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Autore: Duncneyforever    03/04/2018    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Sono davvero io la ragazza riflessa? 

Cerbiatta impaurita tra le sue zampe di leone, gli occhi grandi e dolci, miele puro disciolto sulle guance arrossate, lo sguardo devastato da un orrore senza fine, lamenti soffocati in una gola troppo stretta per poter contenere tutto il dolore che provai quando vidi quel corpo sulla terra impura. 

Lui mi guarda proprio come se fossi un folletto o una creatura delle fiabe, incurante d'aver spezzato l'armonia perfetta nei suoi tratti nordici, d'aver storto la bocca in segno di dispiacere. Perché lo fa? Reiner è nobile, è potente, deve sempre apparire al meglio. Perché sprecarsi per una ragazzina franatagli ai piedi? 

Mi tengo lontana con le braccia protese in avanti, le mani schiacciate contro il suo petto, il viso piegato d'un lato per nascondere le lacrime copiose, tutto vanificato da due gemme preziose, luccicanti, incredibilmente azzurre, che mi richiamano a loro, inducendomi a contemplarle ancora e ancora, come zaffiri maledetti sottratti ad un forziere fantasma. 

Non ho mai visto occhi di un colore così saturo e puro; nemmeno quelli di Fried, che presentavano una pagliuzza più scura al di sotto della pupilla, avrebbero potuto brillare quanto i suoi. 

Sento vacillare le mie convinzioni per un instante, rimuginando sul concetto di " perfezione " e chiedendomi se è davvero questo ciò che intendono loro quando viene citata questa parola. 

Smettila, Sara, sono solo sciocchezze, tu non sei inferiore a nessuno e, se è per questo, nemmeno lui sembra pensarlo. 

Mi sento tirare in avanti, mi agito, poi il contatto. Fisico. Percepisco il suo collo fresco sulla guancia, la sua testa appoggiata sulla mia e, d'istinto, iniziano a salirmi i brividi. 

È come toccar la neve, prima gelida e poi bollente.

Una delle sue mani, che tanto mi piacciono, mi accarezza una guancia, per poi pizzicarla tra le nocche, all'altezza dello zigomo. 

- Vedrete che il tempo guarirà tutto, ma dovete dimenticare la felicità di ieri se non volete soffrire oggi - mi dà una pacca leggera sulla spalla e, nel mentre, faccio passare debolmente il braccino da una parte all'altra della sua schiena, singhiozzando al pensiero di dover rimuovere i ricordi di quel breve arco di vita. 

Lui non reagisce e intuisco che non ne sia abituato. Del resto, è un uomo giovane e dall’aspetto gradevole che, indubbiamente, non avrà freddo nel letto...

Ma nel cuore sì, però. 

Chissà se sarà dovuto alla sua origine, al suo carattere o alla sua fede cieca nella causa nazionalsocialista. 

Allontana entrambe le mani dal mio corpo, sicché mi vedo obbligata ad aggrapparmi come un koala per non cadere dalla sua altezza; poi, però, sentendomi così fragile e, con un moto di pietà, decide di ricambiare il gesto, afferrandomi per le anche a mo' di bambolotto e adagiandomi sul petto spazioso. 

Ha un buon odore, forse un po' particolare per un uomo; sa di lampone, uno dei miei frutti preferiti. Mi rilassa, mi pare quasi di sentire aria di casa, della mia vita precedente e delle mie scorpacciate di fette biscottate con quella marmellata un po' acidula. 

Male. Sento male, perché Reiner non dovrebbe ricordarmi niente se non la miseria al di fuori di questa casa. 

Eppure lui, proprio come Rudy, non solo riesce a convivere con la sua natura selvaggia e crudele, ma ne è anche orgoglioso ed è fiero di far parte di tutto questo. 

Dio mio, un demone reincarnato in essere umano come " oggetto " di conforto, come nuovo angelo custode. 

Dovrebbe esser lui a provare vergogna, invece sono io a non reggere il confronto e a vergognarmene. Indipendentemente dal fatto che sia un nazista, è comunque bellissimo ed io ho sempre avuto dei complessi, non mi sono mai sentita a mio agio nè con me stessa, nè con gli altri. 

Reiner non ha un solo difetto ed il fatto che mi stia toccando o anche solo guardando mi mette terribilmente a disagio. 

È una luce calda e sfavillante e un buco nero in grado di risucchiarti l'anima. 

Bell'Apollo dio del Sole e Ares impietoso, seminatore di morte. 

Pensare che, quando mi prese su per la prima volta, temetti quasi di insozzarlo...  

Mi son state dette tante cattiverie da quando sono qui, insulti che mi sono sempre lasciata scivolare addosso, ma che adesso iniziano a riaffiorare e a graffiarmi il cuore già fiacco. 

- So come si sentono - stacco le mani da lui, interrompendo ( e di malavoglia ) una vicinanza che mi donava conforto. Il biondo, in cambio, mi guarda interrogativo, attendendo di sentirne il seguito: - so come ci si sente ad essere giudicati, malvisti, derisi. Ogni singola particella del creato sembra esser contro di te e, sentendo il peso del mondo e del suo odio gravarti sulle spalle, ti senti sprofondare, inizi a creder a tutto ciò che ti viene detto e a starci male fino a non poterne più. Ti arrendi, non puoi far altro che questo, convinto di non valere niente, che la tua vita sia insignificante, praticamente indegna di essere vissuta. - Sospiro dolorosamente, ricordando di tutte quelle volte in cui Erika mi augurò di morire o di commettere un passo falso affinché potesse punirmi lei stessa e sentirmi urlare dal dolore. 

" Puttana italiana. " 

Stai buona, fai la brava, non ascoltare il tricolore che incita alla vendetta. Cosa potrai mai fare tu? 

Non sei un soldato, sei solo una ragazzina. 

- Chi vi ha messo in testa queste cose? - 

- Ho sentito cosa dicono di voi, ma ora ditemi: cosa avreste fatto se mi fossi ritrovata io in fila per la selezione? Guardatemi, mi avreste mandata a morire senza pensarci due volte e, se anche mi aveste tenuta, anche solo per scoparmi, mi avreste uccisa subito dopo, perché vi sareste sentito sporco... - Attendo di sentirlo parlare, con occhi pieni di lacrime. Dischiudo le labbra per gemere, umettandole di saliva. Lui emette un sussulto, le sue iridi rimbalzano da una parte all'altra all'interno della sclera, evidenziando il suo stupore. 

- Cosa dite - spezza il silenzio con un tono di rimprovero, prima di addolcire il cipiglio severo. - Con questi occhi, come avrei potuto farvi del male? Evitate il mio sguardo come se sapeste che ve ne farò, ma non sarà così, non ho alcuna intenzione di ferirvi. Chi vi ha messo questa paura? Ditemelo. - 

- Qui nessuno è tenero con gli stranieri, Herr Kommandant. Pensano che il nostro sangue sia impuro quanto il loro, ecco perché mi odiano. - 

- Quatsch! Cosa volete che ne sappiano loro della vostra purezza?! - Esclama, rimettendomi a terra, in piedi, davanti a lui. Preoccupata dal suo sbalzo di umore, ho l'istinto di piegare il viso verso il basso, ma mi viene impedito; 

- mai più, sempre verso l'alto... Così, brava. - Incrocio diamanti azzurri come le acque del Mediterraneo e parte della mia sofferenza viene dissolta da sè, sostituita da una vaga nostalgia di casa e del mare che la circonda. - Rispetto molto i vostri gloriosi avi, il vostro sangue è prezioso per me. - Quest'ultima affermazione mi causa un fremito e lui lo capta subito.

- Potete darmi del " tu " se può farvi stare più tranquilla - mi sorride, gentile, intento a sciogliere la barriera di ghiaccio che ci separa. 

Impossibile, lui è pur sempre mio nemico, anche se io non sono il suo. 

- Ho un modo di pensare e vedere le cose diverso dal tuo, Reiner. Forse è sconveniente il fatto che ci sia confidenza. - 

- In molti hanno criticato il mio operato, ma nessuno di loro ha mai pronunciato il mio nome in un modo così soave: qualsiasi cosa scivoli fuori da quelle labbra è un velluto dal quale non vorresti mai liberarti. - Mi asciuga le lacrime con le mani, probabilmente stufo di vedermi sempre piangere. 

- Stavi andando da qualche parte? -

Come se non lo sapessi, che il suo fanatismo gli impone contributi di sangue ogni giorno. 

Non sono sicura di volere un simile elemento accanto, ma la sola idea di restare sola mi fa precipitare nello sconforto. 

Alle sue spalle, intanto, compare un ragazzino dai capelli biondissimi e gli occhi celesti, buoni e vivaci ed un sorriso smagliante sulle labbra leggermente carnose; l'intera sagoma è sfocata, si muove a scatti, velocemente, troppo velocemente per esser messa a fuoco; ad un tratto, però, l'immagine si ferma e il mio Friederick compare come una figura celestiale graziata dalla morte: indosso non ha più la divisa che odiava, ma abiti normalissimi da teenager e una ghirlanda di fiori bianchi a circondargli il capo chiaro. 

- Non piangere, Sara. Sei giovane, goditi la vita che non vivrò mai - lui non apre bocca, ma sento comunque la sua voce nella mia testa per mezzo di una sorta di telepatia, giocosa come non la sentii in nessun'altra occasione. 

- No, da nessuna parte. - Mi distraggo solo un secondo per ascoltare Reiner e Fried si dissolve nell'aria, lasciandomi un vuoto devastante all'interno del petto. 

La morte non me l'ha restituito... Era solo frutto della mia immaginazione, una visione, niente di più. 

Pazza, sto diventando pazza. Vedo anche i fantasmi, adesso? 

- Resta con me - è l'amarezza che fa le mie veci, mentre l'assenza di emozioni fa tacere la repulsione. 

- Prometto, resterò fin quando vorrai. - 

                                                                            ... 

Pessima idea, è stata davvero una pessima idea, ma Reiner ha ragione, prendere una boccata d'aria fresca al di fuori di Oświęcim potrebbe farmi bene, anche se nulla potrà mai pareggiare la sua scomparsa.

Rüdiger la prenderà molto sul personale se non mi ritroverà a casa e, se poi si accorgerà anche della mancanza del comandante, saranno dolori. Ho paura di ciò che potrebbe accadere; il rosso è un uomo folle e possessivo e chissà come potrebbe reagire, del resto, il suo odio nei confronti del biondo è innegabile. 

- Fossi in te mi guarderei le spalle, perché troverà il modo di far sparire anche te - lo avverto, osservando fugacemente i campi incoltivati, situati nella periferia dell'unica vera " città " presente sul territorio dopo l'abbandono di tutte le altre: Auschwitz.

Reiner sorride in un modo alquanto buffo, divertito da quanto detto. Non perde di vista nè il volante nè la strada davanti a sè, ma perde un momento per mandarmi un'occhiata intenerita, o meglio, per compatire i miei occhi intristiti, distratti dalla vista del filo spinato con il quale Fried decise di metter fine alla sua vita.

- Prima mi hai parlato di quel ragazzo morto, ma non è stata colpa tua. - Lo guardo con aria interrogativa, colpita dall'argomento. - Conosco quell'espressione. Credi che se non ti avesse mai conosciuta, a quest'ora, sarebbe ancora sano e salvo, non è così? Non dovresti neanche pensarlo. Non sei stata tu ad ucciderlo, semmai dovresti esser contenta di aver alleviato la sua sofferenza nell'ultimo mese. Povero diavolo, solo quando parlava di te si sentiva vivo. - 

- L-lui t-ti aveva p-parlato di me? - 

- Oh, puoi scommetterci! Non faceva che ripetere al mondo intero di quanto tu fossi meravigliosa, bella e incredibilmente dolce. - 

Di nuovo lacrime, tante lacrime di rimpianto e rimorso. 

Lui vorrebbe che mi trattenessi, così come vorrebbe Fried, ma non è semplice: mi manca troppo, non ritornerà più e sapere quanto mi volesse bene mi fa star male; avrei dovuto seguirlo anche in Francia, se lo avessi fatto, tutto questo non sarebbe mai successo. 

Reiner accosta l'auto in mezzo al nulla pur di porgermi un fazzoletto, cosa non da poco. 

- Scusami - mi asciugo gli occhi con quel pannetto di stoffa bianca, con le sue iniziali ricamate in azzurro su un angolo. Ho paura di sciuparglielo, come farò a restituirglielo così? Lui mi rassicura, dicendomi che posso tenerlo, che tanto ne ha a decine; si sbilancia verso di me e mi faccio cogliere dal panico, rifugiandomi a ridosso del finestrino, dove è più facile chiudermi a riccio. - Tranquilla, non ti faccio niente - mi fa una carezza sul contorno del viso e mi trasmette dolcezza, ma ancora non mi fido: la testa mi consiglia di stargli lontana, mi ripete che è un maledetto nazista, che ha un secondo fine, che nessuno dà mai niente per niente; il cuore, invece, mi prega di non trattarlo male, ripete che lui, a differenza di Rudy, mi considera come una donna e non come un oggetto e che merita una possibilità. 

- Poco lontano si trova una città chiamata " Kattowitz "... Vorresti fermarti? Ti offro qualcosa. - Alzo gli occhi fino ad intrecciare i suoi e rispondo di sì, dicendo anche di non volergli far spendere soldi. Lui scuote la testa, mostrandomi il portafoglio traboccante di Reichsmarks. 

Mai visti tanti soldi tutti in una volta, credo mi siano brillati gli occhi dalla sorpresa... È questo ciò che si può guardagnare uccidendo persone innocenti? Valgono più un uomo, una donna, un bambino morti piuttosto che vivi? 

Reiner riprende la strada tranquillo, lasciandomi colma di perplessità. Io ho smesso di contare le volte in cui ho visto l'ombra di Friederick lungo la strada, camminare sul margine, sorridermi e poi scomparire. Passeggia tranquillo, ciondolandosi da una parte all'altra senza seguire un tratto preciso; getta la testa all'indietro per godersi il sole estivo, per riscaldarsi il viso raggiante; permette al venticello dispettoso di buttargli all'aria la chioma aurea, resa luminosa, biancheggiante sotto i tiepidi raggi di luce. 

- Lebe. - 

Riconoscerei la sua voce tra mille, è proprio la sua. 

- Torna da me Fried- perchè non puoi essertene andato così, senza una parola, senza un addio. Torna qui, aspetta, lascia che ti saluti per l'ultima volta. 

- Hai detto qualcosa? - Reiner continua a guardare avanti, ad aspettare che un carretto trainato da un bue attraversi la strada; vedo che sul carro c'è un uomo, una donna e tre bambini, i quali ammirano con meraviglia l'auto del tedesco, una bellissima Bugatti Atlantic, la macchina più bella e più costosa che sia mai stata costruita. Che io sappia, uscì solo in quattro esemplari e una di queste, per l'appunto, andò perduta durante la seconda guerra mondiale. 

Incredibile, quasi mi commossi quando la vidi, anche perché ero più che convinta che fosse sfuggita al sacco nazista in Francia e invece eccola qui, al servizio di un ufficiale tedesco. 

Ma come gli è venuto in mente di portarsela qui? Ha idea di quanto valga ad oggi? 

Ovviamente no, sciocca, che domande fai? È persino improbabile che lui riesca a metter piede negli anni duemila. 

È stata venduta per quaranta milioni di dollari; se lo avesse saputo, di certo non l'avrebbe usata mai. 

Probabilmente non gli è costata neanche così tanto, essendo trafugata e anche piuttosto scomoda. 

Intanto, la strada ci viene sgomberata, anche " grazie " all'aiuto di alcuni soldati tedeschi, che minacciano la famiglia di sbrigarsi, puntandogli contro anche delle armi da fuoco. " Scusate, perdonateci " vorrei dirgli, vedendo il carretto sparire per le stradine tracciate tra i campi di grano. Entriamo a Katowice o Kattowitz, una città piuttosto importante della Slesia, vicina a Cracovia e, purtroppo, sede di uno dei tanti sottocampi di Auschwitz. Gli ebrei che vi risiedevano sono già stati deportati e la sinagoga distrutta, come testimoniano i resti. La città è bella, non sono state apportate grandi modifiche ma, nel centro della città e nelle piazze, si nota l'assenza di qualcosa, in particolare modo, dei suoi abitanti, rintanati all'interno delle proprie case per paura dei tedeschi o sparsi per le strade, comunque, non completamente tranquilli a causa della stessa motivazione. Reiner si fa largo senza difficoltà, suscitando sorpresa e spregio nel cuore dei cittadini; parcheggia in una piazza del centro, dove alcuni alberi piantati in appositi spazi possano far ombra alla sua macchina di lusso. Il colore nero lucido è una calamita per i raggi solari, quindi non bisogna esporla troppo o si rischierà di surriscaldarla e, di conseguenza, cuocerci dentro. Un bambino dai capelli biondi tira la mano della mamma verso di noi, o meglio, verso l'oggetto luccicante al nostro fianco e la trascina fin qui per contemplarlo; la donna fa fatica a stargli appresso, prova a trattenerlo, ma non ci riesce, sopraffatta dal suo entusiasmo. Ha un'espressione di puro terrore, rughe di preoccupazione ad invecchiare il suo viso ancora giovane. 

- Nie, Szymon! Nie dotykay! / No, Szymon! Non toccare! - Il bimbo appoggia le manine su una delle portiere, ma viene trascinato via dalla madre, che lo nasconde dietro il suo corpo magrolino, piangendo e gemendo qualche parola nella sua lingua. Io prendo tempo per studiare l'espressione di Reiner, per cercare di capire le sue intenzioni e vi colgo una calma piatta. 

Non sembra dargli fastidio, anzi, sembra felice che qualcuno esprima apprezzamento per la sua auto. La donna fa scudo con il suo corpo affinché non gli faccia del male, però lui decide comunque di andare dal piccolo polacco, riscontrando l'incredibile tenacia e inflessibilità della madre, che non è intenzionata a lasciare che un nazista tocchi suo figlio. 

Io le faccio segno di non far nulla, avendo ormai appurato le buone intenzioni del comandante. Lei mi guarda dubbiosa, con occhi tanto verdi quanto quelli del piccolo e lo prende a sè, piegandosi alla sua altezza . 

- Podoba ci się? / Ti piace? - Anche Reiner flette le ginocchia ma, essendo altissimo, persiste nel superarlo di almeno una decina di centimentri. Io resto sbalordita nel sentirlo parlare polacco, così come la donna, che non se lo aspettava minimamente. Il tedesco, poi, gli dà una pacca reiterata sulla spalla, facendolo ridacchiare; 

- Tak, proszę pana. Jest piękna. / Sì, signore. È bella. - L'uomo sorride, porgendogli una caramella pescata dalla tasca. Il bambino ne è contentissimo, tanto che prende a saltellare sul posto. - Dziękuję, dziękuję! - 

Reiner prende la mia mano nella sua, senza vergogna e, subito dopo, mi chiede di seguirlo. 

Le mie dita fanno fatica ad intrecciarsi con le sue tanto mi ballano ed il mio viso si fa rosso, lo sento scottare e sono sicura che, questa reazione, non sia affatto dovuta al caldo: appena l'ho toccato ho sentito una scossa leggera invadermi da cima a fondo, perché nessuno, fino ad ora, mi aveva mai tenuta per mano, non in questo modo, chi mai si permetterebbe? Stringo più forte per farle aderire, per impedirgli di solleticarmi il palmo con i polpastrelli, ma lui si libera subito, prendendo ad accarezzarmi il polso in modo alquanto suadente.

- Perché? - Glielo chiedo con l'ingenuità di una bambina e lui mi risponde che lo fa sentire realizzato il sapere che, in caso di bisogno, sarebbe in grado di proteggermi, di tenermi al sicuro. 

Beh, mi ha colta alla sprovvista, non è propriamente ciò che mi aspettavo di sentire; se vuole vedermi come una pulzella da salvare ben venga, mi basta non essere pugnalata di nuovo alle spalle come fece Andrea, che barattò la nostra amicizia per una mera illusione.

Anche se non credo che Reiner sia quel tipo di uomo, la paura c'è sempre... Però c'è grande rivalità tra i due, perché Rudy avrebbe voluto affidarmi a lui? Non sa neanche che siamo insieme, penso impazzirebbe se lo scoprisse. 

Lo escludo, è impossibile. Forse e dico forse posso fidarmi. 

- Du, Jung, steh auf! - Si rivolge ad un soldato seduto su una panchina, in compagnia di una ragazza, il quale, balza immediatamente in piedi non appena si dà conto di aver di fronte un comandante delle SS. Il ragazzo avrà qualche anno in meno rispetto al biondo e pare piuttosto emozionato di vedere un uomo di neanche trent'anni già decorato con la fantomatica croce di ferro; è tangibile il suo desiderio di notorietà, lo vedo da come si infiammano i suoi occhi scuri alla vista di quelle stellette; so che sogna un'ascesa simile alla sua ma, ciò che lui non sa, invece, è cosa dovrà fare per ottenerle... Vendere la sua anima al diavolo. Stende il braccio in avanti per salutare il suo superiore, osannandolo come fosse un eroe. 

- Sagen sie mir, Herr Kommandant, ich stehe zu Ihren Diensten! / Ditemi, comandante, sono al vostro servizio! - La ragazza al suo fianco non ha idea di cosa stia succedendo, resta seduta e sbatte le lunghe ciglia nere, cercando di capirci qualcosa. Ha labbra grandi color porpora e il rossetto un po' sbavato, il che mi fa intuire di aver interrotto un bacio non propriamente casto. 

- Wirf ein Auge auf mein Auto, oder werde ich dich für die Schäden finden. / Tieni d'occhio la mia auto, o verrò a cercarti per i danni. - Il soldato stira un sorriso allarmato, constatando la gravosità dell'incarico. 

Io stessa non vorrei aver cura dell'auto di un uomo così grosso e minaccioso, in particolar modo, di quell'auto... Che, da sola, varrà più dell'equivalente del mio peso in plutonio, radiazioni escluse. 

- Jawohl, Herr Kommandant. Es wird nichts passieren. / Sissignore. Non le capiterà niente.  - 

- Noch etwas: mach dich zurecht. Ein deutscher Soldat muss immer seinen Ruf einwandfrei zu bewahren. / Ancora una cosa: datti una ripulita. Un soldato tedesco deve sempre mantenere impeccabile la sua reputazione. - Il ragazzo si pulisce il viso e il collo dai residui di rossetto e si rassetta i capelli arruffati, tenendo molto a far bella figura con Reiner. 

- Niedlich deine Freundin! Ist sie Polin? / Carina la tua ragazza! È polacca? - Addocchia la ragazza sulla panchina in attesa del suo amante, valutando una volgare contadina, in altre parole, inferiore. 

Non mi piace questa cosa, perché io non sono tedesca, seppur lui si ostini a trattarmi come se lo fossi. Mi ricorda l'odiosa governante, che con chissà quale presunzione, mi giudicò indegna di Rudy. 

Mi inasprisco nei suoi confronti e lui mi trascina via, scambiando un'ultima occhiata con il ragazzo che, suo malgrado, coglie la provocazione. Reiner procede con passo svelto, io, invece, cammino all'incontrario, come un gambero, pur di assistere alla scena: la bella polacca si alza, chiede spiegazioni al tedesco, ma egli la ignora, dirigendosi verso la Bugatti del biondo, alchè lei, sconcertata, prova a trattenerlo per il braccio, ricevendo un ceffone e una spinta forte da farla cadere a terra; la sento piangere e viene da piangere anche a me, rattristata dall'avvicendarsi delle situazioni, prima idilliache, ora riprovevoli. 

- Perchè lo hai fatto?! Erano così belli insieme, erano felici! - Tiro via la mano con uno strattone, respingendo ogni suo tentativo di riacciuffarla. 

- È il mio lavoro ed è così che sono cresciuto. - 

- Ah sì? E ti hanno detto loro di diventare un bastardo senza cuore o c'eri già prima? - Io sono già lontana e non riesco più a vedere che tipo di emozione ci sia nei suoi occhi, sempre che ce ne sia una. 

Non voglio fingere che tutto questo non mi tocchi, che quanto avviene ad Auschwitz e in altri campi non sia un " affare che mi riguardi. " 

Non è politica, è umanità perduta. 

Ed io non voglio rendermi partecipe di questo massacro. Non voglio essere associata a loro. 

Mi allontano per un bel po', avventurandomi per il centro città pieno zeppo di crucchi. Un'intera divisione bivacca tra locali e piazzette secondarie in attesa del turno pomeridiano, il che non mi darebbe fastidio, se non fosse per il vestitino che indosso, che fa ricadere l'attenzione su particolari che proprio non dovrebbero guardare. 

Per mia fortuna, nessuno è così audace da importunarmi, tuttavia, i commenti espliciti e le occhiatine lascive mi fanno star male. 

Torno indietro di corsa, ripercorro la strada di prima, ma non incrocio Reiner da nessuna parte. Dove sarà finito? Io non mi muovo senza di lui, come farò a tornare indietro se non sarà lui a riportarmici? Provo a chiedere informazioni a qualche tedesco di passaggio, descrivo il comandante nel modo più accurato possibile, eppure non ottengo niente, nemmeno una traccia. 

Ho la tentazione di gridare il suo nome, fin quando non lo vedo imboccare una via parallela alla mia: gli corro dientro come una ragazza innamorata, saltandogli in braccio con veemenza tale da farlo vacillare, a discapito della stazza. - Mi sei venuto a cercare... - 

- Du bist eine Wildnis, weißt du das, ja? / Sei una selvaggia, lo sai, sì? - 

- Forse, ma tu sei qui comunque - tiro giù l'orlo del vestito, in modo che lui non tocchi la mia coscia nuda e che altri non vedano ciò che vi sta al di sotto. 

- Mi piace la tua irruenza, ragazzina. Sei vera, è una cosa rara al giorno d'oggi. -

E Fried me lo diceva sempre, che ero diversa. 

Non c'è scampo, ogni cosa mi rammenta colui che ho perso. Friederick rivive attraverso i suoi occhi azzurri, in ogni battuta, in ogni fil d'oro, Reiner me lo ricorda. 

Sono il giorno e la notte, eppure c'è una scintilla in questi occhi che mi fa stare bene, che mi dà la forza di andare avanti, anche in assenza dell'unico vero amico che abbia avuto in sedici anni. 

Sedici, questa mattina neanche sapevo di averli. 

- Mi hanno detto che fanno un ottimo " kapucino " da queste parti... - 

- Cappuccino? - Lo correggo, ricalcando le doppie consonanti, più per farlo innervosire che per una reale vena comica. 

- In qualunque modo si pronunci, quella cosa lì. - 

                                                                             ...

Lui aveva già prenotato. 

Sapeva che, a qualunque costo, mi avrebbe ritrovata. 

È una sensazione bellissima, sentirsi ricercati da una persona senza che questa voglia ferirti. 

Mi sto interessando troppo a quest'uomo; non dovrei essere tanto buona e accondiscendente come lo sono ora, però è stato così gentile con me, non avrei proprio saputo atteggiarmi in un altro modo. 

Per di più, è bello qui, è un caffè elegante, raffinato; mi sento proprio una principessa ed era tanto che non venivo trattata in tutto e per tutto come una ragazza. 

Reiner sa che, sotto sotto, c'è qualcosa che non va, perché non è normale che mi sorprenda per un gesto tanto semplice. 

Il bar è abbastanza affollato, sono quasi tutti tedeschi, ma la cameriera arriva subito da noi per prendere l'ordinazione, districandosi tra tavoli traboccanti di pinte vuote e schiere di nazisti affamati ( di cibo e di qualcos'altro ); ha entrambe le mani occupate ed è più facile darle fastidio, difatti, viene palpeggiata da almeno tre uomini diversi, molestata verbalmente da altrettanti. Ha occhi nocciola piccoli e stanchi, boccoli scuri che le vengono sempre tirati, un bel seno florido ed una camicia scollata che mette tutto strategicamente in mostra. 

Dal modo in cui incrocia le braccia al petto, però, deduco che non l'abbia scelta lei, bensì il gestore del locale o, comunque, un superiore, che avrà deciso di puntare su questo escamotage per rinforzare la clientela maschile. 

Anche tutte le altre sono vestite così, con gonna e camicetta ed io sono uguale a loro, costretta a soddisfare la fantasia perversa di un uomo piuttosto che il mio gusto personale. 

È carina ora che la vedo da vicino, molto carina e, sinceramente, non capisco perchè Reiner si ostini a non rivolgerle un solo sguardo d'interesse. In realtà, l'ho capito il perché, forse è solo difficile da credere. 

" Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. "

Quando lo guardo penso esattamente questo, che tutto in lui sia stato costruito per un'unica finalità. 

- Was möchten Sie bestellen? - 

- Wir nehmen ein, besser noch, zwei Cappuccinos und... Haben sie Kekse? - Alla parola " biscotti " lei ammutolisce, voltandosi verso il bancone per constatarne l'assenza all'interno della cloche. 

- Wir können sie besorgen / possiamo procurarceli - consegna l'ordine in caffetteria ed esce fuori dal locale, diretta verso una pasticceria o, verosimilmente, un negozio in cui vendano biscotti e pasticcini. Torna con un vassoio ben impacchettato e con le due tazze di cappuccio fumante recuperate  dal banco, il tutto, a velocità supersonica. 

- Dziękuję - ripeto la parola che avevo sentito pronunciare dal bambino e che avevo pensato potesse significare " grazie ". Lei non risponde, ma sorride contenta, quindi intuisco di averlo detto bene. 

E ne sono sollevata. 

- Non saranno un po' troppi? - Reiner ha scoperchiato il vassoio, rivelando una montagna di paste e biscotti per tutti i gusti: ce ne sono al burro, alla granella di nocciole, al pistacchio, al cioccolato, alla frutta, c'è di tutto un po'. 

- Di questo non dovrai preoccuparti - esordisce, prendendone una manciata e posizionandosela su un tovagliolo, accanto alla tazza. Inzuppa un biscotto nel caffè latte, ammiccando, come se già sapesse di aver suscitato stupore. In effetti, un uomo così in forma che si scofana un'intera teglia di biscotti in una volta sola è inusuale. Ma non ingrassa mai? L'ho visto mangiare parecchio anche a pranzo, per cui, deve essere il genere di persona che può permettersi di mangiare tutto quel che vuole senza mai rimetterci, beato lui! Io inchiatto sempre, anche se non tocco cibo, anche se bevo un bicchiere d'acqua. In ogni modo, non ho molta fame, mangerò solo per non sprecare cibo e denaro prezioso. 

- Non posso vederti così, piccola peste. - Cerca la mia mano sul tavolo, ritrovandone due agganciate assieme, a torturarsi. - Friederick aveva descritto un tornado inarrestabile, un'esplosione di vitalità di tutt'altro stampo rispetto a ciò che mi ritrovo sotto gli occhi. - 

« Ti sei spezzata. » 

Io non capisco, non capisco perché lui mi guardi con questi occhi, non capisco perché mi rivolga queste parole. A malapena mi conosce, cosa ne può sapere lui di come mi senta? E perché dovrebbe importargliene? Continua a citarmi Fried, come se niente di tutto questo potesse ferirmi, ma non si rende conto che, sentendo il suo nome, cicatrici ancora fresche comincino a riaprirsi e a spaccarmi in due dal dolore. 

Non sono io ad essere depressa, è lui a mettere il dito nella piaga. 

- Cosa stai dicendo, Reiner? Io sto benone, prima o poi mi rimetterò in forze e allora vedrai la vera me. Qual è il problema? La fase che sto attraversando è complicata ed è normale che io mi senta giù di morale. - Sposto una ciocca di capelli sull'altro lato e, nel farlo, tocco il taglio che mi aveva procurato la coroncina d'oro quando lui mi fece cadere per terra. 

Reiner ne approfitta per tastare l'altro livido sulla guancia, causadomi un gemito di sofferenza. - Quando ti sei guardata allo specchio per l'ultima volta? - Chino la testa per guardarmi le gambe ricoperte di lividi e graffi e la situazione, dopo tanto tempo, mi appare tutt'altro che normale.

Rivedo i due soldati agguantarmi per le gambe e trascinarmi sull'asfalto, fino in quel vicolo, dove mi toccarono ovunque senza ritegno. 

Di tutti i calci che provai a tirargli, ne andò a segno solo qualcuno e mi restituirono il favore a suon di schiaffi e di unghie artigliate nei fianchi. Il tedesco, ad un certo punto, si stufò di poter assaggiare solo la pelle scoperta e mi tirò giù i pantaloncini, schiacciando il suo corpo contro il mio. Constatai con ribrezzo che, ormai, nella parte inferiore, non aveva più nulla indosso e lo sentii sfregare quella cosa viscida contro le mie cosce, tenute aperte dall'altro soldato. 

Ringrazio ogni giorno Federico e Samuele per avermi salvata e prego Iddio che salvi loro dalla fine indegna che li attende. 

Mi faccio piccola sulla sedia, rimembrando altre occasioni in cui il mio corpo sanguinò e fu vittima di carnefici senza onore, come di quando Rüdiger mi afferrò per i capelli o per i polsi sottili, mi strattonò, mi colpì in pieno volto, mi gettò a terra come un pupazzo e minacciò di uccidermi; di quando quell'uomo violò i miei spazi e Rudy lo lasciò fare, intervenendo, solo dopo avervi assistito, per rimarcare il suo territorio. 

Poi ricordo l'odore inimmaginabile di carne bruciata, di tutte quelle persone innocenti mandate a morte, macellate come animali davanti a tutte le altre, gettate vive dentro le fosse comuni, fucilate, ferite e lasciate soffrire agonizzanti in mezzo al fango, persone torturate, donne stuprate sotto lo sguardo di tutti...

Rivedo gli occhi azzurri di Fried farsi bianchi ed implodo, sollevandomi dalla sedia come se avessi appena visto l'anteprima di un film dell'orrore. 

- Tutto normale - ripeto per l'ultima volta, ora consapevole di essermi occupata degli altri a tal punto da aver trascurato me stessa. 

Cadevo a pezzi e neanche me ne accorgevo; ecco perché i prigionieri di Auschwitz mi guardavano in quel modo, io credevo avessero paura di me quando, invece, mi compativano... Vedevano com'ero ridotta e pensavano potessi essere una di loro, una ragazza che aveva avuto la sfortuna d'essersi trovata nel posto sbagliato, al momento sbagliato. 

Mi ritrovo anche io a guardare Reiner in un modo diverso, non come fosse il salvatore della patria, ma il mio. 

Ad un suo cenno, gli sono nuovamente tra le braccia, immemore del tempo in cui credetti di non potermi fidare di uno di loro, di un nazista. - Wirst du mich retten, Soldat? / Mi salverai, soldato? - 

- Ich werde dich nicht verlassen, kleine Italienerin. - 

« Ich schwöre es. »

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO NOTICINE: 

- lebe = vivi 

- Ich werde dich nicht verlassen = non ti lascerò andare 

- Ich schwöre es = lo giuro 

 

+ alcune informazioni riguardanti il capitolo: 

1) quanto scritto sulla Bugatti Atlantic è frutto di ricerche, mentre il fatto che sia appartenuta ad una persona in particolare ( inventata per di più ) è, chiaramente, invenzione mia. Non si sa con esattezza che fine abbia fatto, è riportato che, ad un certo punto, sia sparita nel nulla, senza lasciare traccia. 

2) Non contiene particolare azione, tuttavia, ho preferito inserire un capitolo più leggero per soddisfare la categoria “ slice of life ”, un po’ abbandonata a discapito del dramma e degli scenari di guerra che, tendenzialmente, sono più interessanti rispetto alla vita comune. Sono molto insicura riguardo a questo aspetto, spero di non aver annoiato! 

Ne approfitto, inoltre, per ringraziare i miei lettori e recensori per aver avuto tanta pazienza ed essere arrivati fin qui...

P.S. Avrei dovuto pubblicare due giorni fa per augurare buona Pasqua, mannaggia! 

 

 

 

 

  
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