Chiedo scusa a coloro che hanno letto e avevano perso le speranze.
Due
settimane prima
29 giugno.
Ore 7.40
Washington
– sede NCIS
Quando
entrò nell’open-space
l’umore di Gibbs era nero quanto le nubi che da giorni
coprivano il cielo di
Washington. Tony, Ziva e Tim non lo vedevano così da quando
Ari aveva sparato a
Kate e nemmeno allora aveva quell’espressione corrucciata e
rabbiosa. Pareva
una belva braccata senza via d’uscita.
«Ci
sono novità?» La sua voce
sembrava un ringhio.
I tre agenti in quel momento
erano in piedi
davanti al monitor e stavano osservando una cartina sulla quale erano
indicati
gli spostamenti compiuti da Svetalana durante le ultime settimane. Ci
era
voluto un po’ di tempo e il prezioso aiuto della squadra di
Los Angeles per
ricostruire tutti i suoi movimenti, ma alla fine erano riusciti a
tracciare il
suo percorso. Almeno fino al giorno in cui era sparita definitivamente,
lasciandosi dietro il cadavere di Patterson e alcuni fogli
bruciacchiati. In
uno di essi – quello rinvenuto nell’appartamento di
Los Angeles dagli uomini di
Lara Macy – era segnato l’indirizzo di casa della
Shepard. La Macy aveva
prontamente avvertito Gibbs con una telefonata e subito era scattata
una caccia
all’uomo, che però non aveva ancora prodotto
risultati. Fosse stato per lui
avrebbe messo un posto di blocco lungo qualsiasi strada principale,
sentiero o
mulattiera, ma ovviamente questo non era possibile.
«Mi
state dicendo che non ci sono
state segnalazioni nelle ultime ventiquattro ore? Spero che Abby abbia
notizie
migliori delle vostre.»
«Ehm
capo?» DiNozzo fece un passo
verso Gibbs, «come sta il direttore?»
«Vuole
che questa storia finisca
il prima possibile. E lo voglio anche io, perciò al
lavoro.»
«Sarà
stato saggio lasciarla da
sola, visto quel che rischia?» McGee si rese conto troppo
tardi di ciò che
aveva detto, quando il capo si voltò verso di lui, rabbioso.
«Ehm, volevo dire
che…beh, so che non è sola, intendevo agenti che
non siamo noi…la sua
incolumità… sì,
ecco…»
«Franks
è con lei.»
«Mike
è qui?»
«Sì,
DiNozzo. Proprio dietro di
te.» la voce di Franks gli arrivò alle spalle,
facendo sussultare l’agente. Jen
gli era accanto e si teneva al suo braccio.
Si
erano organizzati con una
sorveglianza maggiore e di tanto in tanto spostavano il direttore di
alloggio:
a volte a casa di Gibbs, altre di DiNozzo o dell’agente
David. Se non altro il tempo
trascorso aveva permesso alla ferita di Jen di rimarginarsi piuttosto
bene,
tuttavia i frequenti spostamenti iniziavano a stancare il direttore che
appariva piuttosto provata e irritata.
«Non dovresti
essere qui.» Gibbs guardò il
direttore con disappunto.
«Ci
sono novità?» chiese Jen
rivolta agli agenti.
«Non
ancora, direttore.» Ziva fu
la prima a rispondere.
«Bene.
Informatemi appena avrete
qualche notizia.» Poi si girò verso Gibbs.
«Io sarò nel mio ufficio.»
Jen
lasciò il braccio di Franks e
salì i gradini che portavano al piano di
sopra.
Mike Franks
si limitò ad una
alzata di spalle «è
una donna testarda,
Pivello.»
«Tornate
al lavoro. Quando torno
voglio dei risultati.» Gibbs squadrò gli agenti e
poi salì i gradini a due a
due.
«Dannazione,
Jen! Si può sapere
che cosa ti è saltato in mente? Dovevi restare a casa con
Franks e gli agenti
di sorveglianza.» La
porta dello studio
si richiuse alle spalle con un tonfo sordo.
La donna
andò a sedersi sul
divanetto in fondo alla stanza, non era pronta per uno scontro. Non
questa
volta. Non dormiva bene da mesi e per quanto le ferite si fossero
rimarginate,
non aveva ancora riacquistato completamente le forze. «Ti
prego, Jethro, non
ora. Non ho le forze necessarie per tenerti testa. E
poi…sono stanca.»
«Ottimo,
così la finiremo prima.
Prendi le tue cose e torna a casa con Mike. Sei molto più al
sicuro lì.»
«No,
Jethro. Sono stanca di
nascondermi. È ora di mettere fine a questa cosa.»
Aveva
ragione, Gibbs lo sapeva,
la situazione stava diventando pesante per tutti. Nemmeno lui riusciva
a
chiudere occhio la notte. Quando era addetto al turno di sorveglianza
trangugiava litri di caffè con il risultato che al mattino
era più scorbutico
del solito. E se erano altri addetti al turno, non faceva che chiamarli
ogni
mezz’ora per controllare che tutto filasse liscio.
Prese un
profondo respiro e si
sedette accanto al direttore. «E cosa proporresti di fare,
Jen, sentiamo.»
«Lo
sai bene, ne abbiamo discusso
molte volte.»
«Non
se ne parla. Non questa
volta.»
«Sai
bene che l’unica soluzione,
la più logica. Tutti gli altri tentativi sono
falliti.»
«Non
farai ancora da esca.» La
sua voce si addolcì «Hai visto cosa è
successo l’ultima volta, ne stai ancora
pagando le conseguenze.» Il suo sguardo cadde sul corpo di
Jen, dove i colpi
dei killer solo pochi mesi prima avevano lasciato cicatrici indelebili.
Le
accarezzò una guancia e le sollevò il mento
avvicinando le sue labbra, erano
così vicini che Jen non potè fare a meno di
tremare. Era
trascorso quasi un mese da quel loro
unico bacio e da allora non si erano più trovati in una
situazione intima. Non
avevano nemmeno più parlato di quel bacio e nonostante
sapesse bene che le
priorità erano altre, che catturare Svetlana fosse al primo
posto, non riusciva
a non pensare a quella notte e alle parole che Gibbs le aveva detto.
Era
incredibile come da sempre quell’uomo riuscisse ad avere un
tale potere sulle
sue emozioni.
«No.»
Jen lo respinse
delicatamente ma con decisone. «Non cambierò idea,
non questa volta.»
Jethro
abbassò la testa e
sospirò, non era d’accordo con la decisone di Jen,
ma la capiva, in fondo anche
lui avrebbe agito allo stesso modo. «Va bene, faremo a modo
tuo. Ma almeno
promettimi che indosserai il giubbotto antiproiettile.»
«Sai
che non servirà a nulla,
Svetlana è una professionista, mirerà alla testa
per essere sicura.»
«Lo
so, ma tu indossalo lo
stesso.»
Jen sorrise
e annuì. Quando Gibbs
si alzò per andare alla porta, Jen non potè fare
a meno di pensare a quante
volte lo avesse deluso e respinto e che nonostante tutto lui fosse
sempre lì,
accanto a lei nel momento del bisogno. Lo chiamò prima che
varcasse la soglia.
«Jethro…
Grazie.»
12 luglio. Ore 19.00
Washington
D.C. – Casa del direttore Shepard.
Due
settimane, questo il tempo necessario
per organizzare tutto. Jethro dal canto suo continuava a non essere
d’accordo
con la decisione di Jen, ma si era rassegnato. Se volevano porre fine a
questa
storia dovevano agire.
Dopo aver
messo a punto il piano
in ufficio, Jen era rientrata a casa e lì era rimasta. I
primi giorni la
sorveglianza era stata organizzata come di consueto, tre o quattro
agenti con
turni di otto ore, in questo modo se uno o due uscivano per fare delle
commissioni per il direttore, Jen non sarebbe comunque mai rimasta
sola. Poi
a mano che
passavano i giorni gli agenti
erano diminuiti e l’unico agente rimasto di tanto in tanto si
allontanava,
lasciando il direttore da sola. Questo almeno era ciò che
sembrava.
Jethro e i
suoi agenti erano
sicuri che Svetlana sorvegliasse la casa e tutti i loro movimenti e
Gibbs aveva
faticato ad introdursi in casa del direttore senza essere visto, ma
c’era
riuscito. L’occasione si era presentata in occasione di una
piccola fiera di
quartiere, che si teneva ogni anno in quel periodo. Approfittando della
confusione era riuscito ad entrare a casa di Jen e non ne era mai
uscito. Si
era tenuto lontano dalle finestre e quando accedeva alla camera degli
ospiti
che Jen gli aveva riservato non accendeva mai la luce per evitare di
attirare
l’attenzione o essere visto.
Tuttavia i
giorni passavano senza
che accadesse nulla e dopo quasi due settimane di
“reclusione”, Gibbs iniziava
a dare i primi segni di impazienza.
«Se
Svatlana non fa qualcosa
saremo costretti a spostarti, Jen» Jethro era seduto al
tavolo della cucina, in
una stanza in penombra. Le temperature esterne erano piuttosto elevate
e per
evitare il caldo Jen aveva accostato i balconi, un’idea
saggia che permetteva
di non essere visti dall’esterno.
«No.
Resterò qui.» Ribattè Jen,
posando la moka di caffè sui fornelli.
«Inizierà
ad insospettirsi, non
sei mai rimasta in un posto troppo a lungo.»
«Non
vuoi che si faccia a modo
mio, è questo che non accetti. Hai rimosso quasi tutti gli
agenti. Svetlana
penserà che abbiamo abbassato la guardia, che dopo tutti
questi mesi di
inattività da parte sua ci sentiamo sicuri. È per
questo che non voglio essere
spostata.»
Il
caffè era pronto e Jen ne
versò una dose abbondante a Jethro, riservandone una
più contenuta per sé, mise
un cucchiaio di zucchero nella propria tazza e porse quello amaro
all’uomo.
Gibbs la
guardò con rassegnata
ammirazione. Era una donna forte, passionale e amorevole, come aveva
avuto modo
di constatare durante la loro relazione, ma era dannatamente testarda,
molto
più di lui. Alla fine, ancora una volta, cedette alla
volontà di Jen e non
riuscì a trattenere un sorriso.
«E
adesso che c’è?» Chiese il
direttore.
«Ci
atterremo al tuo piano.»
«Grazie.»
«È
la seconda volta che mi
ringrazi in meno di un mese.»
Jen
sorrise.
12
luglio. Ore 19.50
Washington
D.C. – Casa del direttore Shepard.
La porta
d’ingresso si aprì silenziosamente,
i cardini non cigolarono. La donna entrò con circospezione.
Si era tinta i
capelli di un caldo colore ramato che portava sciolti sulle spalle e
indossava
un lungo impermeabile beige sotto al quale aveva nascosto
l’arma, una revolver
di piccolo calibro che ora era stratta nella destra, adagiata lungo il
fianco. Alla
fine del corridoio c’era una porta aperta dalla quale
filtrava una luce calda.
Svetlana vi si diresse a passo sicuro, certa di trovarci Jen.
Aprì la porta, ma
oltre la grande scrivania in rovere notò con sorpresa che ad
attenderla c’era
un uomo. Gibbs le dava le spalle, lo sguardo rivolto al viale alberato
oltre la
vetrata, in mano un bicchiere di Bourbon..
«Ciao Natasha*.» La
salutò senza voltarsi, osservando il suo riflesso nella
finestra. «O preferisci che ti
chiami…Svetlana».
Lei non
parve affatto sorpresa,
si limitò a studiarlo. Aveva spalle larghe e un fisico
atletico e a discapito dei
capelli grigi doveva essere ancora giovane..
Gibbs
si girò e Svetlana ebbe conferma delle suo ipotesi, aveva
poco più di quarant’anni.
«Niente
affari, è una cosa personale.» Era vero,
non si trattava di lavoro, la vita
di Jen non era una priorità dell’agenzia, era una
sua priorità. Se ne era reso
conto in quei mesi, quando in qualche modo si erano riavvicinati.
Svetlana
era rimasta sorpresa nel trovarselo davanti,
si aspettava la donna, ma si rese conto che dovevano averla trasferita
in qualche
modo. «Sei stato tu ad uccidere
Alatoly?»
Andò dritta al punto, quello era un regolamento di conti.
L’occasione le si
presentava in modo così semplice. Aveva notato che Gibbs era
disarmato, la pistola
era appoggiata sulla scrivania ed un palmo dall’uomo, ma non
sarebbe comunque
stato abbastanza rapido a prenderla. Avrebbe eliminato lui e poi
sarebbe andata
a cercare la donna. Non doveva essere molto lontana.
«Che
cos’era per te?»
«Tutto.» Per un attimo a
Svetlana tremò
la voce, ma non si fece distrarre, ricacciò le lacrime al
pensiero del suo
amato.
«Perché
ora?»
«Perché solo ora sono riuscita a trovarti.»
Mentì, ma che importava, li avrebbe uccisi entrambi,
vendicando Alatoly e
riprendendosi la sua vita. Alzò la pistola, puntando la
canna verso Gibbs.
«La notte in cui è morto una donna era
venuta
per ucciderti… che cosa è successo?»
Jethro voleva capire, non riusciva a
credere che Jen non fosse riuscita a portare a termine la missione. Per
quanto
a quel tempo fosse stata ancora giovane e inesperta, non aveva mai
fallito.
«Non ha potuto farlo.» Un ghigno
beffardo
comparve sulle labbra di Svetlana.
«Ma
ora posso.» La voce arrivò dalla sua destra.
Dietro alla credenza che conteneva
i liquori c’era un’apertura a volta che Svetlana
non aveva notato fino a quel
momento. Jen le si parò davanti con la pistola puntata
contro di lei.
I
grilletti furono premuti all’unisono
e il boato che ne seguì parve assordante. Gibbs non
poté fare a meno di gridare
il nome di Jen, mentre questa, colpita in pieno petto,
oscillò scivolando a
terra. L’agente guardò Svetlana. La camicia
candida era squarciata, il volto
pallido e un sorriso di scherno sulle labbra. Crollò a terra
con un ultimo sussulto.
Gibbs le andò vicino, tastando la carotide, non
c’era battito. «È morta.»
Ancora
a terra, Jen aprì gli
occhi e si tastò il petto. La camicia si era strappata, lo
sterno le doleva un
poco per via del contraccolpo, ma il giubbotto antiproiettile aveva
fatto il
suo dovere. Per la seconda volta quella sera sorrise a Gibbs.
«Stai
per ringraziarmi ancora una
volta?» Chiese Jethro aiutandola ad alzarsi.
«Sì, ma non farci l’abitudine» Si alzò in punta di piedi e lo baciò.
* I dialoghi in corsivo sono tratti dall'episodio 5x19