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Autore: Alicat_Barbix    05/03/2018    1 recensioni
Nel 2130 il mondo non è più contaminato dalle diversità. Diversità che hanno portato a lotte e guerre sanguinose nel corso dei tempi. La nuova società si impegna ad eliminare tutti gli Incompleti. Il diverso deve essere schiacciato. Ma come in ogni organizzazione, anche in questa c'è una falla.
Sherlock Holmes e John Watson si incontreranno quando meno se l'aspettano, ma saranno dalla stessa parte? Ma se così non fosse, cosa comporterebbe la nascita di qualcosa di forte, qualcosa di pericoloso?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CUORE SUL GRILLETTO
Capitolo 20
 
Il letto su cui dormiva era indicibilmente scomodo. Si era rigirata come un idiota su quel materasso cigolante e umido, che puzzava di muffa. Non sapeva dire se fosse ancora notte, né tantomeno che ore fossero: era rinchiusa in una stanza ancora più soffocante di quella maledetta cella con cui aveva familiarizzato per una sola, infinita notte. Ora sedeva compostamente sul letto, i capelli castani che ricadevano sul suo volto perso a scrutare il vuoto. Intrecciò le sue dita con altre immaginarie e articolò quel nome con le labbra, senza avere il coraggio di imprimerlo concretamente mediante la voce.
La serratura della sua camera scattò un paio di volte e la figura anonima di una guardia altrettanto anonima scivolò nella stanza. “Visite.” informò laconico prima di risparire. Clara neanche si scompose quando udì dei passi indistinti alle sue spalle: visite molte volte corrispondeva a Lestrade o ad altri agenti desiderosi di spremerla con quegli stupidi interrogatori celati da incontri amichevoli.
“Vi ho detto tutto quello che sapevo.”
Il silenzio che seguì fu più chiaro di un milione di parole. Si riscosse brutalmente, le labbra semiaperte e gli occhi rivolti verso l’alto in una muta protesta a tutto quello.
“Credevo di essere stata chiara.” mormorò freddamente senza però voltarsi, ritardando il più possibile il non ritardabile. “Perché dovete sempre fare di testa vostra?!”
Si alzò e si voltò di scatto, gli occhi che sembravano sprizzare lingue di fuoco. John era di fronte a lei, gli occhi dolcemente pietosi, e Sherlock dietro di lui, l’espressione apparentemente neutra ma che tradiva il suo tormento interiore tramite quel lieve tremore delle labbra. Quanto li conosceva bene, oramai. Erano tutto quello che aveva, tutto quello che le era rimasto… O meglio, che era rimasto alla vecchia Clara.
“Clara, vogliamo aiutarti.” biascicò John facendo un pericoloso passo avanti, portandosi vicino, troppo vicino, spaventosamente vicino.
“Non potete. Nessuno può. Mycroft, forse, ma anche se dovessi magicamente rinsavire, sarei in gabbia.”
Stavolta, fu Sherlock ad avanzare, raggiungendo il fianco dell’altro. Si sostenevano a vicenda persino in piccoli gesti parzialmente dettati dall’istinto o dal subconscio come quello. “Possiamo portarti fuori di qui. La via è libera: Mycroft ha provveduto a tutto. Non incontreremo una guardia fino all’aeroporto dove ci aspettano i nostri aerei…”
“Dove vi aspettano, vorrai dire.” lo corresse lei, le mani perentoriamente allacciate ai fianchi. “Io di qui non mi muovo. Non così, non in queste condizioni.”
“Clara, troveremo un modo, ma ti prego adesso…”
“Voi non capite!” I due si raggelarono all’udire quella voce rabbiosa e disperata, così diversa da quella della loro Clara. “Se me ne andassi, chi rimarrebbe con lei?”
“Con chi?”
Clara distolse lo sguardo dai due e lo puntò alla sua sinistra, mentre un sorriso sollevato le increspava le labbra e la sua mano si accarezzava la spalla, come se fosse sormontata da qualcosa. “Con Harry.”
La vedeva, la sua Harriet: era in piedi, bellissima, accanto a lei. Le sorrideva e le accarezzava amorevolmente la spalla, non badando alla presenza degli altri due. Era meraviglioso poterla rivedere dopo tutto quel tempo, dopo quegli anni di agonia, di incubi, di echi di spari, di scie di sangue. Harry era lì e ci sarebbe rimasta per sempre.
“Clara…” La voce di John interruppe il filo dei suoi pensieri. “Che stai dicendo? Harriet è morta.”
Clara allargò ancora di più il suo sorriso. “Si muore davvero del tutto, John? Pensaci. Perdere la vita è davvero sinonimo di morire?” Si mosse con cadenza leggiadra verso di lui, l’indice proteso in direzione della sua fronte. “Non si può mai morire davvero. Non finché la nostra immagine resta salda qui e…” La mano sinistra corse al petto dell’amico. “…qui.”
Il medico si voltò istintivamente verso Sherlock che ricambiò lo sguardo. Ecco che ci risiamo, pensò Clara, roteando gli occhi divertita. Aveva da sempre trovato quella loro capacità di comunicare con una sola occhiata estremamente adorabile, ma ora che le si ritorceva contro doveva ammettere che la riteneva fastidiosa. Fu per questo che spostò nuovamente gli occhi in direzione del punto dove fino a poco prima aveva visto Harriet, ma lei era svanita. Si guardò intorno spaesata, e avrebbe persino cominciato ad urlare il suo nome se non l’avesse rivista accanto a Sherlock. Un sollievo lenitivo le alleviò quella mancanza d’aria che la sua assenza era ormai solita provocare, ma quando vide lo sguardo che era impresso sul suo volto, il cuore sembrò fermarsi. Piangeva, Harriet. Lacrime silenziose le correvano inesorabilmente lente sulle gote. Guardava Sherlock. Anzi, lo accarezzava con lo sguardo.
“Harry…” sussurrò Clara con gli occhi sgranati.
John sussultò e Sherlock assottigliò lo sguardo, ma niente di tutto quello era importante. L’unica cosa reale, tangibile, era l’espressione disperatamente rassegnata di Harriet, mentre la mano affusolata sfiorava inconsistentemente i ricci scuri del consulente investigativo.
“Harry!” urlò allora, sperando di richiamare la sua attenzione, di riscuoterla dal suo muto dolore, ma il suono di un singhiozzo fragoroso come una cascata l’assordò, costringendola a terra, le mani premute sulle orecchie e gli occhi fissi sull’incarnazione del suo amore perduto.
“Clara!” esclamarono all’unisono John e Sherlock precipitandosi su di lei. Il medico la prese per le spalle, accarezzandola gentilmente. “Che succede, Clara? Dimmelo, ti prego.”
“Harry… Harry sta piangendo.”
“Harry sta… Dov’è?” John che sperava, John che ci credeva, John che era così ingenuo.
“Accanto a Sherlock.” Sherlock corrugò la fronte, uno sguardo confuso dipinto in volto. “Ti guarda, Sherlock… e piange. Ora… ora ti sta accarezzando.”
La vista venne annebbiata da copiose lacrime perlacee che andarono a creare un spessa barriera dietro alla quale intravide il corpo del consulente investigativo farsi ancora più vicino. Le braccia del medico si allontanarono da lei, lasciando posto all’altro. “Va tutto bene, Clara.” cercò di rassicurarla quello.
“No, tu non capisci… Lei piange. Lei sta piangendo e io non ho la minima idea del perché o di che cosa fare per… Sono inutile, inutile come il giorno in cui diede la vita per la mia… Sono inutile, inutile, inutile…”
“Sssh…”
Il corpo caldo di Sherlock si strinse al suo così freddo eppure così distante dall’essere morto. Avrebbe preferito essere morta piuttosto che sopportare quel lento supplizio che la sua pazzia e i suoi ricordi le infliggevano. Non c’era pietà in quella spire di emozioni che le serravano il cuore. Volevano divorarla dall’interno, fino a renderla un mero guscio vuoto. Niente più.
Riaprì gli occhi e da sopra la spalla ammantata di nero del detective, scorse di nuovo il fragile volto di Harriet. Accadde tutto nella durata infinitesimale di un battito di ciglio: le iridi di lei sembrarono animarsi di vita propria. In esse, presero a sfilare fotogrammi rapidi e incredibilmente confusi, latori di emozioni più che di eventi. Tutto quello la stordì e la sconvolse al tempo stesso. Le immagini le inondarono la mente, terribili e… Oddio. Oddio, no.
Si staccò da Sherlock brutalmente e si rialzò immediatamente, schiacciandosi contro la parete. “Via… Andate via…” mormorò, gli occhi sbarrati. John fece per avvicinarsi a lei, ma Clara gli intimò di stare fermo. “Ho detto: andate via!”
“Clara, noi vogliamo…”
“Via!!”
Le grida attirarono la sorveglianza che, sebbene corrotta per far finta di niente di fronte ad un’evasione, fu costretta ad intervenire. Clara prese a dimenarsi tra le braccia di sconosciuti, al pari di un’assatanata. L’ultima cosa che vide prima di sprofondare nel buio e nell’oblio causato dal sedativo, furono i volti costernati e feriti di Sherlock e John mentre venivano trascinati via.
 
***
 
L’aeroporto pullulava di volti e vite sconosciuti. Figli che salutavano madri, padri che salutavano figli, innamorati che si scambiavano un ultimo bacio prima di un lunga ma non eterna separazione, e poi hostess, piloti alla fine del loro turno, cani al guinzaglio che abbaiavano, voci gracchianti degli altoparlanti… In tutto quel marasma, Sherlock e John erano solo due puntini insignificanti, indistinti, incompleti. Se ne stavano a svariati centimetri di distanza, gli occhi bassi, le mani abbandonate lungo i fianchi. Attendevano. Erano diventati piuttosto bravi a farlo, entrambi. Non facevano altro da quando si erano conosciuti: avevano atteso prima la risolutezza per ignorare quei sentimenti, poi il coraggio per dichiararsi, in seguito la forza per andare avanti e dimenticare, dopo ancora l’amore per affrontare ogni avversità… E adesso aspettavano la chiamata dell’aereo di John: sarebbe stato il primo a lasciare l’aeroporto New Victory, il primo a lasciarsi alle spalle Londra e quant’altro. Il permesso di espatrio falso gli gravava in tasca.
“Signore e signori, il volo da Vancouver è in arrivo presso il cancello 29.”
Fu come venire risucchiati in una qualche effimera dimensione distorta e portatrice di disgrazie. John volse lo sguardo il minimo indispensabile per studiare la reazione di Sherlock che se ne stava impassibile e statuario nel suo ostentare freddezza e distacco. Si sentiva morire al pensiero di lasciarlo lì, da solo. Aveva un bisogno lacerante di saperlo al sicuro, soprattutto dopo le parole di Clara. Avrebbe tanto voluto avere la fotografia di Harriet con sé, ma quel lontanissimo giorno alla fattoria l’aveva affidata alla donna che sua sorella aveva amato e per cui si era sacrificata. Era giusto così, ma avrebbe dato qualunque cosa pur di potersi aggrappare almeno a quella.
Sherlock si alzò, ma lui non si mosse. Si disse che avrebbe aspettato il prossimo volo, che avrebbe guardato Sherlock salire sul suo volo e partire, sano e salvo, e solo dopo di questo sarebbe andato a sua volta.
“John.”
“Posso prendere il volo dopo.”
“Non fare il bambino. Andiamo, alzati.”
Con un profondo sospiro, John Watson obbedì. Il suo intero corpo era posseduto dal terrore che qualcosa avrebbe potuto andare storto, che gli inquisitori li avrebbero intercettati ma che mentre lui sarebbe riuscito a salvarsi, Sherlock…
“John.” La sua voce scacciò ogni altra cosa.
“Ho paura.” sussurrò tra i denti, temendo che qualcuno potesse udire, capire, agire di conseguenza.
“Che sciocchezza. Vedrai, andrà bene. Ci incontreremo nel luogo indicato da Mycroft sulle cartine.”
“E se ti succedesse qualcosa mentre io sono sull’aereo?”
“Non succederà.”
“E se succedesse?”
Sherlock tacque e deglutì rumorosamente un paio di volte, probabilmente cercando le parole per rispondere. “Quando arriverai alla locanda Cross Keys aspetterai dieci giorni. Se entro quel limite di tempo non dovessi arrivare…”
“Tornerò immediatamente a Londra.”
“Andrai a Cuba senza di me.” lo corresse Sherlock riducendo la voce a un sussurro a malapena udibile da John. “Promettimelo.”
“E tu promettimi che non sarà necessario che io mantenga questa promessa.”
Il consulente investigativo alzò gli occhi al cielo. “Lo prometto.”
“Bene, allora anche io prometto.”
Sherlock si sfilò il guanto di pelle nera e gli porse la mano. “Ai nostri tempi migliori, John.”
John restò basito a fissare quelle dita protese così formalmente verso di lui. Infine, lentamente, gli strinse la mano. Gli ricordava la prima volta che si era recato a Baker Street per dare un’occhiata all’appartamento, sotto la pioggia, e il suo futuro, maledetto coinquilino lo aveva sorpreso alle spalle, un sorriso sornione sulle labbra. Avrebbe tanto desiderato stringerlo forte a sé e baciarlo e trascinarlo sull’aereo insieme a lui, ma tutto questo cercò di comunicarglielo con la semplice stretta della mano. Sherlock sorrise. Un sorriso fruttato. Un sorriso sicuro. Avrebbe mantenuto la promessa, John ne era certo. Fu solo grazie a questa convenzione che riuscì a staccarsi da lui e ad imboccare il corridoio verso il suo aereo. Si sarebbero rivisti, in un altro luogo, liberi da catene e pregiudizi. Finalmente insieme. Insieme contro il mondo.

SPAZIO AUTRICI
Vi dobbiamo delle scuse per il ritardo! Pubblichiamo oggi perché sabato e domenica eravamo fuori e non abbiamo potuto sbrigarcela con la pubblicazione. Per scusarci, Mercoledì uscirà un piccolo assaggio di quello che seguirà sabato. Mamma, mia... Ci stiamo avviando alla fine. Non possiamo pensarci!! Ma ci raccomandiamo: non abbassate mai la guardia con noi due... Grazie a tutti i recensori e a tutti voi lettori in generale! Appuntamento a Mercoledì, ciao!!

 
   
 
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