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Autore: Himenoshirotsuki    15/03/2018    3 recensioni
Le Jinian, un popolo, una leggenda. Dimenticate dagli umani e anche da tutte le altre razze, questa tribù di quasi solamente donne viaggia da una parte all'altra del mondo. Nascoste agli occhi di ogni mortale, sono le uniche ancora in grado di usare la magia elementale, senza che essa, a lungo andare, le corrompa. Nemeria è solo una delle tante bambine della tribù e non ha niente di speciale. Adora sua sorella Etheram e il suo dolce fratellino Rakhsaan, ama combinare guai e, come tutte le sue compagne, si è sempre esercitata nell'arte della magia e della manipolazione degli elementali che vivono in lei per poter un giorno diventare una Jinian. Ma tutto cambia all'improvviso quando la sua tribù viene attaccata da una banda di briganti, vestiti con un'armatura completamente nera e una maschera bianca a coprir loro il viso. Il destino mette Nemeria davanti a una scelta: diventare un vero guerriero e combattere per sopravvivere oppure vivere all'ombra di ciò che il fato ha scritto per lei.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Fuoco 2

21

Il battesimo del fuoco

"Le decisioni sono soltanto l’inizio di qualcosa. Quando si prende una decisione, in realtà si comincia a scivolare in una forte corrente che ti porta verso un luogo mai neppure sognato al momento di decidere. "
Paulo Coelho

Il cielo imbrunì presto e le nuvole illividirono, colmandosi dell'aria umida della sera. Il vento le sospingeva in avanti, le gonfiava e vi passava attraverso, per poi calare in una parabola discendente tra le strade di Kalaspirit e nel cortile della scuola. Era un vento caldo e secco, che spolverava la terra di granelli di sabbia rossa e scrocchiante. Anche a occhi chiusi, Nemeria percepiva la loro carezza ruvida sulla guancia e tra le ciglia. Si stropicciò le palpebre, stronfiò per togliersi i granuli rimasti appiccicati alle labbra e alle narici e abbracciò il paesaggio con lo sguardo.
Erano già passate due ore dall'inizio della prova e alcuni si erano addormentati, per lo più ragazzi della sua età o poco più grandi, probabilmente sfiniti dagli allenamenti del pomeriggio. Erano stati svegliati dai maestri che li sorvegliavano ed esortati a tornare nelle loro stanze senza possibilità di replica. Non che avessero qualcosa da obiettare: avevano fallito la prova e questa consapevolezza si accompagnava a un'espressione diversa per ognuno. Nell'indifferenza, Nemeria poteva cogliere la vena della paura; nella stanchezza, l'ombra del dubbio; nell'incertezza, la ruga della rassegnazione.
Non li seguì mentre si allontanavano, né si soffermò più di tanto sui loro mormorii preoccupati o sui singhiozzi decapitati tra i denti. Per quanto provasse dispiacere per loro, non doveva perdere di vista il suo obiettivo. Così lasciò che il vento acchiappasse gli strascichi delle loro conversazioni e li disseminasse lontano da lei, prima che piantassero radici nella sua testa.
Al suo fianco, Noriko piegò una gamba, distese le braccia e chiuse pollici e indici ad anello. Era stato il suo unico movimento in quelle due lunghe ore. A piedi nudi nella sabbia, si manteneva in perfetto equilibrio, come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Anche l'immobilità di Ahhotep era ammirabile, seppur diversa. Se lei era uno stelo d'erba bloccato nel ghiaccio, una vita cristallizzata nell'inverno, Noriko era una quercia che sfidava il vento.
Durga pareva riposare all'ombra dei suoi rami. Aveva disegnato una griglia e vi aveva disposto dei sassolini che aveva trovato frugando sotto la sabbia. Per distinguerli, aveva disegnato una mezzaluna bianca con l'unghia, ripassandola due o tre volte perché fosse visibile. Quella era forse la quinta partita che cominciava, Nemeria non le aveva contate tutte. Però aveva notato che quel gioco catalizzava completamente la sua attenzione. Avrebbe volentieri partecipato anche lei, se solo avesse potuto chiederle di spiegarle le regole.
Udì un lieve russare alle sue spalle, il respiro lento e profondo del sonno. Una donna con il collo adornato da collane colorate e le labbra dipinte di blu avanzò verso una ragazza che era crollata rannicchiata di lato. Al suo fianco, chiuso come una chiocciola, dormiva il suo compagno, uno sha'ir con i capelli macchiati d'oro e il collo chiazzato di lentiggini.
- Alzatevi, asiri. -
Entrambi i ragazzi si svegliarono. Si fissarono intontiti per un momento prima di prendere coscienza di cosa fosse successo.
- Ci dispiace. - mormorò lo sha'ir.
La donna tacque. Solo il lieve ondeggiamento del labbro tra i denti lasciava intuire che stava valutando cosa dire. La luce della torcia illuminava solo metà del viso, lasciando l'altra in ombra, come se la linea bianca che lo divideva in due metà perfette fosse la linea di confine per una terra di nessuno.
- Andate da Nande a farvi controllare. Se vi ammalaste di nuovo, sarebbe un problema per Tara. -
Lo Sha'ir annuì. Tese la mano alla ragazza, l'aiutò ad alzarsi e poi quasi la trascinò fuori dal cortile. La sua magrezza smunta appariva ancor più spettrale nella semioscurità.
"Come ti senti?"
"Stanca. E questa sabbia è tutto fuorché comoda."
Pavona rise nella sua testa. Il suono aveva un che di leggero e rassicurante.
"Mi dispiace che stasera sei venuta inutilmente."
"Prima o poi sarebbe successo. Non è l'unica scuola di gladiatori che fa una cosa del genere."
"Quante ce ne sono?"
"Nell'Impero Siham? Tante. Quella di Kalaspirit è una delle più conosciute, ma di certo non è la più grande."
Durga sbadigliò rumorosamente e si fece scrocchiare le dita, prima di muovere un'altra pedina in avanti. Nemeria le lanciò una lunga occhiata e attese le altre mosse per assicurarsi che non si addormentasse.
"Non penso sia giusto che tu parli con me."
"Preferisci che me ne vada?"
Nemeria si prese il suo tempo per rispondere. Fissare Agni che danzava tra le fiamme la rilassava, ma senza uno stimolo sarebbe crollata prima dell'alba. La fame, anche se l'aiutava a rimanere sveglia, presto sarebbe rimasta schiacciata dallo sfinimento della giornata.
"Non penso che le tue amiche ti biasimerebbero, se è questo che ti preoccupa."
"Come fai a saperlo?"
"Tu diresti loro qualcosa?"
"No, ma..."
"Ma?"
"È che mi sembra di barare. Non è giusto nei loro confronti."
"Allora parliamo finché non senti di potercela fare da sola, va bene?"
Era difficile dire di no. Se sull'altro piatto della bilancia non ci fosse stato Batuffolo, forse avrebbe rifiutato: lui contava più del suo orgoglio e delle aspettative di Tyrron.
"Anche se, dopo tutto quello che ha fatto per me, non voglio deluderlo."
"A chi ti riferisci?"
Il sussulto di Nemeria scatenò l'ilarità di Pavona.
"A Tyrron, il mio lanista. A suo modo mi ha aiutata ed è stato..." cercò la parola giusta tra poteva associare. " È stato gentile, ecco."
 "Allora cerchiamo di non deludere le sue aspettative."
La scuola divenne inconsistente, sprofondò in un bianco accecante e i contorni si distorsero, delineando una piana che si estendeva a perdita d'occhio. L'erba era affilata, dritta e ispida come il pelo di un gatto. Davanti a Nemeria, come perse in lontananza, nuvole bianche e paffute nascondevano allo sguardo la cima delle montagne.
- Le Montagne Celesti. Le avevi mai viste? -
Pavona era apparsa al suo fianco. Indossava una tunica lunga fino al polpaccio, con maniche larghe e colletto alto foderato di pelliccia. I calzoni, di un marrone scuro che aveva trattenuto il profumo di quercia, erano rimboccati all'interno degli stivali di pelle a punta rialzata. Un vento freddo frusciava tra gli steli e le scompigliava la coda che fuoriusciva dal copricapo rosso. Senza trucco non sembrava nemmeno lei.
- Ne avevo solo sentito parlare. - rispose Nemeria.
Non era agitata: quella era una Condivisione, tanto reale da sembrare vera. Ma inconsciamente, con una consapevolezza che niente aveva da spartire con la ragione, avvertiva che non era niente di più che un ricordo molto vivido.
- Come puoi farlo se sai padroneggiare solo la terra? -
- La terra è un elemento pesante, come l'acqua. Conoscerne a fondo uno equivale a carpire qualche segreto dell'altro. - le lanciò un'occhiata in tralice e aggiunse, - Tu sai di cosa sto parlando. -
Nemeria stava per ribattere, quando si ricordò che lei aveva visto tutto durante la Condivisione del loro primo incontro.
- Imparerai, a piccoli passi. -
- Vorrei possedere la tua sicurezza. -
- I maestri devono avere fiducia quando i loro allievi non ne hanno abbastanza. -
Pavona sorrise e Nemeria si sentì rinfrancata.
Rimasero sedute sui massi su cui erano apparse, a fissare il recinto dei montoni, dei cavalli e dei buoi sorvegliati da quattro cani dal pelo lungo e maculato. Un altro, un mastino col muso schiacciato e la lingua di fuori, si aggirava tra le yurte, più per elemosinare del cibo che per far loro la guardia. Quando giunse vicino, annusò le gambe di Pavona, si accucciò al suo fianco e la fissò finché non le strappò una carezza.
- Zambaga. Me la ricordo ancora. Amava rincorrere i cavalli, anche quando era chiaro che non aveva possibilità di vincere. - mormorò la donna, grattandole il collo e dietro le orecchie, - Vieni, è ora di pranzo. -
Fece cenno a Nemeria di seguirla verso la yurta più vicina.
Negli ultimi anni, Nemeria le aveva viste usare poco, forse perché la sua tribù non si era spesso spinta oltre i confini dell'impero, ma ricordava lo scheletro di doghe e la quantità di calore che il panno di feltro era capace di trattenere. Tuttavia, il luogo di nascita di Pavona era un luogo freddo, ben lontano dal deserto e dalle sue piccole oasi. E di quel giorno non le rimanevano altro che sfumati ricordi tattili, legati più a suoni e sapori appartenenti a una memoria sopita e impolverata dagli anni.
La porta di legno della yurta si aprì senza un cigolio. Pavona dovette piegare la testa per entrare, mentre Nemeria scivolò dentro senza nessuna difficoltà. Anche lei indossava i suoi stessi abiti, con un copricapo simile ma a falda larga.
Ad accoglierle fu un'aria di festa e due Jichéngrèn poco più alti di cinque piedi e mezzo. L'uomo vestiva come Pavona, la donna invece indossava un cappello con delle lunghe nappe verdi, abbinate alle strisce blu che si avviluppavano attorno alle orecchie, così lunghe e sottili da sembrare le ali di un pipistrello. Le escrescenze ossee che disegnavano le sopracciglia e contornavano gli zigomi sporgenti erano state dipinte di rosso, in modo da mettere in risalto gli occhi a mandorla.
Nemeria si inchinò in segno di saluto, seguendo l'esempio di Pavona, e poi vennero accompagnate alla tavola, un tappeto di lana attorno a cui erano seduti sia altri Jichéngrèn che i membri della tribù. Nemeria riconobbe Hediye, Fakhri, Arsalan e molti altri. Tutti erano più giovani, più sorridenti; parevano amici raccolti alla stessa tavola durante una ricorrenza, parlavano tra di loro con un'intimità che Nemeria aveva visto riservata solo all'interno della tribù.
- Sedici anni fa era diverso. -
Pavona si sedette tra due bambine Jichéngrèn che stavano divorando delle frittelle. Le lanciarono una lunga occhiata incuriosita, poi una di loro, la più piccola a giudicare dalle escrescenze ossee meno accentuate, le porse una ciotola con brodo e gnocchi fritti.
Nemeria prese posto dietro Pavona e rimase imbambolata a guardare i partecipanti al banchetto. Sua madre era bellissima da giovane. Non era sicura di quanti anni avesse, ma portava i capelli tagliati corti e una lunga collana di finti denti di leone e perle colorate. Aveva le guance rosse, sia per il riso che per l'arakà, il liquore a base di latte prodotto dagli Jichéngrèn. Fakhri e Arsalan sedevano vicini e si stavano dividendo le fette di pane per spalmare il formaggio di capra. Lei corrispondeva alla maestra dei suoi ricordi, quella che portava le orecchie tempestate di orecchini di tutte le grandezze e forme e i capelli perennemente raccolti in una crocchia al di sotto della nuca, con solo qualche filo di un grigio così tenue da confondersi col bianco della chioma. Mangiava con la solita calma, masticando ogni singolo boccone come se fosse il primo e unico. Pure Arsalan era come lo ricordava: burbero, austero, con delle occhiaie che, col tempo, si erano approfondite fino a diventare una vera e propria rete incisa nella pelle.
Era strano per Nemeria vederli così, com'erano stati anni prima. Sembravano persone diverse, più felici, più libere, più umane. Persino le Jinian Anziane si concedevano qualche sorriso e, anche se quello che provavano non era altro che l'ombra di un sentimento, il corpo rilassato esternava la loro serenità interiore.
- Cosa ci è successo? - mormorò meravigliata.
- Sedici anni fa, l'Alta Sacerdotessa scelse il suo Unico e rimase incinta. -
Non servì che Pavona gliela indicasse, Nemeria la riconobbe subito. Sedeva sorseggiando una tazza di tè accanto allo Jichéngrèn che era venuto ad accoglierle. La luce cerulea dei tatuaggi filtrava attraverso la stoffa e bastava un movimento poco più ampio del braccio perché la manica li scoprisse un po'. Nemeria, però, non riusciva a staccare gli occhi dal ventre gonfio che l'Alta Sacerdotessa non smetteva di accarezzare.
- Era un uomo del Nord conosciuto durante un pellegrinaggio al santuario dell'acqua, in Jogalia. Per la Madre, quanto amava quella bambina! Quando nacque, me lo ricordo, eravamo ancora qui e io assistetti al parto. Dovevi vedere come la stringeva, l'amore nel suo sguardo mentre le dava il suo latte. -
- E cosa è cambiato da allora? -
- Le Anziane, dopo un anno dalla nascita, dovettero obbligarla ad affidare la bambina all'Ikaelan scelta. È stato orrendo vederla crollare. -
Nemeria non riusciva nemmeno a immaginarsi una scena del genere. Per lei, l'Alta Sacerdotessa era sempre stata una donna forte, eterea, invincibile.
- Non so se fu quello o l'inizio del conflitto con l'impero Skandaaleshan a indurla a credere che allontanarci ancora di più dai mortali fosse la scelta migliore. -
- Quindi loro... - indicò gli astanti, - Loro sapevano chi eravamo? -
- Probabilmente sì, ma l'Alta Sacerdotessa tolse loro la memoria prima di ripartire. Forse c'è ancora qualcuno tra i mortali che si ricorda di aver mangiato alla nostra stessa tavola, ma ormai siamo materiale da leggende. - fissò i fondi d'erbe e trasse un profondo respiro, - È il motivo per cui ho abbandonato la tribù. Volevo vedere, volevo conoscere, non potevo più accontentarmi di osservare il mondo da lontano. -
- Mi dispiace che tu te ne sia andata. -
Pavona tese la mano verso una Jichéngrèn che le stava offrendo del tè.
- È stata una mia decisione, sapevo che quello era un addio. Se potessi tornare indietro non rimarrei, ma direi ad Afsar e alle mie sorelle quanto le amavo una volta di più. -
Nemeria si ricordava di Afsar. Era una donna sulla quarantina, con le labbra prominenti, le sopracciglia disegnate e i capelli rasati screziati di grigio. Si prendeva cura di Ziba e dei suoi due fratelli nonostante gli acciacchi della vecchiaia e l'anca dolorante.
- Questi ricordi sono tutto ciò che mi rimane della nostra tribù, ma per quanto li tenga stretti pian piano svaniscono. Ho deciso di condividerli con te perché vorrei che anche tu li conservassi. Magari molti di loro non li hai mai incontrati, però è importante che tu sappia com'eravamo. -
- Lo capisco. -
Giunse le mani in grembo e posò lo sguardo su Hediye. Quanto le sarebbe piaciuto andare da lei e stringerla forte, dirle che le voleva bene, che era stata la madre migliore del mondo. Invece l'unica cosa che poteva fare era osservare com'era in un ricordo. Si strinse la stoffa all'altezza del cuore. Era così vicina, eppure già troppo lontana nel tempo.
- Hediye era una brava persona. Tutte le Anziane concordarono nell'affidare a lei la figlia dell'Alta Sacerdotessa. -
Nemeria rimase interdetta. Aprì le mani e contò a bassa voce sulle dita. Per ogni anno che sottraeva, l'intuizione che aveva avuto si delineava con sempre maggiore chiarezza nella sua mente. Come le tessere di un mosaico, i dettagli andarono al loro posto, delineando il quadro generale. Impallidì.
- Qualcosa non va? - domandò Pavona.
- Ti ricordi il nome della bambina? -
- Etheram. - girò appena la testa e la fissò in tralice, - Significa qualcosa per te? -
Le labbra a cuore, il naso all'insù, le ciglia lunghe e folte e le orecchie leggermente a punta. Visti sotto un'altra luce, quegli elementi acquisivano un altro significato. Allungò l'indice e sfiorò il bozzo della pietra di luna nascosta sotto i vestiti.
- Mi chiedo solo perché non me ne sia mai accorta. -
- Quando una persona è una costante nella nostra vita, la vediamo meno chiaramente di quanto pensiamo. -
- Sì, ma... -
Si interruppe prima di proseguire la frase. Aveva davvero importanza, a quel punto, sapere chi era figlio di chi? Etheram non ne aveva idea e nemmeno Nemeria sarebbe mai dovuta venirne a conoscenza.
- Nemeria? -
Scosse la testa e trasse un lungo respiro: - L'unica cosa che mi dispiace è non averlo potuto scoprire con lei. -
- Ti riferisci alla persona che ti ha regalato la pietra di luna? -
Nemeria tirò fuori il ciondolo e se lo rigirò tra le mani. I riflessi violacei si coloravano ancora di più ogni volta che captavano la luce.
Pavona chiuse la pietra tra le ultime due falangi e abbozzò un mezzo sorriso.
- Non poteva sceglierne una migliore per te. La pietra sacra della Madre è al contempo simbolo del coraggio, della speranza, della purezza e della fede. -
Nemeria deglutì e percepì gli occhi riempirsi di lacrime. Pavona la prese sottobraccio e l'aiuto a mettersi in piedi.
Fuori il vento aveva ammassato le nuvole in uno strato compatto che la luce faceva fatica a oltrepassare. Il freddo si insinuava sotto i vestiti e le intirizziva le dita delle mani e dei piedi. Per quanto sapesse che non poteva ammalarsi, Nemeria affondò il viso nel colletto di pelliccia.
Rimasero a contemplare il paesaggio per un po'. Per la gente che si spostava in quel nulla colmo di vita, la libertà correva nel vento e passava tra i fili d'erba, piegandoli con la gentilezza di un soffio primaverile. Era veloce, alta, leggiadra; cavallo, aquila e servalo assieme. E le Montagne Celesti parevano l'unica barriera esistente, una frastagliata corona di roccia e ghiaccio opaco che si perdeva nel bianco abbacinante.
Pavona sfiorò ancora una volta la pietra di luna. Le sue dita rimasero sospese un istante prima di discostarsene.
- Un giorno le vedrai anche tu. -
Pavona le strinse forte le mano. Cielo e terra divennero un tutt'uno e il bianco sommerse ogni cosa.
 
Nemeria sbatté le palpebre un paio di volte. Si sentiva tutta intorpidita e non c'era muscolo che non le dolesse. La notte stava schiarendo nell'aurora e il profilo rosato del sole si allargava in un'aureola oltre il tetto della Scuola.
Pavona non era più lì. Il corvo che usava per parlare con lei era rimasto, ma i suoi occhi avevano perso quello scintillio di consapevolezza umana.
"Quindi la prova è finita."
Le guardie si erano date il cambio, mentre i Syad erano gli stessi. Sayuri se ne stava dritta a guardare l'alba. Roshanai se ne stava appoggiata alla colonna con le dita legate dietro la nuca e lo sguardo rivolto sui ragazzi rimasti. Nemeria ne contò una trentina, tra cui Durga, Ahhotep e Noriko. Con suo disappunto, vide che neppure Abayomi e Zahra mancavano all'appello. Si erano accaparrati un angolo lontano che era stato precedentemente occupato da altri concorrenti, ma dove alla fine erano rimasti solo loro due. Poco più in là, steso terra con la gamba piegata sul ginocchio, c'era il ragazzo alto, quello che aveva visto quando erano in coda. Il braccio destro gli sosteneva la testa mentre l'altro a volte afferrava un pugno di sabbia, per poi lasciarla fluire tra le dita aperte. I capelli erano chiari e sottili e le orecchie simili alle ali di una farfalla, con l'elice che si assottigliava sempre più, allungandosi verso l'alto.
"Un Eoin'id? Che ci fa qui?"
Un crampo allo stomaco tagliò di netto il filo dei suoi pensieri. Nemeria si strinse la pancia e si dondolò avanti e indietro finché il dolore non diminuì. Aveva fame e i rumori provenienti dalle cucine non aiutavano affatto. Durante la Condivisione, nonostante si fosse ritrovata davanti a una tavola ricca di prelibatezze, non aveva sentito il bisogno di mangiare. Ora invece, salivava al solo profumo del pane.
Pure Durga sembrava soffrire tanto quanto lei: si era raggomitolata con le bracci avvolte attorno alle ginocchia e si dondolava, gli occhi che si chiudevano e si riaprivano a intervalli di pochi istanti.
"Almeno stanotte non ha fatto freddo. Ma se anche fosse caduta la neve, avremmo dovuto fare comunque questa maledetta prova."
Attesero un'altra ora, durante la quale altri tre caddero addormentati. Nemeria seguì con lo sguardo la loro ritirata e poi tornò a giocare con la sabbia, a compattarla in modo da darle una forma quanto più definita possibile. Non era importante che fosse bella o complessa, semplicemente era essenziale tenere occupati il corpo e la mente.
Il suono lungo e prolungato di un corno ruppe il silenzio nel campo.
- In piedi. - intimò una delle guardie, mentre gli altri soldati si avvicinavano compatti.
Noriko le passò un braccio sotto le ascelle e l'aiutò a rimettersi in piedi. Se soltanto non si fosse sentita le gambe così irrigidite, Nemeria l'avrebbe respinta, ma le veniva difficile anche solo mantenerle dritte sotto il suo peso. Ahhotep fece lo stesso con Durga, con la differenza che dovette praticamente sollevarla di peso.
Koosha e i lanisti arrivarono una decina di minuti dopo. Stavolta, però, entrarono dal portone della Scuola, tutti vestiti con la stessa medesima eleganza del giorno precedente, a parte Tyrron, che invece aveva optato per un chitone di lino sbracciato, annodato sulle spalle. Ai piedi portava dei sandali alti di cuoio rosso, alti fino allo stinco e impreziositi con schegge d'avorio. Oltre a Morad, si accompagnava a una qazam che Nemeria non aveva notato il giorno prima. Gli arrivava a malapena alla vita, ma aveva un bel sorriso, che il rossore sulle guance non faceva altro che rendere ancora più dolce.
Koosha si fece avanti e abbracciò con lo sguardo il campo. Passò un lungo istante in cui nessuno fiatò.
Durga rimase appoggiata ad Ahhotep, ma tenne il mento alzato, orgogliosa come una leonessa, mentre la sua compagna la sosteneva per il fianco, i capelli appiccicati alla fronte appena sudata. Noriko, così come Zahra e Abayomi, ricambiò le occhiate del preside come se fossero indirizzate soltanto a loro.
- Per voi che siete rimasti: bravi. Avete superato la prima prova, quella che vi darà l'accesso al torneo. Mi congratulo con ognuno di voi e spero che questo non sia che l'inizio della vostra scalata verso il successo. - fece una pausa e affetto, - Il torneo comincerà tra quattro giorni. In questo tempo, le lezioni sono sospese. Siete liberi di utilizzare i campi quando e come volete per allenarvi o, se siete già sicuri della vittoria, potrete rimanere nelle vostre camere a riposare. Quel che importa è che, alla fine, siate gli unici a rimanere in piedi. -
Tyrron guardò Nemeria con palese orgoglio. E anche se il sangue faticava a fluire nelle gambe, Nemeria tirò indietro le spalle e intrecciò le dita dietro la schiena. Non era tutto merito suo, ma non le interessava: poteva sopportare uno smacco alla sua autostima per riavere indietro Batuffolo.
"Etheram sarebbe fiera di me."
Due ragazze con i capelli legati in svariate trecce e le guance paffute camminarono fino al limitare del campo, mentre i soldati ingiungevano ai concorrenti vicini di indietreggiare. Srotolarono due pergamene e cominciarono a chiamare i gladiatori che si erano sottoposti alla prova, suddivisi secondo i nomi dei lanisti. Se nessuno rispondeva, spuntavano quello del concorrente con un carboncino, alzando solo di tanto in tanto la testa per controllare chi avesse alzato la mano. Finalmente, Nemeria poté associare il nome di Tana alla qazam che affiancava Tyrron, e scoprì anche che l'Eoin'id si chiamava Senan e apparteneva a un certo Siamak, un uomo con il naso aquilino e gli zigomi bassi e poco pronunciati che si era mantenuto in disparte. Lo sguardo compiaciuto, a metà tra un ghigno e una smorfia, che rivolse al gladiatore non le piacque affatto.
Quando Koosha diede loro il permesso di andare a far colazione e si ritirò ai piani superiori, Tyrron fece cenno a Nemeria e Noriko di avvicinarsi.
- Stasera siete ospiti a casa mia. Morad verrà a prendervi poco prima di cena. Vedete di farvi trovare pronte prima del suo arrivo. - disse e poi, mentre gli altri lanisti parlavano con i propri gladiatori, imboccò le stesse scale di Koosha.
- Vieni, andiamo a fare colazione. Ne hai bisogno. - la esortò Noriko.
- Sì... -
Nemeria si stropicciò gli occhi e si concesse un sospiro di sollievo. Noriko le passò una mano sulle spalle e la strinse a sé.
- Adesso non preoccuparti di nulla. Mangia e riposati. Dopo, quando ti sentirai meglio, valuteremo cosa fare. -
Quel dopo non venne mai, perché non appena tornarono in camera Nemeria crollò addormentata sul letto.
La sera, puntuale, venne Morad a prenderle. Nemeria avrebbe volentieri dormito di più, ma non le era parso che Tyrron avesse incluso nella sua proposta la possibilità di declinare l'invito.
Faceva più freddo rispetto alla sera precedente, il calore intrappolato nelle pietre della strada era già evaporato nell'aria vespertina. La luce filtrava dalle finestre e il vento ingrossava le tende.
Al loro arrivo, i due uomini a guardia del portone della casa di Tyrron si spostarono per lasciarli passare. Una volta dentro, Imar e Adel corsero loro incontro e li condussero nella grande sala da pranzo, già abilmente apparecchiata per tre. I letti, anche in quest'occasione, erano stati spostati contro le pareti, così da lasciare spazio al lungo tavolo, dove capeggiavano diverse portate.
Tyrron le attendeva seduto a capotavola, un'anfora piena di vino a portata di mano. Non appena entrarono, fece loro segno di raggiungerlo e si alzò.
- Venite. Avrete sicuramente fame. -
Il sonno si era fatto da parte nel momento in cui il profumo della carne le aveva stuzzicato le narici, però Nemeria si sforzò di mostrarsi il più dignitosa possibile. Attese che Noriko prendesse posto di fianco a Tyrron e si sedette vicino a lei, cercando di non gettare troppe occhiate in direzione della cucina.
- Sono sorpreso che entrambe siate riuscite a passare la prova. Su Noriko non avevo dubbi, ma mi stupisce che anche tu ce l'abbia fatta, Nemeria. -
- Mi sono impegnata molto. Non è stato facile. -
"L'ho fatto soprattutto perché rivoglio Batuffolo."
- Il tuo caracal sta bene. - le disse, come se le avesse letto nel pensiero, - Se ne sta occupando Morad. Koosha non ne ha voluto sapere di fartelo tenere senza che te lo meritassi. Il meglio che ho potuto fare è stato quello di lasciarlo in mani fidate. Se riuscirai a impressionarlo, in ogni caso, non credo farà storie, considerando che uno dei gladiatori di Siamak ha un pitone bianco come animale domestico. -
- Siamak è il lanista più anziano di tutti. - la informò Noriko e Tyrron annuì.
- I suoi gladiatori sono quelli che hanno vinto più tornei negli anni. Ha un occhio invidiabile per gli affari, glielo concedo. -
Adel portò due giare dipinte con dei motivi geometrici, triangoli rossi e verdi che si arrotolavano alla base e sui manici. Quando le posò sul tavolo, un profumo di datteri e frutta si diffuse nell'aria e si accompagnò a quello di piccione e capretto appena sfornati. Venne servito, infine, un antipasto su un tagliere di pistacchi, noci, nocciole, uova, capperi e olive.
A parte la carne, erano tutte cose che Nemeria aveva sempre mangiato, ma che Jaffar, il cuoco di casa, cucinava molto meglio rispetto a quello della Scuola. Si mise nel piatto una tartina con pasticcio di cacio e aglio e una con gremolato d'olive, in attesa che Imar finisse di servire il padrone di casa.
Tyrron levò il calice ed entrambe le sue ospiti fecero lo stesso.
- Alla vostra prima vittoria. -
Brindarono e il vino scese in gola in un'amarognola carezza liquida che fece tossire Nemeria.
- Troppo forte per te? - le domandò divertito Tyrron.
- No, sì... più o meno. - Nemeria storse le labbra in una mezza smorfia e se le pulì col dorso della mano.
- Ho fatto portare anche la birra e l'acqua, ma certe occasioni meritano d'essere festeggiate con tutti gli onori del caso. -
Finì il suo bicchiere e se lo riempì di nuovo subito dopo. Il colore scuriva nel viola fino a diventare quasi nero sul fondo e la luce delle diverse lanterne si scomponeva in tremule onde luminose man mano che versava altro vino. Poi Tyrron riprese la parola.
- Quella di stanotte è stata la vostra prima prova, ma la vera sfida sarà il torneo. Sono passati ben trentadue gladiatori, molti più di quelli che ci aspettavamo, ma abbastanza per indire qualcosa di più grande e spettacolare rispetto agli altri anni. - si portò alle labbra un pezzo di capretto e lo masticò con calma, - Sarò onesto: non mi aspetto che vinciate. Gareggiano ragazzi e ragazze anche più grandi di voi, alcuni ben più addestrati. -
Nemeria ripensò a Senan e provò a immaginarsi come sarebbe stato avere lui come avversario. Ingoiò il risultato dello scontro in un boccone di sugo e capretto.
- Quello che però pretendo è che stupiate. Il torneo non si svolgerà nell'arena ufficiale, ma comunque sarà pubblico e dovrete fare di tutto per attirare l'attenzione su di voi. Gli sponsor vi osservano dalla platea e questa può essere la vostra occasione per conquistarne uno. -
Nemeria sillabò la parola “sponsor” con evidente confusione e attese che uno degli altri due commensali le spiegasse il significato, ma venne ignorata.
- Dobbiamo tenere qualche nome a mente? - chiese Noriko.
- Potrei dirvene qualcuno, ma non avendoli mai visti sarebbe inutile. Combattete come se tutti i membri del pubblico, uomini e donne, lo fossero. O fingete che siano nascosti tra di loro, non ha importanza. Ciò che conta è che loro sono la chiave di volta che vi permetterà di ripagare il vostro debito. Un gladiatore con un buono sponsor può permettersi armature e armi migliori, riceve soldi, vestiti e inviti. Conquistatevi il favore di uno di loro e le vostre possibilità di lasciarvi alle spalle la vita nell'arena aumenteranno. -
Noriko annuì distrattamente e ruppe una noce tra i due palmi. Tyrron la studiò tra un boccone e l'altro.
Nemeria ebbe un brivido quando allontanò il piatto e intrecciò le dita sotto il naso.
- Non pensi ne valga la pena? -
- Se questo è ciò che vuoi, farò il necessario e anche di più per farmi notare. - rispose la ragazza.
Tyrron sospirò e scosse la testa. Nemeria ebbe l'impressione che quella non fosse la prima volta che lui e Noriko avevano una conversazione simile.
In quel momento Adel portò tre fette di torta di pere. L'odore del cumino e del pepe era forte, ma sulla lingua si amalgamava con la consistenza morbida del miele e il pizzicore acidulo del vino.
- Il torneo si svolgerà tra quattro giorni, come vi hanno detto stamattina. Le modalità su come avverranno gli accoppiamenti verranno comunicate il giorno del torneo stesso. Fino ad allora, vedete di occupare il tempo che avete a disposizione come meglio credete. Ora, - si alzò e le guardò entrambe, - c'è qualche richiesta speciale? -
- Io vorrei vedere Batuffolo. - pregò timidamente Nemeria.
- Mi chiedevo quando ti saresti fatta avanti. Vieni. -
Tyrron le rivolse un sorriso sghembo e Nemeria si affrettò a seguirlo quando la condusse attraverso i corridoi, fino a una serie di stanze chiuse da una semplice porta di legno vicino alle cucine. Soltanto una era socchiusa e dall'interno proveniva la luce soffusa di una candela. Nemeria l'aprì con delicatezza. Non appena Batuffolo caracollò verso di lei, gli corse incontro e lo strinse tra le braccia.
Morad sedeva sul letto con le mani abbandonate tra le gambe.
- È il cucciolo più indisciplinato con cui abbia avuto a che fare. - borbottò, ma Nemeria non lo ascoltò.
Affondò il viso nel pelo morbido del collo del felino e lasciò che lui le leccasse la guancia con la lingua ruvida. Lo avrebbe stretto per sempre se Morad non glielo avesse preso dalle braccia.
- Vedi di impegnarti se vuoi riaverlo, fiammella. - l'apostrofò Tyrron.
Quell'epiteto la fece irrigidire, ma la sua ironia bonaria non aveva niente a che vedere con il sarcasmo di Abayomi.
"Non posso più rimandare."
- Morad, riporta le nostre gladiatrici alla Scuola. E fa' in fretta, ho dei compiti da affidarti. -
Quando tornarono nelle loro stanze, Nemeria si buttò sul letto senza cambiarsi, con ancora il calore di Batuffolo impresso nei vestiti.
La mattina seguente, Durga venne a svegliarle che il sole non aveva ancora riscaldato la terra. Nemeria infilò la testa sotto il cuscino e sperò con tutta se stessa che anche Noriko l'avrebbe ignorata. Invece la sua amica si alzò in un balzo e andò ad aprire.
- Io e 'Tep pensavamo di andare ad allenarci. Venite anche voi due, vero? -
- Penso di sì. -
- Allora vi aspettiamo al campo dell'acqua. -
- Va bene. -
Noriko chiuse la porta e si voltò verso Nemeria.
- Hai intenzione di far finta di dormire ancora a lungo? -
- Mi sarebbe piaciuto rimanere a letto, in realtà. -
Rimase stesa ancora un poco, ma prima di cambiare idea si tirò su in un unico scatto. Premette forte le dita sugli occhi e sbadigliò, mentre seguiva distrattamente i movimenti di Noriko.
- Perché al campo dell'acqua? -
- Ad Ahhotep non piace avere estranei intorno durante gli allenamenti. -
- Non mi è mai sembrato ci fossero altri dominatori dell'aria. -
- Non i primi tempi che eravamo qui. Poi ne sono arrivati altri. -
- Non ci ho fatto caso. -
- Tu sei sempre distratta. -
Nemeria arricciò il naso con disappunto, ma incassò senza replicare. Si accostò all'armadio, si tolse la tunica e la strinse al petto. I peli di Batuffolo rimasti impigliati nel tessuto le solleticarono le narici e le inumidirono gli occhi. Nemeria la ripiegò con precisione e lentezza, come se, così facendo, fosse stata in grado di intrappolare l'ombra della sua presenza fino a sera.
- Dobbiamo scendere subito? -
- Prima andiamo, prima cominciamo gli allenamenti. - Noriko inclinò la testa e ruotò gli occhi verso di lei, - Qualcosa non va? -
Nemeria si allacciò le endromis. Anche se era andata a dormire più presto del solito, non si sentiva riposata. Aveva bisogno di svuotare la testa e trovare una soluzione.
- Nulla, volevo solo sapere se avevo un po' di tempo per andare a farmi un bagno. -
- Mi sono accorta che hai avuto un sonno agitato, ieri notte. -
Nemeria non si stupì più di tanto. Non ricordava bene cosa avesse sognato, ma le erano rimaste impresse le voci, da scenario a scenario. Hirad, Altea, Kimiya, Dariush, e poi Etheram, Rakhsaan, Hediye, e dopo ancora Zahra, Abayomi, Ana, Il'ya. Se chiudeva gli occhi, poteva quasi udirli mentre la chiamavano.
- Nemeria. -
Noriko si era seduta al suo fianco e le aveva avvolto la mano tra le sue.
- Cosa c'è che non va? In queste settimane sei stata sfuggente. Speravo di poter parlare con te dopo gli allenamenti, ma hai sempre schivato tutte le mie domande con la scusa della stanchezza per sgusciare via di nascosto a tarda notte. Abayomi ti ha fatto qualcosa? Ha scoperto il tuo segreto e ti sta ricattando? -
Nemeria si sentì una stupida ad aver preso in considerazione anche solo la possibilità che non se ne accorgesse. Noriko era un'osservatrice attenta.
Trasse un profondo respiro e sgranchì le spalle e il collo.
- No, lui non sa nulla di me. -
- E allora cosa occupa così tanto la tua mente? -
Nemeria sottrasse la mano dalla presa di Noriko.
- Non te lo posso dire. -
- Semmai non vuoi dirmelo. -
- Anche. - fu costretta ad ammettere Nemeria, - Ma perché è davvero complicato da spiegare. -
L'espressione di Noriko non cambiò. Dopo un momento troppo lungo annuì, con quella gravità che caratterizza un soldato insoddisfatto ma obbediente.
- Ci sono molti segreti tra di noi. -
Nemeria abbassò lo sguardo sul pavimento: - Mi dispiace, Noriko. Non è che non mi fidi di te, è che... -
- No, non scusarti. - si lisciò le pieghe della tunica e si alzò, - Abayomi si allena con Zahra al campo della terra, anche se a volte spariscono nell'altra ala della scuola.-
Prima che Nemeria potesse riprendersi dallo stupore, uscì a grandi falcate e si richiuse la porta alle spalle.
"E adesso?"
La domanda aleggiò nell'aria per un po' e rimase insoluta. Quando il silenzio le rese difficile pensare, decise di uscire pure lei. Non aveva una meta precisa e, anche se sapeva che camminando non avrebbe trovato la soluzione ai suoi problemi, si rese conto che se fosse andata ad allenarsi non avrebbe concluso nulla. La sua mente vagava da un pensiero all'altro, in balia dell'indecisione, della spossatezza e dei sentimenti repressi nelle settimane precedenti. C'erano così tante questioni irrisolte, che non faceva a tempo a focalizzarsi su una che un'altra appariva, richiamando prepotentemente la sua attenzione. Aveva la nausea, come se si trovasse in balia di una tempesta in mezzo al mare.
Scese le scale, oltrepassò i bagni e percorse un corridoio parallelo al campo d'allenamento centrale. Le guardie le scoccarono appena uno sguardo, prima di tornare a parlare tra di loro. Erano di meno rispetto a quelle che stazionavano sugli altri piani e, quando sbirciò nella fessura tra l'uscio e la porta lasciata socchiusa, Nemeria capì il perché.
Vide una camerata con una trentina di letti, divisi solo da alcuni bassi e sparuti comodini. La luce proveniva per lo più dalle lanterne che penzolavano dal soffitto, delle bocce di vetro opaco simili a bolle di ghiaccio sporco che faticavano a scacciare le ombre più vicine. L'unico accesso sul mondo esterno era una finestra incassata nel muro che aggettava sulla strada, così piccola da dare l'impressione di osservare un quadro in miniatura.
Nemeria compì un paio di passi all'interno e tastò con mano il letto più vicino. Il materasso era duro e bitorzoluto, molto più scomodo di quelli dove dormivano lei e Noriko, e il cuscino era sottile e svuotato, con le piume che fuoriuscivano in ispidi ciuffetti dai buchi nella federa.
"La stanza della servitù, immagino."
Si sedette sul bordo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Il fresco le snebbiò la mente e placò un po' la sua inquietudine.
Aprì la mano e attinse al potere di Agni. Ormai le veniva naturale come respirare. Tuttavia, la semplicità con cui la fiammella si accese la sorprese. Il collare restava sempre un impedimento, un blocco seppur minimo a una discesa altrimenti semplice, ma non era più un peso. Era una corda, una stupida corda che la tratteneva con uno strattone quando provava ad attingere troppo in fretta o pretendeva troppo potere.
Mosse le dita e plasmò la fiamma nelle sembianze di un coniglio in corsa, poi di un cerbiatto e, infine, di un piccolo caracal che si rotolava sul palmo.
Volontà. Bastava averne abbastanza per imprimere la forma al fuoco. La sfida era mantenerla, perché il fuoco era un elemento instabile che cambiava come e più in fretta di un pensiero, come le aveva spiegato Pavona.
La fiamma si assottigliò in una sinuosa lingua luminosa, si allungò e compose le braccia di una donna che danzava battendo un req contro il polso. I sonagli trillavano a ogni colpo, scandendo il ritmo dei fianchi e delle giravolte. Agni ballava con un'eleganza che avrebbe incantato chiunque, come quelle gitane con le gonne ampie cucite di mille colori che allestivano i loro spettacoli agli angoli delle strade. Nemeria era sorda alla sua musica e anche alla sua voce. Se avesse voluto sentirla, avrebbe dovuto scendere e, forse, nemmeno in quel caso ci sarebbe riuscita. D'altronde, sebbene Agni fosse sempre dentro di lei, era comunque una semplice fiamma: instabile, precaria, caduca. Se non era lei stessa a protendersi, ad accendersi al richiamo di Nemeria, persino la costrizione del collare poteva bloccarne il flusso.
- Dominatrice. -
Nemeria chiuse le mano e si voltò di scatto. Il ragazzo che era venuto nella sua camera la sera della prova la fissava da dietro un letto con gli occhi azzurri animati da una luce curiosa.
- Come ti chiami? -
- Ozgur. -
- Il letto è tuo? -
Lui annuì, ma quando Nemeria fece per alzarsi scosse la testa.
- Stare. Nessuno dire nulla. -
- Ah, va bene. Puoi sederti accanto a me, se vuoi. -
Ozgur si morse l'interno della guancia. Teneva sottobraccio una palla di vestiti che nella semioscurità polverosa sembravano tutti grigi.
- Lavorare o capo arrabbiare. -
Nemeria annuì. Il viso tondo e i capelli scompigliati le ricordavano suo fratello Rakhsaan. I colori che appartenevano a Ozgur erano più scuri, retaggio di un sangue legato al deserto, alle oasi e al vento caldo, ma nelle fossette sotto gli occhi e nell'andamento scarmigliato dei riccioli Nemeria rivedeva la stessa implacabile voglia di fare di suo fratello.
- Tu padrona di caracal? -
- Sì, sono io. Come fai a saperlo? -
- Quella con... - strizzò le palpebre e si passò le dita tra i capelli, - capelli rossi. Lei dura e fredda. Cucciolo dolce, troppo per lei. -
Quella descrizione sintetica di Noriko le strappò un sorriso.
- Sei stato tu a prenderti cura di Batuffolo? -
- Batuffolo. - sillabò piano Ozgur, - Caracal? -
- Sì, l'ho chiamato così. -
- Bel nome, piacere molto. E sì, dare io da mangiare a lui. -
- Anche tu devi piacergli molto. Di solito non si fa mai avvicinare dagli estranei. -
Ozgur sorrise con una punta d'orgoglio e si tirò al petto i vestiti. La sua allegria contrastava con l'angoscia di Nemeria come l'olio che galleggia senza mescolarsi all'acqua.
- Dispiace che non più qui. - mormorò imbronciato.
- Se sarò brava durante il torneo me lo ridaranno, non preoccuparti. -
- Allora semplice: tu molto brava, quindi tu vincere. -
Nemeria corrugò le sopracciglia e gli lanciò un'occhiata interrogativa.
- Io guardata, a volte. Tu rialzare sempre, anche quando elfa buttare a terra. Tu forte. - si complimentò Ozgur, - Sicuro che tu farcela a riavere Tufolo. -
- Anche Noriko è forte. -
- Tu di più. E se dire Tufolo, io credere. -
Nemeria lo fissò con tanto d'occhi e Ozgur indietreggiò, per la prima volta spaventato.
- Cosa significa che Batuffolo ti ha parlato? -
- Io andare a lavorare. -
Nemeria tentò di afferrarlo, ma una ventata improvvisa la spinse a indietreggiare così in fretta da farle perdere l'equilibrio e cadere.
"Un Dominatore dell'aria qui?!"
Lo stupore la inchiodò a terra e l'eco dei passi di Ozgur si perse in lontananza.
Nemeria rimase lì finché non percepì la pelle a contatto col pavimento farsi fredda. Con le gambe che formicolavano, si tirò su e uscì lesta dalla stanza della servitù.
 
Il resto della giornata passò con una tranquillità quasi disturbante. Nemeria andò in giro per la Scuola per tutta la mattina, muovendosi su e giù da una scala all'altra. La scoperta di un Dominatore tra la servitù la lasciava ancora incredula. Come aveva fatto a infiltrarsi lì dentro senza farsi scoprire? Era stato un gladiatore e poi, per qualche motivo, era stato scartato e relegato a lavorare lì, oppure si fingeva umano per avere un tetto sulla testa e un piatto caldo? Era un segreto che sapeva solo lei o anche qualcun altro ne era al corrente? E se era coinvolta una terza persona, perché non lo aveva rivelato a nessuno? Provò a trovare una risposta, ma le poche informazioni che aveva sulla Scuola e sul suo funzionamento non erano sufficienti nemmeno per azzardare un'ipotesi.
Girando, scoprì che al terzo piano c'era una biblioteca. Il perché in una Scuola di gladiatori ci fosse una struttura del genere la sfiorò e svanì non appena vi mise piede all'interno. Non era bella come quella di Tyrron, ma il profumo del papiro, della pelle e della polvere le conferivano sempre un'aura magica, anche se smorzata dall'aspetto austero. Le colonne e la lunga foresta d'archi che le sormontavano erano bianche, e non facevano altro che esaltare quel senso di riserbo e intimità che le stuoie di canne avevano immediatamente evocato. Se soltanto non ci fossero state le guardie a tenerla sotto osservazione, Nemeria si sarebbe potuta sentire a casa.
Passò in rassegna diversi tomi, li sfiorò con la punta delle dita e si azzardò a sfogliarne alcuni. La maggior parte dei racconti delle Jinian erano tramandati di madre in figlia oralmente, canti, ballate e storie recitare in rime ritmate, pertanto erano state poche le volte in cui Nemeria aveva potuto stringere tra le dita un vero e proprio libro. Si mise a sfogliare distrattamente un trattato sulla geografia dell'impero e pensò a sua sorella. Etheram avrebbe passato giorni in un posto come quello.
Ogni volta che la sua mente navigava verso di lei, Nemeria portava la mano al ciondolo. Stringerlo le dava forza e le trasmetteva sicurezza. Se lo avesse ceduto, come avrebbe fatto ad andare avanti? Alla fine, si ritrovava sempre al solito bivio: la sua famiglia d'origine, oppure quella di Kalaspirit, la sgangherata banda dei Ratti. E più ci rifletteva, più le sembrava che la sua mente si avvolgesse su se stessa, preda e predatrice dei suoi stessi pensieri.
A pranzo, mangiò con calma ma senza appetito, poi seguì Noriko, Durga e Ahhotep al campo dell'acqua per allenarsi. Come aveva predetto la sua compagna, a parte loro non c'era nessuno. I boccioli delle Gemme del Firmamento erano chiusi e, più che piante, parevano serpenti con più teste alla disperata ricerca di un via di fuga.
Pur con l'aria così stranamente pesante, riuscirono comunque ad allenarsi, lei e Durga con le armi, mentre Noriko e Ahhotep a colpi di pugni e calci. Si esercitarono con una tecnica dietro l'altra, fendente, tondo, affondo, duellando dapprima da sole contro i loro nemici immaginari, poi in coppia per correggersi e avere l'illusione di uno scontro serio.
Durga era davvero brava, anche se era più goffa. Preferiva attaccare piuttosto che difendersi, sequenziando una serie di colpi veloci e forti ma poco precisi. Dove Nemeria schivava rotolando sulla sabbia, lei parava; dove la lama di Durga avrebbe tagliato un braccio, la sua l'avrebbe soltanto trapassato.
Dopo la cena, andarono tutte a lavarsi e Nemeria capì quanto fosse cambiata quando si ritrovò a specchiarsi nella piscina. Il suo corpo si era tonificato, le sue braccia e le sue gambe rassodate. La pelle non si tirava più sul torace e sulle costole, ma solo sulle ossa del bacino. Aveva ancora una fisicità da bambina, ma aveva raggiunto una maturità nella perdita delle morbidezze dell'infanzia e l'acquisizione di una spigolosità dura, adulta.
La sera Pavona non venne e Nemeria gliene fu grata, anche se avrebbe voluto confidarsi con lei. Avrebbe potuto provare ad aprirsi con Noriko, ma temeva la sua reazione. Se avesse marciato nella sua stanza e avesse preso a pugni Abayomi... no, non era quello a preoccuparla. Il problema era che, in fondo, sapeva già cosa le avrebbe risposto. L'avrebbe fatta semplice, molto più di quello che in realtà era. Le avrebbe detto di tenere la pietra di luna perché era un caro ricordo, che le informazioni di Abayomi, sempre che di informazioni veritiere si trattasse, non valevano lo scambio. Così i giorni seguenti passarono nell'indecisione, in un limbo grigio sospeso tra il desiderio di avere delle risposte e la dolorosa certezza di quanto fosse difficile per lei pensare di separarsi dal suo ciondolo.
- Sei poco concentrata, oggi. -
Nemeria ingollò un lungo sorso di quell'acqua sporca che tanto odiava. Absaiyah, le aveva detto che si chiamava Noriko, un nome molto fantasioso che significava "acqua nera."
- Sono solo tesa per domani. -
- Non dovresti. Sei migliorata molto, sai? -
Durga prese il piccolo otre dalle sue mani e bevve anche lei. Si era raccolta i capelli in uno chignon sulla nuca e aveva fissato i ciuffi meno collaborativi con dei piccoli fermagli.
- Difficile non migliorare allenandosi ogni giorno. -
- Non è così scontato, sennò saremmo tutti esperti gladiatori nel giro di poco. -
- Vero. -
Nemeria distese le gambe e contemplò il campo del fuoco. A quell'ora, complice il caldo del pomeriggio, erano stati ben pochi quelli che avevano deciso di allenarsi. Persino Noriko, che di solito era quella che andava avanti a oltranza, si era ritirata prima del solito. Da quando avevano avuto quella discussione, non si erano rivolte che poche, sterili parole di cortesia.
- Nemeria, senti... davvero è tutto solo a causa di domani? -
- Tutto cosa? -
Durga fissò il dito sull'impugnatura del kilij e con l'altra mano le diede una spinta, facendola girare. Le bruciature sulle spalle erano guarite in fretta e senza lasciare segni. Tuttavia, Nemeria, ogni volta che le occhieggiava, aveva sempre una fitta al petto, una specie di sussulto nel cuore che la obbligava a inspirare più aria del normale.
- Il tuo modo di comportarti. Non lo so, è... strano. La notte riesci a dormire? -
"No."
- Sì, ma non bene come vorrei. -
- Secondo me c'è qualcosa che ti preoccupa. -
- Ti sbagli. -
La bambina fece girare la spada di nuovo, stavolta in senso antiorario.
- Secondo me, no. -
- Secondo te, appunto. - Nemeria si alzò spazientita, - Forza, è il momento di andare in camera a cambiarci. -
Durga si mise in piedi, l'afferrò per il polso e la tirò, una semplice trazione per farle capire di girarsi, e tanto bastò per fermarla.
- Prova a parlarmene. So che sono piccola, ma siamo amiche e io voglio provare a darti una mano. Domani dovrai fare del tuo meglio, così potrai riavere Batuffolo, ma così... - si bloccò e strinse una porzione del labbro inferiore tra i denti, - Non voglio che tu perda. -
Rimasero lì per un po', Durga protesa verso di lei e Nemeria combattuta tra l'impulso di andarsene e il bisogno di parlare. Nella sua mente insonne i pensieri svolazzavano in tondo come uno stormo di farfalle impazzite, si disperdevano e sbattevano contro le pareti appiccicose della scatola cranica con le ali aperte, esangui e sfinite da quel continuo vagare senza meta.
- Tu sei mia amica. Anche se 'Tep dice che non possiamo esserlo, per me lo sei. E... e io non posso sopportare di vedere una mia amica triste. Se non puoi dirmi cos'hai, allora spiegami come posso farti stare meglio e io farò l'impossibile. - continuò Durga, poi tirò su col naso e si stropicciò gli occhi, - Io non voglio che tu sia arrabbiata con me perché non ti ho difesa quando Roshanai ti ha rotto il naso. Ma non potevo fare niente senza raccontarle quello che era successo e allora ho preferito stare zitta. Mi dispiace, scusa! -
Scoppiò in singhiozzi e si sciolse in un pianto di scuse sconclusionate. Nemeria lasciò cadere la shamshir e l'abbracciò. Le allacciò le braccia dietro le spalle e, quando le ginocchia di Durga cedettero, lei la sostenne. E mentre le lacrime le bagnavano la tunica, si rese conto di quanto l'affetto di Durga contasse. L'allegria contagiosa di Altea, la timidezza di Kimiya, la complicità di Chalipa e Afareen, l'abnegazione di Noriko, il sorriso di Hirad: il suo cuore era sempre stato colmo di loro e lei era sempre rimasta sorda al suo grido.
- Ti voglio bene, Durga. -
- Non sei arrabbiata con me...? -
La bambina si scostò quel che bastava per poterla guardare. Con il naso e le guance rosse pareva ancora più piccola e fragile.
- No, non lo sono mai stata. Semmai tu dovresti esserlo, dopo quello che ti ho fatto. -
- Avevi passato il limite. Tu non mi faresti mai del male, perché io e te siamo amiche. - le prese le mani e se le portò al viso, aperte contro le sue, - E anche se ci affronteremo, sia che io vinca sia che perda, lo sarai per sempre. -
Il sorriso si aprì sulle labbra di Nemeria. Raccolse entrambe le armi e le porse il kilij.
- Vieni a lavarti con me? - trillò Durga di nuovo allegra.
- Tu precedimi. Io ho una faccenda da sbrigare. -
Marciò fino all'armeria, ripose la shamshir nella rastrelliera e corse a rotta di collo fino al refettorio.
Abayomi e Zahra erano seduti al tavolo più vicino alle cucine, lei intenta a finire la sua razione di pasta e ceci, lui con le dita intrecciate davanti alla bocca. Si era rasato i capelli e ora il suo viso pieno di cicatrici era esposto agli sguardi di tutti.
Come se avesse percepito la sua presenza, mentre Nemeria avanzava verso di loro appuntò il suo unico occhio su di lei. Il ghigno sul suo volto si allargò sempre di più e sbocciò in un sorriso di denti scheggiati quando Nemeria gli mise davanti la pietra di luna. Se si fossero scontrati durante il torneo, glieli avrebbe fatt i saltare a uno ad uno, quei denti. A lui e a Zahra.
- Dunque, mia cara Fiammella, hai deciso di tentare la sorte? -
- Non ho voglia di scherzare, Abayomi. -
Zahra fece per ribattere, ma un'occhiata di ammonimento di Abayomi bastò per metterla a tacere.
- Alla sorte, invece, piace molto scherzare. -
Sogghignò e tirò fuori una moneta di bronzo ossidata e bucata nel centro dalla tasca dei calzoni.
- Testa. - la girò dalla parte su cui era inciso un grifone e poi le mostrò quella con il viso di una donna di profilo, - O croce?-
Nemeria piantò le unghie nel tavolo con rabbia. Senza più la pietra di luna al collo, era come un cane legato a un catena troppo lunga.
- Testa. - soffiò.
La moneta compì tre giri in aria prima che Abayomi la schiacciasse sul dorso della mano. Si prese un momento per sbirciare tra le fessure delle dita il risultato e allungò il braccio sotto il suo naso.
- La fortuna ti ha sorriso, Fiammella. -
La cicatrice si stropicciò quando sorrise, sprofondò nel viso e tirò la pelle e le labbra con sé. La palpebra che copriva il nulla seguì il movimento dei muscoli e Nemeria ebbe l'impressione che, al di sotto, ci fosse qualcosa di vivo pronto a uscire fuori.
- Vieni con me. Ti racconterò tutto quello che vuoi sapere. -
Senza attenderla, Zahra e Abayomi lasciarono il refettorio. Nemeria si morse la lingua e tenne a freno la rabbia. Poi riprese il ciondolo e avvolse la cordicella attorno alla mano e al polso. La pietra di luna pulsò come un piccolo cuore contro il suo palmo, più calda che mai.

  
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