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Autore: Marauder Juggernaut    17/03/2018    3 recensioni
[Seguito di "Disco"]
Ci sono dei momenti che qualunque coppia deve passare...
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[Dal capitolo 1]
« La mia famiglia vuole conoscerti ». Il più giovane si strozzò con il fumo e gli venne quasi da lacrimare, voltandosi verso l’amante che lo fissava incerto, come se temesse di dover presentare alla famiglia un corpo morto.
[...]
« Cosa hanno detto sulla differenza d’età? ». Katakuri chiuse gli occhi, facendo un profondo respiro, sollevando l’angolo della bocca.
« Erano solo un po’ sorpresi, ma non hanno detto nulla. Credo che per loro chiunque vada meglio di Jack… ». [...] « Katakuri… »
« Sì, Ichiji. Non è proprio il momento adatto, ma ti racconterò di lui… »
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*Fan Fiction partecipante al Sfiga&CRack's Day indetto dal Forum Fairy Piece*
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Charlotte Katakuri, Ichiji Vinsmoke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Life Places'
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Note autrice: chiedo scusa per il ritardo di questo capitolo, ma sul serio, è stato un parto. L'avrò riscritto almeno tre volte. Perché? Perché questo è il capitolo delle tematiche delicate, dei contenuti forti e del non-con che sono indicati negli avvertimenti della storia. Sinceramente, non mi piace molto scrivere qualcosa che abbia a che fare soprattutto con l'ultimo avvertimento indicato. Per lo meno, non troppo approfondito. Qua ho cercato di renderlo più "soft" possibile, per quanto si possa rendere soft una cosa simile.
Detto ciò, ringrazio di cuore Zomi, _Dreamer97 e xXNickyChanXx per aver recensito lo scorso capitolo.
A presto!

M.J.

 
Capitolo 3 - Dopo 



Il medico finì di suturare il taglio che prendeva una parte della spalla di Jack. Diversi ematomi viola gli chiazzavano gli zigomi, la mandibola e il ventre, ma l’omone non sembrava farci caso. La sua faccia era priva delle benché minima espressione di dolore mentre il dottore del pronto soccorso portava a termine la delicata operazione.
«Finito» concluse serio il medico, posando le forbici dopo aver tranciato il filo. Katakuri si staccò dal muro a cui era appoggiato con un piccolo colpo di reni, avvicinandosi ai due.
«La ringrazio, dottor Trafalgar». Il giovane medico lo squadrò da capo a piedi in silenzio, indugiando un po’ troppo sul volto coperto dalla sciarpa. Poi lasciò perdere, togliendosi i guanti in lattice.
«Cosa è accaduto?» domandò secco, lavandosi le mani in un lavandino.
«Una rissa in un bar. Un gruppo di ubriachi ha attaccato briga e lui purtroppo ci è rimasto in mezzo» mentì con tanta naturalezza Katakuri che non si poteva non credergli. Guardò intensamente Jack che ricambiò lo sguardo senza dire nulla. Quando il giovane dottore lasciò la stanza, Katakuri si avvicinò al compagno che si stava risistemando la maglia.
Con le iridi colme di rabbia e irritazione, Katakuri si abbassò la sciarpa, mostrando le labbra spaccate dal suo pugno qualche sera prima.
La voce non gli tremò nemmeno per un istante. «Adesso siamo pari…».
 
 
Quel morso lo sentì davvero in profondità. Quando Jack mollò la sua spalla, Katakuri poté notare il vistoso segno dei denti lasciato. Fortunatamente non sanguinava. Non lì. Con la rabbia con cui l’avevano fatto, non si sarebbe sorpreso se avesse perso sangue da qualche altra parte.
Quella cosa che stava prendendo piede tra loro era malsana. Lasciava senza fiato, con un gran vuoto al centro del petto e un’ira che offuscava la mente. Assomigliavano ogni giorno di più a degli animali.
Jack baciò rude la bocca di Katakuri, per farsi poi più calmo e paziente.
Si sdraiò pesantemente al suo lato, carezzando l’esterno coscia dell’amante.
«Scusami…».
Bastava quella parola e Katakuri abbandonava qualsiasi intenzione avesse di troncare tutto. Un vero ingenuo.
Ci ricadeva sempre.
 
 
 
«Cosa diavolo hai combinato?!» esclamò allarmata Smoothie vedendo il fratello maggiore che esaminava l’occhio pesto alla sterile luce al neon del mobile del bagno. Si avvicinò preoccupata, prendendo tra le dita il volto del fratello con esasperante delicatezza. Katakuri la guardò serio per alcuni istanti, prima di scostarsi dal suo tocco e prendere la crema a base d’arnica dal mobile del bagno.
«Un paio di ubriachi al locale. Hanno scatenato una rissa e io non sono stato attento…». Stava diventando troppo bravo a mentire su certe cose. La sorella sospirò esasperata. «Doveva essere solo un impiego da portare avanti insieme agli studi e invece guarda come ti sta riducendo. Per fortuna fra qualche mese ti laurei e lasci perdere quel lavoro per cercarne uno più serio…» disse, guardandolo dolcemente prima di lasciare il bagno.
Già. Dopo la laurea avrebbe dovuto cercare una scusa per giustificare tutto quello.
 
«Cosa diavolo hai combinato?!» scattò Ginrummy quando sorprese il coinquilino medicarsi un vistoso livido violaceo sullo zigomo. Jack grugnì, voltandosi verso lo specchio, non degnando di una risposta la ragazza.
«Ancora il lavoro?» provò a incalzarlo lei. L’altro grugnì ancora, però con un verso che si poteva più facilmente assimilare a un assenso. Lei storse la bocca, provando ad avvicinarsi, ma Jack la scacciò in malo modo con un gesto improvviso del braccio. Lei sbuffò infastidita, lasciandolo solo in camera e lanciandogli imprecazioni su come sarebbe morto solo, con un carattere simile.
L’uomo non ribatté su come, in realtà, c’era ancora una persona che gli restava vicino. Anche se non sapeva per quanto. Se le cose fossero continuate in quel modo, con scatti di rabbia improvvisa da parte di entrambi, probabilmente non molto.
 
 
«Yo». La voce di Cracker interruppe del tutto il flusso discontinuo dei pensieri di Katakuri. Il maggiore, appoggiato alla ringhiera del balcone di casa, guardava l’orizzonte ostacolato dalla siepe e dalle altre case, senza vederlo davvero. Era più impegnato a riflettere su cosa fosse diventata la sua vita – la sua relazione – negli ultimi mesi. Il minore era giunto con una distrazione e una birra ghiacciata. Katakuri prese la bottiglia gelida tra le mani, ricambiando con un cenno del capo che stava sia per un saluto che per un ringraziamento.
«Sai, fratellone…» cominciò Cracker, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui «È da un po’ di tempo che ti vedo sulle tue … cioè, più del solito. C’è qualche problema ultimamente?» domandò dopo alcuni preamboli, sufficienti per mettere in guardia Katakuri e per fargli inventare una buona scusa.
«Non è nulla, Craig. È solo stressante portare avanti sia la tesi che il lavoro…». Cracker lo squadrò con sospetto. «Già il solo fatto che mi chiami col mio vero nome è un brutto segno. Vuol dire in ogni caso che abbiamo trovato un limite alla perfezione dell’irraggiungibile Katakuri…» scherzò, buttando giù un generoso sorso di birra.
«Non sono mai stato perfetto, Cracker...» disse Katakuri, imitando il fratello.
«Non è che c’entra Jack, vero?» domandò a bruciapelo il minore, facendo quasi strozzare con la birra l’altro. Per fortuna non lo diede a vedere e rimase impassibile come al suo solito.
«No, Jack non c’entra…». Cracker lo studiò dubbioso per alcuni secondi, prima di lasciar perdere e sorridere più rilassato. «Meno male. Ma ormai dovrebbe saperlo che l’intera famiglia Charlotte lo appende per le palle se osa farti qualcosa».
Katakuri si irrigidì un poco, prima di rilassarsi. Aveva sempre amato questo prendersi cura gli uni degli altri in quell’allargata famiglia. «Sempre una garanzia…».
 
 
“Katakuri, ho visto ora la chiamata, che succede?”
“Craig…”
“Ti sento stanco, fratello … serata focosa col tuo amato?”
“Sono all’ospedale del Grove 43…”
“Cosa?! Perc- arrivo subito!”
“Craig per favore, aspetta, ti devo parlare.”
“Lo faremo faccia a faccia, Katakuri.”
 
Il tempo sembrava gocciolare come un lavandino rotto. Non c’erano più parole a riempire il vuoto, solo uno scomodo silenzio che stava obbligando Katakuri a non alzare la testa, colmo com’era di vergogna. Mai aveva pensato di provarne così tanta un giorno. Il suo sguardo era puntato contro il bianco della federa del lettino, mentre se ne stava steso prono su quel materasso duro, senza avere il coraggio di guardare il fratello. In quel momento, davvero non si capiva chi fosse il minore e chi il maggiore.
Cracker ingoiò un groppo acido come la bile, facendo un passo in avanti senza staccare gli occhi da Katakuri. Mai aveva visto il fratello in quel modo. Non quel fratello, quello perfetto, lontano e irraggiungibile. Eppure in quel momento il secondogenito sembrava la metà di se stesso.
«Katakuri…».
« Ascolta, Cracker… ».
«No, non ascolto una parola di più. Io lo ammazzo quel figlio di puttana…».
«Cracker, aspetta». La voce di Katakuri sembrava tremendamente una supplica; velata, accennata, ma assomigliava a una supplica. Cracker avrebbe preferito diventare sordo o strappare le corde vocali all’altro piuttosto di sentirlo così debole. Eppure la sua voce era ferma.
«Cosa c’è, fratello?» domandò piano, appoggiando la mano sulla sua spalla in segno di conforto. Nemmeno in quel momento il maggiore riuscì ad alzare gli occhi sul fratello. Cracker sentì un’immensa ondata di rabbia e frustrazione inondargli il petto e la gola. L’uomo steso prono sul letto non era Katakuri. Non poteva essere lui.
«Non dire nulla alla famiglia». Calò di nuovo il silenzio. Il fratello minore spalancò gli occhi, sentendo la mandibola cadere per quell’assurdità.
«Cosa?».
«Hai capito».
«E … come dovrei farlo, di grazia?». La rabbia in Cracker montò tutta d’un colpo. Non gli importava nulla se le urla si sarebbero sentite in tutto l’ospedale, mandando bellamente a quel paese la privacy. «Come diavolo posso farlo, Katakuri?! Come cazzo spiego che stanotte non torni a casa e nemmeno domani?! Come faccio a non dire alla famiglia quello che ti ha fatto quell’animale?!». Aveva il fiatone e non avrebbe negato che quelle agli angoli dei suoi occhi fossero lacrime. Perché quello steso sul letto era davvero il suo fratellone; quello stoico; quello forte; quello che a dodici anni lo aveva preso in braccio e riportato in casa quando a sei anni si era rotto la caviglia.
«Trova una scusa, Cracker. Solo … non farli preoccupare». Quello era troppo anche per Cracker. Le braccia gli caddero lungo i fianchi mentre sbuffava esasperato, la rabbia non ancora sbollita ma anzi giunta a una nuova esplosione.
«Non farli preoccupare?! Katakuri, devo ricordarti dove hai dei punti di sutura?! Questa è una situazione in cui ci si deve preoccupare, Jack in primis! Dio, appena lo trovo gli taglio i coglioni e glieli faccio ingoiare!». Il maggiore sollevò lentamente una mano in direzione del fratello, nel pallido tentativo di fermarlo da quella mutilazione. Cracker fissò quasi con disgusto quelle dita pronte a trattenerlo; a proteggere Jack dalla sua rabbia. Non capiva il motivo.
«Perché? Perché mi fermi dal dargli quello che si merita?!» sputò fuori con rabbia, digrignando i denti come un cane.
«Perché saresti tu quello a prenderle e perché … è un pareggiamento dei conti…». La voce gli uscì quasi a fatica, raschiando contro la gola.
Il fratello minore spalancò gli occhi, capendo ancora meno, ma con una pesante e disgustosa sensazione alla bocca dello stomaco che lo fece stare male.
«Katakuri … non puoi dirmi che tu…» gli mancarono le parole, mentre il ribrezzo prendeva il posto della rabbia. Il fiato gli scomparve dai polmoni in un istante. Fece un passo indietro mentre il fratello nascondeva il volto nel cuscino, mormorando una frase appena udibile.
«Sono un animale, Craig».
Il minore non riuscì a ribattere.
 
 
Katakuri fissò la porta lasciata aperta. Il corridoio pareva dannatamente irreale da quanto era vuoto; ma Katakuri sapeva che lui era lì, nascosto dietro la parete, in attesa delle parole che non tardarono ad arrivare.
«Entra». Jack non se lo fece ripetere. Entrò in silenzio, a braccia incrociate e a testa alta, ma non c’era alcun tipo di orgoglio nel suo sguardo. Né senso di colpa. Né tristezza. Né pietà. Non c’era nulla. Iridi assolutamente vuote. Come quelle di Katakuri.
«Andrò a Wano fra qualche giorno» disse piano Jack, senza alcuna inflessione nella voce. L’altro semplicemente annuì, senza nemmeno guardarlo. «Non tornerò più a Sabaody».
«Capisco» rispose Katakuri. Jack gli diede le spalle, limitandosi a voltare un poco il volto per guardare ancora l’uomo steso sul lettino.
«Abbiamo rovinato tutto, Katakuri».
Già. Un lavoro fatto in due.
 
 
«Sai, andare in palestra è un ottimo metodo per scaricare la tensione e la rabbia accumulate. Potresti riprendere come facevi al liceo…». Il sorriso di Cracker era un poco tirato mentre riaccompagnava Katakuri a casa propria dall’ospedale. Il minore era riuscito a tenere la cosa nascosta alla famiglia, ma era pure riuscito a strappare al maggiore la promessa che ne avrebbe parlato non appena l’ombra di quanto era successo sarebbe sparita.
Katakuri lanciò un’occhiata a Cracker.
«Ci penserò».
 
 
Katakuri fissò il bigliettino che teneva in mano. Assaggiò la porosa consistenza della carta tra le dita, prima di stropicciarlo nella mano chiudendo gli occhi. Non poteva farlo, non ne sarebbe valsa la pena. Non lo conosceva nemmeno, si sarebbe rivelato solo un idiota per cui non era il caso perdere tempo.
O forse no. Forse sarebbe stata la persona che gli avrebbe cambiato la vita e il modo di vedere le cose e se stesso. Riaprì il palmo della mano per fissare il numero scritto a penna. Era una stupidaggine.
Digitò il numero in fretta.
«Pronto, chi è?»
«Dai in giro il tuo numero così spesso che ti aspetti diversi numeri sconosciuti?»
« …Beh, più che altro è passata una settimana e non ci speravo più, Katakuri…».
“Nemmeno io, Vinsmoke…”
 
 
 
«La prossima volta che ci vedremo, ti sbatterò contro un muro così forte che ti farò dimenticare persino il tuo nome… ». Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva usato una voce così lussuriosa con qualcuno. Davvero avrebbe voluto sussurrare il fiato caldo nell’orecchio di Ichiji, sentirlo tremare tra le sue braccia. Un giorno lo avrebbe fatto, quando si sarebbe tolto di dosso l’idea di poter fargli del male. Di poter tornare a essere un animale.
«Va bene…» crepitò senza voce il ragazzo dall’altra parte della cornetta. Katakuri ghignò: gli piaceva fare quell’effetto.
«Ottimo. Ichiji, devo chiudere adesso: ho ospiti… ».
«Ci sentiamo…».
«Katakuri ti va un altro giro? … Con chi sei al telefono?». La voce di Cracker fece quasi scattare sull’attenti Katakuri, che rimase comunque posato e serio.
«Con un amico». Quelle parole risultarono quasi amare da dire mentre chiudeva la chiamata. Dal sorriso di Cracker, evidentemente il fratello non ci aveva creduto.
«Di’ un po’ … tu di solito gli amici li sbatti contro il muro così forte da far dimenticare loro come si chiamano? No, perché se è così voglio anch’io delle amiche simili». Il sorriso sul volto di Cracker era insieme divertito e perverso. Katakuri sbuffò, mettendo via il cellulare, non sapendosi impedire di sorridere.
«Ho conosciuto una persona, da quando ho iniziato ad andare in palestra…» cominciò a spiegare e già gli sembrava di sentire Cracker gongolare per averlo spinto ad andarci.
 
 
 
 
 
 Ichiji ascoltò in silenzio tutta la storia, ingerendo ogni dettaglio dai più inaspettati, a quelli intimi, a quelli crudi. Non si aspettava simili risvolti e nemmeno che un uomo come lo era Katakuri si fosse ritrovato a essere vittima e insieme carnefice di una relazione tanto perversa. Un brivido attraversò la schiena di Ichiji.
E se Katakuri…
Una mano calda si posò sul suo addome. Le falangi coprivano la pancia nuda di Ichiji e anche se questi non guardava, poteva bene immaginare lo sguardo caldo di Katakuri assicurargli senza parole che no, mai avrebbe osato fargli del male come era stato fatto a lui e come ne aveva fatto.
Ichiji sentì l’improvviso impulso di baciarlo, di sapere in quel modo che l’alone di un passato non così lontano non avrebbe intaccato la lucentezza che stavano creando. Lo fece e poteva immaginare un peso togliersi dal petto di entrambi. Non c’era bisogno di parole.
«Rivestiti Ichiji» ordinò Katakuri, piano e a corto di fiato per la storia raccontata e per il bacio.
Vinsmoke lo guardò perplesso, non capendo. «Come mai?».
Katakuri sospirò. «La mia famiglia ti ha invitato a cena».
Ichiji rimase senza fiato. «Quando?».
Il più grande si piegò sul comodino per sbloccare il cellulare e controllare che ore fossero.
«Fra mezz’ora circa».
   
 
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