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Autore: laragazzadislessica    01/04/2018    0 recensioni
Dal testo:
- Stai bene? -
Le disse qualcuno che poi vide. Aveva i capelli neri e la pelle chiara. Damon? Eppure quella non era la sua voce, poi i suoi occhi misero a fuoco. Enzo. Enzo?
- Cosa è successo? - gli chiese mentre lei si chiedeva invece come aveva fatto a non riconoscere quell'accento. Non gli rispose solo perché quello che era successo non le era ben chiaro e svelta si alzò, ma di nuovo la testa le girò così forte da costringerla ad aggrapparsi alla sua mano.
- Piano piccola, ti ho appena riportato indietro dalla morte. -
Dalla mia storia Connessione, ho estrapolato le vicende di Damon, Elena, Katherine, Nadia, Stefan, Bonnie e Enzo creando un'altra fanfiction piena di colpi di scena e misteri.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie Bennett, Damon Salvatore, Enzo, Katherine Pierce, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Katherine/Stefan
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ad un tratto non riuscì più a respirare. Fu come sognare di annegare ma quel mare non era freddo, anzi, avvertiva un calore ovunque. Il suo spirito di sopravvivenza le ordinò di aprire gli occhi e lo fece, però fu come se non l’avesse fatto. Cos’era tutto quel fumo? Sorvolava sul suo capo rendendo quello che era il soffitto della sua cantina, una nuvola nera. Si alzò, ma dovette farlo piano perché la testa le girava come una trottola. Da quanto era rimasta lì e per quanto tempo aveva inalato tutta quell'anidrite carbonica? L’ultima anima che l’aveva usata come ancora, era stata bella tosta da sopportare e il dolore provato le aveva causato uno svenimento bello pesante, quindi era certa di avere i suoi polmoni pieni di quella roba. Tossì e la gola le si strinse così tanto da farle male, allora succhiò un po’ di saliva per poi sputare in modo tale da pulirsi la bocca da quella fuliggine, ma ovviamente non bastò. Riuscì comunque ad alzarsi il collo della maglietta bianca sul naso a mo di mascherina, in fondo era sempre Bonnie Bennet ed era resistita a ben peggio. Racimolò le forze per sovrastare la barriera dell'intontimento per poter tornare in se, ma ci riuscì solo di poco, giusto il necessario per iniziare a strisciare sul pavimento. Si guardò attorno e vide la porta della cantina completamente ornata aria nera fluttuante. Era da lì che propagava il fuoco. Dalla sua casa. La sua casa stava incendiando e da lì non poteva di certo uscire. Per fortuna quella era una casa vecchia e vecchio era il modo in cui era stata costruita, perciò la sua cantava aveva due porte. L'altra si trovava su una rampa di scale dall'altra parte dell'incendio, dove infatti il fumo era un lieve sbuffo grigio. Doveva solo arrivarci. Con le braccia iniziò a trascinarsi sul suolo e a mano a mano che si muoveva e consumava aria, inalava quella roba indebolendosi sempre di più. Tossì ancora e ancora, ma non doveva fermarsi. Sentiva le narici impiastricciate, la bocca secca e gli occhi le lacrimavano dal bruciore, eppure quella porta le sembrava più vicina. Ancora quattro strisciate, tre, forse due e con un ultimo sforzo allungò la mano al primo scalino. Degli scricchiolii, come se del legno si stesse rompendo, si udirono proprio alle sue spalle. L'incendio si stava propagando mettendo fine a quella che era la sua casa, ai suoi ricordi, e sarebbe stata anche la sua se non si fosse mossa. A gattoni salì i primi scalini e nella gola avvertì come se uno sciame d’api impazzite le stessero pungendo le carni dall'interno facendola tossire di nuovo. Per due, tre, sette e altre volte in quella che era una vera e propria crisi. Per potersi calmare ispirò profondamente, non doveva farlo perché stava solo peggiorando la cosa, ma che altro poteva fare. Fortunatamente la tosse le diede un attimo di tregua che le bastò per arrivare all'ultimo scalino. Allungò la mano a quella che era la porta che le avrebbe regalato la salvezza, fatta di sole due ante trasversali, e trovò resistenza. NO. Era chiusa. Ricordò il lucchetto e la doppia catena che avvolgeva entrambe le maniglie. Chiuse gli occhi per concentrarsi. Era stata capace di aprire la tomba di Esther Mikealson, quindi poteva benissimo farlo anche con uno stupido lucchetto, poi ricordò. Non era più una strega. Nel panico si buttò contro a quelle assi di legno tentando di sfondarle, ma oltre ad alzarsi di qualche centimetro non fecero altro. Allora urlò. Urlò a squarcia gola continuando a battere con le mani e anche con la spalla, che qualcuno la potesse aiutare, ma gli intervalli con cui lo faceva diventavano sempre più lunghi. Aprì le palpebre spalancandole perché pesanti non volevano altro che chiudersi, e anche il petto iniziava ad alzarsi nel moto del respiro, sempre più lentamente. Aveva sprecato tutte le forze e il suo corpo ne stava risentendo, era stanca e non voleva fare altro che dormire. Infatti, avvertì la pesantezza tipica del sonno avvolgerle il corpo e dolcemente scivolò nel buio, fino a diventarne parte.
Aprì gli occhi tossendo. L'aria pulita le esplose nei polmoni come la vita. Era viva. Su di se il fumo nero non c'era più e un cielo celeste le disse che era uscita. Era fuori. Era salva. Come?
- Stai bene? -
Le disse qualcuno che poi vide, dai capelli neri e la pelle chiara. Damon? Eppure quella non era la sua voce, poi i suoi occhi misero a fuoco. Enzo. Enzo?
- Cosa è successo? - gli chiese mentre lei si chiedeva invece come non aveva fatto a riconoscere quell'accento. Non gli rispose e svelta si alzò, ma di nuovo la testa le iniziò a girare costringendola ad aggrapparsi alla sua mano.
- Piano piccola, ti ho appena riportato indietro dalla morte. -
Bonnie era stessa a terra con il capo poggiato sulle sue gambe. Così non poteva fare altro che osservarlo, mentre lui con la testa volta in un punto verso la sua destra stava palesemente accertandosi di una cosa.
- Quanto ci mettono i pompieri in questa città? - disse tra i denti, ma Bonnie riuscì a sentire lo stesso e così tutto le venne in mente. La sua casa! La sua casa stava bruciando.
 - I miei grimori. - si accorse da sola che quello non era altro che un lieve bisbiglio e infatti Enzo si voltò verso di lei con l'espressione di chi stesse per chiederle, cosa?
- Enzo, i miei grimori, sono in cantina. - riuscì a parlare con una serie di affanni, ma ci riuscì.
- Piccola, vorrei ricordarti che ho un leggero trauma riguardo le case e gli incendi. - le sorrise come faceva lui, facendo muovere visibilmente la mascella sotto le sue guance lisce.
Bonnie deglutì per potersi idratare quella gola secca come il Sahara con quella saliva che sapeva ancora di fuliggine.
- Ti prego. - solo allora le parve che Enzo la stesse guardando negli occhi per la prima volta e non fu certa che fu solo una cosa di allora o da sempre, poi tornò a osservare quello che stava osservando da tutto quel tempo, poi Bonnie non lo vide più, e non vide nient'altro. Chiuse gli occhi riprendendo fiato e rilassandosi, ora che era finalmente al sicuro.
 
-              E tu vorresti salvarmi, perché? – Katherine era una pessima persona questo era certo e per quanto credesse nella buona fece di sua figlia, aveva imparato che nella vita nessuno estraneo ti salva a gratis. Quel campo nomade era uno dei più grandi che avesse mai visto, per non parlare del numero dei Viaggiatori di cui era formato. Era come se si fossero riuniti per un grande evento, e quell'evento sembrava essere lei. Si sentiva osservata come un unico esemplare di animale rimasto sulla faccia della terra.
Philip liberò una mano dall’intreccio delle braccia incrociate sullo stomaco, facendole segno di sedersi su quello che era un grosso tronco d’albero disteso. Katherine osservò Nadia trovando i suoi occhi complici e tranquilli, e poi la vide muoversi nel cogliere quell’invito. Katherine la seguì, ma anche dopo essersi accomodata non si sentì affatto a suo aggio.
-              Li devi scusare, ma è la prima volta che vedono una Doppelgänger. – l’uomo sorrise e quel gesto a modo stonò con il suo aspetto da duro e quindi Katherine non si rassicurò per niente.
-              Quello che usi non è il tuo corpo originale. –
Katherine scosse lievemente il capo perché non aveva capito se quella fosse una domanda o un’affermazione, ma non le servì dire altro dato che l’uomo proseguì concludendo.
-              L’ho sento. –
-              I viaggiatori possono fare queste cose? – chiese invece lei, osservando lui e tutto il pubblico non pagante che ancora non le toglieva gli occhi di dosso.
-              Non hai la minima idea di chi io sia, vero? – continuò poi quella voce rugginosa.
-              Dovrei? – e il suo ginocchio venne colpito da quello di Nadia. Katherine guardò la parte del suo corto che aveva ricevuto il colpo e poi sua figlia che continuava a far finta di niente. Il capo di quella tribù, invece sorrise quasi divertito prima di sedersi anche lui su una seggiola posta davanti a loro, del tipo pieghevole che non sembrava affatto adatta alla sua stazza.
-              Vedi è una lunga storia e sono felice di raccontarla a una come te, completamente ignara della storia della sua specie. - e mettendosi comodo iniziò il suo racconto. - Dal principio noi Viaggiatori vivevamo liberi come ogni altro essere, praticando la magia senza nessun tipo di limitazione, fino a quando qualcuno capì davvero di che cosa eravamo capaci di fare. Gli Hoenan. La prima razza soprannaturale nata su questa terra, tanto antica dal dirsi che sia stata la stessa natura a generarla e darle i poteri di cui erano dotati. In sostanza non erano altro dei licantropi potenziati, ma che comunque erano al di sopra di tutti. Le streghe usano la magia, la magia che proviene dalla natura, natura che era interamente giostrata da questi esseri, ma chi rimaneva fuori da tutto ciò, noi. L’unico genere che non sia stato autorizzato dalla natura, ma che potesse comunque usarla, eravamo gli estranei.  Però, non sembravano poi essere tanto interessati a noi, fino a quando non nacquero Silas e Qetsiyah. Due esseri tanto forti da poter creare l’incantesimo del vampirismo e anche una cura ad esso, risultando così essere in grado di non solo grandi cose, ma di poter usare la magia della natura creando esseri avversi a tutto quello che la natura voleva far rispettare. La vita. Quindi, gli Hoenan ci violarono la magia per essere risultati non degni di essa. In cambio i miei, o meglio dire i nostri, antenati non trovarono altra soluzione nell’uccidere Qetsiyah, unica rimasta dato che Silas dopo essersi trasformato in vampiro era poi stato trasformato da lei stessa in pietra, pensando così di aver soddisfatto il volere di quella specie e credendo così che li avesse spinti a perdonarli, ma non accadde, anzi le restrizioni diventarono sempre più forti. Ciò che però tutti ignorarono, era che Qetsiyah avesse nascosto una gravidanza. Quel bambino, figlio di lei e Silas, era stato portato lontano, a una famiglia di Viaggiatori che già avevano scelto di mettersi in fuga, sperando che nessuno arrivasse a sapere di chi figlio fosse, e fu così. Quel bambino che anche se figlio di Qetsiyah, non aveva però i suoi stessi poteri, era un Viaggiatore come lo sono io o te, e visse allungo sposandosi con un'altra Viaggiatrice ed avendo una bella bambina. Quest’ultima crebbe anche lei e generò anche lei dei bambini e così via, fino a che nacque Gourias, il tutto e per tutto erede dei due viaggiatori più potenti che questa terra avesse mai visto. I suoi poteri erano davvero ineguagliabili. La sua forza fu chiara a tutti anche da prima che nascesse trasferendo alla madre dei poteri incredibili. Giostrando la natura gli Hoenan non potettero non avvertire tale potere e per questo quel bambino era in pericolo, l’unica nostra salvezza. Fu così che iniziammo a scappare, a sparpagliarci per il mondo per poter rendere la nostra caccia più difficile perché quel bambino rappresentava la nostra unica salvezza, la nostra unica possibilità di libertà. Con il suo potere ci avrebbe reso più forti e ogni limitazione sarebbe andata via, dovevamo solo metterlo in salvo, ma trascurammo un grande fatto. Non solo gli Hoenan erano interessati a lui. Un giorno quel bambino andò a finire nelle mani sbagliate. Non si seppe come, l’intera famiglia discendente di Silas e Qetsiyah venne uccisa, rendendo Gourias l’unico erede di quel potere, ma di lui si persero le tracce. –
-              Scusami se ti sembrerò scurrile, ma puoi andare dritto al punto. – Katherine bloccò il ginocchio della figlia prima che la colpisse di nuovo, curvando la testa di lato. – andiamo, che lo stai pensando anche tu. – le disse poi coprendosi la bocca con la mano.
-              Quello che è successo al tuo corpo sta accadendo a tutti noi. –
Finalmente quel Phillip stava dicendo qualcosa che le interessava davvero e fu tutte orecchie.
-              Abbiamo trovato per anni un modo per ingannare la natura usando il potere di tutti noi insieme e questo ci ha sfiniti tutti, rendendo la nostra permanenza su questa terra limitata. Stiamo morendo Katherine e l’unico modo per evitarlo è Gourias. –
Il guardare sua figlia fu inevitabile. Si, aveva avuto paura quando aveva scoperto che la sua vita stava per giungere al termine, ma ora un pensiero le ghiacciò il corpo. Sua figlia, anche lei sarebbe morta?
-              Non dico che non voglio collaborare, ma io vi servo per? – decise di nuovo di tornare al punto di partenza, perché sapeva che in realtà c’era qualcosa sotto.
-              Me lo chiedi anche doppelgänger? –
Come aveva immaginato. Katherine annuì nell’aria, ma in realtà aveva già deciso. Avrebbe fatto di tutto per salvarsi e soprattutto avrebbe fatto di tutto per salvare sua figlia.
-              Ok, perfetto, dove troviamo questo Gourias. – si alzò in piedi anche perché non la poteva più di stare seduta su di un tronco che le stava segando il sedere.
-              Da nessuna parte, Gourias è morto. –
-              Cosa? – Katherine sbracciò nell’aria spazientita. Aveva ascoltato per mezzora quella tiritera per niente?
-              In realtà qualcuno mi ha detto che è stata proprio la doppelganger ad ucciderlo e con un paletto di quercia bianca. – e di riflesso Phillip si alzò per andarle in contro. Katherine si indicò andando indietro con la memoria.
-              Ho ucciso tanta di quella gente, ma con un paletto di quer… - poi si bloccò presa da un lampo di lucidità. La quercia bianca si usava per uccidere un originale e lei non ne aveva ucciso neanche uno, almeno che non stesse parlando di Elena
-              L’unica volta che questo corpo ha usato quel paletto è stato con Kol Mikealson, ma lui è… - si interruppe perché Phillip aveva appena schioccato le dita dopo aver udito quel nome.
-              Esatto, è proprio Kol Mikealson il nome che gli hanno dato. –
-              Credo di essermi persa qualche passaggio. – Katherine tornò a sua figlia a cercare conferma sull’assurdità della cosa, ma lei stavolta non contraccambiò il suo sguardo. – No, non può essere, Kol è un Mikealson. È un Mikealson, giusto? -
-              e questa è un'altra lunga storia, perciò che ne dici se… -  e le indicò di nuovo il tronco da cui si era alzata e quando poi la vide accomodarsi, iniziò a raccontare.
   
 
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