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Autore: heliodor    15/03/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La missione
 
Gajza l'attendeva nella sua tenda. E non era da sola. Con lei c'era Rancey, l'espressione tronfia dipinta sul viso.
Eryen l'accompagnò fino all'ingresso della tenda.
"Entra anche tu" disse Gajza. "Forse imparerai qualcosa."
Eryen annuì ed entrò insieme a Joyce.
La tenda era spoglia, fatta eccezione per un baule aperto e una sacca dimenticata in un angolo. Il giaciglio era un semplice sacco a pelo con delle pelli per difendersi dai rigori della notte.
"Hai dato una bella occhiata in giro?" le domandò Gajza.
"Non vi stavo spiando" si difese Joyce.
"Non abbiamo niente da nascondere" disse la strega. "Noi siamo dalla parte del giusto. E se anche gli alfar lo capissero, non ci sarebbe bisogno di usare tanta violenza."
"Voi li avete attaccati senza motivo" disse Joyce.
Gajza rise. "Senza motivo? Quei selvaggi si fanno beffe delle nostre leggi e usanze."
Joyce ricordò le parole di Jhazar. Per i Nazedir il rispetto delle leggi era tutto. "Rispettano le loro leggi."
Gajza sbuffò. "In ogni caso, io voglio evitare un bagno di sangue. Sono disposta a concedere agli alfar ampia autonomia, se smetteranno di comportarsi come fuorilegge."
"Loro vogliono solo essere lasciati in pace, non lo capisci?" fece Joyce esasperata.
"Stiamo perdendo di vista la questione principale" disse Rancey spazientito.
Gajza le scoccò un'occhiata di sbieco. "Ci stavo arrivando. La foresta appartiene a noi, ma sono disposta a concederla agli alfar. Se ci lasceranno liberi di accedere al loro santuario, li lasceremo in pace."
Joyce si accigliò. "Il santuario è un luogo sacro per gli alfar. Nemmeno a loro è permesso entrarvi."
"Noi non vogliamo che ci entri uno di loro" disse Gajza.
Joyce cominciava a spazientirsi. "Perché lo chiedete a me? Io non sono un alfar."
"Ci arriveremo" disse Gajza. "Ti è chiaro quello che vogliamo? Se ci lasceranno via libera per il santuario, potranno vivere liberamente nel resto della foresta. Hai capito?"
Joyce annuì.
"Molto beme" disse la strega. "Sarà quello che riferirai agli alfar quando andrai al santuario."
Per un attimo Joyce non credette a quelle parole. "Vuoi che ci vada io?"
Gajza sospirò. "Non illuderti, non sei la mia prima scelta. Ho mandato due messaggeri, ma sono tornati ricoperti di frecce. Gli alfar non vogliono trattare con noi, è chiaro."
"Non so dargli torto" disse Joyce con tono di scherno.
Gajza ghignò. "È per questo che manderemo te per riferire il mio messaggio. Non sono più disposta a richiare i miei uomini, perciò ho deciso di spendere una risorsa più... sacrificabile, se così si può dire."
Joyce deglutì a vuoto. Alle sue spalle Eryen si lasciò sfuggire una risatina.
"Inizi a comprendere, cara?" fece Gajza.
"Fuggirò non appena lascerò l'accampamento" disse Joyce cercando una buona scusa per evitare quella missione.
"Se lo farai, Leyra morirà. In ogni caso, ti farò seguire da lontano. Se non andrai verso il santuario, darò ordine ai miei uomini di ucciderti."
"Non mi ascolteranno mai" disse Joyce disperata. "Io non sono una di loro."
"Lo so, ma ti hanno accolta sia all'avamposto che al satuario."
Come fa a saperlo, si chiese Joyce.
Gajza sorrise. "Conosci la strada, quindi devi esserci stata prima d'ora."
"E se rifiuto?"
"Leyra muore. E tu la segui, ma in modo meno rapido e indolore" disse Rancey.
Era in trappola. "Accetto."
"Molto bene" fece Gajza. "Andrai domani all'alba. Adesso torna alla tua tenda e riposati. Sarà una giornata dura. Eryen, accompagnala e assicurati che resti dov'è. Non voglio che tenti di fuggire proprio adesso che abbiamo trovato un accordo."
"E se cerca di scappare?" chiese Eryen.
"Uccidila pure" fece Gajza con un gesto vago della mano.
Eryen le mise una mano sulla spalla e la costrinse a voltarsi.
Joyce si sentiva svuotata di ogni energia e si lasciò condurre alla tenda senza opporre resistenza.
Una volta al chiuso, crollò sulla stuoia.
Leyra, gli occhi gonfi e cerchiati per il pianto, la guardò perplessa.
Joyce le raccontò che cosa era successo.
"È una follia" disse la ragazza. "Non accetteranno mai questa proposta."
"Lo so, ma Gajza non vuole sentire ragioni. Leyra, devi aiutarmi."
"Nidda, non so se..."
"Cosa potrei dire per convincere Maera e gli altri a lasciare che Rancey entri nel santuario?"
"Nidda, i custodi hanno sempre difeso con la vita il santuario. È la loro missione e prestano un giuramento solenne. Non cederanno mai, nemmeno davanti alle minacce di Gajza e Rancey."
"Allora ci sarà una battaglia e molti moriranno" disse Joyce.
La notte passò senza che riuscisse a chiudere occhio se non per poche ore. Leyra la vegliò fin quasi al risveglio, quando Eryen e altri due stregoni vennero a prelevarla.
La condussero da Gajza e Rancey, già in piedi. Era ancora buio, fatta eccezione per un debole chiarore all'orizzonte. In cielo c'erano poche nuvole e l'aria era fredda, ma non in maniera sgradevole.
È una giornata meravigliosa, pensò Joyce. E potrei essere morta prima di mezzogiorno. Che peccato.
Era un pensiero ridicolo ma non riusciva a toglierselo dalla testa.
Ci pensò Gajza a riportarla alla realtà. "Hai tempo fino al tramonto per tornare, non importa se con un rifiuto o un successo. Se decidi di restare al santuario o torni dopo il tramonto, Leyra muore. È chiaro?"
Joyce annuì.
"Puoi andare."
Due stregoni la scortarono fino ai confini dell'accampamento, duecento passi dopo l'ultima tenda e poi tornarono indietro.
Joyce trasse un profondo sospiro e si avviò in direzione del santuario.
Seguì il sentiero con i sensi all'erta. In qualsiasi momento temeva di cadere in qualche orribile trappola preparata dagli alfar o essere presa di mira da un arciere.
Se quello che Gajza diceva era vero, quel tratto di foresta era pieno di pericoli mortali. Doveva stare attenta a non farsi sorprendere.
Il santuario sorgeva nei pressi di un gigantesco albero-torre visibile anche da quel punto. Si diresse verso l'enorme pianta, certa di trovare la via giusta.
Camminò per circa un'ora senza che nulla accadesse. Ogni tanto si fermava per esaminare il terreno alla ricerca di qualche traccia sospetta, ma non trovò niente.
Di sicuro, se c'erano delle trappole, una poco esperta come lei non le avrebbe mai trovate. Tanto valeva non perdere altro tempo e cercare di raggiungere il santuario nel più breve tempo possibile.
Qualcosa si mosse alla sua destra. Notò il movimento con la coda dell'occhio ma non ebbe il tempo di reagire. Prima acora che se ne rendesse conto, due figure erano apparse ai suoi lati.
Vide gli archi puntati verso di lei e le frecce già incoccate.
Si fermò all'istante, le mani bene in vista.
Le due figure la tennero sotto tiro in silenzio poteva sentire i loro respiri regolari.
"Sono Sibyl" disse con voce ferma. "Sto andando al santuario."
"Lo sappiamo chi sei" disse una delle due figure.
Con la coda dell'occhio vide che era una ragazza.
"Che cosa ci fai qui?" chiese l'altra.
Tanto valeva dire la verità. "Mi ha mandata Gajza."
"Stai dalla sua parte ora?"
"No" rispose subito. "Ma se non obbedisco ucciderà Leyra."
"Leyra è viva? Dimostralo" disse la ragazza.
"Non posso. Devi fidarti me."
"Tu sei una kodva."
"Lo so" fece Joyce. "Ma devi fidarti lo stesso. Ho un messaggio per Maera e gli altri custodi. Da parte di Gajza."
La ragazza abbassò l'arco. "Se provi a muoverti Ealan ti ucciderà."
Joyce si rilassò e girò la testa in direzione della ragazza. Era Indis. "Sei viva" esclamò sorpresa.
"Non grazie a te. Sei scappata via."
"Mi spiace. Ertham mi ha attaccata con la sua aquila gigante."
Indis fece una smorfia.
"Come hai fatto a salvarti?"
"Andiamo" disse la ragazza indicandole il sentiero. "Maera vorrà ascoltarti."
La portarono al santuario. Era come lo ricordava, con le tende riunite in un cerchio e la vita che si svolgeva nello spiazzo comune.
In quel momento era occupato da numerosi adulti e anziani che discutevano tra di loro. Joyce riconobbe alcune facce tra i presenti. Galadiel, Thali, Maera, Serime e Arwel.
Serime fu il primo a notare la sua presenza. "Eccola" disse indicandola. "La traditrice osa anche farsi vedere. Ne ha di coraggio."
Joyce notò gli sguardi ostili dei presenti posarsi su di lei. Persino quelli di Arwel e Maera erano tutt'altro che amichevoli.
Arwel le andò incontro. "È vero quello che dice Serime? Hai portato Rancey e Gajza al santuario?"
"Ho dovuto farlo" disse Joyce.
Dai presenti si levò un mormorio sommesso.
"Gajza avrebbe dato fuoco a tutta la foresta pur di stanarvi" aggiunse.
Arwel scosse la tesa affranta. "Sei caduta nella sua trappola."
"Può darsi, ma ho dovuto fare una scelta."
"Per te è facile" disse Serime con odio. "Tu sei una kodva. Per te il santuario non conta niente."
"La vita delle persone è più importante" replicò Joyce.
Tra i presenti si levò un mormorio ostile.
"Anche blasfema" disse Serime.
"Smettila" disse Maera. "Fino a due giorni fa nemmeno tu tenevi così tanto al santuario."
"Non ti permetto di fare certe insinuazioni" disse l'alfar. "Io ho sempre creduto nella dea."
"E allora perché non eri qui a difenderla?"
"Ci sono ora" replicò lui.
"Solo perché i nostri esploratori ti hanno trovato e portato qui. Dove stavi cercando di scappare?"
Serime rispose con una smorfia ostile.
"Ho un messaggio da parte di Gajza e Rancey" disse Joyce ad Arwel.
Lei la guardò preoccupata. "Che cosa vuole da noi?"
"Dice che vi lascerà in pace" disse Joyce a voce alta in modo che tutti i presenti la sentissero. "In cambio, voi dovrete lasciare libero l'accesso al santuario."
I presenti si scambiarono occhiate dubbiose.
"Ti ha detto proprio questo?" chiese Maera.
Joyce annuì.
"Perché ha mandato te?" chiese Galadiel. "Sapeva che non ci saremmo mai fidati."
"Non lo so, credo che abbia un piano, ma a me non l'ha detto."
"Vuole che rifiutiamo, è chiaro" disse Maera. "Le serve una scusa qualsiasi per giustificare l'attacco agli occhi di Lady Selena. Lei non è mai stata ostile nei nostri confronti e ci ha sempre lasciati in pace."
"Io dovevo solo riferirvi la sua proposta" disse Joyce. "Che intendete fare?"
Maera indicò i presenti. "Quelli che vedi sono i rappresentanti di tutti gli avamposti. Sono qui per discutere che cosa fare e come agire."
"Vuoi dire che non avete ancora deciso?" chiese Joyce incredula.
"Stavamo giusto per votare" spiegò Arwel. "Ma il tuo arrivo cambia tutto. Ci serve altro tempo."
Joyce guardò il cielo, gli occhi verso il sole ormai alto. "Fate in fretta. Se non sarò di ritorno entro il tramonto uccideranno Leyra."
 
Joyce sedette in disparte, sorvegliata a vista da Indis, mentre gli anziani si preparavano a discutere a oltranza sulla proposta di Gajza.
Un'ombra si stagliò su di lei. Quando alzò lo sgardo, incontrò un viso familiare.
"Zefyr" esclamò. Era sollevata di vederlo sano e salvo.
Dietro di lui, Thali e Olfin.
"Ci siete anche voi."
"Quado non ti ho vita tra i sopravvissuti" disse Zefyr. "Sono stato tentato di tornare indietro."
"È vero" disse Olfin. "Arwel ha dovuto trattenerlo. E ha trattenuto anche me" disse con una punta di orgoglio.
Joyce era felice di rivederli ma non riuscì a dire niente. Un groppo in gola le impediva di parlare.
Invece Olfin disse: "È vero quello che dice Serime? Sei scappata durante la battaglia e hai portato qui Gajza e Rancey?"
"Non sono scappata" disse Joyce ritrovando la voce. "Ertham con la sua aquila mi ha presa e portata via."
Thali la guardò perplesso.
Per tutta risposta, Joyce scoprì la spalla mostrando la ferita lasciatale dagli artigli.
Olfin fece una smorfia di disgusto.
"È brutta vero?" fece Joyce.
"È bellissima" fece Olfin con espressione trasognata. "Magari ne avessi una anche io."
Thali esaminò la ferita con espressione accigliata. "È davvero brutta. Vado a cercare Finaser, il nostro guaritore."
Mentre si allontanava, Joyce guardò Zefyr. "Voi due vi siete chiariti?"
"Abbiamo parlato" ammise il ragazzo.
"Solo?"
"Un passo alla volta."
"Potrebbe non esserci così tanto tempo" disse Joyce con tono mesto.
"Spero di sì. Ho fiducia in Arwel e i suoi."
Joyce sorrise. "Sto sognando o le tue sono parole di ammirazione per un alfar?"
Zefyr si strinse nelle spalle. "Devo ammettere che quella donna è notevole. Ha coraggio e senza di lei sarebbero morti a centinaia nell'attacco. Quando ha capito che non c'era speranza, ha radunato quanta più gente poteva e li ha aiutati a scappare, coprendo la ritirata."
"Peccato che non sia servito a niente."
Zefyr fece spallucce. "Non hai risposto all'altra domanda."
Joyce sospirò. "È vero, li ho guidati al santuario."
Olfin impallidì. "Perché hai fatto una cosa del genere?"
"Gajza avrebbe fattto una strage di prigionieri, compresi Serime e Leyra. E voleva appiccare le fiamme a tutta la foresta. Sarebbe stato un disastro peggiore."
"Il santuario non deve essere violato" disse Indis con tono duro.
"Ma è solo un posto come tanti" ribatté Joyce.
"Per te forse, ma per noi è tutto. Quelli che difendono il santuario non cederanno mai, nemmeno di fronte alle minacce di Gajza."
"Allora moriranno tutti e il santuario verrà violato lo stesso" disse Joyce.
Indis fece spallucce. "La dea ci proteggerà come ha sempre fatto."
Joyce non comprendeva quella cieca ostinazione.
Zefyr dovette capire qualcosa dalla sua espressione perché disse: "Lo so, fanno lo stesso effetto anche a me. È per questo che smisi di cercare di convincere Thali a tornare indietro e preferii crederlo morto."
"Vorrei solo che capissero" disse Joyce affranta.
"Io credo che lo capiscano benissimo" disse Zefyr. "Non sono stupidi, non più di chiunque altro. Per loro il santuario è tutto. Immagina qualcuno che voglia portarti via la cosa più preziosa che possiedi, che ti definisce, che rappresenta ciò che eri, che sei e che sarai. Come reagiresti?"
Joyce non era certa di quale fosse la cosa più preziosa che possedeva. I suoi libri? I suoi vestiti? I gioielli? Non riusciva a trovare qualcosa della quale non potesse fare a meno.
Poi pensò ai suoi genitori, ai suoi fratelli e a Bryce, Vyncent e Oren.
Era lì per uccidere Rancey e avrebbe fatto di tutto, perché fallire significava perdere qualcosa a cui lei teneva troppo.
Era disposta persino a rischiare la sua vita pur di riuscirci. C'erano cose e persone per cui valeva la pena morire.
"Ecco, ora puoi capirli" disse Zefyr.
"Quindi tu pensi che sia giusto combattere anche se non hanno alcuna speranza di vincere?"
"Io penso che gli alfar debbano essere liberi di fare le loro scelte, anche se sono sbagliate. E non è detto che perdano. Conoscono bene la foresta, è la loro casa ed è grande vantaggio per loro. Rancey e Gajza potrebbero sbattere il muso e farsi davvero male."
Joyce cominciò a vedere un senso in quello che stava dicendo Zefyr. Forse gli alfar non potevano fermare Rancey, ma di sicuro gli avrebbero inflitto delle gravi perdite. Vale la pena combattere, si disse.
Un adulto si avvicinò con fare circospetto. Aveva il viso e il torace nascosti da una vistosa fasciatura e zoppicava appoggiandosi sulla gamba destra.
Joyce faticò a riconoscerlo.
"Non ti ricordi di me?" chiese con voce stentata, piena di dolore.
Joyce fece uno sforzo, ma non le venne in mente niente. "Ti conosco?"
"Sono Therenduil."
"Sei il taras di Diroen?"
L'uomo annuì.
"Credevo fossi morto."
"Lo pensavo anche io."
"Abbiamo trovato taras Therenduil ferito mentre fuggivamo dall'avamposto" spiegò Olfin.
"Ero più morto che vivo" disse l'alfar. "Ma Finaser mi ha salvato."
"Diroen mi ha detto di aver visto il tuo corpo."
Gli occhi di Therenduil, l'unico particolare del suo viso, si illuminarono. "Tu hai visto Diroen? È vivo?"
Joyce annuì.
"È ancora prigioniero di Gajza?"
Joyce non sapeva come dirgli la verità. "Non è più prigioniero" disse scegliendo il modo più diretto e sincero. "È passato dalla parte di Rancey."
La luce si spense negli occhi di Therenduil. "Non è possibile. Mi stai mentendo?"
Joyce scosse la testa. "Vorrei tanto."
"Come è possibile?"
"Dice di aver parlato con un certo Kather, un prete del culto dell'Unico. È lui che l'ha convinto."
"Daez" esclamò Therenduil. "Se è vero ucciderò sia Diroen che quel maledetto prete" disse prima di allontanarsi.
"È vero?" chiese Olfin. "Diroen ci ha traditi?"
Joyce annuì mesta.
"Perché? Lui era il migliore tra tutti noi."
"Dovrai chiederlo a lui quando lo vedrai" disse Joyce. Sempre che non tenti di ucciderti, pensò.
Thali tornò con un ometto dall'aria simpatica, con una folta barba grigia a incorniciare un viso ovale e un sorriso amichevole.
"Lui è Finaser" disse presentandolo. "Ti darà una mano."
"Fammi vedere la ferita" disse l'alfar.
Joyce scoprì la spalla.
Finaser la esaminò con cura, senza toccarla. "È brutta, ma almeno è stata pulita bene. Ti applicherò degli unguenti che favoriranno la guarigione."
"Resterà la cicatrice?" chiese Joyce mentre Finaser preparava la sostanza macinando delle erbe in un pestello.
"Una meravigliosa cicatrice che potrai mostrare con orgoglio" disse il guaritore con tono gioviale.
"Perfetto" disse Joyce rassegnata. Così adesso oltre che grassa, frivola e labbra storte sarò anche sfregiata, pensò.
"È un grande onore poter mostrare una cicatrice" disse Olfin con espressione sorpresa.
Zefyr rise. "Non credo sia l'onore ciò che preme a Sibyl" disse. "Ma il giudizio di un fidanzato."
"Non è vero" disse Joyce indignata.
Zefyr rise ancora più forte.
Anche a Olfin scappò un sorriso, mentre Thali e Indis restarono seri.
"Vedo che siete di buonumore" disse Arwel sopraggiungendo.
Finaser aveva appena finito si spalmare l'unguento e stava coprendo la ferita con delle bende pulite.
"Avete preso una decisione?" chiese Joyce alzandosi.
Arwel annuì.
"E allora?"
"Ci ritiriamo" disse l'alfar.
Joyce ebbe un tuffo al cuore. Non era la decisione che si aspettava. Sperava che gli alfar decidessero di combattere tutti uniti invece di scappare. "Non potete. Il santuario..."
"Non vale le vite di tutti, l'hai detto anche tu" disse Arwel. "Maera e gli altri custodi resteranno."
"Sarà un massacro."
"Abbiamo fatto un voto" disse Thali.
"Io resterò con te" disse Zefyr.
I due fratelli si scambiarono un'occhiata silenziosa.
"Anche io resterò" disse Indis.
"E io" le fece eco Olfin. "E Galaser resterà anche lui, ne sono certo."
Joyce sentì l'angoscia crescere. "Non potete abbandonarli."
"Tu hai un'idea diversa?" chiese Arwel.
"Combattere."
"Così invece di duecento moriranno in duemila" disse l'alfar.
"Ne moriranno molti di più se Malag vince la guerra."
"Noi non combattiamo contro di lui."
"Ma lui combatte contro di voi. Rancey sta cercando qualcosa che si trova nel santuario, altrimenti non sarebbe cos interessato. Di qualunque cosa si tratti, non deve averla."
Arwel sospirò. "Sono d'accordo con te, ma il consiglio ha votato."
"Per te è comodo. Non sei tu a morire."
"In verità ho deciso di restare" disse l'alfar. "Ma non devo certo giustificarmi con te per le mie scelte."
"Voglio parlare al consiglio" disse Joyce.
"Non è possibile. I kodva non..."
Joyce si diresse con passo deciso verso il centro dell'accampamento.
Arwel sospirò e la seguì. "Che cosa speri di ottenere? Tu sei una straniera. Qualsiasi cosa dirai non ti ascolteranno e se lo faranno li convicerai solo a fare il contrario."
"Qualcosa mi inventerò" disse Joyce marciando decisa.

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