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Autore: heliodor    05/03/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Giudizio
 
La spalla le bruciava dove l'aquila di Ertham l'aveva afferrata con i suoi artigli. I guaritori di Gajza le avevano applicato degli unguenti e poi le avevano fasciato la ferita.
La strega era stata presente durante ogni fase. "Se la ragazza muore, voi farete la stessa fine" disse ai guaritori col tono di chi non stava scherzando.
"Cambia la fasciatura ogni tre giorni o farà infezione" aveva detto uno dei guaritori prima di andarsene.
Joyce aveva atteso paziente che se ne andassero tutti prima di provare a rimettersi in piedi. Era distesa su di una branda, all'interno della tenda dove l'avevano alloggiata, da sola. Non ne era certa ma doveva esserci qualcuno di guardia che la sorvegliava.
Nessuno venne a trovarla, tranne Gajza. Si presentò un paio d'ore dopo che i guaritori l'ebbero sistemata come meglio potevano.
"E così" disse la strega entrando nella tenda. "Eccoci qui, tu e io. Da sole."
Joyce rimase in silenzio.
"Non provi il desiderio di dirmi qualcosa?"
Joyce avrebbe voluto colpirla con un dardo magico, ma era certa che alla sua prima mossa Gajza l'avrebbe colpita a sua volta. Inoltre si sentiva stanca e aveva perso parecchio sangue. Doveva recuperare le forze prima di potersi misurare con una strega così esperta.
"Allora?" fece Gajza spazientita.
"Hai ucciso Jhazar" disse Joyce con tono d'accusa. "E Gastaf."
Gajza fece spallucce. "Credi che mi abbia fatto piacere?"
Le venne in mente quando vide Wena uccidere uno stregone colpendolo alla schiena. A lei aveva fatto piacere. Ma Gajza non era Wena.
"Sei un'assassina. Pagherai per quello che hai fatto."
"Tutti prima o poi paghiamo per i nostri errori. Tu per esempio ne hai commesso uno enorme venendo qui. Dovevi scappare quando ne avevi l'occasione."
"Non ho fatto niente di male, io."
"Hai colpito Eryen."
"Voleva arrestarmi" protestò Joyce.
Gajza sospirò. "È stato un errore madornale da parte sua, ma almeno è servito a farti uscire allo scoperto. Ovviamente non sei la nipote di Jhazar e non devi sposare nessun damerino di Logrik. Perciò resta da scoprire chi sei davvero e cosa speravi di ottenere venendo a Nazedir con Jhazar."
Joyce non rispose.
"Non vuoi dirmelo?" Gajza infilò una mano all'interno del suo mantello e ne tirò fuori un foglio piegato. Glielo mostrò. "Lo riconosci?"
Era il foglio sul quale aveva annotato il codice contenuto nel messaggio che Jhazar aveva ricevuto e Khadjag rubato.
"Certo che lo riconosci. Lo hai anche tradotto. Sei stata molto abile nel rubarlo."
"Khadjag lo ha rubato a Jhazar" disse Joyce.
Gajza ghignò. "Non sai quanto ti sbagli. In realtà, Jhazar lo ha rubato a me."
Joyce non capiva.
"Cosa sai del circolo supremo?" chiese la strega all'improvviso.
"Niente" disse Joyce. Ed era la verità, in un certo senso.
"Conosci qualcuno che ne fa parte?"
L'unica persona a lei nota era Lady Gladia, ma nemmeno di quello era certa. "No."
Gajza annuì. "Stai mentendo."
"Non è vero."
"Invece sì. Sapevi come tradurlo. Io non ci sono mai riuscita."
"Quindi il messaggio non era indirizzato a te" disse Joyce.
"Ho mai detto questo? Tuttavia, era nelle mie mani quando Jhazar me lo ha rubato. È uno dei motivi per cui ho dovuto ucciderlo."
"E Gastaf?"
"Lui era solo un diversivo. Non lo odiavo, anche se a volte il suo modo di fare mi irritava."
"Ed era un buon motivo per assassinarlo?"
Gajza sbuffò. "Tutto quello che ho fatto è stato per il bene di Nazedir. Tu sei solo una ragazzina e certe cose non le puoi capire."
Invece posso, pensò Joyce. Si era cacciata in quel guaio proprio perché voleva fare la cosa giusta, far finire la guerra il più in fretta possibile.
"E l'altro motivo?" chiese Joyce.
Gajza sospirò. "Jhazar voleva trascinarci in una guerra assurda."
"Così ti sei alleata con Rancey."
"Lui ha un esercito. Jhazar che cosa aveva a parte parole e ideali?"
Joyce fece per rispondere, ma si trattenne.
"Ho salvato Nazedir e la sua erede" continuò Gajza.
"Per il momento."
"Vuoi che mi metta a piangere? Anche a me ripugnano Malag e i suoi accoliti, ma è lui che ha l'iniziativa. Se l'alleanza voleva il nostro appoggio doveva mandare i suoi stregoni o la strega dorata."
"L'avrebbero fatto, se tu gliene avessi dato il tempo." Suo padre lo avrebbe fatto. Non era tipo da venire meno a un patto. Se Nazedir gli avesse chiesto aiuto, lui sarebbe venuto di persona. O avrebbe mandato Bryce.
"Non mi servono le promesse, ma stregoni e streghe. E cavalieri."
"Li avrai" disse Joyce cercando di convincerla. "Manda un messaggero a re Andew. Lui risponderà."
"Non c'è più tempo. Rancey vuole attaccare il più presto possibile."
Joyce si sentì disperata. "Attaccare? Chi?"
"Gli alfar, ovviamente. Vuole il loro santuario."
"Lotayne?"
"Lo sa l'Unico a cosa gli serva. Credo che abbia ricevuto l'ordine direttamente da Malag."
Che cosa cercava l'arcistregone nel santuario della dea?
Gajza fece spallucce. "Allora, vuoi dirmi che ci fai qui? Per chi lavori?"
"Nessuno" disse Joyce fissandola con aria di sfida. "Io lavora da sola. Sono la strega rossa."
Gajza ghignò. "Te lo sei dato da sola questo soprannome?"
"È così che mi chiamano a Mar Qwara. Lì mi conoscono tutti."
"Davvero? E cosa hai fatto per meritarti tanta fama?"
"Ho affrontato un titano" disse buttando fuori le parole d'un fiato.
Gajza esplose in una sonora risata. "Sul serio? Hai proprio una bella faccia tosta."
"È la verità."
La strega scosse la testa. "È stato inutile parlare con te. Se avessi più tempo, ma non ce l'ho, saprei io come tirarti fuori la verità, ma per il momento ho altro a cui pensare."
"Aspetta" disse Joyce, folgorata da un pensiero improvviso.
Gajza si fermò all'ingresso della tenda senza voltarsi.
"Rancey non sa dov'è il santuario, vero?"
"No, ma riuscirà a scoprirlo, in un modo o nell'altro."
"E dopo che avrà ottenuto ciò che vuole, che cosa ne sarà di te? E di Nazedir?"
Gajza scosse le spalle. "Dicono che Lord Malag sia una persona di parola." Uscì senza aggiungere altro.
Rimasta sola, Joyce cercò di riposare. La ferita le faceva meno male di prima. Il dolore era ridotto a un pulsare sommesso e costante. Si sdraiò sulla branda facendo attenzione a non rovinare la benda applicatale dai guaritori.
In tutto quel trambusto non aveva avuto il tempo di riflettere su quello che era accaduto durante la battaglia. Non aveva idea della sorte di Zefyr. Era morto? Era sopravvissuto e adesso era prigioniero? Lui aveva assistito alla morte del padre ed era un testimone che avrebbe potuto incolpare Gajza di quell'omicidio. Se era così, lei lo avrebbe ucciso prima che parlasse?
Joyce era anch'essa una testimone, ma Gajza non l'aveva toccata. Perché? Sperava di avere delle informazioni da lei? Su cosa? Joyce non sapeva molto. Aveva tradotto il messaggio, ma era a un punto morto.
Gajza forse non lo sapeva e si aspettava che lei ne capisse qualcosa. Per quello doveva averla tenuta in vita, non c'era altro motivo.
Tormentata da quei pensieri, scivolò in un sonno leggero e agitato, senza sogni. Quando si svegliò era quasi buio. Si alzò e andò all'ingresso. Scostando il velo, diede un'occhiata fuori.
Era ancora nell'avamposto, dove Gajza aveva stabilito la sua base. C'erano altre tende disposte in file ordinate. Gli incendi che erano divampati sugli alberi-torre erano stati spenti. I corpi dei caduti erano stati rimossi tutti, anche quelli degli alfar.
Joyce mise un piede fuori dalla tenda e attese che qualcuno la bloccasse, ma non avvenne. Non c'erano guardie alla sua tenda ed era libera di muoversi.
Si guardò attorno incuriosita. C'erano numerosi soldati con lo stemma di Nazedir che si aggiravano per il campo cercando tra le rovine degli edifici precipitati.
Altri, a piccoli gruppi di cinque o sei, sostavano vicino a dei fuochi che avevano acceso per difendersi dal freddo della notte che stava arrivando.
Joyce camminò fino all'albero torre che aveva ospitato la biblioteca del circolo degli alfar. Non ne rimaneva molto. Qualcuno doveva aver rimosso i corpi con precisione perché non ve n'era nemmeno uno.
Aveva temuto di imbattersi nel cadavere di Indis. Se fosse accaduto non sapeva come avrebbe reagito.
Durante quei mesi aveva visto morire tante persone, troppe. E molte di esse erano a lei care, come Mythey, che era spirato tra le sue braccia.
Si sentiva ancora in colpa per la sua fine, ma cercava di fare il suo meglio per darle un senso. Pensare che Mythey sarebbe stato orgoglioso di lei la faceva stare meglio.
Se voleva onorare la sua memoria doveva continuare su quella strada. E salvare Oren.
La questione era ancora aperta e finché Rancey non fosse morto, non avrebbe avuto la certezza che Oren stesse bene.
Doveva trovarlo, ma non sembrava che fosse lì. In effetti non vide in giro i mantelli grigi e senza stemmi che gli accoliti di Malag indossavano né i mercenari che avevano assalito la palizzata. Solo soldati di Nazedir ovunque.
"Stai cercando qualcosa?" domandò una voce alle sue spalle.
Si voltò, incrociando lo sguardo irriverente di Eryen.
La ragazza indossava un mantello rosso fuoco con ricami in oro. Era simile a quello che le aveva rubato, ma più sontuoso, se era possibile.
"Ti ho fatto una domanda" fece la ragazza con tono minaccioso.
Joyce scrollò le spalle. "Davo solo un'occhiata in giro."
Eryen ghignò. "Bello spettacolo, vero? È un piacere vedere questi selvaggi nella polvere. È il loro posto."
"Cosa ti hanno fatto di male?"
Eryen sgranò gli occhi. "Non riconoscono la nostra autorità. Non si sottomettono."
"È il loro modo di vivere."
Eryen rise. "E la chiami vita questa? Abitare sugli alberi, a contatto con gli animali? Non sono persone civili."
Joyce aveva già la nausea della sua presenza e voleva andarsene, ma Eryen era imprevedibile e temeva che, se le avesse voltato le spalle, lei non avrebbe esitato a piantarle un dardo nella schiena.
"Vivono in pace, senza recare disturbo a nessuno."
"Disturbano me" disse Eryen puntandosi l'indice contro il petto.
Era impossibile ragionare con lei, concluse Joyce. Si limitò a una scrollata di spalle e face per andarsene.
Eryen si schiarì la gola. "Comunque, ti cercavo. Gajza ti vuole."
"Abbiamo già parlato."
"Non vuole parlare. Vuole che tu veda."
"Cosa?"
Eryen ghignò. "Da questa parte."
La guidò verso il centro dell'avamposto, dove qualcuno aveva piantato delle torce formando un cerchio ampio un centinaio di passi. Nel centro esatto vide ammassate una ventina di figure umane.
Per un attimo, complice la penombra, pensò con orrore che fossero cadaveri, poi le vide muoversi.
Nella luce incerta delle torce riconobbe Leyra e qualche altro alfar di cui non ricordava il nome. C'era anche Serime, il viso tumefatto e la tunica insanguinata, che sedeva in disparte.
Tutti erano legati con spesse corde ed erano costretti a sedere addossati l'uno all'altro, sorvegliati da una dozzina di soldati armati di lancia e altrettanti stregoni e streghe.
Vide occhi scintillare nelle tenebre mentre si avvicinava.
Gajza osservava la scena in disparte, le braccia incrociate sul petto e l'espressione severa. "Eccovi, finalmente" disse quando Joyce e Eryen la raggiunsero. "Come mai ci hai messo tanto tempo?"
Eryen fece un inchino. "Perdonami maatsiba, ma questa stupida se n'era andata in giro."
Gajza le scoccò un'occhiataccia. "Cosa ti ho insegnato sulle buone educazioni?"
"Ma..." disse Eryen.
Gajza le tirò uno schiaffo in pieno viso. "Jasmina è una nostra ospite, non una prigioniera" disse con tono sprezzante. "Chiedile scusa."
Eryen rivolse un inchino a Joyce. "Ti chiedo scusa."
"Non mi ero offesa" disse Joyce con tono conciliante.
Gajza fece una smorfia. "Adesso che siete qui, possiamo cominciare." Fece un cenno ai soldati. Due di essi si staccarono dal cerchio e avanzarono verso i prigionieri.
Ne presero due per le braccia e li costrinsero a sollevarsi, quindi li gettarono ai piedi di Gajza senza tanti complimenti, obbligandoli con le lance a restare in ginocchio.
La luce delle torce illuminò i loro volti. Erano un uomo di mezza età e una ragazza che poteva avere al massimo venticinque anni.
Gajza li scrutò con sguardo severo. "Come vi chiamate?"
"Arget" disse l'uomo.
"Idgen" disse la ragazza.
Gajza fece un cenno ai soldati, che indietreggiarono di un passo. "Lo sapete perché siete prigionieri?"
Idgen si ritrasse timorosa e scosse la testa.
Arget invece fissò Gajza con ostilità. "Quello che state facendo non è giusto" disse stringendo i denti.
Gajza sospirò. "Avete violato le leggi di Nazedir. Siete ribelli e criminali che hanno attaccato i nostri pacifici villaggi nascondendovi nella foresta."
Idgen fece per dire qualcosa, ma Arget le fece cenno di no con la testa. "Non dire niente, Idgen. Non parlare con questa kodva."
Gajza evocò un dardo magico e lo puntò verso l'alfar. "Se apri di nuovo la bocca senza che io te lo chieda qualcuno si farà male."
Arget la fissò con sfida. "Non ho paura di morire" disse gonfiando il petto.
"Ti avevo avvertito." Gajza spostò il braccio verso Idgen e lasciò partire il dardo.
Il proiettile magico trapassò la ragazza da parte a parte, aprendole uno squarcio nel petto. Morì senza emettere un solo singulto e si accasciò al suolo.
Joyce sobbalzò mentre Eryen ghignò, per niente sorpresa.
Arget si voltò verso la ragazza. "Perché?" mormorò incredulo, le lacrime agli occhi.
Gajza inspirò a fondo. "Ognuno di noi deve convivere con le conseguenze delle proprie azioni." Fece un cenno ai soldati.
Arget venne afferrato per le ascelle e trascinato via.
Gajza avanzò oltre il cerchio di torce e si avvicinò ai prigionieri, scrutandoli con espressione severa. "Voi pensate che io sia cattiva, ma non avete idea di cosa sarei disposta a fare per il bene di Nazedir. Non provo alcun piacere nel farvi soffrire, ma preferisco mille volte vivere con questo rimorso, piuttosto che col rimpianto di non aver fatto abbastanza." Indicò due alfar con dei rapidi gesti.
I soldati avanzarono e li afferrarono per le ascelle, trascinandoli fuori dal cerchio delle torce. Stavolta erano due ragazzi che potevano avere al massimo vent'anni.
Uno indossava gli abiti leggeri degli alfar, mentre l'altro aveva un giubbetto di cuoio imbottito. Era uno dei guerrieri che avevano combattuto con Zefyr, pensò Joyce. Forse sapeva che fine aveva fatto il ragazzo.
Gajza si avvicinò. "Come vi chiamate?"
I due ragazzi tacquero.
Gajza evocò un dardo magico e lo lanciò verso quello di sinistra, uccidendolo. Fu così rapida che Joyce sussultò di nuovo.
I soldati trascinarono via il sopravvissuto.
Gajza indicò altri due prigionieri.
I soldati avanzarono e li presero. Erano un giovane uomo dai capelli lunghi e una ragazza.
Joyce ebbe un tuffo al cuore quando riconobbe Leyra.
I soldati li trascinarono davanti a Gajza.
"Non voglio uccidere ancora" disse con tono seccato. "Come vi chiamate?"
Nessuno dei due rispose.
Gajza sospirò e sollevò il braccio, un dardo che brillava nella sua mano.
"Leyra" disse Joyce d'impulso.
Gajza le scoccò un'occhiataccia. "Conosci questa alfar?"
Leyra la guardò e scosse la testa.
Joyce annuì. "La conosco. È amica mia."
Gajza fece una smorfia. "Non posso uccidere le tue amiche." Puntò il dardo verso l'uomo e lo uccise squarciandogli il petto. Il ragazzo si accasciò senza vita.
"Basta" disse Joyce con le lacrime agli occhi. "Nessuno di loro parlerà, non lo capisci?"
"Li piegherò" disse Gajza decisa. "O li ucciderò tutti."
"Ma che vuoi da loro?" chiese Joyce con tono supplice.
"Voglio sapere dov'è il santuario" disse la strega.
"Mai" esclamò Leyra. "Nessuno di noi te lo dirà" aggiunse con calma.
Gajza annuì. "Prima o poi troverò l'anello debole della catena. Prima dovrò spezzarne molti, ma lo troverò, stanne certa."
"Nessuno te lo dirà" disse Leyra con tono di sfida.
"Vedremo." Gajza le puntò contro il braccio. Nella mano luccicava un dardo magico.
Leyra chiuse gli occhi, l'espressione serena sul volto.
"Te lo dirò io" disse Joyce.
Leyra aprì gli occhi. "No" disse. "Non devi."
"Ma ti ucciderà" disse Joyce. "Ucciderà tutti voi."
Gajza si staccò e le andò incontro. "Tu conosci la strada per il santuario?"
Joyce annuì. "L'ho fatta una volta. Posso rifarla."
"Dimmi tutto quello che sai."
"Prima devi liberare i prigionieri" disse Joyce con tono fermo.
"Hai la mia parola."
"Non mi basta."
"Che sfacciata" esclamò Eryen. "Lascia che sia io a farla parlare."
"Tu stanne fuori" disse Gajza. "Libererò i prigionieri e tu mi dirai come si arriva al santuario."
"Ti ci porterò io stessa" disse Joyce. "Non saprei descriverti la strada da fare."
Gajza la fissò dritta negli occhi. "Se mi stai mentendo..."
"Hai la mia parola" disse Joyce.
Gajza rise. "E sia." Si voltò verso i soldati. "Portateli fuori dalla palizzata e liberateli. Tutti tranne quella lì" disse indicando Leyra. "Quella viene con noi."

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