ho scelto
quegli eventi che ritenevo migliori e adatti per parlare un po' di tutte le
coppie ;) ♥ (ops, ho lasciato da
parte Purin e Taruto che fan le comparse °-°" vabbè pazienza :P)
Purin: Ria cattiva ç_ç
Taruto: ma non eravamo i tuoi preferiti -.-?
Sì e
non fate i musoni, siete quelli che hanno sofferto di meno dall'inizio ^^!
Non ho
molto da dire, a parte ringraziare 19g (ultima arrivata, sempre benvenutaa ♥ ), Amuchan,
Danya,
Sissi1978
e The
RosaBlue91
per i loro commenti, tutti i lettori occasionali, gli affezionatissimi che non
commentano (ma che spero facciano un salutino in questi ultimi capitoli :3) e
ovviamente sempre e cmq Hypnotic che mi stressa in
continuazione e mi vuole tanto bene xD ♥
ALLA
PROSSIMA CON L'EPILOGO!
ULTIMISSIMO
CAP!
ULTIMO ULTIMO! FINE! THE END!
Mata ne ~ ♥!
Ria