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Autore: LysandraBlack    17/03/2018    2 recensioni
Aenor Mahariel, fiera Cacciatrice tra i Dalish.
Geralt Amell, ambizioso mago intrappolato nella Torre del Circolo.
Kallian Tabris, sogna una vita tranquilla nell'Enclave di Denerim.
Elissa Cousland, ansiosa di mettersi alla prova.
Natia Brosca, che non conosce altro che i bassifondi di Orzammar.
Duran Aeducan, comandante dell'esercito e Principe della città dei nani.
Sei eroi, provenienti da ambienti radicalmente diversi, si ritroveranno loro malgrado a fermare il Flagello che si abbatte sul Ferelden. Ce la faranno?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alistair Therin, Custode, Leliana, Morrigan, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO VENTUNO: REDCLIFFE



 

Era difficile capire chi si sentisse più a disagio, lì dentro.

Shale, l'imponente golem dal pessimo carattere che avevano recuperato non senza parecchi sforzi, attirava particolarmente l'attenzione dei passanti, sistematasi in mezzo al salone del castello di Redcliffe. Natia ancora non aveva digerito il fatto che il bastone del comando si fosse rivelato una fregatura, ma Shale aveva comunque acconsentito a seguirli. Certo, avrebbe gradito essere trasportata in spalla invece che farsi una settimana e passa coi piedi doloranti, ma la prima volta che aveva visto il golem fracassare il cranio di un Prole Oscura, aveva deciso che non era poi così un cattivo affare.

Kallian sembrava aver preso la decisione di far pesare ad ogni singolo servitore del castello il fatto di farsi comandare dagli umani e ad ogni umano scoccava occhiatacce risentite per aver anche solo incrociato il suo cammino, vagando inquieta per le vie del villaggio, facendo di tutto per evitare il castello.

Geralt, che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che fremere dalla voglia di rivedere il suo mago, ora sembrava avere improvvisamente le gambe di pietra. Certo non aiutava il fatto che ormai tutto il gruppo era a conoscenza del suo essere un mago del sangue, cosa che gli umani, a quanto pareva, trovavano terribile a tal punto da preferire morire ammazzati da un drago, piuttosto che dovere la vita ad una magia del genere. Stupidi come cacca di nug...

Natia entrò nella taverna affollata, individuandolo seduto ad un tavolo. Si avvicinò di soppiatto, facendo sobbalzare il mago.

«Che c'è adesso?» Si girò torvo, un calice di vino ormai vuoto in mano.

«Sono già due giorni che rimandi, non dovresti andare a parlare con qualcuno?»

«Non dovresti farti gli affari tuoi?»

Natia ridacchiò. «E che gusto ci sarebbe... Comunque, senza di me non combineresti niente. Non so proprio come hai fatto fino adesso a battere la pietra, sei imbarazzante.» Si sedette di fianco a lui, strappandogli il libro che stava leggendo da sotto il naso e sventolandoglielo davanti. «Qua dentro non c'è niente che possa aiutarti a conquistare il tuo mago, quindi vedi di darti una mossa.» Geralt cercò di riprendersi il libro, ma lei fu più veloce, infilandoselo nell'ampia tasca della giacca. «Resterà qui con me finchè non sarai andato a parlarci.»

«Si può sapere perché ti interessa tanto?!» Sbottò l'altro.

«Perchè sei assolutamente ridicolo. Una scopata non può che farti bene. E dato che è stato in cella per settimane, probabilmente non si rifiuterà di essere sbattuto al muro-»

«Stai zitta!» Il mago sbattè il pugno sul tavolo, scattando verso di lei. «Non osare parlare di lui in questo modo!»

Natia rimase un attimo spiazzata, ma non lo diede a vedere. «Oh, scusa, non volevo offendere il vostro grande amore... Solo ribadire che, se l'ultima scopata l'hai fatta con un demone che gli assomigliava, hai dei problemi belli grossi.»

«Ti avverto, Brosca, per l'ultima volta...»

Alzò le mani in segno di resa. «D'accordo, spilungone, ci rinuncio. Ma poi non venire a lamentarti da me.» Tamburellò le dita sulla grossa copertina del libro che gli aveva rubato, saltando giù dalla sedia e allontanandosi senza fretta.

Girato l'angolo, si appiattì contro la parete, lasciando passare qualche minuto, prima di scoccare un'occhiata al salone della taverna. Il mago era rimasto a fissare il bicchiere ormai vuoto, sempre più accigliato.

Possibile che si stesse cagando sotto così tanto, alla sola idea di andare a parlare con Jowan?

Decise, dato che non aveva assolutamente nulla di meglio da fare, di tenerlo d'occhio. Si appostò dietro la legnaia, in attesa che quello uscisse.

Passò almeno un'ora, ma finalmente vide la chioma rossa dell'uomo spuntare dalla porta. Dall'andatura, doveva aver bevuto almeno un altro paio di bicchieri.

Lo seguì di nascosto fino al castello, attenta a non farsi notare, fino ad un ingresso secondario.

Senza fare alcun rumore, dopo qualche minuto si infilò anche lei nella porta, acquattandosi nella penombra e scendendo le scale che portavano ai sotterranei. Le torce erano quasi tutte spente e non c'erano guardie in giro, segno che nessuno si aspettava qualche visitatore.

Sentì due voci maschili dal fondo del corridoio, e si appiattì ulteriormente contro il muro di pietra, il fiato sospeso mentre percorreva gli ultimi metri e si nascondeva dietro una serie di barili.

Origliare le era sempre riuscito benissimo. Era un ottimo modo per scoprire segreti di ogni genere, e nei bassifondi le aveva spesso permesso di racimolarsi da vivere, senza per una volta dover spaccare qualche dente per farsi rivelare dove i rivali di Beraht tenessero la roba che contrabbandavano.

«... lo convincerò a lasciarti andare, fidati di me. Gli ho riportato quelle Ceneri, no?»

«E se non bastasse? Sono stato io ad avvelenarlo, mi sorprende che non mi abbia già giustiziato!»

Sentì un colpo metallico. Immaginò che Geralt stesse prendendo a pugni le sbarre della cella.

«Non glielo permetterò. Dovessi buttare giù questo cazzo di castello dalle fondamenta, ti tirerò fuori da qui, Jowan.»

Ci fu qualche istante di silenzio. Natia si sporse oltre la botte di legno dietro la quale si nascondeva. Grazie ai suoi occhi abituati all'oscurità, poté vedere chiaramente Geralt chino sulle sbarre della cella, le mani che stringevano il metallo.

«Mi dispiace. Mi sono fatto ingannare e ho rovinato tutto, come al solito.» Natia pensò che davvero Jowan non faceva altro che lagnarsi. Cosa avesse di tanto speciale, proprio non capiva. «Non voglio che tu ti metta nei guai per me, non di nuovo. Se l'Arle ha detto che non mi libererà...»

«Cambierà idea. Deve farlo.»

«Geralt...»

«Non capisci!» Natia sussultò, tornando per un attimo a nascondersi dietro il barile. «Ho... ormai non posso tornare indietro. Ho già fatto di tutto, e la Custode si fida di me. Mi aiuterà a convincere Aemon, e appena ti libereranno scapperemo nel Tevinter.»

«E il Flagello?»

«Alla malora il Flagello e il maledetto Ferelden!»

“Fantastico.” Pensò Natia, stizzita. “Quindi ha intenzione di tagliare la corda.”

«Pensi che riusciremmo a varcare il confine? Noi due da soli? Con i Templari a darci la caccia, mezza Redcliffe e due Custodi Grigi?»

Geralt sussurrò qualcosa in risposta, ma Natia non riuscì ad afferrare bene le parole. Si sporse di nuovo da dietro la botte. “E diglielo, testa di pietra!”

«Non credi dovremmo fare la nostra parte, per fermare questo Flagello?» Chiese Jowan.

L'altro sembrò riflettere a lungo, prima di dare una risposta, la voce a malapena udibile. «Non se significa rischiare la nostra vita.»

«Mi hai salvato già due volte, amico mio, e non credo proprio di meritarmelo... Quella volta alla Torre, se solo fossimo scappati con Anders...» Sospirò. «Io sono rimasto, per Lily, ma tu, tu saresti potuto andartene. Perchè non l'hai fatto?»

“Ecco, forse ci siamo. Muoviti, spilungone!”

Passarono parecchi istanti. Natia immaginò Geralt arricciarsi le trecce della barba attorno alle dita, come era solito fare quando era teso.

«Non volevo lasciarti solo.»

“Diglielo!”

«Ma saresti potuto essere già lontano, ancora prima che i Templari portassero il tuo Filatterio a Denerim!» “Fai qualcosa!” «Perchè non-»

«Perché ci tengo a te!» Sbottò finalmente. Jowan si zittì. «E non ti avrei mai lasciato, nemmeno quando stavi dietro a quella vacca!»

«Non parlare di lei così!»

«Ti ha solo usato, e tu le se andato dietro come un idiota!»

“Oh, no, perché ora stanno litigando?!”

«Non- non è vero! Si fidava di me, ma...»

«Ma?! Ma cosa, Jowan?!» Ora stava praticamente urlando. «Alla vista di un po' di magia del sangue, si è rimangiata tutto. Sarebbe rimasta a guardare Gregoir ucciderti, senza battere ciglio!»

«Non puoi saperlo!» Ribattè l'altro, urlando anche lui. «È finita ad Aeonar per colpa mia!»

«Che marcisca, ad Aeonar. Lei e l'intera Chiesa, i Templari e tutti gli altri!»

«Perchè fai così?!»

«Perché ti amo, cazzo!»

“Oh, merda.”

Scese il silenzio. Un terribile, denso silenzio, come polvere in uno stretto cunicolo di roccia.

Dopo qualche istante, Jowan sembrò riprendersi un poco dalla sorpresa. «Geralt, io non...»

Prima che potesse articolare il resto della frase, l'altro gli voltò le spalle, andandosene quasi di corsa. Fortunatamente, non si accorse di Natia, passando a pochi centimetri dalla botte ma superandola di gran carriera.

Rimase impietrita, ascoltando Jowan chiamare l'altro a gran voce, in cerca di spiegazioni.

Una parte di lei sarebbe voluta andare dal prigioniero e prenderlo a calci per essere il più grosso, stupido cretino dalla testa piena di cacca di nug dell'intero Ferelden, ma l'altra avrebbe voluto trascinare Geralt indietro con lo stesso trattamento e fargli affrontare la situazione.

Rimase quindi ad arrovellarsi sulla questione, finché alla fine decise che, nonostante tenesse al compagno di viaggio, in fondo non erano fatti suoi.

“E poi, ha detto di volersene andare appena liberato il suo grande amore, no? Può pure andarsene alla polvere, lui e quell'altro.” Pensò risentita, risalendo le scale senza fare rumore, per poi uscire all'aria aperta e tornare in direzione della taverna, la gola secca e un sacco di pensieri a martellarle in testa.

Aveva proprio bisogno di una birra.

Entrata, trovò Wynne ed Aenor sedute ad un tavolino, impegnate in un'animata discussione a bassa voce. La maga sembrava furiosa, e Natia non dovette sforzarsi per immaginarne la causa. Prese in considerazione l'idea di uscire e andarsene di gran carriera prima di trovarsi in mezzo all'ennesima faida, ma ormai era lì...

Prima che potesse raggiungerle, l'anziana si alzò in piedi, afferrando il proprio bastone magico appoggiato alla parete e dirigendosi verso l'uscita, scura in volto.

Natia accennò un saluto, ma l'altra la notò a malapena, sbattendo la porta.

La nana incrociò lo sguardo della Custode, che le rivolse un cenno stanco.

Sbuffò. Perché non potevano, per una sola volta, tenersi i loro problemi senza buttarli addosso a lei?

Ordinò un paio di boccali grandi di birra scura, prendendo posto accanto all'elfa.

«Per la Pietra, che giornata, eh.»

L'altra manco le rispose, intenta a scavare con il pugnale un solco nel tavolo di legno.

«Così rischia di spuntarsi.»

Ancora nulla.

«Immagino che Wynne sia ancora furiosa per la storia di Geralt, eh?»

L'elfa alzò finalmente lo sguardo, puntandole addosso i suoi brillanti occhi verdi. «Vuoi qualcosa, o sei qui soltanto per infastidirmi?»

“Alla Pietra pure con te, allora!” Avrebbe voluto rispondere Natia, ma deglutì e cercò di sorridere, sperando che sembrasse un'espressione amichevole e non un ringhio. In quel momento, arrivò la cameriera. «Veramente, volevo sapere come stavi. Vi ho viste litigare e... insomma, pensavo la faccenda fosse risolta.» Afferrò un boccale, sperando che l'elfa facesse altrettanto e non le rovesciasse invece addosso dell'ottima birra.

Aenor sospirò, allungando una mano e annusando con sospetto il contenuto del boccale. Sembrò cedere, assaggiandone un po' e storcendo la bocca.

«Ci fai l'abitudine, fidati, almeno questa è roba buona.»

«Magari fosse quello il problema...»

La guardò bene. Sembrava stravolta, gli occhi cerchiati di nero e il volto più pallido del solito. Rimase in silenzio, sperando che l'altra si spiegasse meglio, ma sembrava non averne alcuna intenzione. Restarono sedute per un po' a bere, Natia che ordinò un altro boccale mentre l'altra non era nemmeno a metà.

Ad un certo punto, Aenor ruppe il silenzio. «A volte credo che dovrei semplicemente lasciar perdere.» Aveva lo sguardo perso nel vuoto. «Tutto sta andando a rotoli. Non volevo nemmeno diventare un Custode, e...» Bevve dei lunghi sorsi, arricciando il naso. Quando appoggiò il boccale sul tavolo, era vuoto. «Non avrei dovuto lasciare il mio Clan. Probabilmente Duncan avrebbe trovato qualcun altro da reclutare, qualcuno di più bravo, e tutti questi casini non sarebbero successi. Alistair sarebbe stato zitto, Leliana pure, e Wynne non avrebbe avuto motivo di...» Si zittì di nuovo, gli occhi lucidi. «Dirthara-ma, mi sta bene, a viaggiare con tutti questi shem.»

«Non stai andando così male, sai? L'hai detto tu stessa, a Sten.»

«E a che serve, se poi ogni volta devo combattere per avere la loro fiducia?»

Natia ci pensò su un po', non sapendo cosa rispondere. «Non so, non credo che nessuno si sia mai fidato di me al punto di seguirmi senza fare storie. Sarà perché tutti la pensano a loro modo, e non puoi sempre convincerli a fare quello che vuoi tu. Però te la stai cavando bene.»

«Dillo a Wynne, che vuole andarsene. O ad Alistair, che è furioso perché ho lasciato che un mago del sangue viaggiasse con noi. O quella spocchiosa di Elissa, che dall'alto della sua nobiltà non fa altro che-» Sbattè il boccale vuoto sul tavolo, facendo segno alla cameriera di riempirlo. «Fenedhis lasa, vogliono tornare ad Ostagar.»

«Come mai?»

«Dicono che potrebbero esserci dei documenti importanti contro Loghain. Prima spariscono nel Bannorn, e ora perdono tempo dietro ad una pila di carta.»

«Magari può esserci davvero qualcosa di valore.»

Le rivolse uno sguardo astioso. «Oh, certo, dimenticavo che tu sei qui solo per riempirti le tasche. Fai pure, aggregati anche tu, sono certa che non gli dispiacerà avere qualcuno che gli guidi l'Aravel mentre loro-»

«Hei, datti una calmata!» La fermò Natia. «Non sei l'unica ad avere problemi qui, sai? E se non ti va bene guidarli, se sei così certa che andartene sia meglio... Allora vattene. Cosa ti trattiene? Tornatene al tuo clan, vaga per i boschi, fatti una scopata, ma smettila di piangerti addosso!»

Afferrò il boccale di birra e uscì a grandi passi dalla locanda, furente.

 

Raggiunse Shale, che si era sistemata al riparo dagli uccelli sotto una tettoia, intenta a fissare il villaggio sotto di loro.

«Li odio tutti.» Ringhiò, sedendosi su una cassa di legno e bevendo un sorso di birra.

«Ah, stavo giusto pensando la stessa cosa.»

«Non siete le uniche.»

Natia sobbalzò, voltandosi di scatto, giusto in tempo per vedere Morrigan comparire in uno sbuffo di fumo violaceo.

«Da dove cazzo spunti, tu?!» Sbottò, cercando di nascondere senza successo la sorpresa.

«Credo che tu abbia qualcosa che mi appartiene.»

La guardò senza capire.

La strega indicò con un dito la tasca della giacca, da cui spuntava il voluminoso tomo che aveva sequestrato a Geralt poco prima. «Quello.»

Natia lo estrasse dalla tasca, rigirandoselo in mano e osservandolo meglio. Era grosso, dalla copertina nera segnata dal tempo. «E perché dovrebbe essere tuo?»

«Non esattamente mio, ma di mia madre.»

Qualcosa non tornava. «Perchè non te ne sei accorta prima?»

«Prima dimmi, dove l'hai trovato?»

Scrollò le spalle, evasiva. «In giro.»

«Credevo voi fuorilegge foste bravi a mentire. Mi sbagliavo, evidentemente.» Fece un passo verso di lei, cercando di prenderle il libro.

Natia si ritrasse istintivamente, sulla difensiva. «Era alla torre.»

«E ovviamente ne sei entrata in possesso soltanto ora, altrimenti me ne sarei accorta prima.» Commentò Morrigan. «Ce l'aveva Geralt, dico bene? In qualche modo deve essere riuscito a nascondermelo, forse un'illusione magica... non importa, adesso dammelo.»

«Non ci penso neanche. Poi se la prenderebbe con me, e anche se sono resistente alla magia, non ci tengo ad avere una palla di fuoco su per il culo.»

La strega roteò gli occhi al cielo. «Non essere ridicola, probabilmente ce l'ha da settimane, quel topo di biblioteca avrà ormai memorizzato ogni sua parte. Voglio solo darci un'occhiata, ma se proprio ci tieni, andrò a chiederglielo di persona. Sono certa che non lo disturberò affatto, dopo quello che è successo con il suo amico...»

La nana represse l'istinto di piantarle un coltello nella gamba. «Stavi origliando?!»

L'altra non si scompose minimamente, anzi, sembrava divertirsi. «Non sei l'unica capace di nascondersi, sai? E di sicuro i miei metodi sono più efficaci. Nessuno fa caso ad un piccolo ragno che cammina sul muro...»

Ferita nell'orgoglio, non sapeva cosa ribattere. «Almeno io non rischio di essere spiaccicata con uno stivale.» Bofonchiò arrabbiata.

«Allora, vuoi darmi quel grimorio o devo andargli a peggiorare la giornata?»

Natia capitolò, sbuffando e porgendole il libro.

«Grazie, mi hai risparmiato un'altra scocciatura.» Gli occhi gialli della donna brillavano di bramosia, mentre sfogliava velocemente le pagine consunte. «Mh, interessante...» Dopo averle rivolto un cenno di saluto, se ne andò in fretta, il naso incollato alle pagine.

La nana si sedette nuovamente sulla cassa di legno. «Mi ucciderà.»

Shale, che per tutto il tempo era rimasta completamente disinteressata, emise un suono vibrante, come di pietre che sfregavano. «Non è difficile, uccidere voi cosetti mollicci.»

Le lanciò un'occhiataccia. Era una risatina, quella?

«Guarda, un piccione!» Urlò, indicando un punto alle spalle del golem.

Shale si girò di scatto, sbattendo gli enormi piedi per terra e facendo tremare il terreno, compresa la cassa su cui era seduta l'altra. «Dove?! Maledetti uccelli, li schiaccio tutti!»

Natia scoppiò a ridere, lanciandole il boccale di birra in testa e colpendo uno spuntone roccioso. «Proprio lì, zucca di pietra.»

 




 

«Kallian?»

L'elfa sbuffò, guardandola dall'alto in basso, le gambe a penzoloni dal tetto del mulino. Osservò Leliana arrampicarsi agilmente sulle travi di legno, raggiungendola in poco tempo e sedendole accanto, il respiro un poco affannoso.

«Ti ho cercata dappertutto, sai?»

Grugnì una risposta, spostando lo sguardo sul Lago Calenhad, le cui acque riflettevano la poca luce del sole che filtrava tra le nuvole scure.

Leliana rimase in silenzio, ad osservare il panorama con lei. Dopo qualche minuto, la curiosità ebbe la meglio sull'elfa.

«Perché mi cercavi?»

«Non è ovvio? Ero preoccupata. Da ieri non ti si vede in giro, e pensavo...»

«Che avessi ucciso qualche nobile spocchioso?»

La donna scoppiò a ridere. «Sì, qualcosa del genere.»

«Potrei anche farlo, se stiamo qui ancora a lungo.»

«Personalmente, vorrei farmi almeno un altro paio di bagni caldi e profumati, prima di andarmene.»

Kallian sbuffò di nuovo, per niente sorpresa. «Ci sono cose più importanti dell'igiene, in questo momento, tipo fermare un Flagello.»

«Sicuro, ma nessuno ha mai detto che dobbiamo affrontare l'Arcidemone puzzando come caproni.»

L'elfa sollevò un sopracciglio, guardandola dritta negli occhi. «Siamo nel Ferelden, non hai notato che puzziamo sempre come caproni?»

Leliana rimase un attimo spiazzata, per poi sollevare l'angolo della bocca. «Era una battuta? Davvero?»

«Mh, avrei detto “cani bagnati”, in quel caso.»

«Oh, una battuta e una frecciatina su Orlais. Tipico del Ferelden.»

Kallian sollevò le spalle, lasciandosi sfuggire un sorrisetto. Si accarezzò la nuca, dove una nuova cicatrice spiccava tra le vecchie, a ricordarle del drago che l'aveva quasi uccisa. Sovrappensiero, passò i polpastrelli sulla piccola protuberanza ossea, ancora incredula di essere viva.

«Ti fa male?»

Scosse la testa.

«Ho pregato che funzionasse, ero così spaventata... Ma il Creatore non ci ha abbandonati, non del tutto. Le Ceneri-»

«Perché?»

Leliana aggrottò le sopracciglia. «Che intendi dire?»

«Le Ceneri. Mi hanno riportata in vita.» Come spiegarle la sensazione di inadeguatezza dell'essere lì in quel momento, viva e in grado di muoversi, parlare...

«Il Creatore ti ha salvata perché ha un piano per te, Kallian.» Rispose semplicemente l'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo che il Creatore, che non si curava degli affari dei mortali, si fosse scomodato a salvare una nullità come lei.

Kallian si morse il labbro inferiore, passando la lingua sulle cicatrici. Non era la prima volta che scampava a morte certa. Valendrian le aveva raccontato di come l'avevano data per spacciata, vista la gravità delle ferite magiche e fisiche che le avevano procurato Vaughan e il suo mago. E nonostante tutto, si era svegliata, era pian piano guarita, anche grazie al Guardiano Zathrian e alla sua conoscenza delle erbe curative. Ma essere salvata una seconda volta, dopo aver combattuto un drago, dalle Ceneri della Profetessa in persona...

Era davvero troppo pensare, anche solo per un attimo, di esserne degna.

Scosse la testa. «È assurdo. Il Creatore non si cura di noi, lo dice il Cantico. E Andraste non perderebbe certo il suo tempo con...»

Leliana le afferrò una mano, tenendola tra le sue, morbide e profumate. «Non voglio arrogarmi il privilegio di sapere cosa passa per la mente del Creatore, ma è chiaro che abbia qualcosa in serbo per te. Altrimenti, non ti avrebbe aiutata a guarire dopo quello che ti è successo, sia prima che arrivassi dai Dalish, che ad Haven. Sei speciale, Kallian.»

L'elfa fece per ritrarre la mano, ma all'ultimo ci ripensò. «Davvero hai delle visioni?»

L'altra annuì. «So che sembrano tutte storie, raccontate per attirare l'attenzione... ma prima di incontrare i Custodi, il Creatore mi ha mandato un segno.» Allungò le gambe nel vuoto, sollevando lo sguardo verso le nubi cariche di neve sopra di loro, facendo un respiro profondo. «Ero sull'orlo di un altissimo precipizio, e guardavo impotente mentre l'oscurità inglobava ogni cosa. Quando anche l'ultimo raggio di luce era svanito, ho urlato, ma non riuscivo ad emettere alcun suono. Allora mi sono sentita sollevare, e una forza misteriosa, ma al contempo rassicurante, mi ha spinta a gettarmi nell'abisso.»

«E se fosse stato soltanto un sogno? O un demone che voleva ingannarti?»

Leliana scosse la testa, un sorriso sicuro sul volto. «Mi sono svegliata, e ho provato un desiderio impellente di andare nel giardino dietro il monastero. C'era un cespuglio di rose, che tutte sapevamo fosse ormai morto da tempo: era grigio, rinsecchito e contorto su sé stesso, la pianta più brutta che avessi mai visto. E invece, quel giorno, quando andai a guardarlo... tra i rovi secchi, c'era una singola rosa, bellissima e profumata, i petali morbidi e perfetti.»

Kallian si grattò il moncone di orecchio. «E pensi che sia stato il Creatore, a mandarti visioni sul Flagello e una rosa per avere speranza?»

«Chi altri avrebbe potuto dirmi così chiaramente che dovevo andarmene da lì, lasciare la vita del monastero e andare a cercare coloro che avrebbero fermato il Flagello?»

«Un sogno e una rosa, non mi sembrano indicazioni molto chiare.»

«Tutto accade per un motivo.»

«Sono quasi morta, due volte. Mi servirebbe una spiegazione più chiara di qualche fiore.» Grugnì l'elfa, guardandosi le punte dei piedi.

Leliana sembrò incerta sul da farsi, ma dopo un attimo di pausa, si azzardò a fare la sua domanda. «Posso chiedere cosa ti è successo? Non nei dettagli, ma...»

Kallian inspirò la brezza gelida, incerta se raccontarle o meno l'accaduto. Leliana le piaceva, per essere un' umana, non l'aveva mai vista trattare gli altri con cattiveria o superiorità, anzi, era sempre la prima ad aiutare, se ce n'era bisogno. E l'immagine della donna, terrorizzata, che urlava il suo nome sulla cima della montagna del tempio di Haven, dopo che era stata mandata a terra dal drago... Il volto di Leliana era stata l'ultima cosa che aveva visto prima di perdersi nell'oscurità, e la prima quando aveva riaperto gli occhi.

«Dovevo sposarmi.» Iniziò a raccontare, quasi un sussurro. Gli eventi di quel giorno impressi indelebilmente nella sua mente, sul suo corpo, come se li rivivesse ogni giorno. «Nelaros, si chiama, era arrivato da Altura Perenne con la promessa sposa di mio cugino. Era un buon partito, e mio padre mi aveva dato l'abito di mia madre, l'avevo riadattato, era bellissimo. E l'intera Enclave era in festa, il Vhenadahl addobbato con decine di fiocchi, lanterne e fiori... Poi sono arrivati loro.» Digrignò i denti, l'odio verso Vaughan e i suoi che tornava a galla, mai sopito. «Il figlio dell'Arle di Denerim e alcuni suoi uomini. Ci hanno trascinate via, me, mia cugina e altre ragazze, prive di sensi, e nessuno ha fatto niente. Non uno degli abitanti dell'Enclave ha alzato un dito per impedirglielo. Non l'Hahren, non mio padre, nemmeno i miei vicini di casa, o il ragazzo che lavorava affianco a me al mercato. Nessuno, tranne mio cugino Soris e Nelaros, ha rischiato la vita per noi. Ho fatto quello che dovevo, per permettere a Shianni e alle altre di uscirne vive...» Finì per perdere la voce. Sentiva gli occhi pizzicarle, ma non sapeva se era rabbia, dolore o vergogna. Non era stata abbastanza forte. Avrebbe potuto uccidere Vaughan e i suoi, se fosse stata forte come Aenor, come una vera elfa, e non una schiava degli umani. Aveva fatto del suo meglio, sacrificandosi per gli altri, ma alla fine non le avevano nemmeno concesso la grazia di ucciderla, lasciandola a convivere con la vergogna di quanto aveva dovuto subire.

Se era davvero stato il Creatore a salvarla, aveva un sadico senso dell'umorismo.

Sentì Leliana farsi più vicina, appoggiando la spalla alla sua, le mani ancora intrecciate.

«Mi dispiace, non avrei dovuto chiedere.»

Scosse la testa. «Non importa.»

Rimasero lì, sedute sul tetto del mulino, in silenzio.

Cominciarono a cadere piccoli fiocchi di neve, che appoggiandosi a terra formarono una sottile coltre bianca. Kallian rabbrividì, stringendosi nel mantello di pelliccia. Forse era il caso di rientrare, ma...

«È bellissima, non trovi?»

Si girò verso Leliana, che aveva allungato una mano verso l'alto, come ad afferrare i fiocchi. Sembrava rapita, un ampio sorriso sul volto.

Non rispose, limitandosi a guardare il lago. Chissà se si sarebbe ghiacciato, a tal punto da poterci camminare sopra. Aveva sentito che poteva succedere, in inverno.

Uno starnuto la colse di sorpresa, rompendo la pace. «Sarà meglio ripararci, prima di congelare.» Disse, tirando su le gambe e cercando l'appoggio che aveva usato per salire.

 

In breve tempo, raggiunsero di nuovo il castello. Kallian scoccò alle mura uno sguardo astioso, ma entrò senza fare storie. Il freddo era un ottimo motivo per ingoiare l'orgoglio e l'odio verso la nobiltà umana, per una volta. E il bagno caldo menzionato da Leliana non era una cattiva idea...

«Allora, ci vediamo dopo a cena?» Le chiese l'altra.

L'elfa annuì, salutandola. Salì in camera e prese i due grandi secchi che serviva a riempire la vasca.

Andò in direzione del pozzo, rifiutandosi di chiedere aiuto ai servitori del castello. Con qualche difficoltà, iniziò a far girare la manovella per far scendere il secchio, che era già rigida per il ghiaccio. Riuscì a calarlo, mettendosi con tutta la forza a tirarlo su. Le spalle che le dolevano, riempì metà del primo secchio. Sbuffò, riportandolo sul fondo. A metà strada, sudava e ansimava come un mantice.

«Vuoi una mano?»

Sobbalzò e per poco non si lasciò sfuggire la presa.

Alistair, il cappuccio del mantello pieno di neve, afferrò la manovella, la mano proprio accanto alla sua. Combatté l'istinto di ritrarsi di scatto. «Ce la faccio da sola.» Ringhiò per lo sforzo.

«Guarda che se congeli, mi toccherà rompere il ghiaccio.» Si mise a ridacchiare da solo.

Kallian sbuffò, irritata dalle battute del Custode. «Se vuoi aiutarmi, stà zitto e gira, shem.»

Insieme, riuscirono in breve tempo a riempire entrambi i secchi.

«Ora puoi anche andare.»

Il ragazzo rimase a fissarla. «Sono parecchie scale.»

«Non sarà un problema.»

«Insisto.»

L'elfa valutò l'opzione di ucciderlo e gettare il cadavere nel pozzo. Purtroppo, dubitava di riuscire anche solo a colpirlo, dato il male terribile che aveva alle braccia dopo tutta la fatica. «D'accordo.» Cedette infine, tirandone su uno e lasciando che Alistair prendesse l'altro.

Attraversarono il cortile, quando dei rumori metallici attirarono la loro attenzione.

Aenor, incurante della neve e del freddo, mulinava una grossa spada a due mani contro Sten, che sembrava anche lui assolutamente a suo agio. I due erano talmente assorti nel combattimento, che non si accorsero di essere osservati.

«Mi preoccupa, sai?»

Kallian non rispose, ipnotizzata dalle movenze della Dalish. Nonostante il Qunari fosse chiaramente più bravo, l'elfa minuta riusciva comunque a tenergli testa.

«Non so cosa le passi per la testa.» Continuò imperterrito Alistair. «E credo sia sempre peggio.»

Si volse verso il Custode, sorpresa. Tornando da Haven, le era sembrata di umore molto migliore rispetto a quando avevano iniziato a viaggiare insieme. E le Ceneri avevano funzionato, quindi...

«Non dorme, mangia a malapena... E la cosa peggiore è che non si lascia aiutare. So che essere un Custode Grigio è difficile, tra i sogni e la Corruzione, per questo cerco di convincerla a dirmi cosa la turba, ma continua a chiudermi fuori.» Fissava Aenor con sguardo triste. «Se solo capissi cos'è che non va, potrei cercare di fare qualcosa...»

L'altra scosse la testa. «Credo non ci sia nulla che tu possa fare.» Non sapeva neanche lei cosa fosse esattamente successo alla Dalish, ma era chiaro che aveva ricordi dolorosi legati al suo Clan. 

Alistair riportò l'attenzione su di lei. «Magari con te si può confidare, no?»

«Perchè siamo entrambe elfe?» Ribattè piccata. «Non funziona così.»

Il Custode diventò rosso in volto. «No, non intendevo... Perchè sembra averti preso in simpatia. O almeno, non ti ignora o disprezza apertamente. E sei una delle poche persone con cui lo fa.»

«Parla anche con Geralt e Morrigan, se per questo. O Natia e Sten.»

Il ragazzo si grattò la nuca, a disagio. «Sì, beh, non è che posso andare da Morrigan o gli altri a...» Si zittì, sospirando. «Tienila solo d'occhio, d'accordo? Ho paura che si faccia del male. Solo questo, per favore.»

Kallian osservò la Custode parare con l'elsa della spada un potente fendente alla testa, girando su se stessa e cercando di disarmare Sten, facendogli perdere per un attimo l'equilibrio. «Credo sappia cavarsela da sola.»

«Proprio questo mi preoccupa...»

Lasciarono Aenor ad allenarsi, attraversando il cortile e salendo le scale che portavano alle camere degli ospiti. Arrivati di fronte alla camera che Kallian condivideva con l'altra elfa, Alistair lasciò a terra il secchio d'acqua, salutandola.

Lei si limitò ad un cenno col capo, ripensando a quanto detto dal ragazzo.

Mentre aspettava che l'acqua si scaldasse, di fronte al camino accesso, guardò verso il cortile, dove i due si stavano ancora allenando. La neve ormai cadeva fitta, rendendole difficile individuarli.

Dopo un po', richiuse le imposte, godendosi il tepore della stanza.

Si spogliò lentamente, togliendosi i vari strati di pelliccia, armatura e abiti.

Prese i due secchi e li versò nella vasca, riempendola ed immergendovisi dentro. Il vapore le avvolgeva il corpo, mentre l'acqua calda le ammorbidiva la pelle. Si appoggiò al bordo, chiudendo gli occhi. Era una sensazione bellissima, il bagno caldo.

Pochissime volte nella sua vita era riuscita a farne uno, e mai dopo la morte di sua madre.

Scacciò i ricordi, cercando di svuotare la mente. Si ritrovò suo malgrado a canticchiare una ninnananna che Adaia le cantava sempre. Le parole le tornarono in mente, e forse non se le ricordava nemmeno correttamente, ma il ritornello era semplice.

Non temere, mia bambina,

Dovunque andrai,

Ascoltami.

Il pettine che scioglieva i nodi, districando gentilmente la massa di capelli ricci.

A casa ti guiderò.

Le mani profumate della mamma sapevano di gelsomino, con il quale si acconciava la chioma, così simile alla sua.

A casa ti guiderò.

Il suo sorriso, mentre la sollevava dalla vasca, abbracciandola e avvolgendola nell'asciugamano, il gelsomino che riempiva l'aria.

A casa ti guiderò.

Si morse il labbro inferiore, una lacrima che scendeva solitaria sulla guancia, incapace di fermarla. Tirò su col naso. Chissà cosa avrebbe pensato, se avesse saputo che la sua bambina era stata riportata in vita per ben due volte. Forse era proprio la madre che vegliava su di lei. I morti risiedevano al fianco del Creatore, anche gli elfi, sostenevano alcuni, quindi era possibile che lo avesse pregato di guarirla.

Ma in quel caso, non avrebbe potuto semplicemente evitare che si trovasse ad un passo dalla morte? Nella Sua infinita potenza, il Creatore aveva voltato le spalle ai mortali, colpevoli di aver intaccato la Città d'Oro, e indegni della Sua protezione. E aveva scelto di salvare proprio lei, nonostante Egli si fosse allontanato dal mondo?

Avrebbe voluto avere la sicurezza di Leliana. Sembrava così certa delle sue visioni, che Kallian quasi ci credeva. Com'era possibile mentire con tanta passione, dopotutto? Le sue parole sembravano vere, ciò che aveva visto poteva davvero essere un avvertimento e al contempo un modo per incoraggiarli ad avere ancora speranza, nonostante tutto quello che stava accadendo.

Eppure...

Immerse la testa sott'acqua, sapendo già che non avrebbe mai trovato una risposta alle sue domande.











Note dell'Autrice: eccomi di ritorno. Sto progettando di aggiornare più spesso, ma per il momento non credo di riuscire a tornare ai bei tempi del capitolo settimanale. 
Qualche considerazione sul capitolo: Natia si sente come se tutti le stessero accollando i propri problemi, e non sopporta tutti i giri che Geralt e Aenor stanno facendo, la sua politica è "hai un problema, affrontalo a testa bassa", quindi comincia a non sopportarli più. Dai, Natia, resisti ancora un po'. 
Per quanto riguarda Kallian, si sta pian piano ammorbidendo un pochino, grazie alla terza possibilità che le hanno dato le Ceneri. Il processo è lungo e ha ancora tanta strada da fare, ma per il momento il fatto che non abbia cercato di uccidere mezza Redcliffe è già un grosso miglioramento. 
La canzone che canta alla fine è "Mir Da'len Somniar", una ninnananna Dalish. Ho pensato che fosse improbabile che gli elfi di città la conoscessero in elvhen, ma che invece la tramandassero nella sua versione in lingua comune. 
Come al solito, ogni commento è ben accetto. Al prossimo capitolo! :D

  
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