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Autore: ___Page    16/03/2018    5 recensioni
«Iva tu… non l’hai già acquistata vero?» chiedo in un soffio e un angolo della sua bocca si contrae in un tic.
«A chili» conferma.
«Se non dovessimo trovare un’utilità per questo prodotto, il danno ammonterebbe a una cifra considerevole.»
«Ci serve più tempo!»
«Non lo abbiamo. Ci serve che la questione si riveli un affare entro Settembre o qualcuno del consiglio potrebbe… contrariarsi, diciamo. E la presentazione è programmata per Luglio. E deve essere l’affare dell’anno.»
***
Grazie alla geniale trovata di Iva ora mi ritrovo con il mio migliore amico che si sposa tra sei settimane, Sabo da gestire, un matrimonio da aiutare a organizzare e un progetto assurdo, impossibile, irrealizzabile dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo.
Fantastico! Sono al settimo cielo!
***
«Ehi non mi piace che si usi quel termine per me!» protesta.
«Cosa?! Mestruato?!» domando con sfida, ma lui scuote la testa «Irritante?» riprovo, sollevando le sopracciglia, ma lui nega di nuovo «Gay?!» chiedo ancora. Incredula, lo guardo annuire solenne.
«Precisamente.»
No, io non ce la posso fare.
«Izo tu sei gay!!!»
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Koala, Nami, Nefertari Bibi, Trafalgar Law, Usop | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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A Momo e Zomi



Goa, un orario imprecisato intorno alle 13:15.
Venerdì.

 
Sbircio attraverso la finestra aperta i camerieri che apparecchiano con certosina precisione i tavoli tondi, disposti con millimetrica cura sotto le tensostrutture che sono state montate stamattina presto, prima che arrivassimo tutti qui, guardaroba a seguito per prepararci al grande giorno. 
Porto alle labbra la mia tazza di the al mandarino appena tiepido, un rilassante rimedio per i nervi. Stamattina mi sono svegliata con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Credo di essere ancora parecchio scossa per gli avvenimenti dell’altra notte ma non sono più così in negazione da riuscire a fingere che non c’entri soprattutto lo strano comportamento di Zoro.
Da mercoledì sera non mi ha mollata un attimo e dire che mi abbia infastidita avere i suoi occhi addosso ogni secondo sarebbe una colossale bugia. Poi però ieri sera, dal nulla, mi ha detto che non poteva restare a dormire e, senza una spiegazione, se n’è andato come se avesse il diavolo alle calcagna. L’ultima notizia che ho avuto di lui è stata una stringata buonanotte su whatsapp, giusto per avvisarmi che era arrivato a casa sano e salvo. Tre quarti d’ora dopo il tempo che ci vuole effettivamente per andare da casa mia a casa sua.
Poi più niente. Niente buongiorno stamattina, niente informarsi su come sarei venuta a Goa, niente di niente. Non l’ho ancora visto, non so nemmeno se è arrivato e ho avuto abbastanza da fare da dimenticarmi volontariamente del cellulare.
Inutile girarci intorno, sono preoccupata. So fin troppo bene cosa potrebbe aver scatenato il tutto e la cosa più ridicola è che la soluzione al problema sono proprio io.
Ha provato ad affrontare di nuovo l’argomento, quando siamo tornati a casa dall’ospedale. Con la scusa di commentare il siparietto tra Sanji e Usopp si è cautamente addentrato nel terreno delle relazioni indefinite e io ho glissato e non una volta soltanto. Ieri, tra la scusa di voler controllare le condizioni di Chopper e di andare a trovare i miei per tranquillizzarli, sono stata ancora più sfuggente. E dire che avercelo in giro per casa vestito solo di boxer e maglia intima, ritrovarmelo addormentato sul divano nella sua impossibile posizione di meditazione, andarlo a recuperare nello sgabuzzino per accompagnarlo in cucina è stato così bello che quasi faceva male a respirare.
Sarebbe così semplice dirgli che sì, sì lo amo ancora, l’ho sempre amato e che sì, voglio una relazione vera, definita, con un nome. Voglio essere la sua donna, la sua fidanzata, il suo tutto. Sarebbe semplice ma non ci riesco.
È troppa la paura, ancora vivido il ricordo di quanto è stato doloroso separarmi da lui. Ogni neurone del mio cervello urla e mi insulta da giorni, ricordandomi le sue parole alla cena di prova. Di come per lui fossimo già qualcosa di definito, di quanto avessimo costruito insieme. Eppure è bastato un fantasma del suo passato per togliermi ogni certezza e lui, anziché capirlo e lottare come ha sempre fatto e sempre fa per qualsiasi cosa, si è lasciato convincere dalle mie grida di aiuto, ben mascherate da insistenti capricci.
Dove possiamo sperare di andare con questi presupposti? Non siamo più ragazzini ormai, io voglio qualcosa di stabile. Voglio una famiglia.
Lo sto spazientendo lo so. Non mi aspetterà per sempre e perché dovrebbe poi?
Stringo più forte la tazza tra le mani. Forse è meglio così, dopotutto, forse… forse avremmo dovuto rinunciare già tre anni fa anziché riprovarci, da bravi testardi quali siamo.
Appoggio la tazza sul tavolo così forte che un po’ di the schizza fuori, bagnandomi la mano, che trema impercettibilmente.
Calma, Nami, calma. Va tutto bene, sei forte. Non è niente che ti ucciderà.
«Nami-chin, stai male?»
Sobbalzo, presa in contropiede, e mi giro di scatto verso Kaymie che, le sopracciglia corrugate mi osserva dalla porta della cucina. Mi passo una mano sul volto, imperlato da piccole gocce di sudore che non hanno nulla a che vedere con la calda giornata che è sorta anche oggi su Raftel.
«Kaymie, ciao!» 
Mi si avvicina con movimenti cauti e afferra uno sgabello nel tragitto. «Ecco, siediti un attimo» mi invita, con urgenza e calma al contempo.
Le sorrido grata, accettando lo sgabello. Ho dormito poco e niente stanotte, mi sento fiacca. Riprendo la tazza e sorseggio un altro po’ di the. Un po’ di zuccheri non possono che farmi bene in questo momento.
Si accovaccia davanti a me «Vado a chiamare Chopper-kun?» si offre, continuando a scrutarmi preoccupata.
«Oh no, no! Non ti preoccupare, non ho niente. Tu come stai piuttosto?» devio la conversazione, accarezzandole una guancia. Anche se lo vedo da me come sta.
È raggiante, com’è giusto e normale che sia. Senza più l’abbigliamento impeccabile che Bonchan pretendeva da lei – che ipocrita, tra l’altro –, nonostante lo spavento di mercoledì notte, con una semplice canottiera nera e ancora struccata è già bellissima. Quando avrà finito di prepararsi, Duval resterà folgorato, come se poi ce ne fosse ancora bisogno.
Forse può sembrare una decisione affrettata la loro ma io li capisco, più o meno. Con quello che è successo, ti viene voglia di afferrare la vita e consumarla fino al midollo ogni singolo giorno. Cosa che, a quanto pare, io non sono fisiologicamente in grado di fare.
«Agitata per oggi?»
Trattiene il fiato e poi si lascia sfuggire una risatina isterica. «Un pochino!» esclama, la voce acuta. «Spero vada tutto liscio, spero davvero non ci siano imprevisti che poi Bon-sama sclera e… ma comunque oggi è l’ultima volta che può succedere, poi sarò libera e non vedo l’ora, ecco!»
«Vedrai che sarà una giornata indimenticabile, qualunque cosa accada. Sarà come il primo giorno della tua nuova vita»
Ride di nuovo, sempre un po’ isterica. Io, grazie a queste due chiacchiere, mi sento già meglio. Non importa cosa accadrà domani, oggi voglio godermi la festa, voglio che sia un giorno felice, piacevole, senza intoppi o…
«Nami»
Stavolta è Usopp che mi chiama, sempre dalla porta della cucina. E mi basta la sua espressione per saperlo. Ho parlato troppo presto.
«Che c’è?»
«Emergenza sposa. Su di sopra» mi comunica telegrafico.
Perfetto!
Abbasso gli occhi su Kaymie, che sta già iperventilando, lo sguardo perso nel vuoto. Con un movimento agile e deciso, la afferro per le spalle e inverto le nostre posizioni, facendola sedere sullo sgabello. «Kaymie, stai tranquilla. Andrà tutto bene, te lo prometto» la rassicuro, accarezzandole le braccia prima di seguire Usopp con passo deciso su per le scale.
«Che succede? E dove sono Baby e Monet?» gli domando sottovoce a metà della rampa.
«È in crisi nera. Baby e Monet stanno tenendo occupato Bonchan. Le manca solo quell’okama invasato per crollare definitivamente» sibila mentre svoltiamo l’angolo. Con il braccio mi indica la stanza che era di Sabo e Law. «Koala è già con lei» aggiunge, con il chiaro intento di restare in disparte.
In effetti, vista l’ora, Bibi sarà sicuramente in procinto di vestirsi e non credo sia molto abbigliata. Determinata lo supero e mi accosto alla porta. Sollevo la mano, busso con la nocca dell’indice e accosto il viso all’uscio.
«Bibi, sono Nami! Adesso entro!» la avviso, prima di aprire e scivolare nella stanza senza aspettare il permesso. Richiudo immediatamente la porta e mi giro, pronta a trovare il delirio, Bibi in vestaglia di seta, con il raccolto mezzo sfatto e in lacrime.
E invece niente.
Nel senso che in questa stanza non c’è nessuno.
«Ma cos…»
Il rumore della serratura che viene chiusa schiocca alle mie spalle. A occhi sgranati marcio di nuovo verso la porta e provo ad aprire. Chiusa a chiave.
Cosa diavolo sta succedendo?!
Tiro il pomello, lo scuoto con violenza ma niente. Non si apre.
«Usopp!» chiamo, bussando dentro per il fuori. «Usopp, ci sei?! Sono chiusa dentro! Apri!»
Nessuno risponde. Ma che è? Uno scherzo?! Non mi sembra affatto divertente!
«Ehi!!!» busso più forte. «Okay ha smesso di essere divertente appena hai chiuso! Adesso fammi uscire!»
Resto in ascolto ma qui fuori non vola una mosca. Mani sui fianchi mi guardo intorno in difficoltà e porto un palmo a tamponare la fronte. Non capisco cosa gli sia preso. Io mi devo preparare!
Lancio un’occhiata truce verso la porta. Potrei provare a scassinare la serratura con una forcina ma col cavolo che rischio di rovinare il raccolto per uno scherzo idiota di quel deficiente!
Però devo uscire da qui. Ho un vestito firmato e un paio di scarpe che sono costate quasi come l’abito, non ho intenzione di lasciare l’etichetta attaccata su quella meraviglia!
Lo sguardo mi cade sulla finestra e un pensiero mi solletica la mente. Chissà se ci riesco? In fondo è solo il secondo piano e posso usare il tetto della veranda come appoggio. In pochi passi attraverso la stanza e spalanco il vetro, già socchiuso, sporgendomi fuori con il busto.
Sì, si può fare, ma mi servirebbe qualcosa per calarmi fino alla tettoia tenendomi ancorata. Rientro nella stanza, il cervello che lavora a mille. Fa tanto film e sembra una scemenza, ma magari con le lenzuola…
«Mocciosa? Ci sei?»
Salto su come una molla, porto una mano al petto, il cuore che rischia di distruggermi la cassa toracica. Mi guardo intorno spaesata ma non c’è nessuno.
«Nami?»
Il fiato sospeso, punto gli occhi verso il punto da dove proviene la voce e mi ritrovo a fissare la porta comunicante con la vecchia camera di Ace e Rufy. Come ho fatto a non pensarci prima? Sollevata, mi ci precipito e afferro la maniglia.
Chiusa a chiave anche questa.
«Zoro, aprimi! Usopp mi ha chiuso qua dentro, non so cosa gli è preso»
Trattengo il fiato in attesa ma non succede niente. Sento Zoro schiarirsi la gola, nitido come se non ci fosse niente a dividerci.
«Non posso aprirti la porta»
Che.Cosa.Ha.Detto?
Stringo i pugni e gonfio le guance. Una vena prende a pulsare sulla mia fronte.
Ma che cosa gli prende a tutti?! Pesto un cazzotto contro il legno.
«Zoro, guarda che questa me la paghi! Fammi uscire! Subito!»
«Dovresti rilassarti sai?» lo vedo con l’occhio della mente sghignazzare. «Ti vengono le rughe»
Le mie iridi sbiancano, mi getto contro la porta con tutto il mio peso. «Mi devo preparare!»
«E allora fallo»
«Oh che idea geniale!» ironizzo, isterica. «E cosa mi metto?! Una tenda?!»
«C’è tutto quello che ti serve in quella stanza»
Un brivido omicida mi attraversa. No, seriamente, quando esco di qui li pesto a sangue. Tutti e due. Sono così arrabbiata che potrei anche abbattere la porta ma poi mi rovinerei le unghie.
Che poi che discorsi sono?! C’è tutto quello che mi serve in questa stanza?!
«Si può sapere di cosa stai parl…»
Il cervello mi va in blackout. Mi addosso alla porta, le gambe molli. C’è un vestito in questa stanza. L’ho guardato senza realmente vederlo prima.     
C’è un vestito in questa stanza e un paio di scarpe abbinate. C’è tutto quello che mi serve per prepararmi.
Ma non può essere… Non può essere che…
Mi tengo ancorata alla porta mentre ruoto su me stessa. Sembra quasi osservarmi, appeso allo specchio dentro la sua protezione trasparente. Il corpetto tempestato di perle tono su tono, che si stringe in due spalline sottili e che lascia la schiena scoperta,  la gonna scivolata di impalpabile chiffon che si allunga in uno strascico.
L’abito da sposa di Bibi. Un abito da sposa che, lo so anche senza averlo mai provato, mi sta a pennello, dipinto addosso, come se fosse stato cucito su di me.
Ma è tutto troppo assurdo per essere davvero quello che penso. Non ha senso, non ce l’ha, non ha alcun senso.
«Law e Bibi non si sposano»
Mi aggrappo allo stipite, la stanza gira come un vortice.
«Mi dispiace non poterti aprire ma Perona si è raccomandata. Dice che porta sfortuna»
Oh mio dio!
Porto una mano alla bocca e soffoco il verso a metà tra un singhiozzo e una risata nevrastenica.
«Zoro è una follia»
«Amarti è una follia, mocciosa. Eppure non sono bastati tre anni per guarire»
«Ma tu non puoi…» mi rigiro verso la porta. «Non possiamo, non così! Ci siamo appena ritrovati, noi…»
«No. Non ci siamo appena ritrovati. Abbiamo solo ricominciato dove ci eravamo fermati e quei tre anni è come se non ci fossero mai stati. So che è così anche per te, Nami» mormora roco e deciso. Io non riesco a parlare, non riesco a muovermi. Posso solo stare ferma qui ad ascoltarlo. Voglio solo stare ferma qui ad ascoltarlo. «Questa volta non permetterò a una stupida paura di separarci. Questa volta ho intenzione di lottare, con le unghie e con i denti, solo per te. Ci apparteniamo e il tempo è un limite che non ha alcun senso, non per noi due. Adesso o tra cinque, dieci, vent’anni per me non cambia. Oggi o un altro giorno, per me non cambia. Voglio passare il resto della mia vita con te»
Scivolo lentamente a terra.
Sono così felice. Così felice che fa male. Vorrei aprire questa porta, abbatterla e aggrapparmi a lui per il resto dei miei giorni.  
«È così anche per te? Perché se è così anche per te, Nami, non ha senso aspettare. Che sia oggi o tra un decennio, per noi non cambia niente. Beh tranne che il matrimonio di oggi è già tutto pagato, certo» aggiunge, chiaramente con un ghigno, e io mi lascio sfuggire mezza risata.
Sa come persuadermi quando vuole.
«Lo so che è così anche per te» riprende, dopo qualche secondo di silenzio, la voce così bassa che mi stupisco di riuscire a sentirlo. «Perciò…» un’altra pausa e io sgrano gli occhi. Sento degli strani rumori fruscianti al di là della porta.
«Zoro?»chiamo, quasi in panico, mettendomi in ginocchio e appoggiando entrambe le mani alla porta. «Ti sei messo in ginocchio?»   
Sospira. «Il cuocastro mi ha minacciato che facessi le cose per bene» spiega rassegnato e io rischio di conficcare le unghie nel legno.
Sta succedendo! Sta succedendo veramente!
«Nami Cocoyashi, vuoi diventare mia moglie oggi?» 
Premo le labbra contro il polso, chiudo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime. Respiro a fondo. Che sciocca che sei, Nami. Ti sei spaventata a morte per niente.
«Zoro…» chiamo piano, la voce rauca. «Chi ti fa da testimone?»
Lo immagino facilmente mentre aggrotta le sopracciglia perplesso. «Perona e Sanji, perché?»
«Perché ora, prima di uscire da quella stanza, tu devi chiamarli e non andare da nessuna parte finché non arrivano e andare con loro a GoldenBell, perché se io arrivo alla chiesa e tu non ci sei perché ti sei perso, giuro, sul mio conto in banca io giuro che ti verrò a cercare e ti picchierò così forte che ti dimenticherai anche come ti chiami, non solo la strada per tornare a casa… casa nostra»
Sbuffa una mezza risata. «Agli ordini» sussurra e io sorrido. Non so come, percepisco chiaramente che si sta alzando in piedi e lo imito. «Ci vediamo tra poco, piccola»
Si allontana, con passi misurati e decisi, proprio come lui, ma quasi corre per tornare indietro quando lo richiamo.
«Zoro!»
«Dimmi!»
Lo sento che si addossa alla porta. Il legno sembra bruciare nel punto dove, ne sono certa, ha appoggiato la mano, alla stess altezza a cui è appoggiata la mia. E anche se lui è al di là della porta, è come se non ci fosse più niente tra noi. Rabbrividisco, come se il suo respiro mi stesse accarezzando la pelle. Appoggio la fronte all’uscio e so che lo fa anche lui. Lo sento.  
«Io… Io non ho mai smesso»
Espira sollevato ed è il suono più bello che abbia mai sentito, secondo solo al battito del suo cuore che si calma e torna regolare, dopo aver fatto l’amore con me.
«Nemmeno io, Nami. Neanche un giorno»
Mi mordo il labbro. Mi sento come una ragazzina al primo amore. E, dopottutto, tolto il “ragazzina”, le cose stanno effettivamente così.
«Ci vediamo tra poco» lo saluto, anche se sono combattuta. Voglio che vada e allo stesso tempo che resti.
«Puoi giurarci» mi rassicura prima di andare davvero con un ultimo “ciao”.
Mi giro di schiena e rimango appoggiata alla porta, mi serve un supporto. Appoggio anche la nuca al legno e mi porto una mano alla fronte. Non riesco a smettere di sorridere, santo cielo.
La serratura scatta di nuovo e io riapro gli occhi e giro il capo verso la porta che si apre lentamente sul corridoio, rivelando Usopp, Koala, Bibi e Kaymie che mi sorridono dalla soglia.
Li guardo e scuoto il capo, euforica, e quando entrano nella stanza mi lancio verso di loro. Abbraccio Koala e Bibi, mormorando un grazie al suo orecchio.
«Sono io che ti sono grata. Sarebbe andato tutto sprecato se avessi detto di no» risponde prontamente lei.
«Il vestito potevi sempre riusarlo» le faccio notare.
Fa ciondolare il capo con una buffa espressione. «Ehhh… Non so nemmeno se mi servirà mai» si stringe nelle spalle, cogliendomi alla sprovvista. «Comunque è Koala che devi ringraziare» aggiunge, indicandola con un cenno del capo. «L’idea è stata sua»
Perché la cosa non mi stupisce?
Le dedico tutta la mia attenzione e la scruto attentamente in viso. «Come stai?»
«Io bene» mi sorride e mi circonda il volto con le mani. «E tu?»
Tutto quello che riesco a fare è scoppiare a ridere e abbracciarla di nuovo. Non ci sono parole, davvero non ci sono. Mi sposto verso Kaymie, che quasi saltella sul posto.
«Non te l’aspettavi, eh, Nami-chin?!»
«Me l’hai proprio fatta prima in cucina» le dico, stringendo per un attimo anche lei.
È il turno di Usopp. Pantaloni scuri e camicia bianca, sembra raggiante quanto me. Ci guardiamo fermi e zitti per un lungo istante prima che io gli posi le mani sulle spalle.  
«Devi andare a finire di prepararti , testimone» gli sussurro e lui trattiene il fiato.
«Cos…» balbetta. «S-sei sicura?»
Sorrido a più non posso e poi in uno slancio gli afferro il capo e me lo stringo al petto, ridendo. «Sei il mio migliore amico!» esclamo, fuori di me dalla gioia.
«Ouch… off… mmmmng… ‘Mi!»mugugna lui, agitando le braccia ai lati del corpo.
«Allora, cosa sta succedendo qui? È ora di prepararsi!» una voce autoritaria, qualcuno batte le mani con la fermezza di un colonnello dell’esercito. Sollevo la testa e rimango solo un attimo sorpresa quando vedo mamma e Nojiko nel corridoio, già agghindate e con la cusodia di due abiti da cerimonia tra le braccia.
Mollo la presa su Usopp e le aspetto per abbracciare anche loro.
«Mamma!»
«Come stai, piccola mia? Emozionata?»
Riesco solo ad annuire, mentre Nojiko studia i miei capelli. «Ti aggiustiamo un po’ l’acconciatura adesso» mi rassicura.
«Mi fai da testimone?»
«Stai scherzando?» risponde subito, quasi indignata. «Non dovresti nemmeno chiederlo! Perona ha detto che sale a truccarti, comunque» aggiunge, trascinandomi verso uno dei letti.
«Come Perona?!»
«Sarà meglio darci una mossa» s’intromette mamma.  «Tuo padre sta per farsi venire un infarto»  
«Non preoccuparti, vado io con Zoro e Sanji» mi avvisa Usopp ma io non ci sto già più capendo niente, troppe mani e voci che mi circondano.
Improvvisamente capisco perché le spose dimagriscono così tanto prima del matrimonio. Sto vivendo in cinque minuti tutto il mix di emozioni e sentimenti che normalmente una sposa vive nell’arco di mesi.   
Sono passata da zero a duecento di tensione in tre secondi e questo matrimonio è già tutto organizzato, devo solo vestirmi e per i dettagli come trucco e parrucco non devo nemmeno preoccuparmi perché sono in ottime mani. Eppure sono agitata.
Agitata perché voglio essere bellissima, solo per lui, e ho l’irrazionale paura di non esserlo abbastanza, il che è ridicolo se penso che fino a dieci giorni fa discutevo con Nojiko del fatto che le spose sono sempre bellissime nel loro grande giorno, di una bellezza intrinseca.
Agitata perché non sto nella pelle di vederlo, in fondo alla navata, che mi aspetta bello e seducente, con il completo scuro che io ho scelto per lui al Mokomo Dukedom, gli occhi densi e profondi che brillano solo per me. Agitata perché potrebbe perdersi.
Agitata perché oggi è il primo giorno della mia nuova vita.
 

 
§

 
Chiesa di GoldenBell, ore 14:42.
Venerdì.
 

«Zoro no!» lo ammonisco.
Non è che sta cercando di scappare, chiariamo. È solo agitato e sta misurando la stanza a grandi passi per scaricare la tensione, solo che nel farlo continua accidentalmente a imboccare per sbaglio l’uscita della sacrestia. E se esce dalla chiesa è finita.
«Scusa» borbotta mentre si passa una mano tra i capelli. È piuttosto tirato e sul pallido andante e comincio a preoccuparmi. Non l’ho mai visto così e Sanji non è ancora tornato.
«Ehi, ragazzone, tutto bene?» mi avvicino per dargli una pacca sulle spalle, quando si siede su una delle seggioline di legno.
Appoggiato alla propria coscia nella posizione del pensatore, solleva gli occhi su di me, miserabile. «Usopp…» esita un istante. «Verrà, vero?»
Sgrano gli occhi e non riesco a esprimere il sollievo che provo. Ero già in panico che ci stesse ripensando, che stesse avendo una crisi esistenziale, che i suoi tentativi di uscire non fossero poi così accidentali. E invece no. È preoccupato, anzi spaventato, che sia Nami a ripensarci il che significa che vuole sposarla davvero, il che significa che non tenterà di fuggire, il che significa che non dovrò scegliere tra la felicità della mia migliore amica e la mia incolumità – e ovviamente sceglierei la mia incolumità –, il che significa che Nami non mi ucciderà.
E anche per oggi il grande Usopp Sharpshooter l’ha sfangata!
«Ma cer…»
«Eccomi, eccomi scusate!» Sanji entra a fuoco in sacrestia, il fiatone e l’aria trafelata e, nonostante questo, impeccabile e bellissimo come sempre.
Zoro si alza di scatto dalla sedia. «Li hai presi?»
Sanji sorride, mi lancia un’occhiata nervosa, torna a guardare Zoro mentre si accarezza il coppino e io inarco un sopracciglio. È tesissimo e mi avvicino istintivamente a lui mentre estrae con cura un sacchetto di organza da quattro berry dal taschino interno della giacca.
«Ho trovato solo questi» continua a sorridere imperterrito, mentre lo allunga a Zoro, che lo afferra e si sposta verso il tavolo per estrarne il contenuto. Rovescia il sacchetto e sul suo palmo, colpito in pieno dalla luce del sole che filtra dalla finestra, atterrano due cerchietti di vetro, uno piccolo e verde smeraldo e l’altro più grande di un bell’arancione scuro e ambrato. Zoro li osserva interdetto, impossibile capire cosa stia pensando.
Sanji si sfrega la coscia con la mano, si gira verso di me e poi ancora verso Zoro. «Marimo io…» avanza di un passo, l’espressione mortificata. «Mi dispiace, non ho trovato di meglio, io…»
Zoro si avvicina a lui, con un movimento così possente che per un attimo penso voglia prenderlo a pugni e scatto già pronto a pararmi di fronte a lui ma, per lo stupore di entrambi, le braccia di Zoro fanno il giro e si stringono sulla schiena di Sanji. Un po’ troppo a lungo e con un po’ troppo trasporto, per i miei gusti.
«Ah» esala Sanji, sorpreso. «Z-Zoro, che…»
«Sono perfetti»
Li osservo con una smorfia. Mio dio, il mondo sta per finire!
Si trattengono a vicenda per le spalle ancora qualche istante e poi, sempre senza dire niente, si separano.
«Okay, dunque…»
«Dunque…»
«Posso fidarmi a lasciarti qui un attimo da solo, così io e Usopp usciamo a prendere una boccata d’aria?» gli chiede e Zoro annuisce fermo e convinto. Ora che ci sono anche gli anelli, sembra tornato lo Zoro di sempre.
Con cautela, ci avviamo verso l’uscita, girandoci più volte a sorpresa per controllare che rimanga seduto e non si metta a camminare in giro. Sembra di giocare a “Un, due, tre, Stella!” – non ho ancora superato il trauma del vero nome del gioco che ha accompagnato la mia intera infanza. Per me non sarà mai “Un, due, tre, Stai là!”. Mai! –.
«Sicuro che sia una buona idea lasciarlo?» gli chiedo, quando mettiamo piede sul sagrato.
«Se restiamo qui non può andarsene senza passarci davanti. Al massimo si perderà dentro la chiesa» si stringe nelle spalle Sanji, strappandomi una risata.
Si gira verso di me, le mani in tasca e mi guarda per un lungo istante, cogliendomi alla sprovvista. «Che c’è?» domando, un po’ stranito e nervoso per lo sguardo che mi sta lanciando. «N-non fumi?»
Scuote il capo. «Non è per questo che sono voluto uscire»
«E allora perc…» le parole mi muoiono in gola quando estrae una mano dalla tasca dei pantaloni e, aprendo il palmo, mi mostra un anello rosso brillante, di vetro come quelli che ha preso per Zoro e Nami, che riverbera sotto il sole come se fosse un rubino. «C-che… Sanji?» lo chiamo, confuso e in panico.
«Non è quello che sembra!» esclama, alzando l’altro palmo verso di me. «Non voglio darti false illusioni. Quando ti chiederò di… quando te lo chiederò, ci sarà una vera proposta e un vero anello» prende un profondo respiro e vorrei potesse farlo anche per me, perché al momento sono in apnea.
Ha detto “quando”. Non “se”. “Quando”!
«Ma l’ho visto e ho pensato… ah non lo so cos’ho pensato» sbuffa mezza risata, mentre si riavvia i capelli, gli occhi fissi sull’anello. «Forse…» alza gli occhi per puntarli nei miei. «Una promessa?»
Devo impormelo, di ricominciare a respirare. Allungo il braccio e lo obbligo a chiudere a pugno la mano che tiene l’anello – non voglio che si rompa – e con l’altro gli circondo il collo e mi stringo a lui. Forte, forte, il più forte che posso.
«Ti amo»
Trattiene il fiato. Sento il suo sorriso contro la tempia prima che me la baci. Mi sta abbracciando e baciando fuori all’aperto, in pieno giorno, sotto il sole. Non mi sono ancora abituato a questa nuova realtà ma non credo di poterne più fare a meno.
Il lontano rumore di più ruote che pestano la ghiaia ci obbliga a separarci per poter controllare che la sposa e la sua squadra di superdonne sta effettivamente arrivando.
«Ci siamo eh?» respira a fondo Sanji, emozionato.
«Sì. Meglio se torni dentro. Vi mando subito Perona» lo incito, scendendo dal sagrato per andare incontro a Nami, che è così bella che leva il fiato pure a me. «Cerca di non sanguinare troppo» lo ammonisco dopo più attenta riflessione, dandogli le spalle.
Tanto lo so che sta vorticando con gli occhi a cuore e un fazzoletto già infilato nella nar…
«Usopp»
Il tono è talmente calmo e razionale e mi coglie talmente alla sprovvista che mi volto così in fretta da rischiare di cadere. E le gambe mi si mozzano. Perché Sanji non sta vorticando, non ha gli occhi a cuore, non sanguina e non sta guardando Nami né Nojiko, né nessuna di loro.
Guarda me. Con il vento che gli scompiglia i capelli e il sole che accarezza metà della sua perfetta figura, slanciata e fasciata dal completo su misura, lui guarda solo me. Come se fossi la cosa più bella del mondo.
«Ti amo anch’io»
 

 
§

 
La prima e unica volta che sono stata a Palazzo Ryugu avevo diciannove anni ed ero una matricola. Non ricordo più esattamente per che mostra di che artista contemporaneo il professor Van der Decken ci aveva portato in “gita” – se di gita si può parlare, all’università – ma ricordo molto bene quanto, più delle sedicenti opere d’arte esposte, mi avesse colpito l’atmosfera e l’architettura, oltre che la vista mozzafiato.
Le curve morbide della costuzione, la scelta dei materiali, i giochi di colori, luci e trasparenze. Sembrava di essere immersi in un’altra dimensione, quasi un mondo sottomarino.
Mi ero ripromessa che un giorno ci sarei tornata ma solo e soltanto per festeggiare qualcosa di importante. Mi ero ripromessa che Palazzo Ryugu sarebbe stata una di quelle esperienze profondamente significative perché sono una volta nella vita.
Quello che certamente non avrei mai osato immaginare era che quel qualcosa di importante fosse la mia notte di nozze. Io, che non ho mai pensato seriamente al matrimonio, che non l’ho mai visto come un obbiettivo o una tappa fondamentale, io, cresciuta con due genitori che per tutelare me, Nojiko e Chopper hanno firmato cinque fogli davanti a un impiegato comunale e non si sono mai messi un anello al dito, perché tutto ciò che serviva loro per la vita erano il loro amore e i loro tre figli, io, Nami Cocoyashi, sono ufficialmente una donna sposata e mi scoppia il cuore tanto sono felice di esserlo.
E mentre attraverso l’atrio di questo magico luogo, mano nella mano con mio marito, non riesco nemmeno a guardarmi intorno, a godermi la meraviglia architettonica in cui sono immersa, perché l’elemento più bello di tutto questo insieme è l’uomo che cammina accanto a me. È bellissimo.
Zoro è bellissimo ed è solo mio. Con un ghigno storto appiccicato alla faccia da ore, mi guida verso il bancone della reception per il check-in, orgoglioso di mostrare a tutti la donna che ha accettato di stare con lui fino alla fine dei suoi giorni.
«Buonasera» saluta il concierge che, di spalle a noi, ondeggia in modo strano e sussurra qualcosa che non riusciamo a capire. Mi appoggio al bancone accanto a lui e subito Zoro mi circonda con un braccio. Ci scambiamo un’occhiata perplessa. «Ehm… Buonasera!» riprova, alzando appena il tono.
Il tizio, un uomo sulla quarantina, tarchiato e con pochi capelli, si gira senza smettere di molleggiare, non certo perché ha sentito Zoro, visto e considerato che continua a muovere le braccia in una strana danza e continua a canticchiare “Vai col Mambo”.
Interdetti, aspettiamo che si accorga di noi e, quando lo fa, si blocca con un braccio verso l’alto e uno verso il basso e ci osserva sorpreso, quasi che fosse strano, mentre fai il turno alla reception, ritrovarsi degli ospiti che aspettano per avere delle informazioni. Sbatte le palpebre un paio di volte, probabilmente il tempo che richiede il suo cervello per connettersi a dovere, prima di sorriderci cordiale.
«Ma buonasera!» esclama fin troppo entusiasta. Il fatto è che io e Zoro lo battiamo in euforia, ragion per cui ci ritroviamo a sorridere ancora di più e Zoro stringe un po’ la presa sulla mia spalla.
«Buonasera»
«Abbiamambo una prenotazione, immagino» sfoglia rapido il registro senza smettere di guardarci, con un sorriso che comincerebbe a diventare inquietante se solo non fossi abituata a Iva e non fossi troppo impegnata a cercare di capire se ha davvero detto “abbiamambo”.
«Sì, in effetti. La Suite dei Coralli se non sbaglio…» Zoro cerca conferma da me, che subito annuisco. «La prenotazione era a nome Trafalgar Law ma c’è stato un piccolo cambio di programma» spiega, il viso una maschera di tranquillità, come se davvero non fosse poi gran cosa il fatto che una coppia si sia sposata al posto di un’altra.
Il concierge studia assorto il registro, dimenando impercettibilmente il bacino mentre si picchietta il labbro superiore con un dito ed emette una serie di “mh,mh,mh” a ritmo di musica.
«Sì, sì, sì… mh, mh, mh… Vediamo, vediamo, ved… Oh ecco! Trafalgar Law e Nefertari Bibi, Suite dei Coralli. Sì, sì, sì, mh, mh, mh, vai col Mambo! E i signori invece sono?»
«Noi siamo...»
«Zoro e Nami Roronoa» mi intrometto. Anche senza guardarlo, sento il suo sguardo addosso, spiazzato e innamorato. Sorrido mentre tendo al concierge le nostre carte d’identità per permettergli di procedere con il check-in.
«Per-fet-to! Hiramera, potresti accompagnare i signori alla loro stanza?» si rivolge a una ragazza dai capelli rosa, con la frangia e la coda di cavallo, che ci sorride e ci invita a seguirla con un gesto impeccabile quanto il suo abbigliamento.
Discreta, sale in ascensore con noi, tenendosi a debita distanza e di spalle. Zoro mi afferra per i fianchi appena le porte si chiudono e mi attira a sé per baciarmi.
«È stata una bella festa?» domanda Hiramera senza voltarsi.
«Direi di sì» ridacchio, staccandomi un attimo da Zoro, giusto il tempo di rispondere prima di riavventarmi di nuovo sulle sue labbra.
Con un lieve tintinnio, l’ascensore annuncia la fine della corsa e io mi stacco a malincuore da lui, avendo cura di incastrare le nostre dita. Mi guardo intorno, assorbendo la bellezza del luogo, l’eleganza delle pareti dipinte in tutte le gradazioni di blu e azzurro, la cura di ogni singolo dettaglio. Hiramera ci conduce fino alla porta che si trova in fondo al corridoio e a occhio e croce dobbiamo trovarci di fronte a una di quelle che da fuori sembrano delle nicchie bombate che sporgono dalla struttura principale. Ergo, questa suite è praticamente un appartamento.
«Prego signori» Hiramera apre la porta e si fa da parte. «La vostra chiave» aggiunge, tendendo una tessera elettronica, azzurra e trasparente – sembra fatta d’acqua – a Zoro. «E buona serata» aggiunge con un sorriso prima di richiudere la porta e lasciarci soli.
Mi guardo intorno incredula. Questo luogo è veramente magico. Questa stanza è qualcosa di unico. Tutto nell’arredamento sembra fatto di corallo, il parquet è lavorato per ricordare un fondale marino, il letto è a forma di conchiglia.
Ma niente, niente riesce a travolgermi quanto le mille emozioni provate oggi che ancora fanno vibrare il mio corpo e l’odore di Zoro, la voglia di essere una cosa sola con lui, di vivere questa notte fino allo spasimo.
Sì, questa stanza è eccezionale ma non è per questo che è speciale. È speciale perché sono con lui. Ovunque lo sarebbe, insieme a lui.
«Ehi mocciosa» mi chiama, con una dolcezza di cui solo io sono mai stata testimone. Seguo la sua voce e lo individuo fuori sul balcone, la portafinestra spalancata sulla più bella vista che si possa avere di Raftel. «Vieni a vedere» mi invita e non me lo faccio ripetere due volte. Emozionata come una bambina, mi precipito fuori e mi aggrappo alla ringhiera.
E, mio dio, quant’è perfetto. È tutto così perfetto.
 
«Nami, ti accolgo come mia legittima sposa.
Accetta questo anello, segno della mia fedeltà e del mio amore per te.
 
La brezza della sera, il tiepido odore d’estate nell’aria, l’atmosfera ricca di aspettativa, le luci della nostra città.
 
Con questo anello prometto di amarti e onorarti sempre.
 Prometto di pagare sempre tutti i miei debiti…
 
Zoro mi abbraccia da dietro e io sposto le mani dalla ringhiera alle sue braccia. «Non è bellissimo?»
 
«…e di accompagnarti anche a fare shopping. Ogni tanto»
 
«Sì, lo è» conferma, baciandomi dietro l’orecchio ma capisco da come lo dice che non sta affatto parlando del panorama.
Rapita, mi giro verso di lui, di nuovo incapace di vedere qualsiasi altra cosa che non sia lui.
 
«Zoro, ti accolgo come mio legittimo sposo.
Accetta questo anello, segno della mia fedeltà e del mio amore per te.
 
Si abbassa a baciarmi e io mi aggrappo alle sue spalle per fare leva e, agile, intrecciare le gambe intorno alla sua vita.
 
Con questo anello prometto di amarti e onorarti.
Prometto di non chiederti mai interessi troppo alti…
 
Tenendomi ben stretta al suo petto, mi fa sedere sulla ringhiera e comincia a marchiarmi ovunque la mia pelle è esposta e le sue labbra riescono ad arrivare. Getto il capo all’indietro, persa e sua.
 
…e di venirti a recuperare sempre. Ovunque ti perderai»
 
Non so nemmeno come, a un certo punto mi ritrovo sul letto, con l’abito abbassato ai fianchi. Zoro sopra di me, la camicia completamente aperta, la giacca e la cravatta scomparse. Accarezzo il suo petto fino alla cintura, che prendo subito a slacciare con mani tremanti.
Sembra assurdo, ma è così diverso stasera.
Diverso da quando tutta questa storia è iniziata.
Non riesco nemmeno ad abbassargli del tutto boxer e pantaloni. Appena gli do un briciolo di respiro, si scosta per finire di spogliarmi e ammirarmi da capo a piedi, in ogni centimetro del mio corpo e della mia anima che sono suoi, ora e per sempre.
Diverso da quando ci siamo riavvicinati, qualche giorno fa.
Gemo quando mi morde un seno e lo attiro verso di me, respirando avida il suo odore, rubando il calore della sua pelle con la mia.
Diverso, così diverso, così perfetto.
 
«E prometto di essere tuo…»
 
Non perché ci siamo sposati. Non perché ci sono due anelli sulle nostre dita.
Ma perché ora lo sappiamo.
 
«E prometto di essere tua…»
 
Dopo tutta la paura e il tempo sprecato, gli anni a cercare di capire cosa fossimo, senza mai volerlo scoprire veramente, a credere che ci stavamo accontentando di qualcosa a metà mentre costruivamo già una vita insieme.
Ora lo sappiamo.
 
«…tutti i giorni della mia vita…
 
Siamo semplicemente noi.
 
…da oggi e per l’eternità»
 
E lo saremo sempre.










Angolo dell'autrice: 
Ed eccoci qui, in diretta dal matrimonio del secolo! 
Qualcuno aveva scommesso sull'identità degli sposi, spero sia stata una gradita sorpresa scoprire chi fossero davvero. 
Chiedo umilmente perdono per l'OOC a palate ma giuro che è stato catartico scrivere di loro così, praticamente un ritorno alle origini! 
Ora non siamo ancora alla fine anche se manca molto poco  perciò mi riservo i ringraziamenti strappalacrime per più tardi e intanto mi limito ad abbracciare virtualmente tutti voi che siete arrivati in fondo anche a questo capitolo. 
Hope you've enjoyed it. 
Page. 
  
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