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Autore: edoardo811    07/03/2018    1 recensioni
Un lungo viaggio da fare, un ignoto passato completamente da scoprire, un intero mondo da salvare.
La vita di Rachel è caduta a pezzi di fronte ai suoi stessi occhi, prima che lei potesse anche solo rendersene conto. Ma dietro ad una ragazza abbandonata, tradita, distrutta, si cela in realtà ciò che probabilmente è l’unica speranza di salvezza dell’intero genere umano. Perché lei non è una ragazza come le altre: lei è una conduit. Un demone, agli occhi dei più, un’eroina agli occhi dei meno.
In compagnia dei suoi nuovi amici, la giovane sarà costretta a dover agire al più presto, in una vera e propria corsa contro il tempo, prima che tutto ciò che con tanta fatica e sacrifici è riuscita a riconquistare venga spazzato via ancora una volta.
Ma essere dei conduit non è facile e lei, nonostante abbia raggiunto una consapevolezza del tutto nuova di sé, presto sarà costretta a scoprirlo.
Perché per raggiungere il controllo ci vuole tempo, tenacia, dedizione.
Per perderlo, invece, basta un attimo.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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Capitolo 13: UNA NUOVA MANSIONE

 

 

Dolore. Nient’altro che dolore. Il lento trascinarsi di peso lungo la strada su delle gambe ormai incapaci di sostenere nemmeno il proprio stesso peso era un autentico tormento. Un immenso stradone avvolto nel buio della notte si stanziava di fronte a loro, circondato dalla vegetazione e decorato da lampioni e veicoli abbandonati o distrutti, in un luogo che lei non conosceva, molto probabilmente, tuttavia, fuori da Sub City. Quanto lontano dalla città, tuttavia, era un mistero. Nessuno si trovava in giro, l’unico presente era lui, la mente dietro la mente, l’unico, vero, burattinaio.

Dominick.

Il ragazzo avanzava lentamente, ogni passo era una fitta di dolore allucinante, il respiro era debole, stanco, i muscoli delle gambe erano come atrofizzati. La sua mente, invece, era un turbinio confuso di volti e nomi.

Il castano stava pensando. Pensava alla moglie, al figlio perduto, al suo deceduto migliore amico, pensava a tutto ciò che aveva fatto, causato, il male di cui lui stesso era stato portatore. Il mostro che era diventato.

Il dolore fisico e mentale lo stavano consumando, si sentiva male, malissimo, male come mai lo era stato in vita sua. Solamente in quel momento riusciva a capire come i suoi poteri lo avessero ingannato per tutto quel tempo. Con loro si era sentito forte, imbattibile, insuperabile, bene come non mai, ma quella era sempre e solo stata una visione distorta della realtà. Era stato corrotto da essi. Era stato usato da loro, quando in realtà credeva di essere lui ad avere il vero comando. Ed ora ne pagava le conseguenze. Ora erano tutti andati, non c’era più nessuno, era solo, completamente solo.

Dopo aver sepolto il corpo di Kevin aveva proseguito per la sua strada solitaria, stanco, spossato e con le ossa doloranti dopo lo scontro con Rachel, senza una meta, un’idea ben precisa su cosa fare o dove andare. Semplicemente, camminava. E ora, a distanza di giorni, forse settimane, nulla era cambiato. Non aveva idea di dove fosse finito, sapeva solo che quella città era messa davvero male.

«Vai da qualche parte, Dominick?» Una voce ruppe il silenzio all’improvviso, distruggendo le mura invisibili che l’ex conduit aveva creato attorno a sé per immergersi nei propri pensieri. Una voce bassa, profonda, quasi suadente, ma allo stesso tempo dura e fredda come il marmo.

Il castano si voltò, sorpreso, per poi ritrovarsi di fronte un uomo. Questo aveva i capelli lunghi, neri, il volto glabro, di una bellezza glaciale, ed aveva indosso un completo blu elegante. Dom non lo aveva mai visto prima.

«Mi domando cosa tu possa fare ora, nelle condizioni in cui sei ridotto e, soprattutto, considerando il fatto che non ti rimane nessun posto dove andare» proseguì l’individuo misterioso, avvicinandosi a lui camminando con una postura perfettamente eretta ed osservandolo dall’alto, con una confidenza di sé stesso che Rachel sapeva appartenere solamente ad una determinata categoria di individui: quelli da evitare ad ogni costo.

«Chi... chi diavolo sei?!» rantolò il castano, facendo un passo indietro contro la sua volontà. Ebbe una sensazione di dèjà vu. Era così che si era sentito Hank quando si era ritrovato di fronte due pazzi sconosciuti dall’aria poco raccomandabile? Se sì, allora sia lui che Kev erano stati proprio due autentici bastardi. Anzi, solo lui. Kevin non aveva mai voluto fare davvero ciò che aveva fatto.

«Una persona che non ha mai apprezzato particolarmente il tuo comportamento.» L’uomo si fermò, incrociando le braccia e squadrandolo con quella sua aria di superiorità irritante ed inquietante al tempo stesso. «Non ho mai gradito il tuo voler diventare sempre più forte, la tua sete di potere così eccessiva, il tuo desiderio di elevarti sopra tutti gli altri conduit per poter diventare il conduit, e, soprattutto, non mi è mai piaciuto come tu abbia anche solo osato pensare di poterti paragonare ad un dio.» L’individuo misterioso sollevò l’indice, per poi puntarglielo con fare accusatorio. «Tu, caro Dominick, sei quanto ci sia di più lontano possibile dall’essere un dio. Il fatto che una ragazzina completamente ignara di cosa i suoi poteri siano davvero in grado di fare ti abbia battuto parla già di per sé. Nessuno dovrebbe peccare di superbia in questo modo, soprattutto uno come te, un conduit difettoso, che nemmeno possiede dei poteri propri ma, anzi, è costretto a rubare quelli degli altri. Tu mi disgusti, Dominick.»

«Ti sbagli» sibilò Dom, stringendo i pugni. «Copiare era il mio potere. Non ero difettoso, ero unico. E se solo avessi ancora tutti i miei poteri te lo avrei dimostrato già dal momento stesso in cui hai aperto quella dannata fogna che hai al posto della bocca!»

Non credeva che avrebbe mai più rimpianto i propri poteri, soprattutto in un momento come quello, ma pur di vedere quel maledetto tizio inquietante tacere avrebbe fatto quello ed altro. L’ultima cosa di cui aveva bisogno, era uno stronzo altezzoso che gli faceva la predica per quanto lui stesso fosse stato altezzoso. Il toro che dava del cornuto all’asino, in poche parole.

«Dici bene: se solo avessi. Vedi, Dom, per tutto questo tempo hai cercato di essere tu il conduit. Ma c’è un problema: non puoi ricoprire la carica che già qualcun altro…» l’individuo si indicò. «… sta già ricoprendo.»

Dom dischiuse le labbra, mentre la realtà appariva finalmente nitida di fronte a i suoi occhi. Quell’uomo… quell’uomo di fronte a lui… era… era davvero…

Il castano strinse i pugni e serrò la mascella. «Tu…» sussurrò, percependo la propria collera aumentare a dismisura. «Sei… sei stato tu…»

La sua vita riapparve di fronte ai suoi occhi. Sua madre ammalata in un lettino d’ospedale, suo padre che se ne andava di casa, la polizia che lo inseguiva, lui e Kevin che si leccavano le ferite mentre si spartivano un magro malloppo, la ragazza di cui si era innamorato e che aveva poi sposato, cambiandogli la vita, il loro bambino, la sua famiglia, quello che aveva creduto fosse un nuovo inizio per tutti loro. E poi… quell’enorme cratere. Le fiamme, gli elicotteri, le sirene e… il corpo di Rick stretto tra le sue braccia.

«Tu mi hai portato via tutto!» urlò, per poi correre verso di lui, ignorando il dolore, la stanchezza, tutto quello che avrebbe potuto frenare la sua corsa. A stento si era retto in piedi fino a quel momento, ma di fronte a lui, di fronte a quel bastardo, niente e nessuno avrebbero potuto fermarlo. Sollevò una mano, pronto a sfondare il cranio di quell’uomo con le nocche. «Mi hai rovinato la vita, BASTARDO!»

Improvvisamente, senti una terribile sensazione di freddo all’addome. Si fermò di colpo, il pugno distante pochi centimetri dal volto di quell’individuo, che sorrideva quasi divertito. «No, Dom, io non c’entro niente. Hai fatto tutto da solo.»

Il castano crollò in ginocchio, con un gemito. Di fronte a lui, l’uomo rise. Dominick batté le palpebre, con il respiro sempre più pesante. «Che… che diavolo mi hai fatto?!» rantolò, percependo la propria maglietta iniziare ad inumidirsi all’altezza del petto. Abbassò lo sguardo, per poi notare come fosse oramai zuppa di sangue. Un verso sconnesso fuoriuscì dalle sue labbra.

«Non ho bisogno di muovere nemmeno un dito per sbarazzarmi di un moscerino come te» proseguì l’individuo in piedi.

Dominick sollevò di nuovo lo sguardo. Ora il sangue colava anche dalla sua bocca. Tutta l’energia donatagli dall’adrenalina poco prima era svanita ed anzi, si sentiva perfino peggio di prima. Poteva tranquillamente percepire la propria vita abbandonare il suo corpo man mano che i secondi passavano. Faceva freddo, tanto freddo. Era così che si erano sentite le sue vittime?

«Avrei quasi potuto risparmiarti, comunque. Nonostante tu fossi difettoso, saresti stato un fantoccio perfetto nelle mie mani, ma purtroppo per te, ho trovato il tuo rimpiazzo ideale. Addio, Dominick. Se ti può consolare, non avresti mai avuto alcuna speranza contro di me.»

Il castano sentì solamente un terzo di quelle parole. Il suo udito era ovattato, e la sua vista offuscata. Oramai faticava perfino a capire se quella era tutta un’illusione, oppure la crudele realtà. Chiuse gli occhi, dato che ormai faticava perfino a tenere sollevate le palpebre. Non appena le riaprì, di fronte a lui non c’era più nessuno. Il ragazzo boccheggiò, sorpreso, anche se la sua preoccupazione più grande, in quel momento, era un’altra.

Il sangue continuava ad uscire dalla ferita, il dolore era insopportabile e non aveva alcuna forza per potersi rialzare. Era davvero quella, dunque, la sensazione che aveva inflitto alle persone che aveva eliminato durante la sua folle caccia ai poteri?

«Tu mi hai… portato via tutto…» sussurrò, al vuoto. Dopodiché cadde in ginocchio.

Kevin aveva ragione. Rachel aveva ragione. Tutti quanti avevano ragione. Era diventato un mostro, ma alla fine aveva fatto la fine che meritava di fare. Se quella era davvero la conclusione dei suoi giorni, era felice di potersene andare sapendo di essere stato fermato in tempo da Rachel, prima di diventare un genocida. Era rimasto coinvolto in quel circolo malato dei poteri, dei conduit e delle esplosioni per fin troppo tempo, e da una parte era felice di poterne finalmente uscire.

Dall’altra, tuttavia, era costretto a mangiare giù un boccone molto amaro.

Hester.

Non sarebbe mai più riuscito a rivederla. Ma anche se fosse sopravvissuto, dubitava che avrebbe mai trovato il coraggio di tornare da lei, dopo quello che era successo tra loro. Se solo non avesse mai perso la testa per i poteri… avrebbe potuto proteggerla, avrebbero potuto continuare a rimanere insieme, forse… forse avrebbero perfino potuto costruirsi una nuova vita, insieme. Invece lui aveva mandato tutto a puttane, come al solito. 

Ed ora che era a conoscenza del fatto che quel porco che lo aveva appena ridotto in fin di vita fosse in circolazione, ora che sapeva che avrebbe potuto arrivare a lei, le cose non facevano altro che peggiorare.

Col senno di poi, sapeva che contro di lui non aveva mai avuto una vera chance. Solamente incontrandolo, aveva realizzato quanto abissale fosse la loro differenza, e nemmeno tutti i poteri esistenti sul pianeta combinati sarebbero riusciti a renderlo più forte, o anche solo al suo livello. Dopo quanto appena accaduto, dubitava seriamente che ci sarebbe mai stato qualcuno in grado di fermarlo. La cosa lo lasciava in preda allo sconforto totale, ma oramai lui non poteva fare più niente. Era un uomo spezzato, senza più valori, senza più dignità, senza più nulla. Tutto quanto gli era stato strappato via, e quel poco che ancora poteva essergli rimasto ora era in pericolo. Non poteva far altro che sperare che qualcun altro riuscisse in ciò in cui lui aveva fallito miseramente: diventare più forte del Soggetto Zero.

E se doveva pensare a qualcuno che aveva una possibilità di riuscire in questo, quel qualcuno era la stessa persona che lo aveva sconfitto, ossia Rachel.

I suoi ultimi pensieri andarono a lei. A quella giovane donna piena di forza di volontà, di coraggio, dal cuore d’oro. Lui aveva fallito, ma sapeva che, invece, lei non lo avrebbe fatto. Se solo avesse potuto, glielo avrebbe detto di persona, ma ormai era troppo tardi.

Lei era l’unica che aveva una possibilità, e Dom sperò che riuscisse a sfruttarla. Per Hester, per tutto il paese, per l’intera razza umana. 

Dominick digrignò i denti. «Uccidilo… Rachel… uccidi quel bastardo…»

Il ragazzo crollò a terra con un gemito. Quello fu l’ultimo suono che fuoriuscì dalle sue labbra.

 

***

 

Rachel riaprì gli occhi di scatto, soffocando un grido all’ultimo istante. Una luce bianca accecante la costrinse ad assottigliare le palpebre brevemente, mentre gocce di sudore le imperlavano la fronte e le sue mani stringevano con forza una ruvida coperta.

La ragazza chinò il capo, inspirando ed espirando rumorosamente, massaggiandoselo. Cos’era successo? Dove si trovava?

Si guardò attorno, confusa. La luce bianca che l’aveva abbagliata altro non era che il colore delle pareti della stanza in cui si trovava. L’odore di pulito e di disinfettante, più il suo giaciglio scomodo come un letto di spine e la tenda che lo circondava da un lato le fece capire di trovarsi in una stanza d’ospedale. Ma come c’era finita lì?

L’ultima cosa che ricordava era… la strada. E il suo scontro con il conduit bianco. E la gente che la osservava sconvolta, tra cui Artemis. Era stata lei a portarla in quel luogo?

La testa le faceva un male terribile, dopo quello a cui aveva appena assistito, poi, avrebbe di gran lunga preferito sbatterla direttamente contro una parete per poi crollare di nuovo, sicuramente il dolore sarebbe stato alleviato.

Dominick… era morto. Era stato ucciso… dal Soggetto Zero. Rachel sentì la propria pelle accapponarsi. Mai aveva pensato che lo avrebbe visto di persona. Certo, lei non era stata davvero lì, ma era praticamente come se lo fosse. Aveva sperato fino all’ultimo che fosse davvero sparito dalla circolazione, ma in cuor suo l’aveva sempre saputo che, prima o poi, si sarebbe fatto vivo. E a giudicare dalle sue parole, era come se lui fosse sempre stato presente. Conosceva Dominick, conosceva ciò che l’ex conduit copiatore aveva fatto ed era abbastanza sicura che conoscesse anche lei, nonostante non fosse stata menzionata per nome.

Non voleva mentire, la cosa la spaventava, e non poco. Dominick era stato annientato. Certo, non aveva i poteri per difendersi, ma lo stesso castano aveva affermato di non avere chance contro di lui, con o senza di essi. Secondo lui, l’unica ad avere una possibilità era lei. E la cosa, anziché rassicurarla, aveva l’effetto contrario. Sentì il peso delle responsabilità schiacciarla come un camion. Che cosa avrebbe fatto se il Soggetto Zero fosse arrivato lì nella comunità? Sarebbe riuscita a fermarlo? Quei pensieri non le avrebbero più dato tregua, ne era certa.

E per finire… Hester. Ecco dove l’aveva già sentita. Era la compagna di Dominick, quella che aveva accennato Kevin, la madre di Rick… e anche di Zoey, la quale probabilmente aveva dovuto trovarsi nel grembo della fiorista un mese o poco più prima delle esplosioni. Oltre ad Artemis, ora avrebbe dovuto informare anche lei. Non era obbligata a farlo, certo, però… non voleva disonorare le memorie di Dom in quel modo, che oltretutto era spirato senza nemmeno sapere di essere diventato padre di un’altra splendida creatura. Aveva sentito il suo dolore, aveva capito di aver sbagliato, aveva capito di essersi comportato in maniera scorretta e si era pentito, aveva chiesto scusa ed aveva accettato le conseguenze delle sue azioni. E Rachel non poteva che ammirarlo per questo.

Un rumore improvviso proveniente alla sua destra la fece voltare di scatto. Vide la tenda spostarsi lentamente, permettendole di scorgere l’uomo che si trovava dietro di essa. «Ah, sei sveglia» osservò, con un sorriso. La tenda venne spostata del tutto, permettendole di accorgersi che quello che all’inizio le era parso un dottore altro non era che un altro paziente, a sua volta sdraiato nel suo lettino.

Un uomo che doveva essere sulla trentina, con i capelli lunghi e una corta e curata barba. Indossava una canottiera nera, che lasciava scoperte le braccia notevolmente muscolose, più una vistosa fasciatura che doveva coprirgli l’intero petto.

«Ehm…» iniziò lei, confusa. «Sì…»

«Eri messa piuttosto male l’altra sera» proseguì lui, sistemandosi meglio contro lo schienale del lettino. «Non vedevo Artemis così preoccupata per qualcuno da molto tempo. E dopo quello che mi ha raccontato, posso comprenderla benissimo. Ci hai reso un grande favore ieri sera, te ne sono grato.»

Più l’uomo parlava, più la corvina non ci capiva niente. «As-Apetta… Artemis mi ha portata qui?»

«Sì. Mi ha detto che sei stata tu a scacciare lo Yatagarasu.»

«Chi?!»

Il suo interlocutore piegò in capo, quasi in un cenno di scuse. «Giusto, tu non lo sai. È il nome che abbiamo dato a quel conduit, lo Yatagarasu. Lo so, non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro, però ci sembrava un bel nome.»

«Oh…» mormorò Rachel, annuendo lentamente.

«In ogni caso, hai fatto un ottimo lavoro. È bello poter finalmente conoscere una conduit che difende i più deboli, anziché attaccarli senza motivo. Siete una specie più unica che rara. A proposito.» L’uomo sollevò la mano, frapponendola tra loro. «Io sono il capitano Allen. Lieto di conoscerti.»

Non appena udì il suo nome, la giovane spalancò gli occhi. Ecco, dunque, chi era questo Allen che in più di un’occasione era stato nominato. E questo spiegava anche perché aveva parlato al plurale quando aveva detto di doverle un favore, anche lui faceva parte del corpo di sicurezza. La ragazza abbozzò un sorriso, per poi stringere la mano. «Il piacere è tutto mio. Io sono Rachel.»

«La figlia di Angela, giusto?» domandò ancora l’uomo.

«Sì, io…» Rachel si interruppe, sgranando gli occhi. Si era totalmente dimenticata di sua madre. Chissà che cosa aveva pensato quando aveva scoperto che sua figlia era una conduit, e chissà come aveva reagito quando aveva scoperto che era finita in ospedale, reduce da un combattimento furibondo con un altro conduit. Il tutto, naturalmente, la stessa sera in cui l’aveva lasciata uscire convinta che si sarebbe semplicemente divertita insieme ai propri amici. Sicuramente Arella aveva fatto i salti di gioia quando Artemis, o chissà quale soldato, era andata ad informarla dell’accaduto.

«Era qui qualche minuto fa’» disse Allen, interrompendo i suoi pensieri. «Ma è andata a prendersi un caffè. Peccato che si sia persa il tuo risveglio, è rimasta con te per tutto il tempo. Era molto preoccupata.»

«Preoccupata?» Rachel sentì lo stomaco alleggerirsi. Inoltre… era rincuorante sapere che sua madre era rimasta con lei. Sì, era molto bello riavere una madre.

«Preoccupata, sorpresa, arrabbiata perché non glielo avevi detto e… orgogliosa» concluse l’uomo, con un sorriso. «Molto orgogliosa di sapere che la sua bambina era un’eroina.»

Il sollievo svanì ben presto dal corpo di Rachel, che sentì le guance pizzicare. «Ha… ha detto così? La sua… "bambina"?»

Allen ridacchiò. «La cosa ti turba?»

«Molto» mugugnò lei, strappandogli una risata più grossa, e anche contagiosa, perché la ragazza si ritrovò suo malgrado a sorridere.

Allen si sistemò meglio sul suo lettino, per poi sospirare profondamente, questa volta, con un moto di amarezza nello sguardo. «Sii solamente felice per averla ritrovata. Voi due siete molto fortunate…»  credimi.»

«Lo so» rispose Rachel, intuendo che per lui, invece, le cose non fossero andate altrettanto bene, e pertanto preferendo aggirare quella questione.

«In ogni caso, la voce su di te si è espansa in fretta» proseguì Allen, con lo sguardo smarrito di fronte a sé. «Hai perfino fatto scomodare il sindaco. Ha convocato tutti i suoi sottoposti, i due ufficiali e tutti i capitani eccetto me, visto che per un po’ da qui non posso ancora muovermi. Sono ore che stanno discutendo su cosa farne di te. Roy, Mary, Simon e Konstantin non hanno nemmeno avuto il tempo di farsi medicare in maniera adeguata, quando sono tornati dalla loro ultima missione. Non vedevo tutto questo movimento al municipio da mesi. Ci hai… dato una bella gatta da pelare, devo essere sincero.»

«In… in che senso stanno discutendo su di me?» domandò Rachel, perplessa.

«Devono decidere cosa fare, di te.»

Quella frase le fece accapponare la pelle. Sapere che il suo destino sarebbe dipeso da qualcun’altro, sapere che avrebbe potuta essere separata dai propri amici e da sua madre, o peggio, far finire pure loro nei guai, era insopportabile.  

«Ma cosa c’è da decidere?!» domandò, alzando la voce senza nemmeno rendersene conto. «Se non fosse stato per me quel conduit avrebbe raso al suolo tutto quanto! Dovrebbero essermi grata per ciò che ho fatto, non mettersi a sparlare di me su dio solo sa cosa!»

«Calmati» asserì Allen, tornando a guardarla, serio in volto. Un’espressione totalmente diversa rispetto a quella a cui lui l’aveva abituata. «Questo temperamento sicuramente non gioverà alla tua causa. È vero, hai reso un grande servigio alla comunità, ma i conduit non hanno una bella fama, le persone sono spaventate da loro. Purtroppo, è una situazione delicata, questa. Ma se vuoi il mio parere, nulla ti accadrà, anzi.» Il capitano incrociò le braccia, abbozzando un altro sorriso. «Secondo me, ti chiederanno di unirti al nostro corpo di sicurezza. Una conduit come te può sicuramente tornarci comodo, anche se prima dovremo accertarci che tu non costituisca un pericolo, ma sconfiggendo lo Yatagarasu sicuramente ti sei già guadagnata un bel po’ di punti.»

Dopo quelle parole, la giovane riuscì a rasserenarsi un minimo. Rachel sospirò, sprofondando di nuovo sul lettino. «Scusami. È che… ho troppe cose per la mente…»

«Non preoccuparti» sorrise Allen, per gemere di dolore. «Ah, dannazione…» borbottò, sfiorandosi il petto fasciato, evitando di toccarlo direttamente, probabilmente perché faceva troppo male per farlo.

Osservandolo, la ragazza piegò il capo. «Che ti è successo?»

Il capitano fece una smorfia. «Due Corrotti. Uno l’ho mandato a dormire, con il collo girato al contrario, l’altro mi ha trafitto al petto. Sono sopravvissuto per miracolo. Come se non bastasse, la ferita si è infettata e non ne vuole sapere di richiudersi. Mi fa male ogni volta che provo a muovermi e l’unica cosa che posso fare è rimanere qui a farmi imbottire di morfina…»

Rachel annuì, osservando le bende sul suo petto come in trance. Aprì e chiuse la mano un paio di volte, pensierosa. La ragazza si sedette sul bordo del letto. L’uomo, accorgendosi del suo sguardo, sollevò un sopracciglio. «Che ti prende?»

«Fidati di me» rispose lei, alzandosi in piedi. Per un attimo le sue gambe quasi la tradirono, facendola cadere a terra, ma riuscì a mantenere l’equilibrio. Chissà per quanto tempo era rimasta sdraiata in quel letto. A giudicare dalla fatica con cui si reggeva in piedi, dovevano essere passate almeno dodici ore.

«Cosa vuoi far…» Allen si interruppe, con un gemito, quando Rachel posò con delicatezza il palmo della mano sul suo petto. L’energia nera si liberò da esso, avvolgendo le fasciature sul corpo del capitano, che rimase a bocca aperta. «Ma… ma cosa…»

All’inizio sembrò spaventato, ma quando i poteri curativi della giovane iniziarono a fare effetto, nel giro di poco tempo l’uomo si ritrovò a chiudere gli occhi, per poi sospirare di sollievo. Quando Rachel terminò il suo lavoro, allontanò la mano, con un po’ di fiatone. Forse aveva usato i suoi potei troppo presto, si era appena risvegliata del resto, ma non voleva più vedere Allen soffrire per il dolore di fronte a lei. E quando questi si rese conto di ciò che era appena successo, schiuse le labbra. Si mise a sedere sul letto, per poi toccarsi il petto, dapprima con incertezza, poi sempre con più sicurezza. Non appena capì di non provare più dolore, si voltò verso di lei. «Come hai fatto?»

«I miei poteri» spiegò lei, tornando a sedersi sul suo letto, con la testa che le girava leggermente. «Posso usarli per guarire quasi tutte le ferite… non tutte però. Inoltre, più la ferita è grave, più è difficile per...»

Si interruppe, quando l’uomo saltò giù dal letto con un colpo di reni, atterrando perfettamente in piedi e mostrando un’agilità impressionante. «Accidenti, è bello potersi muovere di nuovo!» esclamò, per poi voltarsi verso di lei. «Grazie Rachel.»

La giovane abbozzò un sorriso. «Prego.»

Allen si tolse la canottiera, per poi cominciare a togliersi le fasce attorno al suo petto. La ragazza spalancò inevitabilmente gli occhi osservando il suo fisico. Quanto l’uomo rimosse tutte le bende, si osservò il petto completamente liscio ed integro. «Incredibile…» sussurrò, sfiorandosi il punto in cui, probabilmente, prima si doveva essere trovata una grossa ferita. Mentre lo guardava, la ragazza notò diversi tatuaggi sul suo fianco. Le lettere "AJ", con sotto riportate diversi numeri, che sembravano delle date. Rachel sollevò un sopracciglio, incuriosita, ma l’uomo si rimise la canottiera, coprendoli.

La ragazza fece per parlare di nuovo, ma la porta della stanza si spalancò di colpo, facendola voltare. Vide Angela sull’ingresso, con un bicchiere di caffè in mano, sgranare gli occhi. «Rachel!» Entrò nella stanza di corsa, avvicinandosi a lei e posandole una mano sulla fronte, per chissà quale motivo. «Stai bene?»

«Ehm… sì… perché mi tocchi la fronte, non ho la febbr…»

«Mi hai terrorizzata!» esclamò Arella, interrompendola brutalmente. «Hai idea di cosa significhi essere svegliati nel cuore della notte da un soldato che viene a dirti che tua figlia è finita all’ospedale, dopo aver combattuto contro un conduit gigante per giunta?!»

Rachel sentì le guance colorarsi per l’imbarazzo, sia per la sceneggiata che Angela stava facendo, sia perché, del resto, aveva ragione. «Mi dispiace» mormorò la ragazza, abbassando lo sguardo. «Non volevo che tu lo scoprissi in questo modo che ero una conduit…»

Angela sospirò, sedendosi accanto a lei. «Non devi preoccuparti. Non mi importa se sei una conduit, tu rimani sempre mia figlia.  È solo che… ho temuto per la tua vita. Ci… ci siamo appena ritrovate e…»

Rachel le posò una mano sulla spalla, per rincuorarla. La donna si voltò verso di lei. Solo in quel momento Corvina notò le sue occhiaie e il suo sguardo tremendamente stanco. Sicuramente aveva passato la notte in bianco, solo per lei. La giovane si sentì tremendamente in colpa. Senza dire nulla, abbracciò la donna, affondando il volto sulla sua spalla. «Non accadrà più, te lo prometto.»

«Non devi farmi promesse, Rachel» rispose Arella, ricambiando con forza l’abbraccio. «Ciò che hai fatto è stato comunque incredibile. Hai salvato molte persone innocenti, ieri sera, e per questo non potrei essere più fiera di te. È solo che… ho avuto paura di perderti di nuovo.» Angela ridacchiò, accarezzandole i capelli. «Non preoccuparti, non sono arrabbiata con te. Non potrei mai esserlo.»

Corvina annuì, riuscendo a tranquillizzarsi. «E… dove sono Lucas e le ragazze?»

Angela sospirò. «Avrebbero voluto venire anche loro a controllare come stavi, ma purtroppo non glielo hanno permesso. Lucas era molto arrabbiato, ma ha comunque accettato la cosa, anche per non creare problemi. Loro sono tornati a casa, a me, invece, hanno permesso rimanere con te, visto che sono tua madre. Ti hanno perfino ricoverata qui, nell’ala riservata ai militari, per ragioni di sicurezza.»

Il pensiero di Rosso preoccupato per lei fece avvampare la giovane, che tuttavia apprezzò il suo desistere. Siccome era già segnato come potenziale problema, l’ultima cosa che voleva era che si cacciasse nei guai solo per lei.

«A proposito, hai conosciuto…» Angela si interruppe, quando si accorse di Allen, sorridente, appoggiato contro la finestra al fondo della stanza. La donna spalancò la bocca. «Allen! Ma… che ci fai in piedi?»

«Tua figlia è speciale, Angela» replicò lui, allargando il sorriso.

Arella osservò prima lui, poi la corvina, cominciando a mettere insieme i pezzi. «Lo hai… lo hai guarito?!» domandò, atterrita.

«Direi che mi ha perfino "migliorato"» rispose il soldato, allontanandosi dalla finestra. «Non credo di essermi mai sentito meglio.»

Rachel distolse lo sguardo, sentendosi quasi in imbarazzo. «Non ho fatto nulla di speciale…»

«A parte curarmi da una ferita da cui rischiavo di non riprendermi?»  domandò lui, incrociando le braccia.

«Rachel… questo è fantastico!» esclamò Angela, stringendola per le spalle. «Non credevo che i conduit potessero fare una cosa simile!»

«Beh… non tutti possono» spiegò lei, venendo stretta con ancora più forza dalla madre di conseguenza.

«Ma allora Allen ha ragione! Sei davvero unica!» strillò lei, letteralmente, facendola sentire dieci volte più in imbarazzo.

«Mamma, per favore…»

«Scusa, scusa» mugugnò lei, ma con un sorrisetto sulle labbra.

«Faremo meglio a chiamare i dottori, dire che ti sei ripresa» proseguì Allen, voltandosi verso la porta. «Se permettete, ci penso io. Ho bisogno di sgranchirmi le gambe…»

L’uomo uscì dalla stanza, seguito con lo sguardo dalle due donne. Tuttavia, non appena si rese conto di come Angela lo stesse guardando, alla ragazza venne da ridacchiare. «È troppo giovane per te, mamma.»

«Cosa?!» squittì lei, voltandosi di colpo, diventando paonazza. «M-Ma che stai dicendo?!»

«Non fare la finta tonta, lo stavi guardando come io guardavo la mia prima cottarella al liceo…»

«Non è vero!»

Rachel roteò gli occhi, con un sorrisetto divertito. «Certo. Come no.»

Arella fece un’espressione da bambina offesa, per nulla adatta ad una come lei. Distolse lo sguardo, impettita. «Razza di screanzata, guarda che lui ha più di quarant’anni!»

«Appunto. Troppo giovane per te.»

«Tu vuoi ancora avere un tetto sulla testa, giusto?» la minacciò la donna, con un filo di voce, osservandola con sguardo glaciale. Notandolo, Rachel realizzò da chi li aveva ereditati.

«Ok, ok, la smetto» borbottò la corvina, nascondendo un sorrisetto divertito, per poi lanciarle un’occhiatina maliziosa. «Anche se prima l’ho visto senza canottiera…»

«Com’è?» scattò subito Arella, strappandole un’altra risatina. «Aveva la V?»

Rachel si sdraiò sul letto, questa volta tappandosi la bocca e soffocando all’ultimo una risata ancora più grossa.

«Ehi! Smettila! È una cosa seria questa!»

La giovane la ignorò. Non credeva che avrebbe mai potuto trovare così divertente una stupidaggine come quella, come non credeva che sarebbe mai riuscita a ridere il quel modo con qualcuno che non fossero i suoi amici, ma stava succedendo e lei non poteva essere più felice.

«Questa è la prima volta che ti sento ridere, sai?» domandò infine Angela, arrendendosi, con un sorriso.

Rachel si tirò di nuovo su, calmandosi, ora con un sorriso imbarazzato. «Beh… è bello riavere una madre da far disperare.»

«Ed è bello riavere una figlia per cui disperarsi.»

Questa volta, entrambe ridacchiarono. Il silenzio scese tra loro, e la ragazza si sdraiò nuovamente, immergendosi nei propri pensieri. Ancora non aveva smesso di pensare alla sua visione. Aveva così tante cose per la testa… si sorprendeva di non essere ancora impazzita, davvero.

La porta si spalancò di nuovo di colpo, costringendola a rialzarsi. Si voltò, per poi rivedere Allen. «Indovinate un po’ chi ho trovato» affermò, per poi entrare nella stanza, seguito non da un dottore, bensì da Roy Harper. Il rosso entrò nella stanza, per poi posare lo sguardo su Rachel. La ragazza poté notare immediatamente i diversi graffi di cui il volto era ricoperto. «Vedo che sei piena di sorprese» commentò l’ufficiale, incrociando le braccia, mentre accennava con il capo ad Allen e, probabilmente, alla sua miracolosa guarigione. Rachel non riuscì a decifrare il suo tono, ma non sembrava risplendere di felicità.

«Pensi di poter uscire da qui oggi stesso?» domandò ancora.

La ragazza corrucciò la fronte, perplessa. «Sì, credo di sì. Sto bene, non ho più motivo di…»

«Bene. Vieni con me allora» la interruppe lui, uscendo senza nemmeno darle il tempo di rispondere. Rachel rimase a bocca aperta. Osservò la porta, dopodiché sua madre, che sollevò le spalle, perplessa tanto quanto lei. Realizzando di non avere molta scelta, la corvina si alzò, sospirando. Fece per avviarsi verso la porta, quando Allen la trattene, posandole una mano sulla spalla.

«Ignoralo, fa sempre così» borbottò il capitano, strappandole un sorriso, per poi avviarsi a sua volta verso la porta. «Forza, andiamo. Non vedo l’ora di respirare un po’ di aria fresca…»

«Vai anche tu?» domandò Angela, sorpresa. «Ti sei appena rialzato dopo settimane…»

«Ragion per cui ho un sacco di tempo da recuperare» replicò lui, confidente, uscendo dalla stanza.

Le due osservarono la porta in silenzio per un breve momento, prima che Arella lo rompesse con un sospiro. «Se li porta proprio bene i suoi anni…»

Corvina la scrutò perplessa, per poi ridacchiare nuovamente, accompagnata da un sorriso di Angela.

 

***

 

Roy non era l’unico militare ad essere venuto a prenderla, a quanto pareva. Non appena mise piede fuori dall’ospedale, la corvina poté notare una dozzina di uomini armati, appostati contro a tre fuoristrada, ad attenderla. In un primo momento temette il peggio, pensò che fossero lì per arrestarla, o portarla via, o farle chissà che cosa, ma non appena tra di loro si districò Amalia, sorridendole sollevata, la ragazza riprese a respirare correttamente. Corvina fu lieta di sapere che anche lei, e quindi anche gli altri, stessero bene. Aveva temuto che per via della loro relazione con lei, una conduit, fossero finiti nei guai, ma fortunatamente così non era stato. E in ogni caso, l’attenzione di tutti loro non era nemmeno posata su di lei, ma su di Allen. Il capitano fu accolto quasi come un eroe dal resto dei soldati, i quali lo salutarono con strette di mano e pacche sulle spalle. Tra di loro poté perfino notare Simon, che questa volta non le rivolse alcuna occhiata ambigua, per suo enorme sollievo. Alle sue spalle, invece, Rachel poté udire Roy parlottare con Angela.

«Roth!» la salutò nel frattempo Komi, avvicinandosi a lei, tenendo una sigaretta accesa tra le dita. «Tutto ok?»

«Sì, grazie. Ma…» Rachel osservò i militari, perplessa, per poi accorgersi di come la mora fosse vestita: pantaloni grigi mimetici, maglietta dalle maniche corte nera, giubbotto antiproiettile, occhiali da sole a goccia appoggiati alla fronte e perfino un fucile a tracolla. Corvina dischiuse le labbra, osservandola. Le passò perfino di mente la domanda che stava cercando di farle poco prima.

«Roth? Ti senti bene?» domandò Amalia, notando il suo sguardo, per poi sogghignare. «Ti piace la mia tenuta da sexy soldatessa?»

«E-Eh?!» Rachel trasalì, strappando a Komi una risatina.

«Rilassati» la calmò l’altra, tornando seria. «Oggi Rosso, Tara ed io siamo andati al municipio come Harper ci aveva detto, e ci hanno assegnato le nostre mansioni. Io e Rosso siamo nel corpo di sicurezza, Tara invece farà assistenza nella scuola. Non ha detto a nessuno di essere una conduit» spiegò, a voce più bassa. «Credo che voglia mantenere il segreto ancora per un po’.»

«Oh» commentò Rachel, sorpresa di sapere che, nonostante tutto, i suoi amici fossero lo stesso andati al municipio, e che avessero trovato la loro mansione così in fretta. E poteva anche comprendere la decisione di Tara. Una sola conduit in quel gruppo era già stata più che sufficiente per attirare l’attenzione. Sinceramente, la corvina dubitava che la Markov avrebbe ancora preferito tenere i suoi poteri, dopo quel giorno, probabilmente le avrebbe chiesto di cancellarglieli alla prima occasione. «E Lucas? Lui non è qui con voi?» domandò, confusa.

«È con Artemis, in un’altra squadra» spiegò Komi, con una scrollata di spalle, per poi abbozzare un sorrisetto. «Quando scoprirà che ti ho rivista prima di lui non la prenderà bene…»

Rachel non faticava ad immaginarlo. Sinceramente, anche lei avrebbe preferito vedere prima lui, non che avesse qualcosa contro di Komi. «E perché tu e questi soldati siete qui?»

«Per prelevarti» sorrise Amalia. «Anche tu fai parte del corpo di sicurezza.»

Corvina sgranò gli occhi. «C-Cosa?!»

«Proprio così!» esclamò una terza voce. Le due ragazze si voltarono, per poi vedere Konstantin avvicinarsi a loro, stringendo tra le mani uno strano tubo grigio, di metallo. Il biondo sorrise raggiante. «Dopo la riunione di oggi, il sindaco e gli ufficiali hanno deciso di darti una possibili…»

«Non ci posso credere!» esclamò Amalia, sbalordita, osservando il tubo tra le mani del soldato. «Fumi davvero quella roba?!»

Konstantin si voltò verso di lei, in parte confuso, probabilmente per essere stato interrotto per un motivo così stupido, in parte imbarazzato perché doveva ancora essere innamorato perso di lei. «B-Beh…»

«Dà qua, hipster!» ordinò Komi, strappandogli l’aggeggio dalle mani, per poi infilarsi il suo beccuccio tra le labbra. «Devo schiacciare qui, giusto?»

«A-Aspett…»

Konstantin non riuscì a fermarla in tempo. La ragazza premette il tasto sopra il tubo ed inspirò profondamente, per poi strabuzzare gli occhi ed allontanarsi la sigaretta elettronica dalla bocca di scatto, tossendo all’impazzata, mentre una nuvola di vapore si disperdeva nell’aria. «Ma… ma che diavolo…» rantolò, senza voce, con una smorfia di dolore misto a disgusto sul volto. Sembrava quasi che stesse per vomitare.

«Ho cercato di avvisarti» borbottò il biondo, mettendosi una mano dietro la testa. «L’ho regolata al massimo…»

Komi era piegata in due, letteralmente. «Ma… ma come fai a fumare questa roba…?» sussurrò, con voce roca, per poi restituirgli il tubo. «Stavo per rimanerci…»

«Ecco, io…» Kovar sembrava imbarazzato come non mai. Come se quella fosse stata davvero colpa sua. Rachel fu costretta un’altra volta a coprirsi la bocca, o si sarebbe messa a ridere di nuovo, di fronte a quella scena.

«Come Konstantin stava dicendo…» borbottò Roy, arrivando alle sue spalle, scocciato. «… oggi verrai in missione con noi. Sarà una prova per testare le tue capacità, e per capire se possiamo davvero fidarci di te. So cosa stai pensando, hai già abbattuto lo Yatagarasu, dovrebbe bastare per farti guadagnare la nostra fiducia, ma purtroppo non funziona così, non con noi. Hai ancora parecchia strada da fare.»

Sempre gentilissimo…, pensò Rachel, tenendosi quelle parole per sé per ovvie ragioni.

«Io raggiungerò Artemis. Konstantin, vieni con me. Roth e Anderson, raggiungete quel gruppo di soldati. Il vostro superiore per questa missione vi dirà tutto quello che dovete sapere. Buona fortuna.»

«Buona fortuna» fece eco Konstantin, il quale non riuscì nemmeno ad alzare lo sguardo verso di loro.

«Sì, sì, certo…» brontolò Komi, che ancora non sembrava essersi ripresa dal fatto di poco prima.

L’ufficiale e il capitano si allontanarono.

«Vado anch’io» affermò Angela, rimasta alle loro spalle per tutto il tempo. «Stai attenta, Rachel.»

La corvina si voltò verso di lei, per poi rivolgerle un cenno di assenso del capo. «Non preoccuparti, lo farò. Ci vediamo questa sera.»

Arella sorrise. «D’accordo. A sta sera. Ah, e non fate impazzire Mary.»

Rachel sollevò un sopracciglio. Volle chiederle di più, ma una brusca voce femminile la costrinse a fermarsi: «Voi due.»

Le due ragazze si girarono di scatto, per poi ritrovarsi di fronte una donna in uniforme, alta, perfino più di Komi, slanciata, con lunghi capelli neri che le ricadevano lungo le spalle. Gli occhi erano di un azzurro glaciale, a stento visibili per via della sua disordinata frangia. Era bella, anche se non sembrava prendersi molta cura di sé.

«Ehm…» Rachel cercò di rispondere, ma venne interrotta nuovamente.

«Sei quella che ha guarito Allen» osservò la soldatessa, mentre spostava lo sguardo su di lei. Lo disse con tono ed espressione incolori, indecifrabili.

«Beh… sì» rispose Corvina, incerta. Per un momento pensò perfino che la donna non avrebbe preso bene la cosa, ma così non fu.

«In tal caso… grazie» rispose la soldatessa, incrociando le braccia. «Io sono Marianne. Sono il secondo ufficiale in carica e oggi farete parte della mia squadra.»

«Quindi saresti tu Mary?» domandò Amalia.

L’ufficiale parve incupirsi. «Odio quel nomignolo.»

«Davvero?» Komi corrucciò la fronte. «Ma allora perché ti chiamano tutti così?»

«Perché sanno che mi fa arrabbiare!» esclamò Marianne, voltandosi verso la sua squadra mentre lo diceva. Rachel vide Simon e Allen scambiarsi uno sguardo di colpevolezza, per poi voltarsi da un’altra parte e fare finta di nulla. La donna sollevò gli occhi al cielo, sospirando esasperata. «È tornato da cinque minuti e già vuole farmi ammattire.» Tornò a guardare le due ragazze. «Seguitemi.»

Le tre donne tornarono alle automobili, sulle i quali i soldati stavano già salendo. Rachel e Amalia salirono su quella dell’ufficiale, per ordine di quest’ultima, insieme ad Allen, mentre Simon sarebbe andato con gli altri soldati. Il biondo salutò Rachel con un cenno del capo, che la ragazza ricambiò – ancora non aveva scordato il favore che gli doveva – mentre il capitano più anziano si sedeva sul sedile del passeggero, accanto a Mary. L’idea di dover andare via così presto non faceva impazzire la corvina, ma purtroppo, se non voleva essere cacciata dalla comunità, era costretta ad obbedire.

Non aveva la più pallida idea di dove fossero diretti, né che cosa avrebbero dovuto fare, anche se sicuramente Marianne le avrebbe spiegato tutto. Forse. Rachel sospirò, spostando lo sguardo fuori dal finestrino, osservando gli interminabili palazzi della città e le persone a passeggio sfrecciare accanto a lei, preparandosi psicologicamente per il momento in cui tutto quello sarebbe svanito, rimpiazzato dal desolato mondo che si trovava al di fuori della comunità.






No, non mi sono dimenticato di questa storia, non preoccupatevi. Tempo, gente. Il tempo, e la pazienza, sono gli elementi chiave. Spero che esista ancora qualcuno a cui questa storia importi qualcosa, escluse ovviamente le fantastiche Sara e Rose. Troppo smielato? Chiedo scusa. Grazie ad entrambe comunque. Ok, alla prossima!
   
 
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