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Autore: Belarus    10/03/2018    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Questo capitolo mi mette una tristezza infinita perché a conti fatti si tratta di una serie di separazioni che neanche per me è stato semplice scrivere. A molti di sicuro non piacere, qualcuno avrà il cuore infranto e altri si chiederanno cosa stessi fumando quando mi è passato per la testa, ma vi prego di attenzionare ogni parola e ogni gesto. Aya è sempre la stessa, lo è dal primo capitolo e chi ha avuto l’occhio abbastanza lungo saprà anche che era inevitabile che ci si trovasse in mezzo a questa situazione. Se non vorrete più seguire sarò dispiaciuta, ciò nondimeno vi ringrazio per il supporto, per esserci stati e forse, magari, per voler leggere ancora l’ultimo step di questa storia. Un abbraccio e alla prossima, Bel.



CAPITOLO LXXXIV






Avevano avuto appena il tempo di constatare, con sommo sollievo per altro, che l’unica nebbia presente nell’umile e modesto porto di Wonky Hole era quella che risaliva dal mare fumante. Era fioccato insieme alla neve qualche commento sulla pulizia che quel fantomatico Mediatore aveva già portato a termine lì con successo e davanti al silenzio innocente di Sanai lei aveva desistito dalla polemica con un sospiro rassegnato.Era stata allora sul punto di dare avvio ai saluti, ma il muso di Bepo si era contratto e l’aveva fatto istintivamente scattare sull’attenti prima ancora di vedere Law sbucare dalle strade di Sanko con la nodachi a ciondolare in spalla.
«Ah! Quale onore, ci concedi di nuovo un po’ del tuo prezioso tempo?» lo accolse ironico Sanai, strappandogli tra i saluti concitati degli Heart uno dei suoi ghigni più letali.
«Ciò che ne rimane, Aohiro-ya. Il resto l’ho devoluto al salvataggio dei livelli del mercato… ho pensato che non fosse giusto privarti della tua ex-moglie.» ribatté velenoso, facendo tirare un sospiro di sollievo a Celya e provocando in Sanai una contrazione del viso tale da far sospettare un ictus mortale.
Data l’entità ci sarebbe stato seriamente da preoccuparsene a dirla tutta, specie per l’improvviso colorito smorto e le iridi altrettanto sbiancate che non facevano presagire niente di buono, ma l’unico che parve badarvi per un istante fu Amaro. Giusto quello prima che lei si catapultasse su Law, minacciando di strangolarlo e freddarlo come nessun’altro al mondo era mai stato così vicino a fare.
Sapeva che non era educato né opportuno avere una reazione del genere, che li stavano guardando tutti, che avrebbe dovuto riflettere sul sorriso un po’ paterno sbucato su Amaro, che a Penguin, Shachi e Celya per motivi diversi stava per venire una paralisi facciale e che Law ne aveva già una total body in atto, ma non aveva proprio saputo farne a meno. Non avrebbe mai potuto farne a meno, perché lui era lì, davanti a lei, con tutti gli arti al proprio posto e senza chissà quale ferita provocata da oggetti metallici sfruttati in maniera impropria.
«Stai bene!» appurò sollevata, facendo scivolare le braccia giù dal suo collo per tastargli la schiena in un altro abbraccio scrupoloso.
Non aveva neppure un graffio a guardarlo bene, un po’ impolverato lo era certo, con qualche ciocca arruffata a far capolino da sotto il cappello sì, ma era incredibile considerando ciò che era andato a fare e quello cui doveva – come tutti a Down Under – essere scampato.
«Ovviamente.» lo sentì sibilare greve, mentre esibiva un broncio offeso che avrebbe potuto permettersi forse a dodici, tredici anni se non fosse stato affetto da orgoglio patologico irreversibile.
Nel vederlo reagire a quel modo non riuscì proprio a trattenere un sorriso sollevato e un po’ divertito.
Si fidava di Law ciecamente e non aveva mai avuto dubbi riguardo la sua capacità di affrontare l’impresa, tuttavia non nascondeva che l’idea che lui e Kidd potessero incrociarsi per merito suo le aveva provocato una certa ansia. La situazione d’altronde era precaria ed entrambi non nutrivano poi tutta questa simpatia l’uno per l’altro, senza contare poi le implicazioni date dal senso di competizione, orgoglio, volute scarse capacità d’interpretazione e rivalità. Per quanto conosceva entrambi, avrebbero benissimo potuto insultarsi amabilmente come trucidarsi a vicenda dando sfogo alla fantasia. Fortunatamente non era successo nulla e Aya non avrebbe mai potuto sperare in un finale migliore, specie dopo tutto quello che le era capitato lì in due giorni.
Sollevata insistette nel guardare sorridente Law, finché lui non parve quasi ricordarsi di non poter reggere la sua occhiata e il broncio si tramutò in qualcosa di più serio.
«Ritornate al sottomarino e preparate la partenza. Salpiamo immediatamente.» ordinò improvviso, rivolgendosi direttamente ai propri compagni che tentennarono colti di sorpresa.
«Andate in giro su un sottomarino?!» s’intromise Celya senza trattenersi, ridestando Sanai dal mutismo nel quale lo aveva fatto sprofondare pochi istanti prima Law.
«E giallo come un limone per di più, li si vede da miglia di distanza.» ne approfittò per specificare, il tono di chi si prende la propria meritata rivincita dopo un affronto mortale.
Alla sua battuta tuttavia Law dedicò appena una smorfia, più di indifferenza che di fastidio, come se l’avesse appena udita o non l’avesse trovata affatto degna della sua attenzione e bastò quello ad Aya per avere la certezza che qualcosa non tornasse.
Erano riusciti a sfuggire ai controlli serrati di Down Under e alla catastrofe totale che aveva rischiato di investirli, gli Heart avevano programmato di ripartire molto tempo prima di allora e Law era sempre stato un tipo preciso, organizzato e meticoloso, ma in quel momento sembrava stesse per bruciargli la terra sotto i piedi.
Ed era strano considerando quanto affatto frettoloso fosse per abitudine e ancor di più sé se n’era davvero ricordato di punto in bianco.
«Immediatamente?! Ma non ho preparato nulla!» lamentò contrariato Penguin, controllando con volto cupo il Logpose a tre aghi che teneva nella tasca della divisa, proprio sotto il simbolo della ciurma.
A vederlo magari non lo si sarebbe detto, ma nel suo campo era scrupoloso quasi quanto Law nel proprio.
Partire di corsa, senza aver riempito la sala comandi di carte, scarabocchi e appunti lo incupiva finché la situazione non rientrava nel suo personale controllo.
«Non c’è bisogno di tracciare la rotta, dobbiamo muoverci. La Marina è già in viaggio dal G-5 e non è certo la prima volta che salpiamo in fretta, senza aver organizzato la partenza.» ribatté sibillino sta volta Law al suo malumore e Penguin, così come il resto degli Heart, si ammutolì.
Aya lo vide annuire rassegnato e senza alcun entusiasmo sistemare sulle spalle la propria sacca, mentre in silenzio Bepo e Shachi si riappropriavano di quelle mollate al povero Jean Bart. Conscia di ciò che Trafalgar aveva voluto comunicargli con quell’annuncio gettato lì, li salutò con un sorriso che non parve troppo veritiero neppure a lei, ma quantomeno ne strappò loro uno di rimando. Sebbene altrettanto poco caloroso.
Non volevano, nessuno di loro voleva che accadesse, Law per primo in cuor suo non voleva, ma c’erano cose cui non si poteva sfuggire. Ci si ritrovava costretti a doverle fare e pertanto andavano fatte. Lo sapeva anche lei.
«Faremo bene a muoverci anche noi allora. O hai altri programmi tu, Saruningen?» sentì Celya notare e nell’improvvisa tensione le parve confabulasse, malgrado l’avesse detto invece a pieni polmoni.
«Ti sei convinta a far gruppo alla fine?» s’informò Shizaru, fin troppo distratto dal vedere lei, Law e gli Heart bloccati in quel limbo improvviso di saluti e rinvii malgrado la notizia della Marina per accogliere la frecciata ai propri danni.
«Lo faccio solo perché me l’ha chiesto Aya. Allora dov’è la tua nave?» s’informò, guardando i dintorni come se una nave, una qualsiasi, avesse potuto trovarsi nella periferia estrema di Sanko, in cima alla scogliera di Wonky Hole.
A quella domanda Shizaru decise finalmente di smettere di fissarli o forse lo fece semplicemente perché era giunto a chissà quale conclusione e si girò ad indicare la spiaggia, molto più in fondo della scogliera, ricolma di pontili protesi nel mare fumante cui si accedeva da una ripida stradina di terra battuta.
«In realtà… sarebbe una piroga. L’ho ormeggiata laggiù.» chiarì, lasciando che la neve si accumulasse sul suo berretto a coste verde acido.
Celya sgranò gli occhi e fece vibrare la coda di cavallo castana, incredula. Si volse a cercare una parola qualsiasi da parte sua, ma Aya insistette nel rimanersene muta e tornò allora a guardare Shizaru come fosse un essere proveniente da un universo parallelo o piuttosto, non dotato del minimo raziocinio.
«Una piroga? Vuoi farci salire tutti su una piroga che hai ormeggiato pagando persino?! Lui va in giro su un sottomarino giallo, tu su una piroga, ci vuole così tanto ad avere un po’ di buonsenso quando scegliete?! Serve un riparo sicuro, qualcosa che non affondi per un’onda o non spinga persino i pesci a domandarsi perché diavolo andiamo in giro per mare! Un galeone, un veliero, persino una caravella, ma una piroga proprio no!» sbottò esasperata e per una volta Aya avrebbe persino potuto dargli ragione, peccato che avesse la testa altrove.
L’ex capitano della Marina abbassò sconfitto le spalle e parve sul punto di scusarsi per quella che era a tutti gli effetti ed a furor di popolo stata un’idea pessima – a meno che la piroga non risultasse alla fine essere un prodigio della carpenteria pieno di gadgets –, tuttavia in sua difesa si intromise prontamente Amaro, dandogli una pacca affinché non se ne stesse lì impalato a dispiacersi.
«Un po’ di fiducia su. Shizaru risolverà tutto, ha ricostruito la mia farmacia mobile in un batter d’occhio, per quanto ne sappiamo potrebbe costruite una nave grande come quella là in fondo se gliene dessimo il tempo!» lo lodò, rivolgendo un cenno di saluto a Law per avviarsi poi lungo la stradina senza attendere oltre.
E lo fece con una tale prontezza di spirito – o piuttosto complicità nei loro confronti –, da trascinarsi dietro senza sforzo persino Celya che aveva smesso ormai di muovere un solo piede se Aya non lo aveva fatto per prima.
«Beh… da ragazzino volevo fare il costruttore… ma la mia è rimasta una passione. Quello è il lavoro di un ottimo carpentiere o piuttosto di una squadra di ottimi carpentieri.» negò umile Shizaru, imitandolo nel saluto con un’occhiata che le fece sospettare avessero avuto entrambi la medesima intenzione di dileguarsi.
«Cos’è, cameratismo tra uomini?» borbottò contrariata Celya, ma erano ormai lungo la stradina e ad ogni passo sempre più distanti.
Rivolse loro uno sguardo silenzioso, mentre discendevano insieme lo sterrato con l’intenzione di raggiungere il porto e avvertì un moto di affetto incondizionato nei confronti di quella bizzarra combriccola. Fu la voce del vecchio Sanai a riportarla a voltarsi e farle scoprire che anche Law pareva essersi interessato al gruppetto. Ebbe l’impressione che un dubbio l’avesse assalito quando i loro sguardi s’incrociarono, ma non aprì bocca né lo diede a vedere oltre e si limitò a voltarsi verso l’ex controllore, ormai in pensione, di Down Under.
«Faccio strada io…» si offrì, indicando gli Heart e ricevendo appena un accenno di assenso da Law «… è stato un breve onore.» la salutò in fine, riservandole un sorriso di sincero affetto.
«Lo è stato per me, Sanai-san. Mi saluti quella sua armata di amici.» ricambiò strappandogli un sogghigno divertito che soffocò a stento nell’avviarsi nuovamente verso la periferia innevata della città.
Sollevò una mano, salutando con una fitta al petto, gli Heart che erano stati per l’ennesima volta suoi occasionali compagni di viaggio e li vide prontamente contraccambiare con il massimo del buonumore di cui erano capaci in quel momento. Si allontanarono così, per la prima volta da quando li aveva conosciuti anni addietro, in silenzio e senza trattenersi per tempestarla di raccomandazioni, inviti, promesse o mugolii nostalgici preseparazione, segno che qualcosa era accaduto.
«Un’armata di amici?» borbottò strascicato Law, come se si fosse appena ridestato da un torpore opprimente.
Aya interruppe allora il contatto visivo con la figura di Penguin, che in una richiesta non poi così incomprensibile aveva fatto correre lo sguardo da lei al proprio capitano prima d’andar via e abbozzò un sorriso, scrollando le spalle nel giaccone pesante.
«Non ho voluto conoscerli. Avevo il sospetto che la loro compagnia non facesse per me.» spiegò telegrafica, facendolo annuire con un unico movimento secco del capo.
Lo osservò fissare pensieroso lo scorcio visibile del porticciolo, con i piccoli pescherecci accoccolati l’uno all’altro e le navi mercantili avvolte dal fumo del mare in ebollizione e lo stomaco le si rivoltò in una capriola dolorosa che non avrebbe arginato neppure sapendo come fare.
Tra poco la lotta di Law per la vendetta contro Doflamingo, inseguita da dodici lunghi anni, avrebbe avuto inizio e fine. I pezzi del puzzle che aveva creato per guadagnarsi un vantaggio cominciavano ad andare al loro posto e ciò che restava, di incalcolabile e mutevole, era la fortuna che avrebbe avuto in quello scontro. Offrirsi come membro degli Shicibukai non era che una di quelle tessere e per quanto Penguin – e una parte di sé stessa – le avesse chiesto di farlo desistere, perché no, Corazon non avrebbe mai voluto saperlo rischiare la vita per una cosa simile, Aya si ritrovò di nuovo ad accettare lo stato inesorabile degli eventi. Era la scelta di Law e in quanto tale andava rispettata, per quanto dolorosa, sciocca o tremenda apparisse loro.
«Ti devo le mie scuse.» lo sentì sputar fuori di colpo, mentre si voltava a fissarla con le spalle tese.
«Non stai bene allora…» appurò, squadrandolo ironica in un’occhiata che lo fece sospirare.
Pareva che per autodifesa fosse del tutto intenzionato nel volersi tramutare in un pezzo di ghiaccio indifferente alla corrente degli eventi e per questo infrangibile, ma quantomeno respirava ancora o magari era solo un’esclusiva che le stava concedendo adesso che erano soli e stavano per separarsi.
«Non ho avvisato Eustass-ya… non l’ho neppure incontrato. Non c’era l’ombra né di lui né del suo equipaggio quando sono arrivato, ma prima che i livelli crollassero ho intravisto Killer-ya dare la caccia a quell’uomo. Credo che lui ed Eustass-ya avessero pianificato tutto a tavolino.» confessò, crucciandosi nel vederla boccheggiare un attimo per la notizia inaspettata.
Forse non avrebbe dovuto dare così tanto per scontato che l’impresa riuscisse. D’altronde in quel caos era dipeso poco o nulla dalle capacità di Law e lei per prima avrebbe potuto scrivere un libro riguardo le iniziative di Kidd in certe circostanze, non c’era poi così tanto da stupirsi o sentirsi delusi. E quantomeno adesso si spiegava perché di colpo Law si fosse incupito tanto nel rivederla. Doveva sentirsi in colpa e in realtà la colpa era soltanto sua per averlo sobbarcato di una responsabilità che non gli spettava, quando invece avrebbe dovuto da un pezzo imparare lei a far da sé ogni cosa.
«Quello che complottano nelle loro chiacchierate è impossibile da immaginare per chiunque.» sospirò alla fine, facendo spallucce senza convincerlo davvero.
In effetti era la verità. A dispetto di quanto si potesse pensare, Kidd e Killer si consultavano su ogni cosa, non c’era quasi nulla che non stabilissero insieme o quantomeno l’uno in presenza dell’altro. Parlottavano in continuazione, chiusi nella cabina di Kidd, sul ponte di comando, dappertutto e in tre anni non c’era stata una sola volta in cui Aya fosse stata in grado di capire cosa avessero tanto da dirsi – anche se vero era che non avesse mai indagato a riguardo –. Era una simbiosi indissolubile la loro, ma Law non poteva saperlo.
«… mi dispiace.» lo sentì sputar fuori con la fronte aggrottata e si ritrovò a scuotere la testa quasi sino a slogarsi il collo pur di non farlo andar oltre quelle scuse superflue.
«Non dirlo nemmeno! Kidd se la sarà cavata come sempre e sarà tornato alla nave, probabilmente adesso starà inveendo contro di me per… non essere dove mi aveva detto di essere! Non scusarti, hai fatto più di quanto sarei riuscita a fare io!» lo rassicurò, riuscendo a togliergli dal volto almeno un po’ l’espressione da funerale.
Doveva saperlo anche lui d’altronde che Kidd stava bene o non sarebbe mai tornato da lei senza prima aver fatto qualcosa. Perlomeno era quello che sperava, perché una parte di lei era sprofondata nuovamente nell’ansia.
«Ne dubito.» dissentì Law e Aya s’imbronciò con finta offesa, sforzandosi di cacciar via i cattivi pensieri.
«Ancora con questa storia? Non sono poi così terribile.» lamentò a braccia serrate, strappandogli quello che ad una seconda occhiata – se ne avesse avuto il tempo certo, considerando la velocità con cui sparì – avrebbe potuto definire un vero sorriso.
«No, affatto…» ammise di slancio e presi entrambi in contropiede rimasero bloccati a fissarsi sotto la neve, l’uno con l’espressione di chi ha appena sentito uscire dalla propria bocca una voce che non era la propria e l’altra con quella di chi non crede davvero sia stato possibile.
Istintivamente, mentre Law cercava di riprendere il controllo perduto, le labbra le si piegarono in un sorriso che le arricciò il naso e le fece per un attimo dimenticare di tutto il resto.
Perché che quella fosse una confessione sfuggita o solo un pensiero mal espresso – per quanto ciò potesse essere possibile nelle preziose volte nelle quali era Law a parlare – ad Aya poco importava in fondo. Down Under non era stato il monte Horai di cui aveva letto, non c’era stato nulla in quel luogo che fosse andato come doveva o come aveva sperato arrivando lì dal covo di Kidd e forse almeno quella piccola, immensa, soddisfazione poteva concedersela prima di andare in contro a ciò che l’attendeva. In quel suo strano modo di starle accanto, Law era sempre stato capace di rincuorarla e un po’ confortarla, sebbene la separazione da lui e da ciò che era stato per lei fosse più che una realtà ormai.
Davanti al suo sorriso lo vide infatti aggrottare impercettibilmente la fronte e al suo occhio allenato non sfuggì neppure la piega dura delle labbra, prima che tornasse a barricarsi all’interno del giaccone lungo sino ai piedi.
«Buona fortuna.» la salutò di colpo, come se stroncare lì sul nascere qualsiasi altra risposta o azione fosse l’unica scelta possibile o attuabile e per quanto le dispiacesse, Aya non poté proprio dargli torto.
Avrebbe voluto comportarsi altrimenti, avrebbe voluto trattenerlo e magari rimanere con lui a congelare sotto la neve di Sanko senza badare al resto. Girare per la città, curiosando ovunque con la sua tacita compagnia come avevano fatto a Down Under, vederlo sogghignare spensierato, persino lanciarsi con lui alla ricerca di una delle monete da collezione di cui no, non era “affatto” appassionato e strappargli per ripicca una smorfia d’imbarazzo di cui non lo avrebbe creduto neppure lei capace. Le sarebbe piaciuto quanto delle volte correre a rintanarsi tra le braccia di Kidd per tenere lontani gli incubi che la tormentavano e minacciavano, ma non poteva. Non era più una bambina, non le era concesso di rimanere aggrappata ai propri desideri o chiudere gli occhi e sperare che il mondo cambiasse e la aspettasse. Law doveva andare, lo voleva e non sarebbe stata lei a trattenerlo.
«A te, Law.» si congedò, sopportando la fitta al petto e il pessimo scherzo tiratole da sé stessa nell’avvertire per il vento quello strano, familiare, profumo di disinfettante che lo attorniava.
E senza sapere dove stesse trovando le forze per farlo, sventolò una mano a mò di saluto, con il sorriso più convincente di cui potesse essere capace in quel momento, per poi voltarsi e avviarsi lungo la stradina di selciato che conduceva al porto senza controllare neppure se lui fosse ancora lì o no. Il sorriso già scomparso e il labbro stretto tra i denti tanto forte da sentirlo sanguinare.
Non voleva scoprirlo né poteva permetterselo. Se non fosse stata in grado di separarsi da Law in quel preciso istante probabilmente non sarebbe stata in grado di fare il resto. Da quella scelta dipendeva tutto: ciò che le restava di quella giornata, il rifiuto fatto a Sanai-san, la promessa a Ko, il suo futuro ed in parte quello di molti altri, tra cui Law stesso.
Una folata di vento, risalito per la scogliera di Wonky Hole, le sferzò le guancie arrossate dalla neve con la salsedine e Aya ne approfittò per trarre una boccata profonda che le ridesse forza. Era andata via quasi di corsa per non sentire sulle spalle lo sguardo grigio di Law, macinando un metro dopo l’altro e solo adesso si accorgeva di quanto bello fosse lo scorcio offerto da quel percorso tanto battuto. Si vedeva il mare plumbeo attorno all’isola, su cui aleggiava una foschia diversa e meno opprimente di quella che circondava ancora Sanko, il contorno di una nave gigantesca, una decina di pescherecci assopiti nel molo e la neve ricoprire ogni cosa come un velo immacolato. Raggiungere il porto fu quasi una liberazione e fatto l’ultimo passo, ormai troppo lontana per tornare indietro, si concesse finalmente di fermarsi per individuare Celya, Amaro e Shizaru. Di loro però pareva non esserci traccia e l’unica piroga nei paraggi – un modello bizzarro a motore e dalle sponde bombate come non ne aveva mai visti – era ancora ancorata, in uno spazio avanzato che avrebbe dovuto fungere per le reti. Le venne in mente che probabilmente se ne fosse resa conto anche Celya ed abituata a valutare com’era, fosse andata a cantarne quattro al gestore portuale per dimostrare magari quanto bugiardi, ladri e allocchi sapessero essere contemporaneamente gli uomini. Si avviò così oltre il porto, in direzione della nave titanica che doveva esser stata ancorata in uno spazio riservato e alla cui ombra sperava di rintracciare la casupola del gestore. Sempre che Celya non l’avesse già rasa al suolo per qualche parola di troppo. Una strana sensazione, come un bisbiglio nelle orecchie, la colse d’improvviso però e si arrestò di botto.
Le era capitato già altre volte di provarla e non poteva sbagliarsi a riguardo. Doveva essercene per forza uno nei paraggi, sott’acqua o nascosto nella scogliera, la voce era distorta e un po’ ovattata. Le pareva persino di averla ascoltata in passato, ma quello no, non poteva essere possibile perché spostare un Poignée Griffe era una follia.
Si guardò attorno, seguendo la direzione da cui proveniva quel bisbiglio e lo sguardo le si bloccò sulla nave, ora visibile, che ingombrava l’intera rientranza della scogliera oltre il porto da cui aveva raggiunto Sanko anche lei al suo arrivo.
Era enorme, persino più grande di quanto le fosse apparsa inizialmente e dalla forma non proprio regolare. I fianchi di legno laccato erano dipinti di rosso con eccentriche onde d’oro, le vele triangolari e candide quanto la neve che fioccava sull’isola erano state rivestite d’un tessuto tanto delicato da far intravedere attraverso le costole di sostegno e si aprivano in una bizzarra composizione latelare che le faceva somigliare ai barbigli di una carpa. Riflettendoci, benché il taglio dello sguardo non sembrasse proprio quello di un pesce, la polena scolpita che faceva capolino solo per metà dal pelo dell’acqua poteva essere proprio una carpa. Piatta e allungata, si sviluppava più in larghezza che in altezza e a poppa, fregandosene dell’aspetto comune di una nave, terminava di colpo in due mezze lune frastagliate che parevano creare una piscina d’acqua salata. Chiunque l’avesse costruita lo aveva fatto con cura, ingegno e senso estetico.
L’avrebbe di certo giudicata uno spettacolo al pari dello scorcio visibile dalla cima dell’isola se non fosse stata già sull’allerta per via del Poignée Griffe e sopra non vi avesse visto berciare stizziti – ed armati – alcuni degli uomini di Kidd. Quando poi un paio di loro lanciarono scontrosi un’occhiata verso di lei, si ritrovò d’istinto a sospirare.
L’avrebbero svuotata, bistrattata e ridotta ad una poltiglia informe per conquistare chissà quale bottino di cui avrebbero serenamente potuto fare a meno considerando la quantità d’oro che giaceva abbandonata al covo.
«Aya! Aya!» la chiamò sollevata una voce e lei trasalì, facendo scorrere di fretta lo sguardo a bordo con più attenzione e sì, un velo di terrore.
Non poteva con esattezza dire di aver riconosciuto quella del Poignée Griffe – anche se a quel punto, poteva eccome in realtà –, ma su quella avrebbe messo entrambe le mani sul fuoco.
«Ide?! Cosa ci fai là sopra, perché non sei a Myramera?!» le urlò contro non appena l’ebbe vista sporgersi da un parapetto per sventolarle la mano e le andò in contro senza nemmeno accorgersene.
Avrebbe dovuto essere a leghe e leghe di distanza, a seguire con suo padre le ricostruzioni della città o magari ad innaugurare qualche monumento che ne commemorasse ad imperitura memoria il termine. Certo non laggiù a Wonky Hole, sotto la neve, su una nave abbordata dagli uomini di Kidd e con una bandana tra i capelli. Perché diavolo aveva una bandana tra i capelli?
«Grazie ai kami sei tornata! Digli di smetterla subito o rovineranno la Kumonryu! Stanno staccando pezzi dappertutto ed è delicata! Rimettili al loro posto!» la supplicò senza rispondere, correndo piuttosto a stringerla in un abbraccio frettoloso lungo la passerella – talmente grande da far invidia al pontile del porto dell’isola –.
Lo sapeva, era ovvio, quando Kidd li lasciava a briglia sciolta erano capaci solo di far terra bruciata ed era un vero peccato perché la Kumonryu non avrebbe mai meritato un trattamento barbaro simile. Adesso che se lo ripeteva in mente, era un nome particolare da dare ad una nave perché quegli animali, dalla memoria centenaria e dalle movenze eleganti, non se ne sarebbero dovuti o potuti andare mai per mare. Erano draghi solo all’apparenza…
Il pensiero le fece correre un brivido lungo la schiena che rispose in parte al posto di Ide, ora troppo impegnata a preoccuparsi per i modi poco gentili degli uomini di Kidd.
«Cos’è che dovrebbe fare lei?!» ringhiò uno dei mozzi, puntando contro ad entrambe uno spadone mentre salivano a bordo.
«Non è il caso di arrivare alle mani su-» s’intromise un’altra voce a lei nota, prima che Celya si frapponesse tra loro con la pelle già ambrata in segno di minaccia.
«A quella lì non sei degno neppure di baciare la suola delle scarpe, feccia.» lo rimise al proprio posto secca, ma Aya non poté proprio trattenerla né tantomeno invitarla a non utilizzare certi termini in quella specifica circostanza.
Come se non si fosse già sentita abbastanza sconvolta dal vedere Ide laggiù a Wonky Hole, su una nave che ad occhio e croce doveva essere quella che Re Boro aveva tanto insistito per regalarle dopo la guerra di Myramera e che Aya aveva più volte rifiutato, si aggiungevano non solo Celya, Amaro e Shizaru, saliti a bordo per chissà quale ragione sconosciuta, ma anche lui. Si stava trasformando in una riunione d’amici di vecchia data, un caos di cui era incapace di venire a capo così su due piedi e che non smetteva, sfortunatamente, di sorprenderla.
«Y-Yoshi?! Minna?! Cosa sta succedendo si può sapere?! Cosa fate tutti qui sopra?» gemette esasperata, facendo scorrere lo sguardo da una parte all’altra con le mani sollevate nel tentativo di calmarli, zittirli o quantomeno ottenere una risposta decente prima che scoppiasse il finimondo.
Era circondata da persone che non avrebbero in nessun modo dovuto essere lì. Per i kami, Yoshi era per sua stessa ammissione un tipo sedentario, andarsene in giro non faceva per lui e adesso era lì? A difendere Ide dalle minacce degli uomini di Kidd? Schermato da Celya che si sarebbe invece dovuta preoccupare della piroga di Shizaru con Amaro?! Se era un tentativo per farla impazzire ci stavano riuscendo.
Fortunatamente il suo sbotto attirò sufficientemente l’attenzione da creare un po’ di silenzio o forse fu Wire, sbucato da Aya non sapeva nemmeno dove, con Heat e il suo tridente sfruttato impropriamente per dividere la folla, evitando così almeno che Celya e il resto degli uomini si sbranassero a vicenda. In quel silenzio d’improvviso greve che si creò, Ide parve dimenticarsi di colpo del resto del mondo e le si aggrappò alle mani.
«Ci hanno cacciati… hanno tolto la corona a mio padre per aver complottato contro il Governo mondiale e aver favorito dei pirati. So che non ci apparteneva davvero, ma… Myramera era la nostra casa da tanto tempo! Abbiamo custodito, obbedito e rispettato ogni giorno e non meritiamo un trattamento simile! Mio padre ha accettato a malincuore e so che lo ha fatto per il bene comune, lo sanno tutti, però non è giusto! Lo abbiamo seguito a Moundhill, gli abitanti di Egle, quelli di Biwa, ogni persona del regno ed io e Diante siamo venuti a cercarti! Dobbiamo fermarli! Dobbiamo fare qualcosa, qualsiasi cosa Aya!» esplose d’un fiato e gli occhi verdi le si velarono di lacrime per la preoccupazione.
Ancor più sconvolta che in precedenza, la fissò ammutolita cercando di far chiarezza in quel fiume di notizie che le aveva riversato addosso, ma più ci pensava più qualcosa non le tornava lasciandola frastornata.
Re Boro era un sovrano amato, rispettato dalle nazioni vicine al regno, addirittura considerato uno degli uomini più accorti ed ineccepibili che avessero prestato giuramento agli intenti del Governo mondiale. Era semplicemente impensabile che lo si potesse accusare di un complotto e che per un’accusa tanto grave lo si obbligasse all’esilio senza neppure un processo. Interi paesi poi che lo seguivano in quella punizione, qualcuno che minacciava Myramera, Ide e Diante che solcavano il mare da soli per cercare lei… quando erano successe quelle cose? Perché la voce non si era diffusa e nessuno era intervenuto? Non si trattava di sciocchezze, di semplici questioni interne ad uno stato, da poter trascurare o semplicemente osservare.
Era una situazione grave, preoccupante, il mondo non poteva essere rimasto in disparte e il dubbio che così non fosse stato, che nella quotidianità del covo non se ne fosse accorta o non lo fosse venuta a sapere, la investì, spingendola a voltarsi d’istinto verso Wire. Lui tuttavia si limitò a ricambiare l’occhiata in silenzio, con il volto apatico, corrucciato per la serietà e le fu chiaro che sì, quella era proprio una novità.
«Ad Arumi è stato più o meno lo stesso… mi hanno trascinato fuori di casa e rinchiuso ad Impel Down. Per complotto contro l’Ordine prestabilito… ho detto loro che era una follia, che non potevi avere nulla a che fare con questa storia, ma non hanno voluto sentir ragione. Quel marines era sordo a tutto quello che dicevo! Ne era convinto al cento per cento… somigliava a lui…» s’intromise una volta in più Yoshi e Aya si ritrovò a fissarlo ad occhi sbarrati, senza neppure voltarsi per chiedere conferma a Shizaru questa volta.
Avevano cacciato Ide e Re Boro, distrutto la pace ritrovata di Myramera con prepotenze ingiustificate, punito Yoshi per esserle stato vicino in un momento difficile, lo avevano condotto a forza in un carcere di assassini e criminali della peggior specie.
«Di chi state parlando?» mormorò mordendosi il labbro, ma la risposta purtroppo la conosceva già.
«I Draghi celesti e la Marina. Aya devi farli smettere! Devi farlo! La gente non merita d’essere trattata a quel modo, dobbiamo fermare tutto!» insistette Ide, tirandola per le mani quasi avesse sperato di trasportarla indietro di peso per risolvere la faccenda immediatamente – e i kami solo sapevano come poi –.
Ammutolita, osservò Ide imbronciarsi quasi sino a scoppiare in un pianto a dirotto che non le aveva visto affiorare neppure davanti alla minaccia dell’invasione dei giganti di Moundhill e si sentì lontana, distante chissà quanto dal luogo in cui si trovava il suo corpo in quel momento. Sapeva di doverla confortare, dalla sua bocca premevano per uscire scuse e parole di affetto per lei, corsa sin là per avvisarla in un viaggio che non sarebbe stato semplice neanche senza il peso di un intero paese sulle spalle, ma non lo fece.
«È mio fratello… Kikazaru… dev’essere riuscito a guadagnarsi la fiducia totale della tua famiglia. È ossessionato da questa storia del fare giustizia contro di te da quando Trafalgar Law lo ha battuto a Fancytown, crede ci sia un gigantesco complotto… sono mortificato… è colpa mia…» biascicò rammaricato Shizaru, fissando il ponte lucido della nave con il desiderio probabilmente di sprofondarci dentro per riparare alla catastrofe.
Aya lo squadrò da capo a piedi e lo stomaco le si strinse in una morsa, ma neanche in quel momento parlò.
Non era colpa di Shizaru, non lo era mai stata né adesso né quando aveva cominciato a cercarla, benché per un lungo periodo lei stessa l’avesse fermamente creduto. Non era colpa di nessuno di loro, erano solo finiti in mezzo e non spettava loro riparare o accusarsi.
«Digli di scendere dalla nave e andiamo! Dobbiamo far presto!» ripetè come un disco rotto Ide, finendo per attirarsi di nuovo le ire degli uomini di Kidd.
«Non è la sua nave, non può dirci niente! Appartiene a noi! Lei deve ringraziare anche per l’aria che respira!» le sbraitò contro uno di loro, sputando con malgrazia per rimarcare il concetto.
A quel gesto Ide spalancò inorridita la bocca fissando la chiazza davanti ai proprio piedi per poi rialzare lo sguardo in un moto di orgoglio che finì malinteso.
«La Kumonryu è un dono di Myramera ad Aya, non a voi! Non potreste neppure toccarla!» gli fece presente, dandole conferma di quanto aveva immaginato sentendo il nome che avevano dato alla nave.
Con la mente purtroppo non era più lì però e in secondo piano per lei passò persino il coltellaccio che il mozzo tirò fuori dalla panciera beige, sventolandolo a mezz’aria in direzione di Ide che saltò due passi indietro cozzando contro il braccio di Yoshi, con cui pareva essere in confidenza, che l’agguantò in uno slancio di coraggio.
«Prova ad alzare di nuovo quel dito principessina e me lo appendo al collo-» provò a spaventarla il mozzo, non facendo in tempo a terminare la frase che il tacco di Celya gli si schiantò inclemente sulla faccia sbattendolo al suolo come un sacco di patate.
«Toccala e attorno al mio appenderò qualcosa di tuo.» lo minacciò seria, trattenendolo a pancia all’aria sul ponte, mentre Amaro si faceva avanti per richiamarla alla calma.
«Celya… credo non sia il caso questa volta.» tentò di farla ragionare, ma con scarsi risultati.
«È decisamente il caso.» stabilì lei invece, lanciando occhiate di fuoco al resto degli uomini e fu solo per l’improvviso arrivo silenzioso di Killer se non scoppiò uno scontro in piena regola, perché i tentativi di Wire di trattenerli stavano ormai perdendo efficacia.
«Nessuno farà niente invece.» li bloccò con voce metallica, facendo capolino dalla porta che conduceva allo scafo interno della nave.
Lo osservò muta farsi avanti con passo fermo, per piazzarsi davanti a Celya con un impercettibile movimento del capo verso l’uomo che giaceva al suolo che ad Aya non sfuggì e che non dovette mancare d’intercettare neppure l’ex mercante del Karyukai, considerando il sorrisetto tirato e provocatorio che le stese le labbra. Impassibile e paziente come solo lui sapeva essere, rimase a guardarla per un altro lungo momento, valutando probabilmente lo stato della situazione e il colorito dorato che aveva assunto, per poi abbandonarsi ad un sospiro pesante e spostare la propria attenzione su Aya. A quel punto non le fu necessario riflettere oltre per convincersi finalmente a parlare e la domanda le affiorò spontanea non appena i loro sguardi s’incrociarono.
«… è di sotto?» s’informò con le guance che pizzicavano per il freddo.
Killer annuì dopo un istante di troppo e le fu chiaro da subito che non sarebbe stata una piacevole chiacchierata. D’altro canto lo aveva sempre saputo, quel giorno – che aveva sperato di affrontare il più tardi possibile in realtà – non avrebbe mai potuto esserlo.



Sembrava di trovarsi sul pelo dell’acqua, in bilico tra le profondità del Grande Blu e l’aria aperta. Non c’era angolo di quella gigantesca stanza, dal tavolo intagliato cui stava seduto, al letto sul soppalco, ricavato nella testa di quella assurda carpa che faceva da polena, da cui non fosse visibile il mare. E sarebbe stato impossibile altrimenti considerando quanto assurdamente spropositata fosse la finestra che faceva da parete alla camera. Più la guardava e più gli veniva voglia di farci un buco in mezzo, riducendola in mille minuscoli pezzi di vetro e così tutto il resto: il prato nella zona di lettura, la libreria che saliva sino al tetto, quel salottino pieno di cianfrusaglie dagli usi sconosciuti, le carte appese alle pareti, i bauli carichi di chissà cosa, il bagno, il lampadario, i tappeti, le lampade, gli specchi, il letto, avrebbe distrutto ogni singolo centimetro di quella fottutissima nave. Solo l’idea che esistesse gli faceva ribollire il sangue e fremere le mani perché nessuno si sarebbe mai dovuto permettere di costruirla, nessuno di portarla sin lì e addirittura piazzargliela sotto il naso. Come avesse potuto resistere dallo spedirla sul fondo del mare con quei tre idioti che vi aveva trovato sopra fu un mistero anche per Kidd, almeno finché quella fottuta porta non si aprì senza il minimo cigolio e la vide entrare.
Lo aveva fatto per lei, solo e soltanto per lei dannazione. Perché teneva a loro, perché la nave le sarebbe dovuta appartenere e perché a lui spettavano delle spiegazioni. Convincenti.
Muta e con il volto arrossato dal freddo che imperversava all’esterno, impiegò poco per orientarsi e mosso qualche passo oltre la soglia si fermò a studiare il viso del soldatino di latta – scattato prontamente sull’attenti – che lo piantonava da quando era salito a bordo.
«Cosa hai fatto alla faccia Diante?» domandò dispiaciuta, facendogli subito scuotere il capo per celare la rabbia e il disagio per l’affronto che gli segnava una guancia.
Non era sfuggito neppure a lui la novità indelebile che quel tipo si portava addosso, d’altronde lo aveva sentito utilizzare l’Haki del re conquistatore e visto abbattere giganti a pugni, era incredibile che qualcuno potesse averlo colpito addirittura sul viso, ma la sua era stata curiosità messa a tacere. Quella maledettissima donna invece si preoccupava, si preoccupava per tutto e tutti, tranne che per quello per cui avrebbe dovuto.
«È irrilevante… Signorina.» recitò orgoglioso, rimanendo ritto al proprio posto per inciampare nel tono solo a quell’ultima parola, cui non doveva essere abituato e a quella dannata donna non sfuggì di certo.
Affatto convinta da quel tentativo di dissimulare lo fissò una volta ancora, per poi abbandonarsi ad un sospiro e indicargli con un cenno dei riccioli rossicci la porta dalla quale era appena entrata.
«Ritorna dagli altri, ne parliamo dopo… ma sappi che lo è invece.» lo invitò, in quello che parve piuttosto un ordine e inaspettatamente Diante si convinse a lasciare il proprio posto.
Lo stronzo non aveva battuto ciglio davanti alle sue occhiatacce, all’avversione palese e alle minacce velate o meno che lui e Killer gli avevano indirizzato affinché sparisse. Muoveva il culo dal muro cui se n’era stato appoggiato per ore adesso, perché lei glielo aveva chiesto e per Kidd quella era l’ennesima provocazione. Non contava un cazzo per quegli idioti, ma si sbagliavano. Si sbagliavano di grosso e glielo avrebbe dimostrato se solo non fossero stati ché una misera cornice al motivo per cui sopportava di starsene là fermo e zitto.
Ubbidiente Diante la assecondò subito, ma si fermò comunque sulla soglia.
«Se succedesse qualcosa, lo saprei.» puntualizzò e il suo fu a tutti gli effetti un avvertimento che Aya si premurò di disinnescare in tempo per evitare che Kidd gli rificcasse quella sua boria su per il culo.
«Non ne dubita nessuno.» confermò, convincendolo finalmente ad andarsene.
“Se succedesse qualcosa” aveva detto. Era un fottuto perfetto sconosciuto, non sapeva nemmeno la metà di quella maledetta donna di quanto sapesse lui, avevano trascorso insieme appena qualche giorno e si permetteva d’insinuare di proteggerla? Da cosa? Da lui?! Non aveva nemmeno la più pallida idea di ciò che avesse fatto Kidd per lei, di quello che sarebbe stato disposto a fare. Perché se c’era un pensiero, nonostante tutto, che non lo aveva mai – stranamente – sfiorato, quello era di farle davvero male e per quanto non sapesse come era stata possibile una follia simile, sapeva che non avrebbe mai cambiato opinione a riguardo.
Furioso e barricato nel silenzio più totale, lo seguì a denti stretti richiudere l’uscio e mentre i suoi passi cadenzati si allontanavano lungo il corridoio, Aya si voltò finalmente a guardarlo.
Lo sapeva anche lei. Non aveva avuto paura di lui nemmeno per un istante da quando si erano incontrati, lei si fidava a dispetto di tutto. Si era sempre fidata e per Kidd quello era sempre valso più di ogni altra cosa, ma ora proprio non capiva come cazzo avessero potuto raggiungere quel punto, come si fossero ritrovati lì a guardarsi in silenzio e separati dall’ombra di quella fottuta pietra.
«… mi spiace non aver fatto in tempo a tornare, ho incontrato Basque… stai bene?» la sentì domandare dopo un po’ e dal modo in cui s’informò Kidd ebbe la certezza assoluta che quella fosse premura, non un tentativo di dirottare il discorso.
Eppure non gli riuscì di ingoiare il rospo. Era troppo grande e lui mai stato propenso a farlo in vita propria.
«Vuoi parlare di questo?» le ricacciò indietro la domanda, il tono duro e la mascella serrata.
Aya non si scompose, non lo faceva mai d’altronde e le sue spalle si abbassarono in un respiro profondo.
«Sono stata in pensiero. L’ultima volta che si è fatto vivo non è stata una bella esperienza.» rammentò atona, quasi che non se ne ricordasse già ogni giorno da solo.
«Ora è morto.» troncò brusco Kidd e la vide abbassare subito con volto inespressivo lo sguardo a terra.
Su Redunda, i loro dissapori riguardo i trattamenti da infliggere ai nemici, avevano avuto a che fare anche con quel verme di Basque e disseppellendoli, Kidd sapeva di starle tirando un colpo basso, ma era necessario e lui arrabbiato sopra ogni misura. Era necessario affinché si ficcasse una buona volta in quella sua testa che certi gesti, più o meno, estremi andavano compiuti con feccia del calibro di Basque e per costringerla a parlare di ciò che dovevano.
Con una pazienza che non gli apparteneva attese che riaprisse bocca, ma da Aya non venne neppure un bisbiglio e vederla ancora fissare il pavimento, alla ricerca di chissà cosa o con la mente chissà dove, lo mandò definitivamente in bestia.
«Credi io sia stupido?» ringhiò, controllandosi a stento dal far esplodere l’atmosfera magnetica che gli aleggiava attorno.
Aya sollevò finalmente lo sguardo, i suoi occhi però rimasero fissi e non accennarono a virare un secondo.
«No-» provò a negare, riuscendo appena ad emettere quel suono secco prima che lui balzasse in piedi.
La poltrona su cui era stato seduto – troppo grande per un corpo come quello della sua legittima proprietaria – si schiantò al suolo con un tonfo e la mano di Kidd si sollevò altrettanto in fretta, indicando un punto buio della stanza. Lì, proprio di fronte alle librerie, sul prato d’erba accanto alla porta, dove i raggi provenienti dalla finestra gigantesca non erano in grado di arrivare. Quasi chi ne fosse stato l’arteficie avesse calcolato di tenerlo al riparo.
«Allora perché cazzo continui a startene là a far finta di niente?! Sai cos’è quello laggiù, no? I Nobili mondiali cercano da secoli di distruggerli con l’aiuto del Governo, sai quanto sono importanti. Quindi perché ce n’è uno sulla “tua” nave e fingi di non vederlo?!» sbottò senza freni, puntando il Poignée Griffe adagiato a pochi metri da loro con la naturalezza con cui ci sarebbe stato un soprammobile qualsiasi.
Aveva rischiato l’infarto nel ritrovarselo davanti, gli si era strozzato il respiro in gola e per dei lunghi, terrificanti, momenti era rimasto paralizzato a fissarlo credendo d’essere impazzito su quello sputo d’isola invasa dai fumi. Perché ne aveva sentito parlare molte volte e altrettante erano state le sue ricerche d’informazioni su quegli oggetti misteriosi e dimenticati dal tempo che per i pirati alla ricerca dello One Piece potevano essere fondamentali, ma mai aveva avuto la possibilità di vedersene uno davanti. E che non fosse rosso poco importava, era là ed era sulla nave di qualcuno che non avrebbe nemmeno dovuto avercerne una, ricordo del popolo di Myramera. Così lo aveva definito Diante quando Killer aveva chiesto perché ce ne fosse uno e l’idea che lei lo avesse già visto, che non glielo avesse raccontato, fu per Kidd una stilettata in pieno stomaco.
Nemmeno a quel punto la vide accennare però a voltarsi e con un sangue freddo che molti altri uomini non avevano avuto davanti alla sua rabbia, mantenne lo sguardo fisso su di lui.
Quella maledetta gli aveva sempre tenuto testa, in strani e assurdi modi che molte volte lo avevano fatto dare di matto, ma lo aveva sempre fatto e mai sarebbe dovuto essere altrimenti.
«Mi ricorda continuamente che la mia famiglia ha le mani sporche di sangue e che l’unico ad aver tentato di fare la cosa giusta è stato ucciso da chi avrebbe dovuto aiutarlo. So che è lì. Lo so da prima di entrare qui dentro, mi parla… non ho bisogno di guardarlo.» ammise, piegando le labbra in un broncio amareggiato.
Quella faccenda di Myramera per Aya era stata un brutto colpo e dal quel momento si era sentita gravata di responsabilità che certo non le spettavano, Kidd lo sapeva benché avesse mantenuto a riguardo le distanze. Non era stata lei a commettere quell’abominio, non era per causa sua se la società in cui vivevano si era ridotta ad un letamaio gestito da squallidi idioti che credevano d’essere migliori degli altri solo per diritto di nascita, un simile pensiero però non le sarebbe mai attecchito in testa. Era buona per natura e quelli come lei alla fine finivano per crollare o farci il callo, ma in quel momento Kidd era troppo sconvolto dal resto per riproverarglielo.
«Ti… parla? Tu lo senti parlare?» gracchiò incredulo, fissandola ad occhi sgranati.
«Non dice nulla su Raftel, ti avrei avvisato subito se fosse stato così. So che i Poignée Griffe potrebbero aiutarti.» svelò subito dispiaciuta, dando una sonora frenata a quel po’ di entusiasmo che lo aveva investito.
Non riusciva a capacitarsi che fosse possibile, che fosse accaduto realmente. Quella capacità… era qualcosa senza prezzo, qualcosa di cui solo pochissime persone al mondo erano in grado, di cui persino gli Imperatori andavano a caccia e che poteva valere il titolo di Re dei Pirati. Pensare che l’avesse lei, che il suo fottutissimo talento non fosse quello di rompergli le scatole in ogni circostanza, ma quello per Kidd sarebbe stato un motivo d’orgoglio. Avrebbe dimostrato una volta per tutte che aveva avuto occhio quel giorno ed in effetti così era stato, se non fosse che Aya lo aveva tenuto per sé e se gli eventi non si fossero evoluti a quel modo, probabilmente chissà quando avrebbe aperto bocca a riguardo.
Con i denti nuovamente serrati, strinse la presa sul tavolo cui era poggiato e malgrado fosse consapevole d’essere il solo responsabile di quella mancata confidenza per i precedenti avuti, le parole gli uscirono di bocca comunque.
«Quello che non hai fatto subito è avvisarmi d’esserne capace né d’avere intenzione di dar retta a quei fottuti idioti nella loro vendetta.» replicò duro, strappandole una smorfia.
«Re Boro mi ha avvertita che è una cosa molto pericolosa da dire… e non ci sarà nessuna vendetta. Ide è solo agitata.» giustificò sé stessa e l’altra, come se a lui fregasse qualcosa dello stato d’animo di quella biondina.
Fermo al proprio posto Kidd insistette a guardarla, ma alla fine un grugnito gli sfuggì di gola e si ritrovò per un secondo a pensare a quell’ennesimo sconosciuto che pur avendo giurato fedeltà ai Nobili mondiali ed al Governo aveva messo davanti a tutto l’incolumità di quella dannata.
La gente le si affezionava e lei si affezionava a loro, fregandosene del tempo trascorso insieme o delle migliaia di ragione che avrebbero potuto farla e farli desistere. Per uno come lui, che aveva sudato sangue per ottenere un briciolo di rispetto ed era stato preso a calci per il proprio sogno, una simile empatia era inconcepibile.
«Possono strepitare quanto gli pare per quanto mi riguarda, non me ne importa nulla. Non ritorneremo su quell’isola perché non riescono a sbrigare i loro affari con il Governo mondiale. Imparino a far da soli.» brontolò scocciato, lanciando uno sguardo distratto alla superficie fumante del mare.
Se tenevano davvero al suo bene non potevano dirle di badare a ciò che raccontava per poi tirarla dentro quella situazione. Con tutta quella fottuta arroganza poi… le avevano mandato una nave e il migliore dei loro uomini. Quello era pretendere, non chiedere aiuto e Kidd non era disposto a lasciarglielo fare.
Fuori la neve continuava a cadere incessante e con i fiocchi più grandi che avesse mai visto, ma il contatto con l’acqua li faceva dissolvere in zampilli di fumo e di loro non restava irrimediabilmente nulla. Il cielo era cupo, il mare ingrigito e dopo poco Kidd si stufò di osservare quella lotta inutile. Un po’ a suo sfavore giocò anche il non sentir provenire il minimo suono da Aya e lo sguardo corse su di lei che se ne stava a mordicchiarsi il labbro con altrettanto interesse per lo spettacolo oltre la vetrata.
Sapeva essere così stramaledettamente cocciuta delle volte, con quel suo continuo rimuginare su questioni che lui avrebbe liquidato di pancia e la fissazione per il comportarsi come più era opportuno. Non le riusciva di non pensarci, di non sentirsi in dovere, in parte responsabile per ciò che accadeva e per quanto Kidd stesso si ritrovasse delle volte nei suoi panni quando si trattava di svolgere il proprio dovere di capitano, lì era tutta un’altra storia. Una alla quale lui si rifiutava categoricamente di prendere parte o dar seguito e che purtroppo l’avrebbe lasciata in quello stato per chissà quando se non se ne fosse convinta da sola. Aveva capito ormai che imporle decisioni simili era del tutto inutile, anzi, rischiava persino di farla incaponire.
«È la tua gente, lo so… ma Myramera è sotto il controllo totale della Marina, te l’hanno detto? Pare ci siano più marines che abitanti e non aiuta certo che la tua famiglia se ne stia lì a soggiornare. Basterebbe un nonnulla per spingere ad intervenire anche un Ammiraglio e non possiamo rischiare arrivati qui.» tentò in uno slancio di pazienza di farla ragionare, vedendola posare lo sguardo su di sé con un’espressione indecifrabile.
Come cazzo si fosse ridotto a far da voce della ragione a quella donna non voleva neppure domandarselo, bastava solo che si convincesse a dare il ben servito a quei tre di sopra e tornassero sulla loro nave. Per mandare Rolf e suoi compagni a farsi fottere per il colpo alle spalle avrebbe inviato una lettera, non c’era bisogno di quegli idioti nemmeno per quello.
Sfortunatamente però Aya non parve affatto essersi ricreduta grazie alle sue parole. Anzi, il modo in cui la vide abbassare lo sguardo sul pavimento per rialzarlo poi velato d’una strana ombra, mise Kidd in allarme.
«Hai ragione… ci penserò io, tranquillo… tu e gli altri potrete proseguire senza problemi.» la sentì mormorare, quasi la voce non avesse voluto per nessuna ragione uscirle di bocca e si ritrovò ammutolito a guardarla.
Se lui e l’equipaggio avessero fatto nuovamente rotta verso il covo l’avrebbero lasciata lì e se c’era una cosa che la dannata non avrebbe mai fatto, quella era chiedergli di aspettarla. Si sarebbero divisi, com’era già successo in passato anche per dei lunghi periodi, ma con la fondamentale differenza che questa volta non era per colpa di qualcun altro. Era lei a volerlo e non lo stava chiedendo, glielo stava riferendo come un dato di fatto.
«Rimarrai con loro.» esalò e un po’ simile alla sua, la voce venne fuori di controvoglia.
Non riusciva a credere che stesse accadendo davvero, dovevano essere per forza quei fumi. Perché mai avrebbe dovuto d’altronde allontanarsi volontariamente da lui? Aveva un carattere del cazzo, Killer glielo ripeteva in continuazione e altrettanto in continuazione lo rimproverava dei modi con cui le si rivolgeva la maggior parte del tempo – come se lui poi avesse avuto diritto di parlare dato che nemmeno ce l’aveva voluta sulla nave –. Erano l’uno la faccia opposta della medaglia dell’altro, avevano opinioni differenti e quasi divergenti, miravano a sogni differenti, non avevano un obiettivo comune, si erano incontrati per caso, ma mai si sarebbe sognato di dire che quella loro strana accoppiata – che non era un’accoppiata da più tempo di quanto volesse ammettere persino con sé stesso – avrebbe avuto vita breve. Si erano scelti, avevano entrambi avuto fiducia nell’altro e per quanto avesse sempre sbraitato ai quattro angoli del mondo di non sopportarla, di non volerla tra i piedi, non era mai stato così. Si sarebbe preso a calci in faccia da solo per quello, ma maledizione no, no!
Dall’altra parte della stanza, Aya annuì in silenzio, ma qualcosa nell’espressione che doveva avere lui in quel momento la spinse a tirar fuori uno dei suoi sorrisi e a Kidd piacque meno di tutto il resto.
«Stava diventando un passaggio un po’ troppo lungo per esserlo ancora…ti libererai di me finalmente, le tue orecchie potranno riposarsi!» provò ad allentare la tenzione, esibendosi in un’alzata di spalle da manuale.
Lo stava facendo per lui, Kidd lo sapeva. Aveva parlato solo per cavarlo fuori dall’impiccio, estraendo dal cilindro delle toppe qualcosa che potesse aiutarlo a mandar giù e parargli la faccia. Aveva una propensione naturale per fermarsi sul ciglio del burrone, era un’opera di premura per sé stessa e gli altri, ma quella volta non funzionò. Non avrebbe mai potuto funzionare per la semplice ragione che a differenza delle altre volte lei non sarebbe più stata con lui, gli avrebbe voltato le spalle e lo avrebbe fatto in maniera volontaria e definitiva per seguire tre idioti che non avrebbero mai potuto avvicinarsi nemmeno minimamente a ciò che Kidd aveva fatto per lei.
Come o quando avesse divorato lo spazio che li separava in quella stanza troppo grande, fu un problema che non si pose né tantomeno lo fu quello di controllarsi. Qualcuno avrebbe potuto d’altronde definire un miracolo già che l’avesse fatto sino a quel preciso istante.
«Avrei potuto lasciarti su quella maledetta isola del Mare Meridionale… o ucciderti. Invece ti ho portata con me, ho zittito tutti quelli che pensavano sbagliassi, ti ho dato un posto in cui stare al sicuro, una mano a realizzare il tuo sogno, ti ho salvato la vita più volte di quante la tua dannata testa sia riuscita a registrarne e tu, credi di potertene andare come e quando ti pare?!» sbottò furibondo, schiantando il pugno contro la parete, proprio di fianco al viso di Aya.
Dall’alto dei centimetri che li separavano la vide osservare la voragine crepata che ne era appena scaturita con una smorfia dispiaciuta per tornare poi a fissare un punto imprecisato oltre il suo torace, sospirando.
Non voleva che si ricredesse per paura o peggio perché gli doveva qualcosa, ma non sopportava l’idea che potesse aver dimenticato ogni cosa neppure per un istante. Quello non era il litigio che avevano avuto al covo, era qualcosa di profondamente diverso. Non poteva andarsene a quel modo, non glielo avrebbe permesso.
La fissò rimanere in quella posizione per un tempo interminabile poi come se qualcosa fosse scattato, mentre Kidd abbassava il braccio pieno di tagli e intonaco sgretolato, lei sollevò di nuovo gli occhi.
«Tu sei stato tutto per me Kidd… io devo la mia vita qui a te. Se non mi avessi dato fiducia quel giorno non sarei qui. Non avrei potuto continuare a sognare e a vedere il mondo come tanto avevo desiderato e per questo te ne sarò grata finché ne avrò la forza, lo giuro. Sei stato la mia famiglia… quella che ho potuto scegliere e che in qualche modo mi ha scelta. Ma non posso restare ancora con te… non sono in grado di sopportare sulle spalle pesi come i tuoi. Le nostre strade si sarebbero divise comunque, lo sai. Preferisco accada adesso, prima che sia tardi o capiti qualcosa.» parlò tutto d’un fiato, sostenendo il suo sguardo finché inconsciamente Kidd non fece un passo indietro e la sua attenzione si spostò sulla mano che aveva infranto sul muro in un eccesso di rabbia.
Gliela ripulì attenta dall’intonaco pezzo dopo pezzo e con la fronte aggrottata ne studiò alla fine i tagli come migliaia di altre volte aveva fatto a distanza, prima dell’incidente a Serranilla.
Diceva di tenere a lui e le credeva, ma i motivi per cui decideva di allontanarsi – per quanto sì, suo malgrado sapesse da tempo che sarebbe accaduto – non lo convincevano. Perché non voleva restare? Lui combatteva ogni giorno contro i preconcetti della loro fottuta società, contro il Governo, la Marina e per quanto non l’avesse mai fatto in maniera diretta come quell’idiota di Mugiwara, anche contro ciò che rappresentavano i Nobili mondiali. Se fossero venuti a cercarla e fosse finito in mezzo non si sarebbe certo tirato indietro, anzi. Non gli tornavano quelle ragioni, per lui non avevano senso e quello che avevano non gli stava bene perché col cazzo che avrebbe accettato d’essere protetto. Doveva esserci qualcos’altro, qualcosa contro cui potesse prendersela.
«… è stato Trafalgar a metterti in testa queste cose?» insinuò duro, squadrandola dall’alto.
Aya rimase per un secondo interdetta, ma Kidd insistette a puntarla con attesa.
Killer non era sicuro d’averlo visto davvero, la sua attenzione era rivolta altrove in quel momento, ma non ci sarebbe stato poi tanto da stupirsi se quel dannato arrogante fosse stato nei paraggi. Down Under era un punto di scambio per molti e Trafalgar pareva ronzare attorno ad Aya più di quanto la casualità avrebbe voluto.
«Law non c’entra, Kidd. L’ho deciso tempo fa.» spiegò, riprendendosi dallo stupore.
«Quando lo hai conosciuto.» ribatté secco, accusandola con una smorfia.
«Quando ho scoperto che oltre ad avermi seppellita per riabilitare il loro nome, la mia famiglia era disposta a tutto e voleva davvero uccidermi. Se proprio vuoi saperlo quello che c’è tra me e Law non c’entra.» troncò senza scomporsi, con un’occhiata di premura che gli fece rivoltare lo stomaco.
Quindi qualcosa tra lei e il maledetto c’era… il ché aggiungeva una nuova ragione all’elenco dei motivi per cui quella spina in culo che si faceva chiamare Trafalgar Law andava tolta di mezzo nei modi peggiori e più dolorosi che la sua mente riuscisse ad escogitare. E dire che non se n’era mai preoccupato, non lo aveva nemmeno sfiorato il pensiero… d’altronde non lo aveva mai sfiorato nemmeno la possibilità che potesse andarsene e invece stava succedendo. Proprio in quel momento e non sapeva con chi essere più arrabbiato a quel punto.
La fissò ancora per un altro po’, trattenendo l’istinto di caricarsela in spalla e portarla via di peso o peggio, farla esplodere come pareva sul punto di fare ormai con qualche azione sconsiderata che gli lasciasse almeno il suo sapore in bocca, ma si ritrovò solo a stringere i pugni con il fiato corto come in uno scontro.
«Ti farai ammazzare per tutte queste stronzate. Sei sempre stata una maledetta stupida!» la insultò scontroso, facendola stringere nelle spalle un’ultima volta prima di voltarle di scatto le spalle e marciare fuori.
«Mi mancherai anche tu Kidd…» la sentì borbottare con la voce rotta, ma era già oltre la porta e non ebbe il tempo né la voglia di vederla accasciarsi contro la parete, i capelli davanti alla faccia e il labbro tra i denti.



Li aveva visti combattere sul serio appena due volte, quando lui e il suo ex equipaggio del G-5 avevano provato ad arrestare la loro corsa nel Nuovo Mondo proprio oltre la Linea Rossa e sotto la pioggia incessante dell’isola di Serranilla, ma per Shizaru erano state sufficiente a capire che non era il caso di provocarli troppo. Killer, meglio noto ai più con il titolo di Soldato Massacratore, era il secondo in comando di Eustass Kidd, una taglia da mettere i brividi solo a sentirla e certo non il genere d’uomo con cui ci si sarebbero potute o dovute concedere confidenze. La maschera poi non aiutava, impediva di capire a chi fosse diretto il suo sguardo, che espressione avesse, avere almeno un’idea di ciò che gli passasse per la testa, ma Celya aveva risolto quell’apparente insormontabile problema piazzandoglisi di fronte e guardandolo attraverso i minuscoli fori di cui era dotato il casco con la stessa soggezione che riservava al resto del genere maschile: nessuna. C’era da ringraziare tutti i kami del cielo e della terra se non si erano ancora saltati addosso l’un l’altra o più probabilmente quella bizzara amicizia che condividevano con Aya.
«Killer-san fagliela pagare!» sbraitò per l’ennesima volta il mozzo che si era beccato un calcio in faccia, il viso gonfio a causa del naso rotto e l’orgoglio ridotto ad una poltiglia informe.
Celya sentendolo inveire ancora, roteò lo sguardo al cielo per puntarglielo poco dopo contro.
«Prenderti a calci non vale mezzo berry, idiota. Fa silenzio e torna a strisciare nel tuo buco.» lo ammutolì stufa, provando a lanciargli contro una massa di miele rotonda che il Massacratore deviò sollevando il braccio.
«Non tirare troppo la corda. Sei scusata solo perché al mio capitano seccherebbe sentire cos’è successo.» la richiamò, evitando di prestare attenzione al resto dei suoi compagni che borbottava sul ponte.
Avevano smesso di tentare di demolire su due piedi la Kumonryu e fare la voce grossa con la principessa di Myramera, ma il loro umore non era cambiato, anzi, pareva persino peggiorato. Era evidente che non gradissero nessuno dei presenti né tantomeno il doversene star là fermi a rigirarsi i pollici. Per loro doveva essere una novità spiacevole non attaccar briga e limitarsi ad aspettare.
«Oh povera me. Tremo dalla paura di ciò che potresti farmi.» sibilò provocatoria Celya e nel vederla scivolare in contro alle lame del Massacratore con il corpo quasi completamente ricoperto di miele Shizaru sospettò non avrebbero avuto molto altro tempo da aspettare.
Sembrava quasi si stesse divertendo ad innervosirlo o quantomeno a tentare di farlo dato che il biondo non pareva darle corda più del necessario benché stesse là immobile ed armato da almeno mezz’ora.
«No! No! Fermi! Non è necessario tutto questo, possiamo… parlarne, come farebbe Aya! Troviamo una soluzione pacifica che non causi morti, va bene? C-Celya ti sono grata per quello che stai facendo, ma sono pericolosi. Non è il caso di provocarli.» s’intromise Ide, bisbigliandole ad un orecchio nel tentativo di farla desistere da quella follia.
Purtroppo per lei era impossibile fare desistere Celya con quelle motivazioni, Shizaru ormai aveva appurato che fosse una questione d’orgoglio per lei non cedere il passo. Era già incredibile che non fosse ricorsa alle maniere forti sino a quel momento, chiederle persino di starsene in disparte era praticamente impossibile.
«Anch’io lo sono. Sta tranquilla tesoro.» la confortò, senza spostare neppure lo sguardo da Killer.
Ide aprì e richiuse sconvolta la bocca un paio di volte, alla fine si girò verso di loro, forse cercando supporto dato che erano arrivati insieme, e Amaro le rivolse un’alzata di spalle rassegnata che non avrebbe mai potuto rassicurarla o spingerla a lasciar perdere nello stato in cui si trovava.
Era preoccupata, visibilmente in ansia per ciò che stava accadendo nel suo paese e Shizaru non poteva darle torto. Lo era anche lui, sebbene a Myramera fosse stato solo in un’occasione e per cercare Aya. Quella situazione era sfuggita di mano a molti, forse addirittura al Governo mondiale stesso e adesso era troppe le persone che rischiavano di rimetterci per delle calunnie ingiustificate e per l’ossessione di suo fratello.
«Diante…» la sentì mugolare alla ricerca di sostegno e dalla paratia su cui si era accomodato, quello che per Shizaru era stato sino a poco prima un ragazzo prodigio senza volto su cui la Marina cercava da anni di allungare le mani, lui riaprì subito gli occhi.
Sebbene l’attenzione di Killer con quel semplice ed innocuo gesto virò sulla sua figura, Diante non mise bocca nella faccenda e l’unica cosa che si limitò a fare o forse che ebbe il tempo di compiere, fu voltarsi in direzione della porta da cui era risalito.
«Arriva.» avvertì, con quello che evidentemente doveva essere il suo portentoso haki dell’osservazione.
Ide tirò un sospiro di sollievo alla notizia e si mosse di getto verso la soglia, ma si bloccò di colpo non appena un’ombra che certo non poteva appartenere ad Aya si allungò sul ponte.
«Oh grazie ai kami. Almeno adesso ci penserà le-ah!» strillò spaventata, mentre Eustass Kidd la superava non degnandola della benché minima occhiata.
«Capitano Kidd!» lo salutarono per contro i suoi uomini, balzando rinvigorito su.
Shizaru lo fissò avanzare sul ponte a grandi falcate, il volto scuro e i muscoli contratti, quasi avesse voluto demolire tutto ciò che gli si parava davanti e un brutto presentimento lo investì.
Non lo conosceva, non si erano mai scambiati una parola né mai addirittura incrociati, ma non ci voleva certo un’amicizia di lunga data o quello per capire che il suo umore era pessimo. Doveva essere successo qualcosa di grave e come lui, quell’intuizione dovette cogliere tutti il resto dei presenti, specialmente quel ragazzo di nome Yoshi che allungò di slancio la mano nell’afferrare il polso di Celya.
«È lui? Sul serio? Lo immaginavo diverso...» sbottò incurante lei, credendo che la stesse chiamando in causa per chissà cosa.
Eustass Kidd le rivolse appena un’occhiata di striscio, mentre superava il proprio secondo in comando e si avviava verso l’ampia passerella a gradoni che era stata calata sulla roccia della spiaggia innevata di Wonky Hole.
«Andiamocene.» ringhiò tra i denti, con un tono che tuttavia non impedì a Ide di parlare.
«Dov’è Aya?» s’informò coraggiosa, ma le mancò il fiato quando lui si voltò di scatto ad incenerirla e solo in quel momento Diante si mosse, tanto rapido a pararlesi accanto, da non dare nemmeno l’impressione che fosse stato seduto sino ad allora.
La domanda rimase sospesa a mezz’aria, in quell’atmosfera greve e per un lungo momento anche Killer, Wire e il resto degli uomini lo fissarono confusi da quella mancanza. Durò appena un’istante però, prima che Eustass Kidd tornasse a voltarsi e marciare giù per la passerella con l’evidente intenzione di fracassarla un passo alla volta sotto il proprio malumore incipiente.
«Ho detto andiamo. Ora.» ordinò furioso e finalmente l’equipaggio si decise a muoversi dietro di lui.
Solo Killer gli si accostò di corsa, in uno scatto rapido quanto poteva esserlo stato quello di Diante, dandogli persino una botta nel bicipite di metallo che suonò sorda e malaugurante quanto la campana d’una chiesa a lutto.
«Cosa le hai detto?! Kidd! Per una volta fermati e non fare il cocciuto! Kidd!» insistette a richiamarlo, infischiandosene persino della goccia di miele che Celya gli scaraventò a distanza sul casco come ultima provocazione.
Immobili li seguirono allontanarsi l’uno dopo l’altro, mentre capitano e vice erano già distanti, trascinando gli stivali nella neve e dando occhiate confuse indietro, quasi quella situazione non gli tornasse proprio.
La stavano evidentemente lasciando lì per ripartire il più in fretta possibile e non dovevano esserci abituati. Da tre anni, per quanto Shizaru ne sapesse, quella ragazza aveva vissuto sulla loro nave, condiviso con loro il cibo, sopportato le loro disavventure, accumulato fatiche e sostenuto pesi. Doveva essere diventata parte del gruppo e per quanto male gliene avesse sentito parlare, si trattava pur sempre di una separazione che non dovevano aver mai contato di affrontare. Sapeva cosa si provava in quelle circostanze, conosceva i pensieri che affollavano la mente e il dolore che rivoltava lo stomaco. Aveva trascinato anche lui i piedi andando via.
«Se le succedesse qualcosa… non ci sarà luogo al mondo in cui potrete nascondervi.» sentì di colpo annunciare con voce piatta e si girò a fissare l’unico rimasto della ciurma.
Con il cappuccio gravido di neve e il forcone stretto nel pugno dalle nocche sbiancate, Wire lo puntò direttamente e Shizaru si ricordò solo allora di averlo sempre visto di fianco ad Aya nelle volte in cui vi si era imbattuto.
Il suo capitano era stato il primo ad andar via, lui l’ultimo. Ad entrambi, in modi diversi, separarsi da lei doveva risultare più difficile del previsto.
«Non le accadrà nulla. Avete la mia parola e quella di tutti noi.» annunciò senza chiedere il loro consenso, ricevendo un vago assenso col capo dall’ufficiale prima che i suoi occhi si voltassero un’ultima volta a controllare la porta per poi sparire.























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Note dell’autrice:
Sono pochine, d’altronde le circostanze non richiedevano ci fossero ninnoli inutili a far da contorno.

- Saruningen: Uomo scimmia, che è un po’ un insulto giapponese un po’ un insulto di Celya.
- Monetine: Io non riesco ancora a credere sia possibile, ma sì, d’altronde lo è. Anche perché chi altri oltre a lui avrebbe potuto avere un tale hobby? Fa così vecchietto da casa di riposo che non riesco a non provare affetto quando ci penso! È adorabile, kami! Comunque, per chi non lo sapesse, l’hobby in cui Law si diletta secondo Oda, non è vivisezionare cadaveri come si va decantando in molte fanfic di questo sito, ma collezionare monete preziose. Ha un album, tipo quello dei calciatori… e un tempo anche una dignità. Molto tempo fa.
- Kumonryu: L’ha partorita la mia mente perversa ed è una nave per metà costruita dai giganti di Moundhill e per l’altra dai costruttori di Myramera che sono ottimi navigatori. Aya non aveva voluto accettarla quando Re Boro propose di regalargliela, ma alla fine si è ritrovata “costretta” in un certo senso a farlo per vie traverse, per cui adesso è ufficiale: è la nave di Aya. Il suo nome deriva da una specie di carpa koi che lo porta per la sua somiglianza con i draghi della mitologia, è infatti dotata di barbigli molto lunghi, una memoria centenaria, la capacità di cambiare colore a seconda delle stagioni, le scaglie ramate e le pinne simili ad ali. In Giappone vengono allevate dagli intenditori e un gruppo nuota nel laghetto del palazzo dell’Imperatore a Tokyo.
- Aya: Lo so, a molti, tutti, forse non sarà piaciuta la mia scelta di allontanarla da Kidd e Law per darle dei nuovi compagni, ma sappiate che è sempre stata la sua sorte e tale resterà. D’altronde né Kidd né Law l’avrebbero mai apprezzata come hanno fatto se non avesse avuto questo spirito da avventuriera… non temete comunque, non li accantonati per sempre e senza ragioni.




  
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