21
Il battesimo del fuoco
Il cielo imbrunì
presto e le nuvole illividirono, colmandosi dell'aria umida della sera.
Il vento le sospingeva in avanti, le gonfiava e vi passava attraverso,
per poi calare in una parabola discendente tra le strade di Kalaspirit
e nel cortile della scuola. Era un vento caldo e secco, che spolverava
la terra di granelli di sabbia rossa e scrocchiante. Anche a occhi
chiusi, Nemeria percepiva la loro carezza ruvida sulla guancia e tra le
ciglia. Si stropicciò le palpebre, stronfiò per
togliersi i granuli rimasti appiccicati alle labbra e alle narici e
abbracciò il paesaggio con lo sguardo.
Erano già passate due ore dall'inizio della prova e alcuni
si erano addormentati, per lo più ragazzi della sua
età o poco più grandi, probabilmente sfiniti
dagli allenamenti del pomeriggio. Erano stati svegliati dai maestri che
li sorvegliavano ed esortati a tornare nelle loro stanze senza
possibilità di replica. Non che avessero qualcosa da
obiettare: avevano fallito la prova e questa consapevolezza si
accompagnava a un'espressione diversa per ognuno. Nell'indifferenza,
Nemeria poteva cogliere la vena della paura; nella stanchezza, l'ombra
del dubbio; nell'incertezza, la ruga della rassegnazione.
Non li seguì mentre si allontanavano, né si
soffermò più di tanto sui loro mormorii
preoccupati o sui singhiozzi decapitati tra i denti. Per quanto
provasse dispiacere per loro, non doveva perdere di vista il suo
obiettivo. Così lasciò che il vento acchiappasse
gli strascichi delle loro conversazioni e li disseminasse lontano da
lei, prima che piantassero radici nella sua testa.
Al suo fianco, Noriko piegò una gamba, distese le braccia e
chiuse pollici e indici ad anello. Era stato il suo unico movimento in
quelle due lunghe ore. A piedi nudi nella sabbia, si manteneva in
perfetto equilibrio, come se non avesse fatto altro in tutta la sua
vita. Anche l'immobilità di Ahhotep era ammirabile, seppur
diversa. Se lei era uno stelo d'erba bloccato nel ghiaccio, una vita
cristallizzata nell'inverno, Noriko era una quercia che sfidava il
vento.
Durga pareva riposare all'ombra dei suoi rami. Aveva disegnato una
griglia e vi aveva disposto dei sassolini che aveva trovato frugando
sotto la sabbia. Per distinguerli, aveva disegnato una mezzaluna bianca
con l'unghia, ripassandola due o tre volte perché fosse
visibile. Quella era forse la quinta partita che cominciava, Nemeria
non le aveva contate tutte. Però aveva notato che quel gioco
catalizzava completamente la sua attenzione. Avrebbe volentieri
partecipato anche lei, se solo avesse potuto chiederle di spiegarle le
regole.
Udì un lieve russare alle sue spalle, il respiro lento e
profondo del sonno. Una donna con il collo adornato da collane colorate
e le labbra dipinte di blu avanzò verso una ragazza che era
crollata rannicchiata di lato. Al suo fianco, chiuso come una
chiocciola, dormiva il suo compagno, uno sha'ir con i capelli macchiati
d'oro e il collo chiazzato di lentiggini.
- Alzatevi, asiri. -
Entrambi i ragazzi si svegliarono. Si fissarono intontiti per un
momento prima di prendere coscienza di cosa fosse successo.
- Ci dispiace. - mormorò lo sha'ir.
La donna tacque. Solo il lieve ondeggiamento del labbro tra i denti
lasciava intuire che stava valutando cosa dire. La luce della torcia
illuminava solo metà del viso, lasciando l'altra in ombra,
come se la linea bianca che lo divideva in due metà perfette
fosse la linea di confine per una terra di nessuno.
- Andate da Nande a farvi controllare. Se vi ammalaste di nuovo,
sarebbe un problema per Tara. -
Lo Sha'ir annuì. Tese la mano alla ragazza,
l'aiutò ad alzarsi e poi quasi la trascinò fuori
dal cortile. La sua magrezza smunta appariva ancor più
spettrale nella semioscurità.
"Come ti senti?"
"Stanca. E questa sabbia è tutto fuorché comoda."
Pavona rise nella sua testa. Il suono aveva un che di leggero e
rassicurante.
"Mi dispiace che stasera sei venuta inutilmente."
"Prima o poi sarebbe
successo. Non è l'unica scuola di
gladiatori che fa una cosa del genere."
"Quante ce ne sono?"
"Nell'Impero Siham?
Tante. Quella di Kalaspirit è una delle
più conosciute, ma di certo non è la
più grande."
Durga sbadigliò rumorosamente e si fece scrocchiare le dita,
prima di muovere un'altra pedina in avanti. Nemeria le
lanciò una lunga occhiata e attese le altre mosse per
assicurarsi che non si addormentasse.
"Non penso sia giusto che tu parli con me."
"Preferisci che me ne
vada?"
Nemeria si prese il suo tempo per rispondere. Fissare Agni che danzava
tra le fiamme la rilassava, ma senza uno stimolo sarebbe crollata prima
dell'alba. La fame, anche se l'aiutava a rimanere sveglia, presto
sarebbe rimasta schiacciata dallo sfinimento della giornata.
"Non penso che le tue
amiche ti biasimerebbero, se è questo
che ti preoccupa."
"Come fai a saperlo?"
"Tu diresti loro
qualcosa?"
"No, ma..."
"Ma?"
"È che mi sembra di barare. Non è giusto nei loro
confronti."
"Allora parliamo
finché non senti di potercela fare da sola,
va bene?"
Era difficile dire di no. Se sull'altro piatto della bilancia non ci
fosse stato Batuffolo, forse avrebbe rifiutato: lui contava
più del suo orgoglio e delle aspettative di Tyrron.
"Anche se, dopo tutto quello che ha fatto per me, non voglio deluderlo."
"A chi ti riferisci?"
Il sussulto di Nemeria scatenò l'ilarità di
Pavona.
"A Tyrron, il mio lanista. A suo modo mi ha aiutata ed è
stato..." cercò la parola giusta tra poteva associare. "
È stato gentile, ecco."
"Allora
cerchiamo di non deludere le sue aspettative."
La scuola divenne inconsistente, sprofondò in un bianco
accecante e i contorni si distorsero, delineando una piana che si
estendeva a perdita d'occhio. L'erba era affilata, dritta e ispida come
il pelo di un gatto. Davanti a Nemeria, come perse in lontananza,
nuvole bianche e paffute nascondevano allo sguardo la cima delle
montagne.
- Le Montagne Celesti. Le avevi mai viste? -
Pavona era apparsa al suo fianco. Indossava una tunica lunga fino al
polpaccio, con maniche larghe e colletto alto foderato di pelliccia. I
calzoni, di un marrone scuro che aveva trattenuto il profumo di
quercia, erano rimboccati all'interno degli stivali di pelle a punta
rialzata. Un vento freddo frusciava tra gli steli e le scompigliava la
coda che fuoriusciva dal copricapo rosso. Senza trucco non sembrava
nemmeno lei.
- Ne avevo solo sentito parlare. - rispose Nemeria.
Non era agitata: quella era una Condivisione, tanto reale da sembrare
vera. Ma inconsciamente, con una consapevolezza che niente aveva da
spartire con la ragione, avvertiva che non era niente di più
che un ricordo molto vivido.
- Come puoi farlo se sai padroneggiare solo la terra? -
- La terra è un elemento pesante, come l'acqua. Conoscerne a
fondo uno equivale a carpire qualche segreto dell'altro. - le
lanciò un'occhiata in tralice e aggiunse, - Tu sai di cosa
sto parlando. -
Nemeria stava per ribattere, quando si ricordò che lei aveva
visto tutto durante la Condivisione del loro primo incontro.
- Imparerai, a piccoli passi. -
- Vorrei possedere la tua sicurezza. -
- I maestri devono avere fiducia quando i loro allievi non ne hanno
abbastanza. -
Pavona sorrise e Nemeria si sentì rinfrancata.
Rimasero sedute sui massi su cui erano apparse, a fissare il recinto
dei montoni, dei cavalli e dei buoi sorvegliati da quattro cani dal
pelo lungo e maculato. Un altro, un mastino col muso schiacciato e la
lingua di fuori, si aggirava tra le yurte, più per
elemosinare del cibo che per far loro la guardia. Quando giunse vicino,
annusò le gambe di Pavona, si accucciò al suo
fianco e la fissò finché non le
strappò una carezza.
- Zambaga. Me la ricordo ancora. Amava rincorrere i cavalli, anche
quando era chiaro che non aveva possibilità di vincere. -
mormorò la donna, grattandole il collo e dietro le orecchie,
- Vieni, è ora di pranzo. -
Fece cenno a Nemeria di seguirla verso la yurta più vicina.
Negli ultimi anni, Nemeria le aveva viste usare poco, forse
perché la sua tribù non si era spesso spinta
oltre i confini dell'impero, ma ricordava lo scheletro di doghe e la
quantità di calore che il panno di feltro era capace di
trattenere. Tuttavia, il luogo di nascita di Pavona era un luogo
freddo, ben lontano dal deserto e dalle sue piccole oasi. E di quel
giorno non le rimanevano altro che sfumati ricordi tattili, legati
più a suoni e sapori appartenenti a una memoria sopita e
impolverata dagli anni.
La porta di legno della yurta si aprì senza un cigolio.
Pavona dovette piegare la testa per entrare, mentre Nemeria
scivolò dentro senza nessuna difficoltà. Anche
lei indossava i suoi stessi abiti, con un copricapo simile ma a falda
larga.
Ad accoglierle fu un'aria di festa e due
Jichéngrèn poco più alti
di cinque
piedi e mezzo. L'uomo vestiva come Pavona, la donna invece indossava un
cappello con delle lunghe nappe verdi, abbinate alle strisce blu che si
avviluppavano attorno alle orecchie, così lunghe e sottili
da sembrare le ali di un pipistrello. Le escrescenze ossee che
disegnavano le sopracciglia e contornavano gli zigomi sporgenti erano
state dipinte di rosso, in modo da mettere in risalto gli occhi a
mandorla.
Nemeria si inchinò in segno di saluto, seguendo l'esempio di
Pavona, e poi vennero accompagnate alla tavola, un tappeto di lana
attorno a cui erano seduti sia altri Jichéngrèn
che i membri della tribù. Nemeria riconobbe Hediye, Fakhri,
Arsalan e molti altri. Tutti erano più giovani,
più sorridenti; parevano amici raccolti alla stessa tavola
durante una ricorrenza, parlavano tra di loro con
un'intimità che Nemeria aveva visto riservata solo
all'interno della tribù.
- Sedici anni fa era diverso. -
Pavona si sedette tra due bambine Jichéngrèn che
stavano divorando delle frittelle. Le lanciarono una lunga occhiata
incuriosita, poi una di loro, la più piccola a giudicare
dalle escrescenze ossee meno accentuate, le porse una ciotola con brodo
e gnocchi fritti.
Nemeria prese posto dietro Pavona e rimase imbambolata a guardare i
partecipanti al banchetto. Sua madre era bellissima da giovane. Non era
sicura di quanti anni avesse, ma portava i capelli tagliati corti e una
lunga collana di finti denti di leone e perle colorate. Aveva le guance
rosse, sia per il riso che per l'arakà, il liquore a base di
latte prodotto dagli Jichéngrèn. Fakhri e Arsalan
sedevano vicini e si stavano dividendo le fette di pane per spalmare il
formaggio di capra. Lei corrispondeva alla maestra dei suoi ricordi,
quella che portava le orecchie tempestate di orecchini di tutte le
grandezze e forme e i capelli perennemente raccolti in una crocchia al
di sotto della nuca, con solo qualche filo di un grigio così
tenue da confondersi col bianco della chioma. Mangiava con la solita
calma, masticando ogni singolo boccone come se fosse il primo e unico.
Pure Arsalan era come lo ricordava: burbero, austero, con delle
occhiaie che, col tempo, si erano approfondite fino a diventare una
vera e propria rete incisa nella pelle.
Era strano per Nemeria vederli così, com'erano stati anni
prima. Sembravano persone diverse, più felici,
più libere, più umane. Persino le Jinian Anziane
si concedevano qualche sorriso e, anche se quello che provavano non era
altro che l'ombra di un sentimento, il corpo rilassato esternava la
loro serenità interiore.
- Cosa ci è successo? - mormorò meravigliata.
- Sedici anni fa, l'Alta Sacerdotessa scelse il suo Unico e rimase
incinta. -
Non servì che Pavona gliela indicasse, Nemeria la riconobbe
subito. Sedeva sorseggiando una tazza di tè accanto allo
Jichéngrèn che era venuto ad accoglierle. La luce
cerulea dei tatuaggi filtrava attraverso la stoffa e bastava un
movimento poco più ampio del braccio perché la
manica li scoprisse un po'. Nemeria, però, non riusciva a
staccare gli occhi dal ventre gonfio che l'Alta Sacerdotessa non
smetteva di accarezzare.
- Era un uomo del Nord conosciuto durante un pellegrinaggio al
santuario dell'acqua, in Jogalia. Per la Madre, quanto amava quella
bambina! Quando nacque, me lo ricordo, eravamo ancora qui e io
assistetti al parto. Dovevi vedere come la stringeva, l'amore nel suo
sguardo mentre le dava il suo latte. -
- E cosa è cambiato da allora? -
- Le Anziane, dopo un anno dalla nascita, dovettero obbligarla ad
affidare la bambina all'Ikaelan scelta. È stato orrendo
vederla crollare. -
Nemeria non riusciva nemmeno a immaginarsi una scena del genere. Per
lei, l'Alta Sacerdotessa era sempre stata una donna forte, eterea,
invincibile.
- Non so se fu quello o l'inizio del conflitto con l'impero
Skandaaleshan a indurla a credere che allontanarci ancora di
più dai mortali fosse la scelta migliore. -
- Quindi loro... - indicò gli astanti, - Loro sapevano chi
eravamo? -
- Probabilmente sì, ma l'Alta Sacerdotessa tolse loro la
memoria prima di ripartire. Forse c'è ancora qualcuno tra i
mortali che si ricorda di aver mangiato alla nostra stessa tavola, ma
ormai siamo materiale da leggende. - fissò i fondi d'erbe e
trasse un profondo respiro, - È il motivo per cui ho
abbandonato la tribù. Volevo vedere, volevo conoscere, non
potevo più accontentarmi di osservare il mondo da lontano. -
- Mi dispiace che tu te ne sia andata. -
Pavona tese la mano verso una Jichéngrèn che le
stava offrendo del tè.
- È stata una mia decisione, sapevo che quello era un addio.
Se potessi tornare indietro non rimarrei, ma direi ad Afsar e alle mie
sorelle quanto le amavo una volta di più. -
Nemeria si ricordava di Afsar. Era una donna sulla quarantina, con le
labbra prominenti, le sopracciglia disegnate e i capelli rasati
screziati di grigio. Si prendeva cura di Ziba e dei suoi due fratelli
nonostante gli acciacchi della vecchiaia e l'anca dolorante.
- Questi ricordi sono tutto ciò che mi rimane della nostra
tribù, ma per quanto li tenga stretti pian piano svaniscono.
Ho deciso di condividerli con te perché vorrei che anche tu
li conservassi. Magari molti di loro non li hai mai incontrati,
però è importante che tu sappia com'eravamo. -
- Lo capisco. -
Giunse le mani in grembo e posò lo sguardo su Hediye. Quanto
le sarebbe piaciuto andare da lei e stringerla forte, dirle che le
voleva bene, che era stata la madre migliore del mondo. Invece l'unica
cosa che poteva fare era osservare com'era in un ricordo. Si strinse la
stoffa all'altezza del cuore. Era così vicina, eppure
già troppo lontana nel tempo.
- Hediye era una brava persona. Tutte le Anziane concordarono
nell'affidare a lei la figlia dell'Alta Sacerdotessa. -
Nemeria rimase interdetta. Aprì le mani e contò a
bassa voce sulle dita. Per ogni anno che sottraeva, l'intuizione che
aveva avuto si delineava con sempre maggiore chiarezza nella sua mente.
Come le tessere di un mosaico, i dettagli andarono al loro posto,
delineando il quadro generale. Impallidì.
- Qualcosa non va? - domandò Pavona.
- Ti ricordi il nome della bambina? -
- Etheram. - girò appena la testa e la fissò in
tralice, - Significa qualcosa per te? -
Le labbra a cuore, il naso all'insù, le ciglia lunghe e
folte e le orecchie leggermente a punta. Visti sotto un'altra luce,
quegli elementi acquisivano un altro significato. Allungò
l'indice e sfiorò il bozzo della pietra di luna nascosta
sotto i vestiti.
- Mi chiedo solo perché non me ne sia mai accorta. -
- Quando una persona è una costante nella nostra vita, la
vediamo meno chiaramente di quanto pensiamo. -
- Sì, ma... -
Si interruppe prima di proseguire la frase. Aveva davvero importanza, a
quel punto, sapere chi era figlio di chi? Etheram non ne aveva idea e
nemmeno Nemeria sarebbe mai dovuta venirne a conoscenza.
- Nemeria? -
Scosse la testa e trasse un lungo respiro: - L'unica cosa che mi
dispiace è non averlo potuto scoprire con lei. -
- Ti riferisci alla persona che ti ha regalato la pietra di luna? -
Nemeria tirò fuori il ciondolo e se lo rigirò tra
le mani. I riflessi violacei si coloravano ancora di più
ogni volta che captavano la luce.
Pavona chiuse la pietra tra le ultime due falangi e abbozzò
un mezzo sorriso.
- Non poteva sceglierne una migliore per te. La pietra sacra della
Madre è al contempo simbolo del coraggio, della speranza,
della purezza e della fede. -
Nemeria deglutì e percepì gli occhi riempirsi di
lacrime. Pavona la prese sottobraccio e l'aiuto a mettersi in piedi.
Fuori il vento aveva ammassato le nuvole in uno strato compatto che la
luce faceva fatica a oltrepassare. Il freddo si insinuava sotto i
vestiti e le intirizziva le dita delle mani e dei piedi. Per quanto
sapesse che non poteva ammalarsi, Nemeria affondò il viso
nel colletto di pelliccia.
Rimasero a contemplare il paesaggio per un po'. Per la gente che si
spostava in quel nulla colmo di vita, la libertà correva nel
vento e passava tra i fili d'erba, piegandoli con la gentilezza di un
soffio primaverile. Era veloce, alta, leggiadra; cavallo, aquila e
servalo assieme. E le Montagne Celesti parevano l'unica barriera
esistente, una frastagliata corona di roccia e ghiaccio opaco che si
perdeva nel bianco abbacinante.
Pavona sfiorò ancora una volta la pietra di luna. Le sue
dita rimasero sospese un istante prima di discostarsene.
- Un giorno le vedrai anche tu. -
Pavona le strinse forte le mano. Cielo e terra divennero un tutt'uno e
il bianco sommerse ogni cosa.
Nemeria sbatté le palpebre un paio di volte. Si sentiva
tutta intorpidita e non c'era muscolo che non le dolesse. La notte
stava schiarendo nell'aurora e il profilo rosato del sole si allargava
in un'aureola oltre il tetto della Scuola.
Pavona non era più lì. Il corvo che usava per
parlare con lei era rimasto, ma i suoi occhi avevano perso quello
scintillio di consapevolezza umana.
"Quindi la prova è finita."
Le guardie si erano date il cambio, mentre i Syad erano gli stessi.
Sayuri se ne stava dritta a guardare l'alba. Roshanai se ne stava
appoggiata alla colonna con le dita legate dietro la nuca e lo sguardo
rivolto sui ragazzi rimasti. Nemeria ne contò una trentina,
tra cui Durga, Ahhotep e Noriko. Con suo disappunto, vide che neppure
Abayomi e Zahra mancavano all'appello. Si erano accaparrati un angolo
lontano che era stato precedentemente occupato da altri concorrenti, ma
dove alla fine erano rimasti solo loro due. Poco più in
là, steso terra con la gamba piegata sul ginocchio, c'era il
ragazzo alto, quello che aveva visto quando erano in coda. Il braccio
destro gli sosteneva la testa mentre l'altro a volte afferrava un pugno
di sabbia, per poi lasciarla fluire tra le dita aperte. I capelli erano
chiari e sottili e le orecchie simili alle ali di una farfalla, con
l'elice che si assottigliava sempre più, allungandosi verso
l'alto.
"Un Eoin'id? Che ci fa qui?"
Un crampo allo stomaco tagliò di netto il filo dei suoi
pensieri. Nemeria si strinse la pancia e si dondolò avanti e
indietro finché il dolore non diminuì. Aveva fame
e i rumori provenienti dalle cucine non aiutavano affatto. Durante la
Condivisione, nonostante si fosse ritrovata davanti a una tavola ricca
di prelibatezze, non aveva sentito il bisogno di mangiare. Ora invece,
salivava al solo profumo del pane.
Pure Durga sembrava soffrire tanto quanto lei: si era raggomitolata con
le bracci avvolte attorno alle ginocchia e si dondolava, gli occhi che
si chiudevano e si riaprivano a intervalli di pochi istanti.
"Almeno stanotte non ha fatto freddo. Ma se anche fosse caduta la neve,
avremmo dovuto fare comunque questa maledetta prova."
Attesero un'altra ora, durante la quale altri tre caddero addormentati.
Nemeria seguì con lo sguardo la loro ritirata e poi
tornò a giocare con la sabbia, a compattarla in modo da
darle una forma quanto più definita possibile. Non era
importante che fosse bella o complessa, semplicemente era essenziale
tenere occupati il corpo e la mente.
Il suono lungo e prolungato di un corno ruppe il silenzio nel campo.
- In piedi. - intimò una delle guardie, mentre gli altri
soldati si avvicinavano compatti.
Noriko le passò un braccio sotto le ascelle e
l'aiutò a rimettersi in piedi. Se soltanto non si fosse
sentita le gambe così irrigidite, Nemeria l'avrebbe
respinta, ma le veniva difficile anche solo mantenerle dritte sotto il
suo peso. Ahhotep fece lo stesso con Durga, con la differenza che
dovette praticamente sollevarla di peso.
Koosha e i lanisti arrivarono una decina di minuti dopo. Stavolta,
però, entrarono dal portone della Scuola, tutti vestiti con
la stessa medesima eleganza del giorno precedente, a parte Tyrron, che
invece aveva optato per un chitone di lino sbracciato, annodato sulle
spalle. Ai piedi portava dei sandali alti di cuoio rosso, alti fino
allo stinco e impreziositi con schegge d'avorio. Oltre a Morad, si
accompagnava a una qazam che Nemeria non aveva notato il giorno prima.
Gli arrivava a malapena alla vita, ma aveva un bel sorriso, che il
rossore sulle guance non faceva altro che rendere ancora più
dolce.
Koosha si fece avanti e abbracciò con lo sguardo il campo.
Passò un lungo istante in cui nessuno fiatò.
Durga rimase appoggiata ad Ahhotep, ma tenne il mento alzato,
orgogliosa come una leonessa, mentre la sua compagna la sosteneva per
il fianco, i capelli appiccicati alla fronte appena sudata. Noriko,
così come Zahra e Abayomi, ricambiò le occhiate
del preside come se fossero indirizzate soltanto a loro.
- Per voi che siete rimasti: bravi. Avete superato la prima prova,
quella che vi darà l'accesso al torneo. Mi congratulo con
ognuno di voi e spero che questo non sia che l'inizio della vostra
scalata verso il successo. - fece una pausa e affetto, - Il torneo
comincerà tra quattro giorni. In questo tempo, le lezioni
sono sospese. Siete liberi di utilizzare i campi quando e come volete
per allenarvi o, se siete già sicuri della vittoria, potrete
rimanere nelle vostre camere a riposare. Quel che importa è
che, alla fine, siate gli unici a rimanere in piedi. -
Tyrron guardò Nemeria con palese orgoglio. E anche se il
sangue faticava a fluire nelle gambe, Nemeria tirò indietro
le spalle e intrecciò le dita dietro la schiena. Non era
tutto merito suo, ma non le interessava: poteva sopportare uno smacco
alla sua autostima per riavere indietro Batuffolo.
"Etheram sarebbe fiera di me."
Due ragazze con i capelli legati in svariate trecce e le guance paffute
camminarono fino al limitare del campo, mentre i soldati ingiungevano
ai concorrenti vicini di indietreggiare. Srotolarono due pergamene e
cominciarono a chiamare i gladiatori che si erano sottoposti alla
prova, suddivisi secondo i nomi dei lanisti. Se nessuno rispondeva,
spuntavano quello del concorrente con un carboncino, alzando solo di
tanto in tanto la testa per controllare chi avesse alzato la mano.
Finalmente, Nemeria poté associare il nome di Tana alla
qazam che affiancava Tyrron, e scoprì anche che l'Eoin'id si
chiamava Senan e apparteneva a un certo Siamak, un uomo con il naso
aquilino e gli zigomi bassi e poco pronunciati che si era mantenuto in
disparte. Lo sguardo compiaciuto, a metà tra un ghigno e una
smorfia, che rivolse al gladiatore non le piacque affatto.
Quando Koosha diede loro il permesso di andare a far colazione e si
ritirò ai piani superiori, Tyrron fece cenno a Nemeria e
Noriko di avvicinarsi.
- Stasera siete ospiti a casa mia. Morad verrà a prendervi
poco prima di cena. Vedete di farvi trovare pronte prima del suo
arrivo. - disse e poi, mentre gli altri lanisti parlavano con i propri
gladiatori, imboccò le stesse scale di Koosha.
- Vieni, andiamo a fare colazione. Ne hai bisogno. - la
esortò Noriko.
- Sì... -
Nemeria si stropicciò gli occhi e si concesse un sospiro di
sollievo. Noriko le passò una mano sulle spalle e la strinse
a sé.
- Adesso non preoccuparti di nulla. Mangia e riposati. Dopo, quando ti
sentirai meglio, valuteremo cosa fare. -
Quel dopo non venne mai, perché non appena tornarono in
camera Nemeria crollò addormentata sul letto.
La sera, puntuale, venne Morad a prenderle. Nemeria avrebbe volentieri
dormito di più, ma non le era parso che Tyrron avesse
incluso nella sua proposta la possibilità di declinare
l'invito.
Faceva più freddo rispetto alla sera precedente, il calore
intrappolato nelle pietre della strada era già evaporato
nell'aria vespertina. La luce filtrava dalle finestre e il vento
ingrossava le tende.
Al loro arrivo, i due uomini a guardia del portone della casa di Tyrron
si spostarono per lasciarli passare. Una volta dentro, Imar e Adel
corsero loro incontro e li condussero nella grande sala da pranzo,
già abilmente apparecchiata per tre. I letti, anche in
quest'occasione, erano stati spostati contro le pareti, così
da lasciare spazio al lungo tavolo, dove capeggiavano diverse portate.
Tyrron le attendeva seduto a capotavola, un'anfora piena di vino a
portata di mano. Non appena entrarono, fece loro segno di raggiungerlo
e si alzò.
- Venite. Avrete sicuramente fame. -
Il sonno si era fatto da parte nel momento in cui il profumo della
carne le aveva stuzzicato le narici, però Nemeria si
sforzò di mostrarsi il più dignitosa possibile.
Attese che Noriko prendesse posto di fianco a Tyrron e si sedette
vicino a lei, cercando di non gettare troppe occhiate in direzione
della cucina.
- Sono sorpreso che entrambe siate riuscite a passare la prova. Su
Noriko non avevo dubbi, ma mi stupisce che anche tu ce l'abbia fatta,
Nemeria. -
- Mi sono impegnata molto. Non è stato facile. -
"L'ho fatto soprattutto perché rivoglio Batuffolo."
- Il tuo caracal sta bene. - le disse, come se le avesse letto nel
pensiero, - Se ne sta occupando Morad. Koosha non ne ha voluto sapere
di fartelo tenere senza che te lo meritassi. Il meglio che ho potuto
fare è stato quello di lasciarlo in mani fidate. Se
riuscirai a impressionarlo, in ogni caso, non credo farà
storie, considerando che uno dei gladiatori di Siamak ha un pitone
bianco come animale domestico. -
- Siamak è il lanista più anziano di tutti. - la
informò Noriko e Tyrron annuì.
- I suoi gladiatori sono quelli che hanno vinto più tornei
negli anni. Ha un occhio invidiabile per gli affari, glielo concedo. -
Adel portò due giare dipinte con dei motivi geometrici,
triangoli rossi e verdi che si arrotolavano alla base e sui manici.
Quando le posò sul tavolo, un profumo di datteri e frutta si
diffuse nell'aria e si accompagnò a quello di piccione e
capretto appena sfornati. Venne servito, infine, un antipasto su un
tagliere di pistacchi, noci, nocciole, uova, capperi e olive.
A parte la carne, erano tutte cose che Nemeria aveva sempre mangiato,
ma che Jaffar, il cuoco di casa, cucinava molto meglio rispetto a
quello della Scuola. Si mise nel piatto una tartina con pasticcio di
cacio e aglio e una con gremolato d'olive, in attesa che Imar finisse
di servire il padrone di casa.
Tyrron levò il calice ed entrambe le sue ospiti fecero lo
stesso.
- Alla vostra prima vittoria. -
Brindarono e il vino scese in gola in un'amarognola carezza liquida che
fece tossire Nemeria.
- Troppo forte per te? - le domandò divertito Tyrron.
- No, sì... più o meno. - Nemeria storse le
labbra in una mezza smorfia e se le pulì col dorso della
mano.
- Ho fatto portare anche la birra e l'acqua, ma certe occasioni
meritano d'essere festeggiate con tutti gli onori del caso. -
Finì il suo bicchiere e se lo riempì di nuovo
subito dopo. Il colore scuriva nel viola fino a diventare quasi nero
sul fondo e la luce delle diverse lanterne si scomponeva in tremule
onde luminose man mano che versava altro vino. Poi Tyrron riprese la
parola.
- Quella di stanotte è stata la vostra prima prova, ma la
vera sfida sarà il torneo. Sono passati ben trentadue
gladiatori, molti più di quelli che ci aspettavamo, ma
abbastanza per indire qualcosa di più grande e spettacolare
rispetto agli altri anni. - si portò alle labbra un pezzo di
capretto e lo masticò con calma, - Sarò onesto:
non mi aspetto che vinciate. Gareggiano ragazzi e ragazze anche
più grandi di voi, alcuni ben più addestrati. -
Nemeria ripensò a Senan e provò a immaginarsi
come sarebbe stato avere lui come avversario. Ingoiò il
risultato dello scontro in un boccone di sugo e capretto.
- Quello che però pretendo è che stupiate. Il
torneo non si svolgerà nell'arena ufficiale, ma comunque
sarà pubblico e dovrete fare di tutto per attirare
l'attenzione su di voi. Gli sponsor vi osservano dalla platea e questa
può essere la vostra occasione per conquistarne uno. -
Nemeria sillabò la parola “sponsor” con
evidente confusione e attese che uno degli altri due commensali le
spiegasse il significato, ma venne ignorata.
- Dobbiamo tenere qualche nome a mente? - chiese Noriko.
- Potrei dirvene qualcuno, ma non avendoli mai visti sarebbe inutile.
Combattete come se tutti i membri del pubblico, uomini e donne, lo
fossero. O fingete che siano nascosti tra di loro, non ha importanza.
Ciò che conta è che loro sono la chiave di volta
che vi permetterà di ripagare il vostro debito. Un
gladiatore con un buono sponsor può permettersi armature e
armi migliori, riceve soldi, vestiti e inviti. Conquistatevi il favore
di uno di loro e le vostre possibilità di lasciarvi alle
spalle la vita nell'arena aumenteranno. -
Noriko annuì distrattamente e ruppe una noce tra i due
palmi. Tyrron la studiò tra un boccone e l'altro.
Nemeria ebbe un brivido quando allontanò il piatto e
intrecciò le dita sotto il naso.
- Non pensi ne valga la pena? -
- Se questo è ciò che vuoi, farò il
necessario e anche di più per farmi notare. - rispose la
ragazza.
Tyrron sospirò e scosse la testa. Nemeria ebbe l'impressione
che quella non fosse la prima volta che lui e Noriko avevano una
conversazione simile.
In quel momento Adel portò tre fette di torta di pere.
L'odore del cumino e del pepe era forte, ma sulla lingua si amalgamava
con la consistenza morbida del miele e il pizzicore acidulo del vino.
- Il torneo si svolgerà tra quattro giorni, come vi hanno
detto stamattina. Le modalità su come avverranno gli
accoppiamenti verranno comunicate il giorno del torneo stesso. Fino ad
allora, vedete di occupare il tempo che avete a disposizione come
meglio credete. Ora, - si alzò e le guardò
entrambe, - c'è qualche richiesta speciale? -
- Io vorrei vedere Batuffolo. - pregò timidamente Nemeria.
- Mi chiedevo quando ti saresti fatta avanti. Vieni. -
Tyrron le rivolse un sorriso sghembo e Nemeria si affrettò a
seguirlo quando la condusse attraverso i corridoi, fino a una serie di
stanze chiuse da una semplice porta di legno vicino alle cucine.
Soltanto una era socchiusa e dall'interno proveniva la luce soffusa di
una candela. Nemeria l'aprì con delicatezza. Non appena
Batuffolo caracollò verso di lei, gli corse incontro e lo
strinse tra le braccia.
Morad sedeva sul letto con le mani abbandonate tra le gambe.
- È il cucciolo più indisciplinato con cui abbia
avuto a che fare. - borbottò, ma Nemeria non lo
ascoltò.
Affondò il viso nel pelo morbido del collo del felino e
lasciò che lui le leccasse la guancia con la lingua ruvida.
Lo avrebbe stretto per sempre se Morad non glielo avesse preso dalle
braccia.
- Vedi di impegnarti se vuoi riaverlo, fiammella. -
l'apostrofò Tyrron.
Quell'epiteto la fece irrigidire, ma la sua ironia bonaria non aveva
niente a che vedere con il sarcasmo di Abayomi.
"Non posso più rimandare."
- Morad, riporta le nostre gladiatrici alla Scuola. E fa' in fretta, ho
dei compiti da affidarti. -
Quando tornarono nelle loro stanze, Nemeria si buttò sul
letto senza cambiarsi, con ancora il calore di Batuffolo impresso nei
vestiti.
La mattina seguente, Durga venne a svegliarle che il sole non aveva
ancora riscaldato la terra. Nemeria infilò la testa sotto il
cuscino e sperò con tutta se stessa che anche Noriko
l'avrebbe ignorata. Invece la sua amica si alzò in un balzo
e andò ad aprire.
- Io e 'Tep pensavamo di andare ad allenarci. Venite anche voi due,
vero? -
- Penso di sì. -
- Allora vi aspettiamo al campo dell'acqua. -
- Va bene. -
Noriko chiuse la porta e si voltò verso Nemeria.
- Hai intenzione di far finta di dormire ancora a lungo? -
- Mi sarebbe piaciuto rimanere a letto, in realtà. -
Rimase stesa ancora un poco, ma prima di cambiare idea si
tirò su in un unico scatto. Premette forte le dita sugli
occhi e sbadigliò, mentre seguiva distrattamente i movimenti
di Noriko.
- Perché al campo dell'acqua? -
- Ad Ahhotep non piace avere estranei intorno durante gli allenamenti. -
- Non mi è mai sembrato ci fossero altri dominatori
dell'aria. -
- Non i primi tempi che eravamo qui. Poi ne sono arrivati altri. -
- Non ci ho fatto caso. -
- Tu sei sempre distratta. -
Nemeria arricciò il naso con disappunto, ma
incassò senza replicare. Si accostò all'armadio,
si tolse la tunica e la strinse al petto. I peli di Batuffolo rimasti
impigliati nel tessuto le solleticarono le narici e le inumidirono gli
occhi. Nemeria la ripiegò con precisione e lentezza, come
se, così facendo, fosse stata in grado di intrappolare
l'ombra della sua presenza fino a sera.
- Dobbiamo scendere subito? -
- Prima andiamo, prima cominciamo gli allenamenti. - Noriko
inclinò la testa e ruotò gli occhi verso di lei,
- Qualcosa non va? -
Nemeria si allacciò le endromis. Anche se era andata a
dormire più presto del solito, non si sentiva riposata.
Aveva bisogno di svuotare la testa e trovare una soluzione.
- Nulla, volevo solo sapere se avevo un po' di tempo per andare a farmi
un bagno. -
- Mi sono accorta che hai avuto un sonno agitato, ieri notte. -
Nemeria non si stupì più di tanto. Non ricordava
bene cosa avesse sognato, ma le erano rimaste impresse le voci, da
scenario a scenario. Hirad, Altea, Kimiya, Dariush, e poi Etheram,
Rakhsaan, Hediye, e dopo ancora Zahra, Abayomi, Ana, Il'ya. Se chiudeva
gli occhi, poteva quasi udirli mentre la chiamavano.
- Nemeria. -
Noriko si era seduta al suo fianco e le aveva avvolto la mano tra le
sue.
- Cosa c'è che non va? In queste settimane sei stata
sfuggente. Speravo di poter parlare con te dopo gli allenamenti, ma hai
sempre schivato tutte le mie domande con la scusa della stanchezza per
sgusciare via di nascosto a tarda notte. Abayomi ti ha fatto qualcosa?
Ha scoperto il tuo segreto e ti sta ricattando? -
Nemeria si sentì una stupida ad aver preso in considerazione
anche solo la possibilità che non se ne accorgesse. Noriko
era un'osservatrice attenta.
Trasse un profondo respiro e sgranchì le spalle e il collo.
- No, lui non sa nulla di me. -
- E allora cosa occupa così tanto la tua mente? -
Nemeria sottrasse la mano dalla presa di Noriko.
- Non te lo posso dire. -
- Semmai non vuoi dirmelo. -
- Anche. - fu costretta ad ammettere Nemeria, - Ma perché
è davvero complicato da spiegare. -
L'espressione di Noriko non cambiò. Dopo un momento troppo
lungo annuì, con quella gravità che caratterizza
un soldato insoddisfatto ma obbediente.
- Ci sono molti segreti tra di noi. -
Nemeria abbassò lo sguardo sul pavimento: - Mi dispiace,
Noriko. Non è che non mi fidi di te, è che... -
- No, non scusarti. - si lisciò le pieghe della tunica e si
alzò, - Abayomi si allena con Zahra al campo della terra,
anche se a volte spariscono nell'altra ala della scuola.-
Prima che Nemeria potesse riprendersi dallo stupore, uscì a
grandi falcate e si richiuse la porta alle spalle.
"E adesso?"
La domanda aleggiò nell'aria per un po' e rimase insoluta.
Quando il silenzio le rese difficile pensare, decise di uscire pure
lei. Non aveva una meta precisa e, anche se sapeva che camminando non
avrebbe trovato la soluzione ai suoi problemi, si rese conto che se
fosse andata ad allenarsi non avrebbe concluso nulla. La sua mente
vagava da un pensiero all'altro, in balia dell'indecisione, della
spossatezza e dei sentimenti repressi nelle settimane precedenti.
C'erano così tante questioni irrisolte, che non faceva a
tempo a focalizzarsi su una che un'altra appariva, richiamando
prepotentemente la sua attenzione. Aveva la nausea, come se si trovasse
in balia di una tempesta in mezzo al mare.
Scese le scale, oltrepassò i bagni e percorse un corridoio
parallelo al campo d'allenamento centrale. Le guardie le scoccarono
appena uno sguardo, prima di tornare a parlare tra di loro. Erano di
meno rispetto a quelle che stazionavano sugli altri piani e, quando
sbirciò nella fessura tra l'uscio e la porta lasciata
socchiusa, Nemeria capì il perché.
Vide una camerata con una trentina di letti, divisi solo da alcuni
bassi e sparuti comodini. La luce proveniva per lo più dalle
lanterne che penzolavano dal soffitto, delle bocce di vetro opaco
simili a bolle di ghiaccio sporco che faticavano a scacciare le ombre
più vicine. L'unico accesso sul mondo esterno era una
finestra incassata nel muro che aggettava sulla strada, così
piccola da dare l'impressione di osservare un quadro in miniatura.
Nemeria compì un paio di passi all'interno e
tastò con mano il letto più vicino. Il materasso
era duro e bitorzoluto, molto più scomodo di quelli dove
dormivano lei e Noriko, e il cuscino era sottile e svuotato, con le
piume che fuoriuscivano in ispidi ciuffetti dai buchi nella federa.
"La stanza della servitù, immagino."
Si sedette sul bordo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Il
fresco le snebbiò la mente e placò un po' la sua
inquietudine.
Aprì la mano e attinse al potere di Agni. Ormai le veniva
naturale come respirare. Tuttavia, la semplicità con cui la
fiammella si accese la sorprese. Il collare restava sempre un
impedimento, un blocco seppur minimo a una discesa altrimenti semplice,
ma non era più un peso. Era una corda, una stupida corda che
la tratteneva con uno strattone quando provava ad attingere troppo in
fretta o pretendeva troppo potere.
Mosse le dita e plasmò la fiamma nelle sembianze di un
coniglio in corsa, poi di un cerbiatto e, infine, di un piccolo caracal
che si rotolava sul palmo.
Volontà. Bastava averne abbastanza per imprimere la forma al
fuoco. La sfida era mantenerla, perché il fuoco era un
elemento instabile che cambiava come e più in fretta di un
pensiero, come le aveva spiegato Pavona.
La fiamma si assottigliò in una sinuosa lingua luminosa, si
allungò e compose le braccia di una donna che danzava
battendo un req contro il polso. I sonagli trillavano a ogni colpo,
scandendo il ritmo dei fianchi e delle giravolte. Agni ballava con
un'eleganza che avrebbe incantato chiunque, come quelle gitane con le
gonne ampie cucite di mille colori che allestivano i loro spettacoli
agli angoli delle strade. Nemeria era sorda alla sua musica e anche
alla sua voce. Se avesse voluto sentirla, avrebbe dovuto scendere e,
forse, nemmeno in quel caso ci sarebbe riuscita. D'altronde, sebbene
Agni fosse sempre dentro di lei, era comunque una semplice fiamma:
instabile, precaria, caduca. Se non era lei stessa a protendersi, ad
accendersi al richiamo di Nemeria, persino la costrizione del collare
poteva bloccarne il flusso.
- Dominatrice. -
Nemeria chiuse le mano e si voltò di scatto. Il ragazzo che
era venuto nella sua camera la sera della prova la fissava da dietro un
letto con gli occhi azzurri animati da una luce curiosa.
- Come ti chiami? -
- Ozgur. -
- Il letto è tuo? -
Lui annuì, ma quando Nemeria fece per alzarsi scosse la
testa.
- Stare. Nessuno dire nulla. -
- Ah, va bene. Puoi sederti accanto a me, se vuoi. -
Ozgur si morse l'interno della guancia. Teneva sottobraccio una palla
di vestiti che nella semioscurità polverosa sembravano tutti
grigi.
- Lavorare o capo arrabbiare. -
Nemeria annuì. Il viso tondo e i capelli scompigliati le
ricordavano suo fratello Rakhsaan. I colori che appartenevano a Ozgur
erano più scuri, retaggio di un sangue legato al deserto,
alle oasi e al vento caldo, ma nelle fossette sotto gli occhi e
nell'andamento scarmigliato dei riccioli Nemeria rivedeva la stessa
implacabile voglia di fare di suo fratello.
- Tu padrona di caracal? -
- Sì, sono io. Come fai a saperlo? -
- Quella con... - strizzò le palpebre e si passò
le dita tra i capelli, - capelli rossi. Lei dura e fredda. Cucciolo
dolce, troppo per lei. -
Quella descrizione sintetica di Noriko le strappò un sorriso.
- Sei stato tu a prenderti cura di Batuffolo? -
- Batuffolo. - sillabò piano Ozgur, - Caracal? -
- Sì, l'ho chiamato così. -
- Bel nome, piacere molto. E sì, dare io da mangiare a lui. -
- Anche tu devi piacergli molto. Di solito non si fa mai avvicinare
dagli estranei. -
Ozgur sorrise con una punta d'orgoglio e si tirò al petto i
vestiti. La sua allegria contrastava con l'angoscia di Nemeria come
l'olio che galleggia senza mescolarsi all'acqua.
- Dispiace che non più qui. - mormorò imbronciato.
- Se sarò brava durante il torneo me lo ridaranno, non
preoccuparti. -
- Allora semplice: tu molto brava, quindi tu vincere. -
Nemeria corrugò le sopracciglia e gli lanciò
un'occhiata interrogativa.
- Io guardata, a volte. Tu rialzare sempre, anche quando elfa buttare a
terra. Tu forte. - si complimentò Ozgur, - Sicuro che tu
farcela a riavere Tufolo. -
- Anche Noriko è forte. -
- Tu di più. E se dire Tufolo, io credere. -
Nemeria lo fissò con tanto d'occhi e Ozgur
indietreggiò, per la prima volta spaventato.
- Cosa significa che Batuffolo ti ha parlato? -
- Io andare a lavorare. -
Nemeria tentò di afferrarlo, ma una ventata improvvisa la
spinse a indietreggiare così in fretta da farle perdere
l'equilibrio e cadere.
"Un Dominatore dell'aria qui?!"
Lo stupore la inchiodò a terra e l'eco dei passi di Ozgur si
perse in lontananza.
Nemeria rimase lì finché non percepì
la pelle a contatto col pavimento farsi fredda. Con le gambe che
formicolavano, si tirò su e uscì lesta dalla
stanza della servitù.
Il resto della giornata passò con una
tranquillità quasi disturbante. Nemeria andò in
giro per la Scuola per tutta la mattina, muovendosi su e giù
da una scala all'altra. La scoperta di un Dominatore tra la
servitù la lasciava ancora incredula. Come aveva fatto a
infiltrarsi lì dentro senza farsi scoprire? Era stato un
gladiatore e poi, per qualche motivo, era stato scartato e relegato a
lavorare lì, oppure si fingeva umano per avere un tetto
sulla testa e un piatto caldo? Era un segreto che sapeva solo lei o
anche qualcun altro ne era al corrente? E se era coinvolta una terza
persona, perché non lo aveva rivelato a nessuno?
Provò a trovare una risposta, ma le poche informazioni che
aveva sulla Scuola e sul suo funzionamento non erano sufficienti
nemmeno per azzardare un'ipotesi.
Girando, scoprì che al terzo piano c'era una biblioteca. Il
perché in una Scuola di gladiatori ci fosse una struttura
del genere la sfiorò e svanì non appena vi mise
piede all'interno. Non era bella come quella di Tyrron, ma il profumo
del papiro, della pelle e della polvere le conferivano sempre un'aura
magica, anche se smorzata dall'aspetto austero. Le colonne e la lunga
foresta d'archi che le sormontavano erano bianche, e non facevano altro
che esaltare quel senso di riserbo e intimità che le stuoie
di canne avevano immediatamente evocato. Se soltanto non ci fossero
state le guardie a tenerla sotto osservazione, Nemeria si sarebbe
potuta sentire a casa.
Passò in rassegna diversi tomi, li sfiorò con la
punta delle dita e si azzardò a sfogliarne alcuni. La
maggior parte dei racconti delle Jinian erano tramandati di madre in
figlia oralmente, canti, ballate e storie recitare in rime ritmate,
pertanto erano state poche le volte in cui Nemeria aveva potuto
stringere tra le dita un vero e proprio libro. Si mise a sfogliare
distrattamente un trattato sulla geografia dell'impero e
pensò a sua sorella. Etheram avrebbe passato giorni in un
posto come quello.
Ogni volta che la sua mente navigava verso di lei, Nemeria portava la
mano al ciondolo. Stringerlo le dava forza e le trasmetteva sicurezza.
Se lo avesse ceduto, come avrebbe fatto ad andare avanti? Alla fine, si
ritrovava sempre al solito bivio: la sua famiglia d'origine, oppure
quella di Kalaspirit, la sgangherata banda dei Ratti. E più
ci rifletteva, più le sembrava che la sua mente si
avvolgesse su se stessa, preda e predatrice dei suoi stessi pensieri.
A pranzo, mangiò con calma ma senza appetito, poi
seguì Noriko, Durga e Ahhotep al campo dell'acqua per
allenarsi. Come aveva predetto la sua compagna, a parte loro non c'era
nessuno. I boccioli delle Gemme del Firmamento erano chiusi e,
più che piante, parevano serpenti con più teste
alla disperata ricerca di un via di fuga.
Pur con l'aria così stranamente pesante, riuscirono comunque
ad allenarsi, lei e Durga con le armi, mentre Noriko e Ahhotep a colpi
di pugni e calci. Si esercitarono con una tecnica dietro l'altra,
fendente, tondo, affondo, duellando dapprima da sole contro i loro
nemici immaginari, poi in coppia per correggersi e avere l'illusione di
uno scontro serio.
Durga era davvero brava, anche se era più goffa. Preferiva
attaccare piuttosto che difendersi, sequenziando una serie di colpi
veloci e forti ma poco precisi. Dove Nemeria schivava rotolando sulla
sabbia, lei parava; dove la lama di Durga avrebbe tagliato un braccio,
la sua l'avrebbe soltanto trapassato.
Dopo la cena, andarono tutte a lavarsi e Nemeria capì quanto
fosse cambiata quando si ritrovò a specchiarsi nella
piscina. Il suo corpo si era tonificato, le sue braccia e le sue gambe
rassodate. La pelle non si tirava più sul torace e sulle
costole, ma solo sulle ossa del bacino. Aveva ancora una
fisicità da bambina, ma aveva raggiunto una
maturità nella perdita delle morbidezze dell'infanzia e
l'acquisizione di una spigolosità dura, adulta.
La sera Pavona non venne e Nemeria gliene fu grata, anche se avrebbe
voluto confidarsi con lei. Avrebbe potuto provare ad aprirsi con
Noriko, ma temeva la sua reazione. Se avesse marciato nella sua stanza
e avesse preso a pugni Abayomi... no, non era quello a preoccuparla. Il
problema era che, in fondo, sapeva già cosa le avrebbe
risposto. L'avrebbe fatta semplice, molto più di quello che
in realtà era. Le avrebbe detto di tenere la pietra di luna
perché era un caro ricordo, che le informazioni di Abayomi,
sempre che di informazioni veritiere si trattasse, non valevano lo
scambio. Così i giorni seguenti passarono nell'indecisione,
in un limbo grigio sospeso tra il desiderio di avere delle risposte e
la dolorosa certezza di quanto fosse difficile per lei pensare di
separarsi dal suo ciondolo.
- Sei poco concentrata, oggi. -
Nemeria ingollò un lungo sorso di quell'acqua sporca che
tanto odiava. Absaiyah, le aveva detto che si
chiamava Noriko, un nome molto fantasioso che significava "acqua nera."
- Sono solo tesa per domani. -
- Non dovresti. Sei migliorata molto, sai? -
Durga prese il piccolo otre dalle sue mani e bevve anche lei. Si era
raccolta i capelli in uno chignon sulla nuca e aveva fissato i ciuffi
meno collaborativi con dei piccoli fermagli.
- Difficile non migliorare allenandosi ogni giorno. -
- Non è così scontato, sennò saremmo
tutti esperti gladiatori nel giro di poco. -
- Vero. -
Nemeria distese le gambe e contemplò il campo del fuoco. A
quell'ora, complice il caldo del pomeriggio, erano stati ben pochi
quelli che avevano deciso di allenarsi. Persino Noriko, che di solito
era quella che andava avanti a oltranza, si era ritirata prima del
solito. Da quando avevano avuto quella discussione, non si erano
rivolte che poche, sterili parole di cortesia.
- Nemeria, senti... davvero è tutto solo a causa di domani? -
- Tutto cosa? -
Durga fissò il dito sull'impugnatura del kilij e con l'altra
mano le diede una spinta, facendola girare. Le bruciature sulle spalle
erano guarite in fretta e senza lasciare segni. Tuttavia, Nemeria, ogni
volta che le occhieggiava, aveva sempre una fitta al petto, una specie
di sussulto nel cuore che la obbligava a inspirare più aria
del normale.
- Il tuo modo di comportarti. Non lo so, è... strano. La
notte riesci a dormire? -
"No."
- Sì, ma non bene come vorrei. -
- Secondo me c'è qualcosa che ti preoccupa. -
- Ti sbagli. -
La bambina fece girare la spada di nuovo, stavolta in senso antiorario.
- Secondo me, no. -
- Secondo te, appunto. - Nemeria si alzò spazientita, -
Forza, è il momento di andare in camera a cambiarci. -
Durga si mise in piedi, l'afferrò per il polso e la
tirò, una semplice trazione per farle capire di girarsi, e
tanto bastò per fermarla.
- Prova a parlarmene. So che sono piccola, ma siamo amiche e io voglio
provare a darti una mano. Domani dovrai fare del tuo meglio,
così potrai riavere Batuffolo, ma così... - si
bloccò e strinse una porzione del labbro inferiore tra i
denti, - Non voglio che tu perda. -
Rimasero lì per un po', Durga protesa verso di lei e Nemeria
combattuta tra l'impulso di andarsene e il bisogno di parlare. Nella
sua mente insonne i pensieri svolazzavano in tondo come uno stormo di
farfalle impazzite, si disperdevano e sbattevano contro le pareti
appiccicose della scatola cranica con le ali aperte, esangui e sfinite
da quel continuo vagare senza meta.
- Tu sei mia amica. Anche se 'Tep dice che non possiamo esserlo, per me
lo sei. E... e io non posso sopportare di vedere una mia amica triste.
Se non puoi dirmi cos'hai, allora spiegami come posso farti stare
meglio e io farò l'impossibile. - continuò Durga,
poi tirò su col naso e si stropicciò gli occhi, -
Io non voglio che tu sia arrabbiata con me perché non ti ho
difesa quando Roshanai ti ha rotto il naso. Ma non potevo fare niente
senza raccontarle quello che era successo e allora ho preferito stare
zitta. Mi dispiace, scusa! -
Scoppiò in singhiozzi e si sciolse in un pianto di scuse
sconclusionate. Nemeria lasciò cadere la shamshir e
l'abbracciò. Le allacciò le braccia dietro le
spalle e, quando le ginocchia di Durga cedettero, lei la sostenne. E
mentre le lacrime le bagnavano la tunica, si rese conto di quanto
l'affetto di Durga contasse. L'allegria contagiosa di Altea, la
timidezza di Kimiya, la complicità di Chalipa e Afareen,
l'abnegazione di Noriko, il sorriso di Hirad: il suo cuore era sempre
stato colmo di loro e lei era sempre rimasta sorda al suo grido.
- Ti voglio bene, Durga. -
- Non sei arrabbiata con me...? -
La bambina si scostò quel che bastava per poterla guardare.
Con il naso e le guance rosse pareva ancora più piccola e
fragile.
- No, non lo sono mai stata. Semmai tu dovresti esserlo, dopo quello
che ti ho fatto. -
- Avevi passato il limite. Tu non mi faresti mai del male,
perché io e te siamo amiche. - le prese le mani e se le
portò al viso, aperte contro le sue, - E anche se ci
affronteremo, sia che io vinca sia che perda, lo sarai per sempre. -
Il sorriso si aprì sulle labbra di Nemeria. Raccolse
entrambe le armi e le porse il kilij.
- Vieni a lavarti con me? - trillò Durga di nuovo allegra.
- Tu precedimi. Io ho una faccenda da sbrigare. -
Marciò fino all'armeria, ripose la shamshir nella
rastrelliera e corse a rotta di collo fino al refettorio.
Abayomi e Zahra erano seduti al tavolo più vicino alle
cucine, lei intenta a finire la sua razione di pasta e ceci, lui con le
dita intrecciate davanti alla bocca. Si era rasato i capelli e ora il
suo viso pieno di cicatrici era esposto agli sguardi di tutti.
Come se avesse percepito la sua presenza, mentre Nemeria avanzava verso
di loro appuntò il suo unico occhio su di lei. Il ghigno sul
suo volto si allargò sempre di più e
sbocciò in un sorriso di denti scheggiati quando Nemeria gli
mise davanti la pietra di luna. Se si fossero scontrati durante il
torneo, glieli avrebbe fatt i saltare a uno ad uno, quei denti. A lui e
a Zahra.
- Dunque, mia cara Fiammella, hai deciso di tentare la sorte? -
- Non ho voglia di scherzare, Abayomi. -
Zahra fece per ribattere, ma un'occhiata di ammonimento di Abayomi
bastò per metterla a tacere.
- Alla sorte, invece, piace molto scherzare. -
Sogghignò e tirò fuori una moneta di bronzo
ossidata e bucata nel centro dalla tasca dei calzoni.
- Testa. - la girò dalla parte su cui era inciso un grifone
e poi le mostrò quella con il viso di una donna di profilo,
- O croce?-
Nemeria piantò le unghie nel tavolo con rabbia. Senza
più la pietra di luna al collo, era come un cane legato a un
catena troppo lunga.
- Testa. - soffiò.
La moneta compì tre giri in aria prima che Abayomi la
schiacciasse sul dorso della mano. Si prese un momento per sbirciare
tra le fessure delle dita il risultato e allungò il braccio
sotto il suo naso.
- La fortuna ti ha sorriso, Fiammella. -
La cicatrice si stropicciò quando sorrise,
sprofondò nel viso e tirò la pelle e le labbra
con sé. La palpebra che copriva il nulla seguì il
movimento dei muscoli e Nemeria ebbe l'impressione che, al di sotto, ci
fosse qualcosa di vivo pronto a uscire fuori.
- Vieni con me. Ti racconterò tutto quello che vuoi sapere. -
Senza attenderla, Zahra e Abayomi lasciarono il refettorio. Nemeria si
morse la lingua e tenne a freno la rabbia. Poi riprese il ciondolo e
avvolse la cordicella attorno alla mano e al polso. La pietra di luna
pulsò come un piccolo cuore contro il suo palmo,
più calda che mai.