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Autore: Yuki Delleran    11/03/2018    4 recensioni
« D'accordo, sì, si può fare. Voglio dire, non c'è davvero nessun problema, ce la caveremo alla grande. Se a Keith sta bene, ovviamente. » si ritrovò a rispondere annaspando un po' con le parole.
Non aveva la più pallida idea di dove sbattere la testa, non sapeva assolutamente come gestire eventuali situazioni d'emergenza, ma quella era già una situazione d'emergenza e il minimo che poteva fare era soccorrere un amico in difficoltà. Un amico, già.
« Mi basterà fare una telefonata per avvertire mia madre di aggiungere un posto letto. Scommetto che sarà felicissima di averti a Varadero! »
Quello che non sembrava particolarmente entusiasta era Keith stesso, e un po' poteva capirlo: finire a Cuba con lui non doveva sembrargli la soluzione più efficace al suo problema.
[post-canon, Klance]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Safe and Sound'
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Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Post-canon
La canzone citata è Si tu ne vuelves di Miguel Bosè e Shakira
Beta: Myst & Leryu
Word count:
3181

L'ora si era fatta incredibilmente tarda, al punto che persino Shiro iniziava ad accusare la stanchezza. Da quando avevano messo piede a casa Holt, non avevano avuto un attimo di tregua. Erano sempre rimasti in contatto con il castello nello spazio, ma non perdevano mai gli aggiornamenti da Varadero. L'aiuto della principessa, in particolare, era stato determinante per iniziare a elaborare una soluzione per il problema. Esaminando il patrimonio genetico di Keith erano riusciti, non senza parecchie difficoltà, a isolare il fattore che aveva scatenato la mutazione e a sviluppare il prototipo di un enzima che la inibisse. Era un lavoro lungo e complicato, che richiedeva tutte le energie e la concentrazione di chi lo stava portando avanti.
Shiro sapeva benissimo quanto impegno ci volesse, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi per la salute dei due fratelli che non riposavano decentemente da giorni, oltre che di risentire del costante senso di inutilità.
« Avremo bisogno di te per difenderci nel caso il governo decidesse di arrestarci. » aveva commentato Pidge, tra il serio e il faceto, quando le aveva esposto i suoi dubbi.
Shiro si era augurato di sentirsi inutile per sempre.
In quel momento si trovava di fronte a una missione di estrema importanza: non poteva assolutamente tirarsi indietro.
Con il vassoio in bilico sul braccio robotico, si azzardò ad aprire la porta e a entrare nella stanza di Pidge: l'ambiente era immerso nella penombra, rischiarato solo dalla luce della lampada sulla scrivania. La ragazza era china sulla tastiera, da cui proveniva un ticchettio incessante, i capelli raccolti alla meglio con un mollettone e gli occhiali un po' storti sul naso. Sembrava più che mai concentrata, nonostante gli evidenti segni di stanchezza.
Non si voltò nemmeno quando Shiro avanzò nella stanza.
« Se sei venuto a dirmi di andare a dormire, ti consiglio di girare sui tacchi e andare da Matt. »
Shiro sospirò.
« Ci sono appena stato e non è servito a niente, con te non ci provo nemmeno. Però ti ho portato generi di sostentamento. »
L'aroma della bevanda fumante doveva averla raggiunta, perché Pidge si voltò finalmente nella sua direzione con espressione bramosa.
« Hai del caffè? »
Sul volto di Shiro si dipinse un sorrisetto, che si fece via via più malizioso mentre allontanava il vassoio, in risposta alla mano di lei che si allungava nella sua direzione.
« Shiro, non è divertente. »
Lo sguardo di Pidge si era fatto affilato, ma lui non vi badò.
« Non posso costringerti ad andare a dormire, ma posso chiederti un bacio in cambio. »
La smorfia che si dipinse sul volto di Pidge fu impagabile, al punto che Shiro faticò a non scoppiare a ridere. Il romanticismo di quella ragazza era più o meno pari alle capacità informatiche di Shiro.
« Oh, quiznak, quanto sei melenso... » borbottò, mentre lo afferrava per il colletto della maglia e lo costringeva ad abbassarsi verso di lei.
Gli stampò un bacio sulle labbra e tornò a guardarlo con aria trionfante.
« Ora sgancia quel caffè! »
A lato della scrivania vi era già impilato un numero imprecisato di tazzine e Shiro si augurò che non stesse esagerando, o Lance non sarebbe stato l'unico ad avere problemi nella gestione di qualcuno.

***
A Varadero, era finalmente giunto il giorno dell'anniversario dei nonni McClain.
Era stato stabilito di tenere la festa in serata, in un momento in cui fossero tutti presenti.
Lance e Luis passarono il pomeriggio a sistemare le decorazioni del giardino, Estella e Michelle tra i fornelli. Tutto doveva essere perfetto e si respirava un'aria di euforia. Persino Keith se ne sentiva parte e cercava di essere d'aiuto il più possibile impedendo a nonna McClain di piombare in cucina, scoprendo quali manicaretti erano in preparazione, o rovinarsi la sorpresa dell'allestimento esterno.
La cena si svolse nel cortile di fronte alla casa e praticamente tutto il vicinato era stato invitato.
A Keith, poco avvezzo a quel genere di condivisione, parve assurdo e caotico, ma un tipo di caos pieno di calore e di famigliarità.
Francisco suonò alla chitarra una ritmata canzone spagnola e il giardino si trasformò in una pista da ballo, dove le coppie volteggiavano e si agitavano allegramente.
Lance, più tardi, si esibì in una canzone più lenta, melodica, che portò le persone ad assecondare una danza più intima. Le coppie si strinsero tra loro, l’atmosfera si fece più romantica, degna della celebrazione di un lungo amore. Francisco e Lisa ballavano abbracciati, così come Estella e il marito. Nonna McClain e il consorte guardavano negli occhi con un sentimento immutato negli anni.
Michelle aveva accettato l’invito di un ragazzo del vicinato e ora ondeggiava stretta a lui. Un’espressione a dir poco estatica era dipinta sul volto del giovanotto.
La voce di Lance era riuscita a creare un’atmosfera magica, quasi surreale, sotto le luci tenui e dorate delle decorazioni. Era la perfetta rappresentazione della festa di famiglia ben riuscita.
Keith li osservava e non poteva fare a meno di sentire il cuore pieno di affetto per quelle persone. Ai suoi occhi, quello era l’idillio familiare che non aveva mai avuto il privilegio di vivere, un luogo in cui, nonostante gli screzi e le incomprensioni, c’era sempre spazio e amore per tutti.
Luogo a cui non sarebbe mai appartenuto davvero, realizzò in un’improvvisa, gelida consapevolezza.
I McClain potevano averlo accolto, ma era solo questione di tempo prima che iniziassero a fare domande. La scusa della vacanza, non avrebbe retto per sempre: prima o poi si sarebbe trovato a giustificare il vero motivo della sua presenza, a dare spiegazioni sulle sue origini. Questo avrebbe distrutto ogni piccolo legame costruito finora. Chi avrebbe voluto che i propri bambini si avvicinassero a un mostro alieno? Chi avrebbe accettato che il proprio figlio ne avesse portato uno in casa?
E lui, dopotutto, come avrebbe potuto biasimarli?
Era il primo a essere terrorizzato dalla propria natura e a comprendere che quanto che aveva attorno era solo una parentesi momentanea, una mera illusione.
Ammirando scene risplendenti di gioia, Lance che sorrideva felice, gli era sempre più evidente quanto non appartenesse a quel mondo: non ne aveva i requisiti, nonostante l'avesse sempre desiderato. Probabilmente era giusto così: la sua presenza, il suo coinvolgimento, avrebbero distrutto ogni armonia.
Approfittando del fatto che l'attenzione di tutti era focalizzata altrove, si allontanò silenziosamente.

Quando rimanere all'esterno si fece difficoltoso a causa del buio e buona parte dei vicini fece ritorno alle rispettive abitazioni, la festa si spostò nel salotto di casa, mantenendo comunque la propria spensieratezza.
Alla chitarra venne sostituito lo stereo e la musica continuò ad accompagnare chiacchiere e danze.
Lance si era accorto immediatamente dell'assenza di Keith, ma aveva immaginato che si fosse allontanato per via della confusione: non era abituato ad avere attorno tutta quella gente ed era comprensibile che si fosse sentito a disagio. Non era andato subito a cercarlo per lasciargli spazio, evitando di stargli troppo addosso: se Keith desiderava passare un po' di tempo in solitudine, lontano dal caos e da tutta quella gente, era suo pieno diritto.
Quando però sua madre e Michelle si mostrarono preoccupate per il suo allontanamento, decise che era ora di recuperarlo.
Non trovandolo in nessuna stanza di casa, Lance aprì la porta finestra che dava sul giardino,  lasciandosi alle spalle la sala luminosa, per avanzare nel cortile immerso nella penombra. Solo i fili di lucine colorate che avevano teso tra una grondaia e l'altra lo rischiaravano.
« Keith... » chiamò dubbioso, guardandosi attorno. « Sei qui? La mamma e Michelle ti cercavano. »
Non impiegò molto a individuare la sagoma accucciata nell'erba sul lato buio della casa.
« Cosa stai combinando qui da solo? La mamma ha detto che... »
S'interruppe quando gli fu chiaro che qualcosa non andava: Keith era troppo raggomitolato su sé stesso e stava tremando. Si chinò cautamente verso di lui e gli posò una mano sulla spalla.
« Che succede? Ti senti male? »
Keith scosse la testa, tenendo il volto affondato tra le braccia incrociate.
« Torna dentro, non guardarmi. Di' a tua madre che... che sono andato a dormire. »
« Che scemenza, non ci crederebbe mai. Ehi... non si era detto niente più paranoie? Me l'avevi promesso. »
Keith rimase in silenzio per un tempo che a Lance parve interminabile. Dall'interno della casa provenivano ancora musiche allegre, ma lì in giardino si riusciva comunque a sentire il frinire delle cicale.
« É... quello. » disse infine Keith.
Non fu necessario aggiungere altro perché la situazione fosse chiara.
Lance avrebbe voluto fare qualcosa e il senso d'impotenza che provò gli provocò una stretta al petto. La volta precedente erano stati fortunati, ma la realtà era che non aveva ancora capito cosa scatenasse quelle crisi e cosa le placasse. Tutto quello che sapeva era che voleva restare vicino a Keith, fargli sentire che non era solo.
Rimase quindi seduto al suo fianco senza dire una parola, la mano sempre sulla sua spalla, finché non fu proprio la musica a venire in suo soccorso. Dalla sala proveniva una delle canzoni preferite dei suoi nonni, un lento che spesso avevano anche ballato, ed era una canzone che Lance adorava.

« Si tu no vuelves
se secaran todos los mares
y esperare sin ti
tapiado al fondo de algun recuerdo »

Poteva sembrare triste, ma per Lance era un testo di speranza, perché lui era certo che la persona attesa da chi cantava sarebbe tornata. Quel pensiero, in qualche modo, gli riempiva il cuore di tenerezza.
Sull'onda di quel sentimento, lasciò scivolare la mano dalla spalla di Keith lungo il braccio, che si avvolgeva attorno alle ginocchia, fino a prendergli la mano. Gli occhi che si alzarono su di lui, stupiti, avevano una sfumatura giallastra, ma Lance non vi badò.
« Balliamo? » mormorò con un sorriso. « Qui non ci vede nessuno, non ti preoccupare. »
Lo sguardo di Keith era dubbioso, di certo si stava chiedendo che senso avesse, soprattutto in un momento come quello, ma non oppose resistenza quando Lance lo indusse ad alzarsi e strinse la sua mano nella propria.

« si tu no vuelves
mi voluntad se hara pequeña
me quedare aqui
junto a mi perro espiando horizontes »

« Sai, ci sono cresciuto, con questa canzone. I miei nonni l'ascoltavano continuamente. »
« É bella... » commentò Keith, e Lance si stupì di non sentire riluttanza nella sua voce.
Si stava lasciando condurre, ma avvertiva ancora una certa rigidità nei suoi movimenti. Voleva che si sentisse a suo agio, che si tranquillizzasse, sicuramente lo avrebbe aiutato a superare il brutto momento.
Fu per quello che lasciò scivolare la propria mano sulla sua schiena, in lente carezze pacate. Quando lo sentì rilassarsi, gli circondò la vita e lo strinse un po' di più.

« si tu no vuelves
no quedaran mas que desiertos
y escuchare por si
algun latido le queda a esta tierra
que era tan serena
cuando me querias
habia un perfume fresco
que yo respiraba
era tan bonita
era asi de grande
y no tenia fin »

Non ci furono movimenti bruschi, allontanamenti o scatti. Lance stava tenendo Keith tra le braccia, stava stringendo la sua mano e stavano ondeggiando dolcemente al ritmo di una musica così romantica che era un miracolo che nessuno dei due se la fosse già data a gambe. Eppure erano lì e a Lance sembrava un sogno, anche se Keith non lo stava guardando: teneva gli occhi bassi, la testa inclinata quasi ad appoggiarsi alla sua spalla. Questo forse era un bene, perché permetteva a Lance di mantenere un contegno nonostante il batticuore.

« Y cada noche vendra una estrella
a hacerme compañia
que te cuente como estoy
y sepas lo que ahi »

Il ritornello giunse su note morbide e Lance si ritrovò a canticchiarlo a voce bassa, a pochi centimetri dall'orecchio di Keith: probabilmente lui non avrebbe capito una parola, ma non aveva importanza. In quel momento ciò che contava era solo la vicinanza che stavano condividendo.

« dime amor, amor, amor
estoy aqui no ves?
si no vuelves no habra vida
no se lo que hare »

Forse non era vero che Keith non capiva, perché gli occhi che alzò su di lui erano pieni di calore, di nuovo grandi e scuri, luminosi come stelle. Lance era certo di non aver mai visto uno sguardo del genere sul suo volto. Lo tenne tra le braccia, sul prato del giardino rischiarato solo dalla luna e dalle lucine colorate: rimasero a fissarsi in silenzio, immersi in quell'atmosfera ovattata dove non esistevano problemi, dolori e angosce. C'erano solo loro, una musica romantica e le loro dita intrecciate. Lance si ritrovò a pensare che Keith non era mai stato tanto bello come in quel momento, con un sorriso timido sulle labbra, che sembravano chiedere solo di essere baciate.
Questa volta l'avrebbe fatto.
L'avrebbe fatto davvero, se...
Se un fischio acuto proveniente dalle loro spalle non avesse fatto irrigidire entrambi, mandando in mille pezzi l'atmosfera.
Lance si voltò di scatto, sgranando gli occhi, mentre Keith già ne aveva individuato la fonte e si stava comprendo il volto con le mani, in un estremo gesto di imbarazzo.
L'intera famiglia McClain era affacciata alla grande portafinestra che dava sul giardino e li stava fissando, alcuni con aperti sorrisi, altri con espressioni maliziose. Michelle accennò un applauso che venne interrotto da un'occhiataccia del fratello.
« Ho appena adottato un altro figlio? » commentò Estella con un sorrisetto.
« Mamà, ti prego! »
Lance avrebbe voluto che la terra lo inghiottisse in quell'esatto momento e di certo per Keith era lo stesso, visto com’era sgusciato via dalle sue braccia.
« Dove pensi di andare, tu?! » esclamò, acchiappandolo per un braccio prima che si allontanasse ancora.
« Non entrerò mai più in casa tua. » fu la risposta, mentre le sue guance raggiungevano sfumature di rosso estremamente preoccupanti. « Mai più. »
A peggiorare la situazione giunsero Flor e Rico, che corsero in giardino e presero a saltellare loro attorno.
« Posso chiamarti fratellone? Posso, posso? » esclamò la bambina aggrappandosi alla giacca di Keith.
Dal lato opposto, Rico gli aveva afferrato il braccio libero con le manine paffute.
« Diventerai il mio zio preferito! » esclamò con sguardo pieno di ammirazione.
« Ehi! Sono io il tuo zio preferito! Quello che è andato nello spazio e tutto il resto! » ribatté Lance pieno di indignazione, mentre Keith aveva l'aria di chi voleva morire sul posto per non sentire più niente.
« Anche lui è andato nello spazio. Ed era il braccio con la spada, mentre tu eri la gamba. Usare la spada è più figo. »
La logica ferrea del bambino zittì tutti per un istante, finché dall'interno non giunsero le risate fragorose di Michelle e i due capirono che non avrebbero avuto via di scampo.

Fu necessaria tutta l'autorità di nonna McClain per mettere a tacere le risate, gli scherzi e gli schiamazzi dei bambini. Era fin troppo tardi per continuare a fare tutto quel fracasso ed era bene che chi doveva andare a scuola o al lavoro il giorno dopo, filasse dritto a letto. Quel classico discorso da mamma coscienziosa fece sorridere tutti, ma nessuno osò contestarlo e la celebrazione volse al termine.
Lance si attardò in giardino, mentre gli altri rientravano e si avviavano verso le proprie stanze. Keith non aveva più detto una parola, ma sembrava che l'entusiasmo dei bambini avesse stemperato il suo imbarazzo. Sulla sua pelle non vi era più traccia di macchie viola e questo era un sollievo.
« Sono felice che tu stia meglio. » disse Lance, in tono leggero.
Non voleva forzare la vicinanza, in quel momento. Un attimo prima era stato talmente felice da temere che il cuore gli balzasse dal petto e l'euforia non se n'era del tutto andata. Sapeva, però, che quello era un momento delicato per Keith.
Tuttavia, l'altro abbozzò un sorriso, accennando a muovere un passo nella sua direzione.
« Ti ringrazio. »
Lance annuì, ricambiando, e si avviò a sua volta per rientrare, tentanto di dissimulare l'emozione. Non poteva credere che, solo poco prima, era stato sul punto di baciarlo. Non l'avrebbe ritenuto possibile nemmeno nelle sue più rosee fantasie.
« No, ti ringrazio davvero. » continuò Keith, affiancandosi a lui. « In qualche modo, mentre stavamo ballando, sei riuscito a farmi sentire... tranquillo. É difficile da spiegare ma, la canzone, le tue mani, il fatto che... Ah, mi sento un idiota! »
A quelle parole, Lance avvertì il rossore precedente tornare a colorargli le guance.
« Non sei affatto un idiota. » lo rassicurò, prendendogli una mano e intrecciando le dita con le sue. « Che cosa hai sentito? Se sono riuscito ad aiutarti, credimi, mi fa solo piacere. »
Keith non si allontanò. Era impacciato, ma ricambiò la stretta.
« Il fatto che tu mi... abbracciassi in quel modo. Mi sono sentito al sicuro, ho pensato che sarebbe andato tutto bene. »
Scosse la testa mentre si fermava davanti alla porta della sua stanza.
« Lo so che è una sciocchezza, che dobbiamo fare attenzione perché non abbiamo ancora un antidoto e non sappiamo a cosa sia dovuto tutto questo, ma... »
Alzò su di lui uno sguardo limpido e Lance pensò, per l'ennesima volta, di avere di fronte gli occhi più belli dell'universo.
« Mi hai fatto sentire bene. »
Non fu un gesto premeditato, semplicemente Lance sollevò una mano e gli sfiorò la guancia in una carezza gentile, scendendo poi a lato del collo e affondando le dita nei ciuffi corvini.
Keith socchiuse gli occhi e, forse inconsciamente, inclinò il capo per andare incontro al suo tocco. Alzò appena il viso e, nello stesso momento, Lance si chinò per far incontrare le loro labbra in un contatto dapprima delicato, poi via via più intenso. Gli circondò la vita con il braccio libero e lo tenne stretto a sé, approfondendo il bacio quando Keith gliene diede modo.
Nel silenzio del corridoio, elettrizzato dal calore che gli stava esplodendo nel petto, realizzò con un istante di ritardo che Keith si era irrigidito.
Spalancò gli occhi quando si sentì spintonare bruscamente.
Keith stava tremando, era pallido e aveva un'espressione sconvolta.
Com'era possibile che un attimo prima stesse ricambiando il suo bacio e un attimo dopo lo respingesse con tanta angoscia?
Confuso, Lance allungò una mano verso di lui, per ristabilire un contatto, ma Keith scattò all'indietro.
« Non toccarmi! » ringhiò, oltrepassando la soglia e sbattendosi la porta alle spalle.
Allo scatto della serratura, Lance ebbe l'impressione che il suo cuore precipitasse sul fondo dello stomaco.
Cos'era appena successo? Aveva corso troppo? Aveva esagerato? Eppure Keith non l'aveva rifiutato all'inizio. Aveva detto di essere stato bene.
Lance si avvicinò alla porta e vi appoggiò la fronte.
« Keith... » chiamò, senza alzare troppo la voce. « Keith, per favore. »
Nessuna risposta lo raggiunse.
« Ok, sono un cretino, mi dispiace. Non so che idee mi sia messo in testa, pensavo che anche tu... Non avrei dovuto. Keith, per favore, dimmi qualcosa. »
Ancora nessun suono, nemmeno quello di un sospiro.
Lance strinse i pugni, frustrato: dunque non meritava nemmeno di potersi spiegare? Non poteva avere nemmeno una possibilità?
Era uno stupido, con quel colpo di testa si era giocato la fiducia di Keith. Sapeva benissimo quanta fatica facesse ad aprirsi con gli altri, a sentirsi a suo agio, e ora probabilmente si sentiva tradito per l'ennesima volta.
Però...
Però davvero tutto quello che meritava era una porta in faccia?
« Keith... »
Il pugno colpì la superficie di legno facendola vibrare, mentre la rabbia saliva al punto da inumidirgli le ciglia.
« Complimenti, Lance, un applauso. » si disse amaramente, mentre voltava le spalle alla porta chiusa ed entrava nella propria stanza. « Sei riuscito a farti odiare dall'unica persona di cui ti sia mai innamorato davvero. »

 

 

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