Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: minsugasbitch    05/03/2018    1 recensioni
"Prendete tutto quello che riuscite a prendere, ma non date mai nell'occhio. Se sospettano qualcosa, allora fategli un bel pompino. Funzionerà."
_
Nonostante la loro giovane età, quei quattro erano i migliori in quel campo. Nessuno sospettava di loro, non avevano mai commesso alcuno scivolone. Nonostante le dinamiche non fossero particolarmente "comuni", dietro quella banda criminale si celava un solido rapporto di amicizia, di rispetto reciproco. Ognuno era diventato per l'altro la famiglia che nessuno di loro aveva mai avuto.
taekook;
yoonmin;
(side!taegi, side!yoonkook, side!jikook, side!vmin, side!namjin, side!vhope).
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
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2.brotherhood

 

20.10.13

Erano le tre passate del mattino a Busan, quando la madre di Jungkook aveva aperto la porta della camera del figlio, non trovando più nulla di lui, se non un biglietto sulle lenzuola spiegazzate con su scritto "Mi dispiace, ma devo farlo". 
Il ragazzino di diciassette anni era già fuggito via un paio di volte da casa, ma la polizia lo aveva sempre ritrovato, a qualche isolato da lì, intento a nascondersi a casa di qualche amico di scuola.
Quella volta però, faceva sul serio. Prese il primo treno che lo avrebbe portato verso Seoul quella notte, pronto a ricominciare da capo. 
La situazione in casa sua era insostenibile. Jungkook amava sua madre con tutto se stesso, ma aveva smesso di stare zitto, in silenzio, in un angolo, mentre uomini di tutte le età entravano fra le sue lenzuola, in cambio di soldi. Soldi che servivano per pagare le bollette, per pagargli gli studi, per pagare da mangiare. Ma il ragazzino avrebbe preferito vivere di elemosina, a quel tempo, piuttosto che usare quei soldi per mangiare un pezzo di pane.

Quando fu arrivato a Seoul, la città gli sembrò molto più dinamica di Busan, ma non si sentiva a casa. D'altronde, non conosceva nessuno lì, significava ripartire da zero. 
Cominciò a girovagare a vuoto e, dalla stazione, arrivò ad un motel, le luci al neon dell'insegna illuminavano la strada, leggermente umida per via della pioggerella che stava cominciando a cadere. Una donna anziana sedeva aldilà di un bancone di legno, dietro di lei erano appese al muro delle chiavi arrugginite con attaccati dei numeri scritti a mano su delle targhette in plastica. La donna segnò qualcosa sul suo cruciverba, poi iniziò a brontolare in una lingua sconosciuta. 
Jungkook si schiarì la voce, cercando di attirare la sua attenzione. Lei non lo degnò di uno sguardo, ma rispose lo stesso a quel richiamo. 
"Siamo pieni, ragazzino." la voce graffiata dalla vecchiaia fece accapponare la pelle al giovane, che fece d'istinto un passo indietro.
"Ma vedo delle chiavi appese dietro di lei."
"Ho detto che siamo pieni, fuori di qui." Jungkook non osò obiettare, la figura macabra di quella donna lo spinse oltretutto a darsela a gambe levate.

Si ritrovò di nuovo fra le strade sconosciute, ma era esausto. I piedi doloranti gli impedirono di camminare ancora a lungo, così, alla prima panchina disponibile, fu costretto ad arrestarsi e sedersi per riposare un attimo. 
Col borsone poggiato sulle gambe, iniziò a guardarsi intorno. La zona sembrava essere molto moderna, non doveva trovarsi troppo lontano dal centro città. Si dedicò ad osservare le macchine che passavano davanti a sé, non trovando nient'altro di meglio da fare. Erano già le cinque del mattino, quando vide una figura a piedi camminare verso la sua direzione. Un ragazzo non molto alto, dai capelli color cioccolato si fermò proprio davanti a lui. 
"Sei tu Jeon Jungkook?" il diretto interessato si alzò dalla panchina velocemente, prendendo la sua borsa da sopra la gambe e cominciando a camminare nella direzione opposta. Non era possibile. Non potevano averlo trovato anche lì. "Aspetta un secondo, dove stai andando?" il ragazzo lo raggiunse velocemente, afferrandogli una spalla, Jungkook iniziò a correre, staccandosi dalla presa della mano dello sconosciuto, ma, ancora una volta, l'altro lo raggiunse, placcandolo. 
Il ragazzino inciampò sul suo stesso borsone e cadde per terra, sul pavimento freddo. Girò su stesso, finendo con la schiena sul marciapiede e il fronte verso l'alto. Guardò il ragazzo che stava in piedi davanti a sé con il respiro pesante e lo sguardo pieno di scuse.
"Io non ci torno a Busan, lasciatemi in pace, vi prego, non voglio!" erano delle preghiere vere e proprie quelle che stava rivolgendo all'altro, ma quest'ultimo sembrava avere uno sguardo confuso. 
Si piegò sulle ginocchia, per poi osservare bene il castano di fronte a sé. Jungkook si spinse ancora un po' indietro, terrorizzato.
"Hai perso il documento d'identità, durante il tragitto dal Motel a qui. Ero dietro di te, ma eri troppo lontano per poterti fermare in tempo." lo sconosciuto gli mostrò il documento nelle sue mani, poi glielo porse. 
Jungkook parve togliersi un peso dallo stomaco, nel momento in cui sospirò con una mano poggiata sul torace. Poi afferrò il foglietto di carta plastificato. 
"Oh, grazie." disse il castano.
Entrambi si rialzarono in piedi, il ragazzo aiutò Jungkook a sistemarsi. 
"Hai bisogno di un alloggio? A quanto ho capito non sei di qui." il ragazzino si grattò la nuca, poi prese il suo portafogli, guardando i suoi risparmi.
"Non ho molti soldi, avevo solo il necessario per una notte in un motel." l'altro ragazzo sorrise, arruffando la sua chioma sbarazzina. 
"Ti offro il mio divano gratis, va bene ugualmente?" Jungkook non parlò, ma guardò quel ragazzo come se fosse stato un angelo caduto dal cielo. "Lo prendo come un sì." il castano sorrise davvero, dopo mesi. "Sono Yoongi, comunque. Adesso andiamo?"
Si indirizzarono entrambi verso l'abitazione di Yoongi, la quale sarebbe presto divenuta anche casa sua.

18.04.14

"Fatto. La somma prestabilita sta per essere accreditata sul nostro conto, senza alcuna traccia." 
Yoongi fissò il procedimento sul pc del giovane, mentre quest'ultimo fumava distrattamente una sigaretta, l'ennesima di quella giornata. A volte, l'azzurro si pentiva di avergli trasmesso quel vizio.
"Tu sei un fottuto genio." annunciò il maggiore, stringendo la spalla dell'altro. 
Jungkook sorrise, muovendosi sulla sua sedia girevole, prima di girarsi completamente verso il maggiore, con le braccia dietro la testa. 
"Modestamente, potrei derubarti anche delle mutande che indossi e non te ne accorgeresti nemmeno." Yoongi gli pizzicò una guancia, prima di poggiare le mani sulle ginocchia dell'altro. 
"Vuoi derubare chi ti ha portato al caldo, Jungkook-ah? Devo ricordarti dove ti trovavi prima di conoscere me?" il castano per qualche motivo arrossì. 
Non erano mancate le volte in cui Jungkook gli avesse espresso la sua gratitudine, eppure Yoongi sembrava sempre voler puntualizzare che, senza di lui, Jungkook sarebbe stato una nullità. 
"Non oserei mai, hyung." rispose, il tono serio e improvvisamente meno sicuro. 
L'altro si rialzò, togliendo le mani dalle ginocchia del più piccolo.
"Lo so." un bacio sulla fronte riuscì a bruciare in Jungkook il minimo che gli restava della sua dignità.

14.05.14

"Jeno, tocca a te." 
Un pomeriggio, seduti al casinò di Seoul, Yoongi e Jungkook stavano giocando a Poker -o meglio, Yoongi stava giocando- mettendo a rischio tutti i loro averi, tra cui un diamante inesistente. 
Il minore si trovava alzato dietro il ragazzo dai capelli scuri, a massaggiargli le spalle, per farlo concentrare.
In realtà, il suo obiettivo era tutt'altro: il partecipante alle sua destra aveva delle buone carte e buone possibilità di vincita. Il cellulare si trovava sul tavolo, molto spesso gli arrivavano notifiche di sms, ma non lo sbloccava mai. Jungkook aspettava solo che quell'idiota digitasse il codice per poter aver accesso alle credenziali dell'account del suo cellulare, per poi poter entrare così in possesso dei codici delle carte in cui sarebbero stati accreditati i soldi del casinò. 
Passarono ore e ore di gioco ma, alla fine, Jeno si lasciò andare alla tentazione di rispondere a quei messaggi, sbloccando il telefono con il codice numerico segreto: 344902. 
Jungkook continuò a ripeterselo in mente. 
Come previsto, Yoongi perse, e Jeno vinse la partita. 
Il maggiore finse di prenderla con filosofia, e, consegnando la cifra da versare sul conto dell'avversario, prese il suo cappotto e insieme al castano si diresse verso la strada del ritorno.

Quando furono in macchina, accese il motore, sorridendo verso il più piccolo, il quale stava torturando il proprio labbro con gli incisivi, nel tentativo di trattenere un sorriso vittorioso.
"Allora?" osò Yoongi, la mano sul cambio di marcia. 
"Siamo ricchi, Min Yoongi." Jungkook gli dimostrò di essersi appuntato il codice sulle note del proprio cellulare. 
"Ti ho cresciuto bene, Jeon Jungkook." rispose l'altro.

La sera stessa, per festeggiare, i due comprarono due bottiglie di champagne, il più costoso in circolazione. 
Passarono la serata a guardare film d'avventura e a bere direttamente dalla bottiglia. 
A mezzanotte, Jungkook era completamente andato, Yoongi solo un po' brillo.
"Ho scoperto una cosa, hyung." disse il più piccolo, ridendo come un bambino. 
"Cosa, Kookie?"
"Ho scoperto che tutte le ragazze che ho avuto mi facevano schifo!" urlò poi, battendo i pugni per terra, rischiando di farsi male sul serio.
"Erano antipatiche? Brutte?" chiese, innocentemente l'altro. 
"No, no!" dopo aver spento la televisione di fronte a loro, Yoongi sembrò pensare alla prossima domanda da porgli, ma Jungkook cantò come un uccellino prima del previsto. "Il problema è che erano ragazze." il maggiore guardò il castano battendo le palpebre più volte, realizzando che avesse rivelato ciò proprio davanti a lui.
"E da cosa lo deduci che il problema fosse la loro natura?" Jungkook inizialmente non rispose. 
"Perché probabilmente preferirei baciare un ragazzo che una di loro?"
Yoongi però sembrava volersi togliere ogni dubbio, e non se lo fece ripetere due volte. Si avvicinò ulteriormente al più piccolo, poi unì le loro labbra in un bacio breve, intenso, ma quel giusto attimo per capire meglio se Jungkook si fosse innamorato di lui. 
"Non farlo più." disse il più giovane, una volta tappatosi la bocca con una mano. 
"E perché no?" rispose l'altro, alzando le spalle con non chalance.
"Perché mi confondi; io voglio essere tuo amico." Yoongi lo guardò per qualche secondo, capendo quanto in realtà volesse bene a quel ragazzo. Lo abbracciò forte, poggiando la sua testa sul proprio petto. 
Da quel giorno, Jungkook cominciò a cambiare atteggiamento nei confronti dell'amico.

24.01.17

"È povero." il castano premette un tasto sul proprio computer e, come al solito, Yoongi osservò i numeri scorrere veloci sul display del suo portatile. "E ho incentivato quelle ricerche sul suo conto per quanto riguarda il traffico illegale di medicinali con una mail innocente."
"Jungkook." lo richiamò l'azzurro, questa volta senza stringergli alcuna guancia. 
"Hyung?"
"Sei il nostro asso nella manica."
"Senza di me saresti perso, hyung." sottolineò l'altro. 
Yoongi non rispose, si limitò ad una semplice pacca sulla spalla.
_______________________________________

"Devi ricambiare il favore." gli aveva detto Jungkook, prima di uscire dal bagno e lasciarlo solo.

Jimin, a quel punto, si era già rivestito. 
Si era sciacquato una seconda volta, facendo scivolare insieme all'acqua anche il senso di vergogna che provava verso se stesso, si era asciugato con una tovaglia pulita, e poi aveva indossato i vestiti che Jungkook aveva riposto con cura sul piccolo mobile posto accanto la vasca. I suoi vestiti.
"Come sempre." mormorò tra sé e sé.
I vestiti dell'amico risultavano incredibilmente grandi su di lui, che -nonostante fosse più grande- appariva davvero minuto in confronto a Jungkook.
Inspirò a pieni polmoni il profumo di cui era impregnata la larga maglia a maniche corte grigia che l'altro gli aveva fornito. 
Lo mandava fuori di testa. Jungkook lo mandava fuori di testa.
Con quel tocco delicato, tutte quelle attenzioni e premure che riservava a lui e lui soltanto.
Jungkook amava Jimin, e il rosso questo lo sapeva bene. L'amava in modo ossessivo e malsano.
Quando lo accarezzava, Jimin riusciva a percepire come quel tocco volesse essere in realtà più simile ad uno schiaffo. Tutto quell'amore che gli vomitava addosso, era più frutto di un'ossessione, ossessione che non era nemmeno indirizzata a lui. 
Lo sapeva, Jimin, che il più piccolo non faceva altro che proiettare l'amore che provava per Taehyung su di lui.

Lui, che di Taehyung era sempre stato l'ombra. 
Lui, che per tutta la vita si era sempre ritrovato ad accettare gli scarti che l'altro gli riservava quasi come fossero regali.
Taehyung, che era capace di distruggere tutto ciò che toccava, per tutta la vita aveva riservato al maggiore briciole di ciò che lasciava quando ormai era semplicemente troppo sazio.
E Jimin, Jimin li accettava di buon grado, quei resti, con gli occhi colmi di gratitudine.
Quello che i due condividevano era più di un amore che puoi provare per un amico, più di quello che puoi provare per un fratello. Jimin amava Taehyung quasi quanto l'odiava, provava tanta stima quanta invidia, tanto disgusto quanto desiderio.
Taehyung, che l'aveva sempre difeso da tutti ma che era sempre stato il primo a distruggerlo.
Taehyung, che l'aveva privato di amor proprio perché "ti amo io, il resto non ha importanza".
Taehyung, che era sempre sembrato il più grande tra i due.
Taehyung, che aveva sempre affermato di volerlo proteggere, perché "Jimin, tu hai bisogno di me", ma che era quello che tra i due più necessitava dell'altro.

Jimin, se si concentrava abbastanza, poteva ancora ricordare ogni singolo dettaglio, forse anche i più insignificanti, del loro incontro.

"Chi è questo bambino, signore?" aveva chiesto Taehyung, all'epoca bambino di appena nove anni, tirando leggermente la manica dell'uomo che lo stava tenendo per mano. Quello che, da quel giorno, sarebbe stato il nuovo padre di Jimin.
Jimin, che di famiglie affidatarie ne aveva già cambiate almeno una dozzina, non si soffermò nemmeno per un secondo su quell'uomo. Ripose, invece, tutta la concentrazione sul bambino che, con solo una larga camicia addosso e i piedi scalzi, gli stava perforando l'anima con quei suoi grandi occhi marroni.
"Sono tuo fratello." gli aveva risposto Jimin, porgendogli una manina tozza. Taehyung aveva guardato quella piccola mano, poi aveva guardato lui, e infine aveva sollevato lo sguardo verso l'uomo.
Jimin rimase in quella casa solo per una notte.

"Chim?" la voce calda di Taehyung, contestualmente ad una mano che il biondo gli poggiò sulla spalla, lo fece sussultare. "Va tutto bene?"
"Non ti ho sentito entrare, ero sovrappensiero." borbottò il rosso, voltandosi verso l'amico.
Una serie di segni violacei risaltavano sulla pelle ambrata di Taehyung. Lo sguardo di Jimin rimase a lungo su quei segni, e l'azione non passò di certo inosservata all'altro. Taehyung sorrise, prima di leccarsi le labbra.
"Jungkook ti ha dato una ripulita, vero?" Jimin annuì. "E anche una ripassata, direi."
"Tu e Yoongi avete giocato a carte, invece, vero?" Jimin inarcò un sopracciglio, superando l'amico e dandogli una spallata. Uscì dal bagno, sedendosi sul letto di Jungkook.
Dal loro arrivo in quella casa, tante cose erano cambiate tra i due. La sottomissione di Jimin al biondo si era fatta meno palese, mentre il bisogno che il ragazzo nutriva nei confronti del rosso si era fatto fin troppo forte e doloroso per poterlo ignorare o nascondere.
Jimin odiava Taehyung, ma l'amava più della sua stessa vita.
Per Taehyung, invece, Jimin era la sua vita.

"Ti dà per caso fastidio, fratellino?" Taehyung saltò sul letto, posizionandosi accanto a lui. "Non eri tu quello che diceva di odiare Yoongi?" gli chiese, strizzandogli una guancia.
Lo sguardo di Jimin cadde di nuovo sui segni di Taehyung, poi si portò una mano al collo, accarezzandolo, pensando ai suoi, di segni, quelli che gli erano stati lasciati dall'uomo che gli aveva fatto del male. 
Odiava Yoongi? Probabilmente no.
Ma, nei suoi confronti, nutriva davvero molto, molto rancore. Così tanto che, forse, odiarlo sarebbe stato meglio.
"Tu e Yoongi potete fare il cazzo che volete, Tae, lo sai. Se riesce a scoparti senza paura che tu gli passi le piattole, cazzi suoi." Jimin scrollò le spalle, sollevando lo sguardo verso il volto dell'altro, rovinato da un'espressione furiosa.
La mano di Taehyung si sollevò con velocità, e il rosso chiuse gli occhi, aspettando di sentirla entrare in contatto con la sua guancia in uno schiaffo.

"Voglio tornare a casa." Jimin, con uno zaino sulle spalle che pesava più di lui, continuava a piagnucolare.
"Così attirerai l'attenzione." sibilò Taehyung, continuando a tirare la mano del bambino.
"Tete, ho tanta fame! Voglio tornare a casa!" il fratellino acquisito lo strattonò di nuovo, prima di dargli uno schiaffo in pieno volto. Le lacrime di Jimin si arrestarono immediatamente.
"Chim, noi non abbiamo una casa." gli disse il bambino. Jimin, quel suo nuovo fratello, proprio non lo capiva. Nonostante avessero la stessa età, Taehyung gli sembrava molto, molto più grande di lui. Qualcosa si rifletteva nei suoi grandi occhi marroni, qualcosa che metteva i brividi al piccolo Jimin. "Quindi, d'ora in poi, qualsiasi posto in cui andremo insieme sarà casa nostra." Taehyung gli accarezzò la guancia morbida appena colpita, rivolgendogli un sorriso. "Mi hai capito?" Jimin annuì, ricambiando il sorriso del fratello. Non voleva piangere, non voleva renderlo ancora più triste. Avrebbe fatto di tutto per lui, pur di non vedere più quella strana luce nei suoi occhi.

Quello che avvertì sulla pelle poco dopo, però, non fu affatto uno schiaffo.
Taehyung gli stava accarezzando la guancia sfregiata. 
Passò un dito sul taglio posto al di sotto dello zigomo, facendo avvertire al maggiore un leggero pizzicore.
"Non posso prendermi sempre cura di te, Jiminie." gli disse in un sussurro. 
"Lo so." gli rispose il rosso. "Non ho bisogno che tu lo faccia. Non abbiamo più nove anni."
"Stai cercando di dirmi che non hai più bisogno di me, forse?" Jimin commise l'errore di riaprire gli occhi.

Con lui, solo con lui, Taehyung riusciva, anche se solo per brevi istanti, a mettere da parte tutte quelle buffonate su cui ormai si basava la sua immagine, la sua vita intera.
In momenti del genere, quando lui e Jimin erano da soli, il suo sguardo si faceva più dolce, tornando a somigliare incredibilmente a quello del Taehyung bambino che, per il suo amato fratellino, rubava le cose più buone dalla sezione dolciumi dei supermercati. 
Ma, di conseguenza, riaffiorava nel suo sguardo ancora quella luce strana.
Con gli anni, Jimin aveva finalmente capito perché lo terrorizzasse fino a quel punto, quello sguardo: quella luce negli occhi di Taehyung, altro non era che paura. Una paura fottuta.
La stessa che, adesso, aveva riempito i suoi grandi occhi di lacrime.

Jimin scostò la mano del più piccolo dal suo viso, prendendola poi tra le sue mani.
"Non dire cazzate, Tete." sentendo il maggiore chiamarlo con lo stesso nomignolo con cui lo chiamava quando erano bambini, gli occhi di Taehyung si illuminarono improvvisamente, e, istintivamente, sorrise, nonostante le sue labbra stessero tremando.
"Io e Yoongi..." provò a dire il più piccolo, ma Jimin lo attirò a sé, facendolo finire col viso contro il suo petto. Le lacrime silenziose di Taehyung bagnarono la maglietta di Jimin.
"Stai zitto." fece il maggiore, baciandogli la nuca e accarezzandogli i capelli biondi. "Non m'importa nulla di Yoongi." una fitta al petto lo costrinse a fare un attimo di silenzio, prima di poter continuare a parlare. "Mi interessa solo che t-"
"So benissimo cosa provi per lui, Jimin." riuscì a dire il più piccolo, che era ormai ancorato alla maglietta del rosso.
"Io non provo nulla per Min Yoongi, Taehyung." insistette il più grande, prima di afferrarlo per le spalle e allontanarlo da sé, costringendolo a guardarlo. 
Taehyung tirò su col naso, per poi asciugarsi le lacrime che erano rimaste intrappolate ai lati degli occhi ancora lucidi.
"E per Jungkook, invece?" Jimin scosse la testa.
"Se lo vuoi, è tutto tuo." di nuovo, il petto gli fece male. 
Un dolore più lieve del precedente, questa volta forse più simile solo ad un fastidio. Sarebbe stato davvero capace di rinunciare anche a Jungkook, per il fratello?
"Jungkook mi odia." gli rispose il biondo, facendo spallucce.
"Non dire così, Taehyungie, sai bene che Jungkook ti vuole molto bene." forse anche troppo, forse più di quanto potrà mai volerne a me, pensò il rosso, che sapeva bene di essere più un semplice cerotto che una vera e propria cura per il moro.
"E tu? Tu mi odi?" gli chiese il più piccolo. 
Il viso arrossato dal pianto, se possibile, lo rendeva ancora più bello del normale.
Jimin pensò per un attimo a Yoongi, alla prima volta che l'aveva visto, quando il fratello l'aveva obbligato a tentare di sedurlo.
"Ci farebbero comodo un po' di soldi, Jiminie, e lui sembra avere il portafogli pieno. E poi, è veramente carino." gli aveva detto Taehyung, ammiccando. E lo era davvero, carino.
"Ti devo la mia vita, Tae, lo sai. Non potrei mai odiarti." gli disse il maggiore, scostandogli dalla fronte qualche ciocca bionda che vi era rimasta appiccicata. "E avrò sempre bisogno di te, mi hai capito?" aggiunse poi, sollevandogli il mento con l'altra mano. Fu una bugia, quella. Quello che avrebbe sempre avuto bisogno dell'altro, tra i due, era Taehyung. Ma, pur di renderlo felice, Jimin avrebbe vissuto una vita di menzogne, una vita di ombre. Avrebbe fatto di tutto per lui, pur di non vedere più quella strana luce nei suoi occhi. Taehyung socchiuse gli occhi, beandosi di quelle carezze. Poi, il rosso si chinò su di lui, lasciandogli un casto bacio sulle labbra gonfie. "Ti amo, Tete."

   
 
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