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Autore: myricae_    06/03/2018    1 recensioni
Racconti sparsi e vari a tema soprannaturale e introspettivo, in aggiornamento.
- Sogni in prestito
- Le quattro età
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE QUATTRO ETÀ
 
Lucien fermò il fuoristrada ai piedi della montagna.
Faceva quella strada quasi ogni weekend sia d’estate che d’inverno per fuggire dalla città, o meglio: dalla civiltà. Aveva preso una casa lassù, in una paesino che collegava alle piste da sci o a passeggiate per i boschi durante la bella stagione. Ormai lo conoscevano tutti in quel luogo e lui conosceva chiunque: il falegname che lavorava il legno in piccole opere d’arte, la tessitrice che filava alla finestra della casa di fronte alla sua. Si sentiva in famiglia. Chissà se Jane sarebbe venuta con lui in quelle escursioni, chissà se avrebbe taciuto come lui a contemplare la natura selvaggia e rassicurante. Era ovviamente troppo presto per chiederglielo, si frequentavano da poco.
Lucien mise in moto la macchina. Impiegava quasi due ore per risalire la montagna fino alla cittadina, spense la radio per sentire le gomme della macchina giocare con la neve, l’ululato di un lupo che salutava la luna. Lucien affrontò con grinta i primi ampi tornanti. Era partito non appena  uscito dall’ufficio per godersi appieno i due giorni del weekend, non sentiva né il sonno né la stanchezza. Gli abeti si protendevano verso di lui dal basso quasi a volergli dare il bentornato. Lucien guidava con sicurezza, quando – prima di imboccare l’ennesimo tornante – vide un ragazzino sul ciglio della strada. Non appena il bambino sentì il rumore dell’auto, alzò la testa e puntò gli occhi dritti su Lucien che si fermò all’istante. Rimasero a guardarsi per qualche secondo, poi Lucien scese dalla macchina. Non poteva certo lasciare lì un bambino.
“Ehi, piccolo, come ti chiami?”.
Il bambino indietreggiò di un passo e Lucien si fermò decidendo di parlargli a distanza. “Cosa ci fai qui tutto solo?”.
Piangeva. Piangeva e nascondeva il viso nella sciarpa.
“Abiti in città lassù?”.
Il piccolo annuì.
“Vado anche io lì”. Lucien aprì la portiera e il bambino accettò l’invito salendo sul sedile posteriore non senza un certo timore.
Lucien risalì in macchina, accese il riscaldamento perché il bambino si scaldasse quindi gli regalò un sorriso nello specchietto, aveva la finestrella tra i denti. Continuarono a non parlare, che gli si fosse congelata la lingua? Lucien lasciò perdere, lo avrebbe portato in città, a quel punto avrebbero trovato la strada di casa. D’altronde, era il primo ad apprezzare il silenzio. Di solito i bambini erano così rumorosi, almeno i suoi nipoti. Da quanto tempo si trovava nella neve lì da solo? Preferì non pensarci e gli passò una barretta energetica che si era portato per il viaggio. Il bambino mangiò di gusto sporcandosi la bocca e il mento di cioccolato.
Proseguirono così per mezz’ora, quando vide il volto del bambino assumere un colorito biancastro. “Hai ancora fame?”.
Il piccolo scosse la testa e si portò una mano alla bocca.
Oh, no! Non vomitare in macchina! Doveva essere colpa dei tornanti che si susseguivano sempre più frequenti e ripidi, ormai lui ci aveva fatto l’abitudine ma ricordava che le prime volte – quando andava in montagna con i genitori – aveva lasciato la merenda sui tappetini della macchina del padre. Decise di accostare e sedersi accanto al bambino, lasciando aperta la portiera. Lo prese tra le braccia, sentendo la pancia brontolare rimescolando i liquidi acidi. “Scendi un momento, starai meglio”.
Il bambino lo guardò impaurito.
“No, non ti lascio qui. Devi solo sentire la terra ferma. Vieni. Scendo anche io insieme a te”.
Lo tenne per mano aiutandolo a saltare il gradino del SUV. Si inginocchiò per allacciargli la giacca e sistemargli il berretto. Il piccolo sembrò calmarsi.
“Ehi, voi! Tutto bene?”.
Lucien si girò: dall’altra parte della strada c’era un ragazzo accanto a una piccola motoslitta. Gli fece il segno di OK con il pollice, ma lui si avvicinò lo stesso. Era imbacuccato quanto il piccolo, ma i lunghi capelli neri sfuggivano dalla sciarpa.
“Sta poco bene?”.
“Ci penso io”, lo liquidò Lucien.
“Ehi, qui ci aiutiamo tutti”.
“Lo conosci?”.
“Perché, ora serve conoscere qualcuno per aiutarlo?”. Quindi porse al bambino un braccialetto antinausea blu, con un piccolo cerchio bianco nel mezzo.
“Intendevo… Anche tu abiti in città?”.
“E dove altro vuoi che viva? Nei boschi?”.
“Be’, io ho trovato questo bambino in strada e lo sto portando in cima”.
“Vedi che lo aiuti senza conoscerlo?”.
“Ma è un bambino!”.
Il ragazzo si fermò a guardarlo. “Forse mi potresti essere d’aiuto”.
“Come?”.  Perché?
Il ragazzo gli spiegò che non riusciva a far ripartire la motoslitta. Lucien lasciò il bambino in macchina e provò ad aggiustare il veicolo di quel ragazzo, ma non c’era molto da fare e poi non era un meccanico anche se durante l’adolescenza era stato appassionato di motori.
“Ascolta, anche io sto andando in città. Se non è di troppo disturbo…”.
“D’accordo, aiutami a caricare questa cosa sul pick-up”.
Dopo una manciata di minuti, Lucien riprese a guidare con i due ragazzi sui sedili posteriori. Ancora, non riuscì a estorcere il nome del nuovo arrivato che invece riusciva a far parlare il bambino. Lucien apprese che i cugini del piccolo – invece di prendersi cura di lui come avrebbero dovuto fare quella sera – erano scesi in valle a divertirsi e lo avevano scaricato in strada altrimenti non ci sarebbe stato posto per le ragazze che avevano rimorchiato.
Lucien strinse il volante nei pugni, la cicatrice che suo cugino gli aveva procurato quando erano bambini ricominciò a pulsare sulla schiena.
Allora capì.
Uscito dagli ultimi tornanti si ritrovò il cuore in gola e un vecchio sul ciglio della strada. Si accostò e sbloccò la portiera per farlo entrare.
“Ce ne hai messo di tempo, giovanotto”.
“Mai quanto me ne manca ancora per diventare te”.
 
I Monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi.
Johann Wolfgang von Goethe
   
 
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