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Autore: Yuki Delleran    28/03/2018    4 recensioni
« D'accordo, sì, si può fare. Voglio dire, non c'è davvero nessun problema, ce la caveremo alla grande. Se a Keith sta bene, ovviamente. » si ritrovò a rispondere annaspando un po' con le parole.
Non aveva la più pallida idea di dove sbattere la testa, non sapeva assolutamente come gestire eventuali situazioni d'emergenza, ma quella era già una situazione d'emergenza e il minimo che poteva fare era soccorrere un amico in difficoltà. Un amico, già.
« Mi basterà fare una telefonata per avvertire mia madre di aggiungere un posto letto. Scommetto che sarà felicissima di averti a Varadero! »
Quello che non sembrava particolarmente entusiasta era Keith stesso, e un po' poteva capirlo: finire a Cuba con lui non doveva sembrargli la soluzione più efficace al suo problema.
[post-canon, Klance]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Safe and Sound'
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Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Post-canon
Beta: Myst & Leryu
Word count:
2896


Era come se, per Keith, l'aria fosse diventata improvvisamente irrespirabile.
Nei giorni che seguirono la festa di anniversario dei nonni McClain, Lance provò più volte ad avvicinarsi con il chiaro intento di parlare, ma non glielo permise. Pur di evitarlo, Keith iniziò a passare molto tempo fuori casa, in paese o sulla spiaggia, vagando senza meta, la mente occupata da mille pensieri, uno più cupo dell'altro. Il ricordo di quanto successo lo tormentava: era la materializzazione dei suoi timori più profondi.
Era maturato abbastanza da riuscire ad ammettere a sé stesso di essere attratto da Lance e da riconoscere che l'affetto non era dovuto alla semplice gratitudine. Quello che non era pronto ad accettare, era l'idea di affidare tutto questo a qualcuno.
Il solo pensiero di mettere il suo cuore, le sue inquietudini, i suoi sentimenti nelle mani di un'altra persona, lo atterriva. Sapeva a malapena gestirli per conto proprio, coinvolgere qualcun altro era fuori discussione: rimettersi al giudizio altrui poteva essere impietoso. L'aveva imparato sulla propria pelle, era meno doloroso allontanarsi per primo, piuttosto che aspettare che fossero gli altri a farlo.
Keith era un mostro per metà alieno, non poteva permettere che altre persone venissero coinvolte in quella faccenda, le conseguenze sarebbero state disastrose. Non ultimo, lui ne sarebbe uscito con il cuore a pezzi quando sarebbe giunto il momento del rifiuto. Perché sarebbe arrivato, lo sapeva. Arrivava sempre.
Non avrebbe dovuto concedere a Lance di avvicinarsi tanto e crogiolarsi in quella situazione. L'unica soluzione, ora, era dare un taglio netto a tutto, magari trovare il modo di andarsene, mettere più distanza possibile tra sé stesso e quei sentimenti distruttivi.

« Come sarebbe che non lo sai? Vivete insieme e non lo sai? »
La voce di Pidge suonò seccata anche attraverso il telefono e Lance si trattenne a stento dal lanciarlo dall'altra parte della stanza.
No, non ci capiva più niente! Keith sembrava aver deciso che quella convivenza era giunta al termine e che lui non fosse nemmeno degno di esserne informato. Non sapeva come stava, perché era passata una settimana e non gli rivolgeva la parola, non stava più di un minuto nella stessa stanza e trascorreva più tempo in giro che a casa.
Sua madre era molto preoccupata e non si capacitava di cosa fosse successo. Addirittura Michelle, che di solito non prendeva mai niente sul serio, era andata a scusarsi con lui per il suo comportamento: temeva che l'atteggiamento di Keith fosse dovuto al disagio provocato dai suoi scherzi. Lance aveva impiegato un intero pomeriggio a convincere entrambe che non avevano responsabilità, che Keith ce l'aveva solo con lui. Non se l’era sentita di scendere nel dettaglio dei motivi, ma sua madre e sua sorella erano delle ottime osservatrici: non aveva dubbi che avessero già capito tutto.
« Beh, qualunque sia il problema, devi venirne a capo. Shiro ha ricevuto delle segnalazioni dalla Garrison, è stata rilevata attività aliena in quella zona. »
Il tono di Pidge questa volta si fece perentorio.
« Lance, non puoi dire di non sapere cosa stia facendo Keith, non a questo punto. »
Lance imprecò tra i denti: maledizione, cosa stava combinando quell’idiota? Sembrava qualcosa di spaventosamente serio.
« È una cosa seria. » confermò Pidge, leggendogli nel pensiero. « Molto seria. Hanno tirato in ballo l'FBI, stiamo venendo lì accompagnati da alcuni agenti. Ufficialmente sono la scorta di Matt, in quanto ambasciatore terrestre della coalizione, ma in realtà vengono per indagare. »
Lance strinse i pugni tentando disperatamente di non cedere al panico. La situazione era precipitata all’improvviso.
« Ok, questa è la cattiva notizia, ora dammi quella buona. Perché ne hai una buona, vero, Pidge? » la implorò.
« Abbiamo l’antidoto. »

Quando Lance riattaccò, si concesse un paio di minuti per prendere fiato e calmarsi. Aveva bisogno di ragionare lucidamente: non era più il momento di scherzare o perdersi dietro a drammi sentimentali. La realtà, che aveva la pessima abitudine di avere a che fare con laboratori di ricerca governativi e morbosa curiosità verso le forme di vita aliene, aveva deciso di invadere il loro paradiso privato. Non potevano più fare finta di essere due adolescenti in vacanza.
La prima cosa da fare, ora, era mettere da parte tutte le remore e parlare con Keith, capire cosa stava succedendo e se lui era davvero coinvolto.
Si fece coraggio e bussò quindi alla porta della sua stanza.
Non ottenendo risposta, tentò di nuovo.
« Keith! So che non vuoi parlarmi, che non vuoi nemmeno vedermi, ma è importante. Ho appena parlato con Pidge, ci sono delle novità e...»
Senza pensarci si appoggiò alla maniglia e questa si abbassò sotto le sue dita.
Lance non voleva essere inopportuno, specialmente dopo quello che era successo, ma avevano davvero poco tempo. Per questo spinse leggermente la porta e mosse un passo nella stanza.
« Keith, sto entrando. Scusami, è davvero un'emergenza. »
La camera era semibuia a causa delle tende tirate, ma Lance individuò immediatamente la figura raggomitolata sul pavimento ai piedi del letto. Le sue spalle si alzavano e si abbassavano troppo velocemente, per via del respiro affannoso. L'espressione del volto che si alzò su di lui era atterrita, la pelle tinta di chiazze più scure.
Lance sentì qualcosa annodarsi all'altezza del petto e si precipitò nella stanza.
« Ma che diavolo... Keith! » esclamò, prima di riuscire a fermare l'ondata di rabbia che si era impadronita di lui.
Lo afferrò per la spalla e lo scosse bruscamente.
« Che stai facendo?! Eravamo d'accordo che ti avrei aiutato! Perché non sei venuto da me? Perché non me l'hai detto? »
Keith allontanò la sua mano con un gesto secco e balzò in piedi, furioso.
« Non mi toccare! » ringhiò, snudando le zanne.
Lance rimase sgomento da quella nuova mutazione, ma non indietreggiò.
« Degli agenti del governo stanno venendo qui! La Garrison ha rilevato tracce di attività aliena, sei stato davvero tu? Cosa ti dice il cervello?! »
« Non è affar tuo! » sbottò Keith di rimando, alzando la voce. « Non impicciarti in cose che non ti riguardano! »
« Vaya mierda, Keith! Mi riguardano eccome, sei in casa mia! »
Lance aveva urlato quella risposta con tutta le frustrazione accumulata in quei giorni, ma non si sarebbe mai aspettato di vedere un'espressione tanto sconvolta. Gli servì un attimo per realizzare che quegli occhi spalancati, dalle iridi dorate, non fissavano lui ma qualcuno alle sue spalle.
Voltandosi, si trovò faccia a faccia con sua madre e Michelle, evidentemente attirate dalle urla, entrambe chiaramente spaventate.
« Mamà... » iniziò, ma la sua attenzione venne riportata all'interno della stanza dal rumore un tonfo.
Keith era indietreggiato fino a toccare la parete opposta e la finestra con la schiena.
Lance lo vide allungare una mano per aprire i vetri.
« No! Keith! » esclamò, ma nei suoi occhi vide il panico cieco di chi non è più disposto ad ascoltare.
Bastò un tocco per spalancare i vetri e un balzo per scavalcare il davanzale.
Lance rimase con una mano testa in avanti, in un gesto inutile, sentendosi stupidamente impotente.

« Lance! Come siete messi? Saremo lì tra circa due ore e mezza. Siamo riusciti, non chiedermi come, a convincere gli agenti ad atterrare all'aeroporto di L'Avana invece che a quello di Varadero. É stata una delle magie di persuasione di Shiro per darvi tempo, sono stupefatta io per prima che gli abbiano dato retta, sarà l'aura del leader. Rendetevi presentabili velocemente, potremmo metterci anche meno. Quei due sembrano seccati e per nulla intenzionati a una gita di piacere. »
Pidge parlava velocemente, riversando addosso a Lance una cascata d'informazioni senza che lui  riuscisse a interromperla. Solo quando prese fiato, trovò modo di parlare.
« Quiznak, Pidge, hai chiamato neanche un'ora fa! Come avete fatto a... »
« Ero sull'aereo, ti ho chiamato di nascosto dal bagno. Ora dimmi che è tutto a posto. Dimmelo o avrò una crisi di nervi che Shiro sarà costretto a far passare per un attacco di panico o qualcosa del genere, quando torneranno dal bar. »
Di sottofondo poteva sentire la voce di Hunk che tentava di blandire la ragazza.
« Vorrei poterlo fare, Pidge, davvero, ma... »
Prese un respiro profondo. Non sarebbe stato divertente.
« Ho perso Keith. »
L'urlo di Pidge per poco non gli perforò un timpano.
« Ok, no, forse perdere è un termine esagerato. » tentò di spiegarsi. « È solo che… se n’è andato. È scappato via nel bel mezzo di una delle sue crisi emo-aliene, forse perché i miei l’hanno scoperto o forse perché sono un idiota. Comunque. É scappato verso la zona delle spiagge, posso trovarlo facilmente. »
Sentì Pidge parlottare con Hunk per qualche istante, poi tornare a rivolgersi a lui.
« Abbiamo un piano. Aspettaci a casa, intanto cerca di calmare e acque con la tua famiglia. Quando arriveremo, Hunk e Shiro penseranno a un diversivo mentre noi andremo a cercare Keith. Ho l’antidoto, se glielo diamo si risolverà tutto. »
« Un diversivo? Sono agenti dell’FBI, non si lasceranno distrarre da… »
« Stanno tornando, devo andare! »
Lance riattaccò sospirando.
Le cose si mettevano male. Anzi, a essere sinceri, era da un po’ che le cose non si mettevano così male. Quel senso di ansia che gli chiudeva lo stomaco non gli era mancato per niente.
Si voltò per lasciare la propria stanza ma, alzando gli occhi, incontrò quelli neri di Michelle che lo fissavano dalla porta. Avrebbe dovuto essere spaventata, ma il suo sguardo non aveva nulla d’intimorito: sembrava una leonessa pronta a difendere i suoi cuccioli, in qualche modo gli ricordò Allura.
« Alieni? FBI? Credo che tu ci debba una spiegazione, Lance. » disse, in tono deciso.
« Lo so, mi dispiace, ma vi giuro che Keith non è pericoloso! Non ha mai fatto del male a nessuno! O meglio, solo quando si trattava di combattere mostri viola nello spazio, di quelli ne ha affettati parecchi, ma… »
« Lance! Non c’è tempo per questo. Che è importante per te lo sappiamo, ma non possiamo aiutarti a proteggere Keith se non ci dici esattamente cosa sta succedendo. »
Quelle parole ebbero il potere di farlo respirare più liberamente: i suoi compagni stavano arrivando, la sua famiglia lo appoggiava, sarebbe andato tutto bene.
« Ok, riunione d'emergenza! Mamà, Luis, anche voi! Ascoltatemi! »

Quando il campanello suonò, tutti erano ai loro posti di combattimento. Ad aprire la porta fu Michelle, che si esibì in un'espressione sorpresa degna della migliore delle attrici.
« Buongiorno, signorina. » la salutò un tipo alto e vestito di scuro, mostrando un distintivo. « Agente Smith. Questo è il mio collega, l’agente Todd. Siamo… »
« Oh, non ditemelo! Servizi segreti! Scommetto anche che quelli sono nomi falsi! » cinguettò la ragazza. « Sembra di essere in un film! Inseguite una spia? Un trafficante d’armi? Vi dirò tutto quello che so! »
Quell’uscita sembrò spiazzare i due, che si guardarono l’un l’altro, perplessi, ridimensionando le espressioni minacciose.
« Siamo solamente la scorta dell’ambasciatore Holt. » disse Todd. « Siamo qui con i Paladini di Voltron per vedere Lance McClain, suo… »
« Fratello! Lance è mio fratello, io sono Michelle. Ora non è in casa, ma potete aspettarlo. Prego, accomodatevi, accomodatevi! »
Strinse la mano a Shiro, Hunk, Matt e Pidge, riservando alla ragazza un sorriso più accentuato, che venne prontamente colto.
Si avviarono tutti verso il salotto, dove Estella e nonna McClain stavano pacificamente prendendo un tè.
« Mamà, abbiamo visite. Sono tutti colleghi di Lance. » annunciò Michelle, con una naturalezza disarmante. « Ci sono anche due agenti segreti! Non è emozionante? »
Di nuovo i due parvero vagamente a disagio, mentre Estella si alzava per accoglierli.
« Se cercate Lance, ci metterà un po’. È fuori in barca con mio marito e Keith, ma potete aspettarlo. È un onore avere in casa mia la squadra dei Paladini al completo e… »
S’interruppe e spalancò gli occhi.
« Hunk! Figliolo! È passata un’eternità! Come stai? »
Gettò le braccia al collo del Paladino Giallo, che ricambiò la stretta con trasporto.
« Sto bene, tía! » esclamò, sfoderando un vecchio nomignolo. « E muoio di fame. Fai ancora quei biscotti stratosferici? »
« Ma certo, mi niño! Ne ho giusto una teglia in forno, vieni a vedere! Voi mettetevi comodi, porterò il tè per tutti. »
Mentre i due uscivano dalla stanza, Pidge si avvicinò discretamente a Michelle.
« Chiedo scusa, ehm… il viaggio è stato lungo… » iniziò, con apparente imbarazzo. « Potrei usare il bagno? »
« Oh, ma certo! Non fare complimenti! » rispose la ragazza, sollecita. « Lo trovi in fondo al corridoio, sulla destra. »
Pidge non aveva ancora fatto in tempo ad avviarsi, che una nuova esclamazione eccitata proruppe nella stanza.
« Oh, Dios mío, sei Takashi Shirogane! Non ci posso credere! » strillò Luis. « Lance mi aveva detto che lavorava con te, ma non l’avevo preso sul serio! »
Shiro gli rivolse uno sguardo incerto; il ragazzino continuò.
« Ti ammiro da quando ero alto così, sei il mio idolo! Ho un tuo poster appeso in camera, me lo autograferesti? »
« Veramente non so se… »
« È questione, di un attimo! Ti prego! »
Un momento dopo nella stanza era rimasta solo nonna McClain, che sorseggiava il suo tè, oltre a Matt e ai due agenti.
Questi ultimi rivolsero uno sguardo confuso all’ambasciatore, che allargò le braccia, indulgente.
« Sono degli eroi, è giusto che abbiano i loro momenti di gloria. »
La stanza in fondo al corridoio sulla destra, ovviamente, non era affatto il bagno.
Lance chiuse velocemente la porta della sua camera. Non avevano tempo per grandi spiegazioni e sperava che il loro lavoro di squadra funzionasse ancora bene come quando erano nello spazio.
« Non possiamo fare passi falsi proprio adesso. » esordì Shiro. « Il progetto della coalizione potrebbe saltare. Il governo sembrava propenso, ma la verità è che ci sta andando con i piedi di piombo. Keith? »
Sembrava molto preoccupato.
Lance scosse la testa.
« É là fuori da qualche parte, credo si sia nascosto da qualche parte sulla spiaggia. Shiro... mi dispiace, è stata tutta colpa mia. »
Il Paladino Nero non ebbe modo di replicare: venne interrotta dal tono indignato di Luis.
« Balle! Non è stata affatto colpa tua! Hai fatto tutto il possibile per farlo sentire a suo agio, per farlo sentire accettato! Me ne sono accorto persino io! Se Keith se n'è andato, è... »
« Luis! »
L'esclamazione secca di Lance troncò la protesta, ma la voce del ragazzo si ammorbidì subito dopo.
« Grazie, ma so che si tratta di una mia responsabilità. Ho commesso una leggerezza e le leggerezze, in guerra, si pagano care. »
A quelle parole, Hunk e Pidge si avvicinarono immediatamente a lui e sentì la mano dell'amico posarsi sul suo braccio.
« Non siamo in guerra, Lance. » disse Hunk, in un tentativo di conforto. « Non in quel genere di guerra, almeno. É una situazione delicata, possono capitare dei passi falsi. »
« Se i miei passi falsi si ripercuotono su Keith, allora no, non devono capitare! »
Shiro tentò nuovamente di dire qualcosa, ma Lance lo prevenne.
« Scusate, è vero, non abbiamo tempo per questo. Avete portato l'antidoto? »
L'espressione del Paladino Nero diceva chiaramente che avrebbero ripreso il discorso più avanti e Lance sapeva che non sarebbe sfuggito alla sua lavata di testa. Ora però Keith aveva la priorità.
« Sì, ce l’ha Pidge. Mostraci come uscire senza essere visti. Dobbiamo muoverci in fretta. »
« Non possiamo andare tutti, sarebbe troppo sospetto. » obiettò Pidge. « Shiro, tu e Hunk dovete rimanere qui e tenere impegnati gli agenti. Io so come maneggiare l’antidoto, andrò con Lance. »
Era un discorso perfettamente ragionevole e persino Shiro non trovò nulla da ridire: sembrava l’unica soluzione possibile. Si augurarono vicendevolmente buona fortuna e i due compagni uscirono dalla stanza in compagnia di Luis, per tornare a interpretare i loro ruoli.
Pidge e Lance li seguirono silenziosamente un attimo più tardi.
Dal salotto provenivano le risate di Michelle, miste alle battute di Matt e al tintinnio delle stoviglie. Non potevano usare la portafinestra; l’unica possibilità era dall’ingresso, ma questo implicava attraversare il corridoio in un punto visibile, anche se solo per lo spazio di una porta.
« Li distrarrò io. »
La voce di Estella fece sobbalzare entrambi.
La donna si avvicinò con espressione risoluta.
« Mamà… »
« Entrerò con la teglia di biscotti e farò in modo che tutti si voltino nella direzione opposta alla porta. Dovrete essere veloci, però. »
Lance annuì.
« Grazie, mamà, per tutto quello che fate. » mormorò. « Specialmente dopo che… »
La donna lo abbracciò d’impulso.
« Sai come si dice, no? Se vuoi bene a qualcuno puoi farne a meno, se lo ami non puoi vivere senza. Credi che non abbia notato come vi guardate? Come vi cercate con gli occhi quando uno dei due non è nelle vicinanze? Non ha importanza quello che Keith sia o pensi di essere. Vai a prenderlo, Lancey, e riportalo a casa. »
Quelle parole provocarono un nodo di commozione in fondo alla gola di Lance, che gli impedì di rispondere diversamente da un semplice cenno del capo.
Un istante dopo, Pidge lo stava trascinando via.

 

 

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