Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: ___Page    11/03/2018    4 recensioni
«Iva tu… non l’hai già acquistata vero?» chiedo in un soffio e un angolo della sua bocca si contrae in un tic.
«A chili» conferma.
«Se non dovessimo trovare un’utilità per questo prodotto, il danno ammonterebbe a una cifra considerevole.»
«Ci serve più tempo!»
«Non lo abbiamo. Ci serve che la questione si riveli un affare entro Settembre o qualcuno del consiglio potrebbe… contrariarsi, diciamo. E la presentazione è programmata per Luglio. E deve essere l’affare dell’anno.»
***
Grazie alla geniale trovata di Iva ora mi ritrovo con il mio migliore amico che si sposa tra sei settimane, Sabo da gestire, un matrimonio da aiutare a organizzare e un progetto assurdo, impossibile, irrealizzabile dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo.
Fantastico! Sono al settimo cielo!
***
«Ehi non mi piace che si usi quel termine per me!» protesta.
«Cosa?! Mestruato?!» domando con sfida, ma lui scuote la testa «Irritante?» riprovo, sollevando le sopracciglia, ma lui nega di nuovo «Gay?!» chiedo ancora. Incredula, lo guardo annuire solenne.
«Precisamente.»
No, io non ce la posso fare.
«Izo tu sei gay!!!»
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Koala, Nami, Nefertari Bibi, Trafalgar Law, Usop | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Goa, poco prima di mezzanotte.
Venerdì.
 
Le sere d'estate mi hanno sempre trasmesso nostalgia. Nostalgia bella, intensa, che allarga il cuore e fa tremare a ogni respiro. È l'aria tiepida pregna di aspettativa, il sempre troppo veloce bruciare la vita di una stagione rubata, come se la fine di ogni sua giornata fosse costante preludio e memento della fine dell'estate stessa.
Sono nostalgiche, le sere d'estate, perché si portano via, ad ogni tramonto e ogni alba, risate e chiacchiere, momenti di vera felicità, destinati a sbiadire nel tempo lasciando l'impronta di una sensazione marchiata a fuoco nella mente.
Ancora più nostalgiche se annunciano la fine di una giornata destinata a restare nella storia di un gruppo di amici e di una famiglia. Un evento atteso con trepidazione e volato via con il primo soffio di vento notturno. Come, ad esempio, un matrimonio.
Dei tanti invitati, siamo rimasti una manciata sotto la tensostruttura allestita nel giardino della villa di Goa. I proverbiali pochi ma buoni.
Mi appoggio a uno dei pilastri in metallo, l'abito che svolazza nella brezza, sfiorando le mie gambe nude. I tacchi mi stavano massacrando dopo l'intera giornata.
Non trattengo un sospiro mentre, sfregando i palmi sulle braccia, mi guardo intorno.
Il tastierista della band di Baby, un tipo strambo con i capelli celesti e una maschera che ricorda il sadomaso, sta finendo di suonare un lento e io li osservo con il cuore in gola stringersi al centro della pista.
Fa bene vederli così felici. Anche se non è facile abituarsi a questa realtà. Non è facile rendersi conto che è successo davvero. Non sembra lo stesso mondo in cui vivevamo ieri. Inclino il capo e appoggio una tempia al pilastro.
«Ciao Koala»
«Ciao Monet» sorrido, senza voltarmi a guardarla, non subito, finché non entra nel mio campo visivo periferico. So che nemmeno lei sta guardando me. Baby è in disparte sul palco che accorda la chitarra ed è solo per mera curiosità che mi volto a cercare conferma del mio sospetto. E infatti Monet, che brilla nel suo abito giallo senape, non ha occhi che per lei.
La musica dolce e romantica si attenua ancora di più, senza cessare del tutto, sottofondo allo schiarirsi di gola di Baby che riecheggia in Dolby Sorround.
«Ehm... buona... buona sera a tutti» mormora incerta. «Io e la mia band vorremmo dedicare la prossima canzone agli sposi. Un piccolo regalo per il grande passo di questa meravigliosa coppia!» annuncia strappando un giro di applausi a cui mi unisco, lo stomaco contratto per la tensione che ancora non mi vuole abbandonare.
 
[Here’s to us – Halestorm]

La musica cambia ma loro restano stretti l'uno all'altra, persi nel loro mondo privato dove a nessuno di noi è concesso di entrare.
«Guardala» Monet ora ha un'espressione che quasi spezza il cuore. «Non è bellissima?» domanda, probabilmente al vento.
Ma, nel dubbio, decido di darle retta.
 
We could just go home right now
Or maybe we could stick around
For just one more drink, oh yeah
 
Osservo Baby, che molleggia appena con le gambe davanti all'asta del microfono, nel suo abito ciliegia, le dita che danzano sulle corde, gli occhi semichiusi che brillano. «Sì lo è».
Rimango ancora una manciata di secondi, prima di prendere a passeggiare lungo il lato della tensostruttura.
 
Get another bottle out
Lets shoot the shit
Sit back down
For just one more drink, oh yeah
 
Ho bisogno di un momento da sola con i miei pensieri.
Il vento mi accarezza la pelle, leggero, mentre studio con occhi attenti ciò che rimane del matrimonio dell'anno. Croco osserva con ben nascosto orgoglio sua figlia, accanto ad Albida che, nonostante la smorfia sul volto, resiste stoica per non perdersi lo spettacolo di Baby.
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we fucked up
Here's to you
Fill the glass
Cause the last few days
Have kicked my ass
So lets give em hell
Wish everybody well
 
Sorrido. Non sarà la migliore delle madri ma almeno ci prova e zio Ty, che ora sta chiacchierando con Cobra, mi ha insegnato a dare a Cesare quel che è di Cesare.
Io, d'altra parte, non so nemmeno come sia avercela, una madre. Non che mi pesi. Non mi è mai mancato nulla, men che meno una famiglia che è ben lontana da limitarsi solo a mio padre. Una famiglia che mi tengo stretta, da cui non taglierò fuori nessuno, mai più, non importa dove andrà ciascuno di noi.
 
Here's to us
 
Una famiglia in continua espansione, come testimoniano Kaymie e Duval, per esempio.
 
Here's to us
 
«Champagne?» un vassoio spunta sotto al mio naso, sorretto da uno dei camerieri di Zeff.
 
Stuck it out this far together
Put our dreams through the shredder
Let’s toast cause things got better
 
«Grazie» mormoro prendendo un calice con due dita e quando mi giro di nuovo, Izou mi sta osservando dalla parte opposta della pista e solleva il suo calice, a metà tra un brindisi e un saluto a cui rispondo.
Mi sposto ancora e, oltre l'abbraccio di Nami e Zoro, individuo Sanji e Usopp ridere insieme a Shanks.
 
and everything could change like that
And all these years go by so fast
But nothing lasts forever
 
A giudicare da come trattiene il collo di Rufy sott'ascella, starà raccontando di quando Rufy si è incastrato nel cancello di Woopslap. Dietro di loro Dragon è appoggiato a uno dei pilastri, come me poco fa, e guarda verso il bancone dell'open bar.
Seguo la traiettoria del suo sguardo fino a posare gli occhi su Sabo. È ancora un po' tirato ma sta benissimo nel completo scuro da testimone.
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we messed up
Here's to you
Fill the glass
Cause the last few nights
Have kicked my ass
If they give you hell
Tell em to go fuck themselves
 
Ci mette pochi secondi ad accorgersi di me e subito mi sorride. Un sorriso nostalgico quanto il mio.
Sì, non è facile. E lui è l'unica persona qui in grado di capire come mi sento, oltre a, forse, Robin. Perché Robin sa e capisce sempre tutto, anche le emozioni, anche quando non le prova sulla propria pelle.
E quasi che mi avesse letto nel pensiero, quando sposto di nuovo lo sguardo, eccola nel mio campo visivo, che osserva nella mia direzione.
 
Here's to us
 
Poco oltre la mia spalla e poi di nuovo me. Corrugo le sopracciglia interrogativa e lei mi invita a girarmi con un cenno del capo.
 
Here's to us
 
E quando lo faccio tutto il mio sistema va in tilt.
 
Here's to all that we kissed
And to all that we missed
To the biggest mistakes
That we just wouldn’t trade
To us breaking up
Without us breaking down
To whatever's come our way
 
Lo stomaco si stringe ancora di più e poi comincia a fare le capriole, il cuore accelera. Sta venendo verso di me, con un passo e uno sguardo così decisi da mozzarmi il fiato. Cerco di respirare e pensare a qualcosa da dire ma ogni mia energia al momento è focalizzata per non lasciarmi risucchiare dei suoi occhi, così intensi e seri che più mi ci perdo più mi ci voglio perdere.
«Ehi c...»
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we fucked up
Here's to you
Fill the glass
 
E poi Law mi sta baciando e pensare non è più nemmeno un'opzione. Mi sta baciando qui, davanti a tutti, come se da questo bacio dipendesse la sua stessa vita. E io rispondo come se ne dipendesse la mia, tesa sulle punte dei piedi, aggrappata ai baveri della sua camicia.
 
Cause the last few days
Have kicked my ass
 
Non lasciarmi andare. Non lasciarmi andare mai.
 
So let's give em hell
Wish everybody well
 
E forse anche lui legge nel pensiero, o forse è solo per compensare quando siamo costretti a separarci se non vogliamo svenire per mancanza di ossigeno, le sue mani si stringono sui miei fianchi.
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we messed up
Here's to you
Fill the glass
 
Potrei stare allucinando ma se qualche neurone è ancora sano allora davvero Law sta dondolando appena a ritmo di musica, con me tra le braccia.
E mi ci vuole qualche secondo ma poi mi ricordo che non siamo soli e, come sospettavo, un bel po' di occhi sono per noi.
 
Cause the last few nights
Have kicked my ass
If they give you hell
Tell em to go fuck themselves
-Go fuck themselves-
 
Izou e Nami ammicano saputi, Usopp mi fa il pollice alzato e io scuoto il capo rassegnata, con un sorriso a trentadue denti sul volto. Dragon ci guarda con infinito affetto e quando Bibi, al bancone con Sabo, ci dà di nuovo la sua benedizione con un sorriso, immergo il volto nel petto di Law, caldo e rassicurante.
 
Here's to us
-Here's to us-
Here's to us
-Here's to us-
 
Mi dà un bacio tra i capelli e io sollevo il capo per guardarlo, così felice che temo potrei scoppiare.
 
Here’s to us
Here’s to love
Here’s to us
-Wish everybody well-
 
Si abbassa per baciarmi un'altra volta e io di certo non mi tiro indietro ma quando le sue labbra si posano sulle mie mi scappa una risata. Mi marchia appena la bocca prima di ritirarsi indietro per potermi guardare in volto, un sopracciglio alzato e una delle più rare visioni su questo pianeta. Un vero sorriso sulle labbra.
 
Here’s to us
Here’s to love
Here’s to us
 
Scuote il capo. Anche lui è felice. Così felice.
«Che c'è?»
«No niente è solo che… non ho ancora capito bene com’è successo?»
 
Here’s to us
 

§
 
 
Ospedale di Raftel, un orario imprecisato intorno a mezzanotte.
 La notte tra mercoledì e giovedì.
 
Provo l’impulso di strappare la tenda che riempie il mio campo visivo, nascondendo Koala ai miei occhi. Sono pericolosamente vicino a perdere il controllo, come di rado è capitato in vita mia, e deve notarsi parecchio a giudicare dalla cautela con cui Ishley mi tocca il braccio.
Per quanto possa conoscermi  bene, sia io che lei siamo qui da poco, entrambi al penultimo anno, io di specializzazione e lei di università. È l’unica sul lavoro con cui riesco ad abbassare almeno in parte le barriere difensive, complice la stima e il rispetto che provo per lei che, a ventiquattro anni, è più brillante di tanti strutturati e medici di ruolo, conosciuti sia qui che ad Alubarna.
Lei sa come prendermi, non me le manda a dire e capisce sempre quando ho bisogno di essere gestito. È la mia Koala dell’ospedale.
Ma stasera sono al di là del dover essere gestito e francamente temo per la sua incolumità, più di quanto non faccia lei comunque.
«Law cerca di stare tranquillo okay?» il tono è fermo, nonostante l’espressione preoccupata. Non che riesca a studiarla a lungo, non resisto molto prima di sentire il viscerale bisogno di incollare di nuovo gli occhi alla tenda, probabilmente nella speranza che si stacchi e cada.
Voglio vederla, assicurarmi di nuovo che sta bene, tenerla d’occhio. Dannazione!
«Sarò tranquillo quando sarà fuori di qui, con un bel foglio dettagliato che dice che sta assolutamente bene e non ci sono state complicazioni di nessun tipo nonostante lo svenimento, chiaro?»  
«Cristallino» alza la mano libera in una specie di segno di resa. «Ma adesso dobbiamo occuparci anche di te! Sei distrutto!»
«Ish non ho intenzione di allontanarmi da qui, men che meno di dormire. Potrebbe succedere qualcosa, potrebbe avere bisogno di me»
Gesù, non mi riconosco! Non fosse per il tono che non ammette repliche… ma non è da me tutta questa apprensione per un paziente. Se non che non si tratta affatto di un semplice paziente. E nemmeno di una semplice amica o della mia migliore amica. È di più. Molto più di quanto io sia in grado di concepire in questo momento.
Forse, dopotutto, quella flebo di fisiologica non è un’idea così pessima. 
«Senti» sospira, Ishley, e si passa una mano sulla fronte. «Possiamo attaccarla al monitor, se ti fa stare più sereno»
Mi giro a guardarla, nascondendo come posso lo shock. Non so cosa mi sconvolge di più delle diverse sensazioni che provo. Se la gratitudine per lei, il desiderio di accettare la sua offerta pur sapendo che non è assolutamente necessario o il sollievo all’idea di poterla tenere monitorata tutta la notte.
E so che è sbagliato, è qualcosa che disprezzo, un medico che approfitta delle risorse dell’ospedale laddove non ce n’è realmente bisogno, ma non ce la faccio, non riesco a lasciarla se non so che qualcuno sta controllando che stia bene, che sia il mio occhio o una macchina collaudata apposta per farlo. Se voglio ritrovare un minimo di controllo sulle mie azioni, devo accettare contro tutta la coerenza che tanto mi è cara. E devo ritrovare quel controllo, perché c’è una faccenda che devo sistemare in fretta e stanotte e che merita la mia completa attenzione.
Mi passo una mano sul volto, esausto. «Che serata assurda, santo dio!»  
«Dovresti andare a riposare un po’»
«Ish non…»
«Era sul punto di crollare, l’hai vista! Si addormenterà appena toccherà il cuscino» stronca sul nascere la mia protesta, decisa a farmi ragionare. E, non so per quale grazia, ci riesce.
Mi concedo un attimo per valutare la situazione e non posso negare che le cose stanno esattamente come dice lei. Anzi, mi sono accorto subito di come si stesse sforzando di restare sveglia invece di rilassarsi e riposare e, se la conosco bene, l’ha fatto perché c’ero io. Il punto è che ora devo pensare alla cosa migliore per Koala. E Koala ha bisogno di dormire. Senza contare che, se dorme, io posso anche allontanarmi senza troppe remore, specie se la attaccano al monitor.
Il problema è anche la soluzione, a quanto pare.
«Okay. Hai ragione tu» ammetto alla fine, riluttante, una volta tanto non perché mi pesa avere torto ma perché vorrei davvero un qualsiasi valido motivo per restare. La guardo serissimo. «Ma per qualsiasi cosa…»
«Ti chiamo» mi precede, un po’ per dimostrarmi che siamo abbastanza sulla stessa lunghezza d’onda da non dovermi preoccupare, un po’ perché in fondo ci ha preso gusto a togliermi le parole di bocca.
Annuisco secco e deciso prima di sospirare e afferrarmi il ponte del naso, sopraffatto dalla stanchezza, più mentale che fisica. E la notte si prospetta ancora parecchio lunga.
«Vado da Bibi» annuncio ma devo farmi violenza per riuscire ad allontanarmi. «Ehi Ish» la richiamo fatti pochi passi.
«Mh?»
«Grazie»
 
§
 
Ospedale di Raftel, un orario imprecisato intorno a mezzanotte.
 La notte tra mercoledì e giovedì.
 
Mi aggrappo al lato della macchinetta mentre schiaccio il pulsante rosso e sospiro, in attesa della bottiglietta dell’acqua. Lancio una furtiva occhiata verso le poltroncine d’aspetto dov’ero seduta fino a poco fa. Sabo fissa il vuoto, il busto piegato in avanti e le dita intrecciate. Credo stia ancora metabolizzando quel che gli ho detto e non lo biasimo.
Dopo settimane di totale e assoluta confusione, ora so finalmente cosa fare. E ci sarebbe ben poco da stare così tranquilla se stasera le cose non avessero preso la piega che hanno preso. Non sono affatto felice di quanto successo, sono preoccupata a morte per Koala e mi dispiace aver gettato Sabo in questo stato confusionale ma non rimpiango nulla. So bene cosa lo turba tanto ma sono anche sicura che si sta agitando per niente.
Conosco Law, abbastanza da poter predire come la prenderà. Abbastanza da sapere che, Koala o non Koala, non taglierebbe comunque i ponti con suo fratello, nonché migliore amico. Non dopo che avremo parlato, non dopo che gli avrò spiegato il mio punto di vista e, se ancora ne ha bisogno, aperto gli occhi.
Sospiro, esausta.
Non sarà facile, proprio per niente, ma è necessario e deve essere stanotte. Posso non sembrarlo, vista da fuori o a una prima occhiata, ma sono una persona determinata là dove serve e pronta a lottare per ciò che conta per me. E stanotte serve.
Il tonfo della bottiglietta mi riscuote. Ci metto comunque qualche secondo più del normale a reagire, complice non solo i miei pensieri ma anche la stanchezza, nonostante io sia sveglia come un grillo. Solo pochi di noi si sono arresi al sonno. Perona, in braccio a Ace, Kaymie, accoccolata contro Duval, e Chopper e Rufy, che hanno ceduto ai fumi dell’alcool.
Mi piego in avanti per recuperare l’acqua. Zia Albida mi sgriderebbe per la poca femminilità ma se mi accovaccio rischio di non riuscire a rimettermi in piedi. Ho le gambe distrutt, credo che se non fosse per l’adrenalina non riuscirei nemmeno a stare in piedi. Quando mi ritiro su, il mio cuore si ferma.
Sta uscendo dal corridoio del pronto soccorso, il cellulare all’orecchio, il passo cadenzato, l’espressione indecifrabile. Lo fisso con il fiato sospeso e non sono l’unica. Percepisco la tensione di tutti che satura la sala d’aspetto.
«Va bene, Tiger… Sì, certo. Allora ti aspettiamo. Ciao»
Abbassa il telefonino, si ferma sulla porta aperta e si appoggia allo stipite. Sento lo stomaco accartocciarsi, la paura che mi stringe la gola. È devastato e nessuno osa chiedere, anche se tutti stiamo morendo per sapere.
Santo cielo, Law, parla! Ti prego!
«Sta bene» sussurra e da come sospira e si passa una mano sul volto capisco. Capisco che lo ha realizzato solo adesso. «È solo svenuta. Sta bene» ripete, a se stesso stavolta.
Li sento anche senza vederli, tutti intorno a me riprendono a respirare. Mi giro verso Sabo che si è preso la testa tra le mani e vorrei correre da lui per confortarlo ma non posso. Ora che l’emergenza è rientrata, ora che sappiamo di stare davvero tutti bene, ora è arrivato il momento di affrontare la realtà.
E quando Law incrocia il mio sguardo mi accorgo che sta pensando esattamente la stessa cosa.
È strano, dovrebbe farmi male, almeno in teoria. Dovrei avere le gambe molli, il cuore pesante, la gola annodata. E invece mi sento come la prima volta che Pell mi ha portato a fare deltaplano. Sull’orlo del precipizio, pronta a lanciarmi nel vuoto per sentirmi libera come l’aria.
Non servono parole o gesti. Mi avvio verso il corridoio che porta al bagno, senza girarmi a controllare se mi sta seguendo. Sento i suoi passi alle mie spalle e mi fermo a pochi metri dall’inizio del corridoio, di fronte a una fila di seggioline libere e sufficientemente distanti da orecchie indiscrete.
Mi siedo, apro la bottiglietta, prendo un sorso in attesa. Law si siede al mio fianco, busto in avanti, dita intrecciate, sguardo alla parete di fronte.
Non sono fratelli di sangue ma certe volte sono uguali.
«Bibi io…»
«Non voglio sposarmi nemmeno io, Law» 
Si gira di scatto verso di me, gli occhi sgranati, riflesso della mia espressione. Sono scioccata da me stessa. Non sono solita essere così diretta e lapidaria ma mi sento già meglio. Tolto il cerotto con un unico strappo, la ferita inizia subito a respirare dopotutto.
Law metabolizza in pochi decimi di secondo, raddrizza appena il busto e torna impassibile.
«Oh» mormora, colpito. «E come mai?» corruga le sopracciglia e io non riesco a trattenere un sorrisetto.
Brutta roba, l’orgoglio maschile.
«Sul serio?» inarco le sopracciglia e lui sostiene il mio sguardo ancora qualche istante prima di afferrarsi il ponte del naso con due dita.
«Sì, hai ragione» sospira, massaggiandosi gli angoli degli occhi. «Mi dispiace, Bibi. Non so dove ho sbagliato»
Rapida gli poso una mano sul braccio. E, se ce ne fosse stato ancora bisogno, il gesto mi toglie qualsiasi dubbio residuo. Non c’è niente di intimo, né di nostalgico. Sono solo una ragazza che consola una persona a cui tiene molto. Forse non proprio un amico. Di sicuro non più un amante.
«Abbiamo sbagliato entrambi» affermo, determinata e sicura. Non lo dico per farlo stare meglio. Lo penso davvero. «Eravamo così concentrati sui nostri lavori e le nostre carriere che non ci siamo nemmeno accorti. Sposarci era la cosa più ovvia. Non fraintendere, non sto dicendo che non provavo niente per te ma… ora lo so, non era abbastanza. E io non voglio sposarmi, non ancora. Ho ancora tempo, sono ancora giovane e ho ancora tante cose per cui voglio lottare prima. Tu non mi hai mai intralciato, non ti ha mai pesato quando lavoravo fino a tardi alle mie campagne di protesta. Avevamo la perfetta routine ma cos’abbiamo costruito davvero insieme? E non è colpa tua o mia. O comunque è una colpa condivisa però non l’abbiamo fatto apposta, è che non ci siamo resi conto. Ma non siamo fatti per un’intera vita insieme e lo sai meglio di me. Lo sai benissimo chi è il tuo futuro»
È più forte di lui, è una frazione di secondo ma non mi sfugge. Non mi sfugge l’occhiata che lancia verso il fondo del corridoio, dove si trova la sala d’aspetto e poi l’ingresso al pronto soccorso. Non mi sfugge come cambia la sua espressione, come se essere lontano da lei fosse un dolore quasi fisico.
E non mi ferisce. Perché mai dovrebbe? Non lo amo e lui non ama me. Forse è difficile crederci, ma sono solo felice che qualcuno possa compensare entrambe queste lacune della sua vita.
«Non ho mai voluto usarti»
«E non l’hai fatto. Ti conosco, so come sei. Ragioni a compartimenti stagni e specializzarti è sempre stata la tua priorità. Mi hai conosciuto, la cosa ha funzionato, provavi abbastanza ed era arrivato il momento di pensare a una famiglia. Hai fatto la cosa più logica, è assolutamente da te. Ma non ti ricordavi com’era essere a casa, non ti ricordavi com’era essere con lei, averla intorno. Non ti ricordavi che, finchè c’era stata lei, non avevi mai avuto bisogno di altro» sposto la mano sulla sua coscia. «Non hai capito che il vuoto che cercavi di colmare non era qualcuno al tuo fianco ma lei al tuo fianco. Probabilmente perché non sai nemmeno da quant’è che la ami» da come trattiene il fiato, capisco di aver fatto centro. Gli sorrido di nuovo. «Non l’hai fatto apposta»
Mi studia qualche secondo, perde lo sguardo nel vuoto riflettendo sulle mie parole, torna a studiarmi. «E tutto questo da quanto lo pensi?»
«Consapevolmente? Da circa un’ora. Nel profondo credo di saperlo da settimane» sfrego le mani tra loro e prendo un profondo respiro. «Non sei l’unico che ha dovuto gestire un fattore destabilizzante» ammetto, guardandolo di sottecchi, sincera ma anche un po’ tesa.
Sì, sono certa che non taglierebbe mai i ponti con lui ma non posso avere nessuna certezza su come la potrebbe prendere di primo acchito.
Le rughe sulla sua fronte si infossano di più. «Hai conosciuto qualcuno?»
«Sì» rispondo senza esitazione, sostenendo il suo sguardo.
«Chi?» domanda e colgo nel suo tono più che altro curiosità e forse una punta di apprensione.
 «Ecco…» comincio con un altro profondo respiro. È il momento della verità.
Ma non riesco a finire, quando un rumore riecheggia contro le pareti. Un tonfo metallico seguito da un’imprecazione maltrattenuta. Mi giro verso il fondo del corridoio, mentre Law si raddrizza del tutto sul seggiolino, e il cuore mi perde due battiti. Sabo è all’ingresso del corridoio, ha appena colpito una delle sedie a muro con il ginocchio ma guarda fisso verso di noi mentre si sfrega la gamba con il palmo.
Ha un’espressione determinata che mi manda un brivido lungo la spina dorsale. Ha l’espressione di qualcuno che è venuto a reclamare qualcosa. E quando sposta gli occhi da me a Law, non ci sono più dubbi. Persino un idiota capirebbe e Law, notoriamente, non lo è.
Lo sento inalare rumorosamente e trattengo il fiato. Passano pochi secondi o forse un paio d’ore, poi percepisco la sua figura che si alza in piedi e, per un attimo, mi sovrasta prima di lanciarsi alla carica. Per un decimo di secondo non riesco a fare nulla. Poi reagisco e mi butto dietro a lui, che mi ha già staccato di un bel pezzo.
«Law!» cerco di fermarlo ma non frena l’andatura da carroarmato all’assalto. Sabo stringe i pugni e spinge il petto in fuori,immobile e stoico, pronto a incassare il colpo. «Law, non…»
Ma qualunque cosa stessi per dire me la dimentico all’istante. Una sensazione di caldo e piacevole sollievo mi pervade il petto quando Law lancia le braccia intorno alle spalle di Sabo e lo abbraccia. Se lo stringe addosso, così forte che temo possa stritolarlo, come se fosse il solo appiglio in grado di tenerlo in piedi. E Sabo ci mette un attimo a realizzare cosa sta succedendo. Comprensibilmente interdetto, sbatte le palpebre un paio di volte prima di ricambiare, incerto, l’abbraccio.
«Law?» lo chiama piano, interrogativo.  
Law stringe la presa su di lui, lo sento deglutire forte, come se dovesse scacciare il groppo in gola. «Trattala come merita, okay?» soffia a fatica.
Sabo ha un ultimo attimo di incredula sorpresa, poi stringe più forte, fino ad arpionare con le dita la maglietta di Law. «Puoi giurarci, fratello» anche Sabo manda giù a fatica, prima di aggiungere con un mezzo sorriso: «Vale anche per te, lo sai vero?»
Law non risponde. Si limita a sorridergli, euforico e felice. Inspira a fondo, se lo stringe addosso ancora una volta. Poi molla la presa, si avvicina a me e mi circonda il viso con le mani per darmi un bacio sulla fronte ed esce dal corridoio, diretto al pronto soccorso. Mi lancia un’ultima occhiata da sopra la spalla prima di sparire del tutto alla vista e io gli sorrido incoraggiante, invitandolo con un impaziente cenno del capo a correre da lei.
Che cosa sta aspettando ancora, per l’amor del cielo!
È solo dopo che svolta l’angolo che mi concentro su Sabo. Mi fissa con un misto di imbarazzo, voglia e felicità. È tirato e pallido ma il suo sguardo è radioso. Esalo un respiro, più rilassata ogni secondo che passa, e mi lascio cullare dal calore del suo sorriso.  
Non posso negare ci sia un po’ di impaccio da parte di entrambi, ma direi che è più che normale. Tamburellando con le dita contro la mia coscia, faccio due passi verso di lui, senza staccargli gli occhi di dosso, attività in cui si rivela piuttosto bravo anche lui.
Per qualche istante ancora nessuno dei due dice niente. È Sabo a rompere il silenzio.
«Ehi, ciao»
Sorrido. Va tutto bene.
«Ciao»
  
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