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Autore: Kim WinterNight    05/04/2018    2 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Shy Guy

[John]




Fissai Daron mentre, accompagnato solo dalla sua chitarra, cantava l'intro di Soldier Side; ero pronto a dare il via allo show e a cominciare con Prison Song.

Pregustai quella bellissima sensazione di quando battevo il primo colpo su piatti e tamburi, poi tutto intorno a me si faceva silenzioso. L'unico suono che si udiva era solo il boato infernale dei fan che mi incitavano a proseguire.

Daron finì di cantare e io diedi il tempo con due colpi sul charleston socchiuso, poi battei quel primo colpo e la magia ebbe inizio.

Chiusi per un attimo gli occhi e, con le bacchette a mezz'aria, mi godetti il calore del pubblico e le voci quasi disperate che mi pregavano di andare avanti. Mi piaceva lasciarli in sospeso per un po', abituati com'erano alla canzone registrata su disco che aveva un tempo e della pause ben definiti.

Infine mi decisi e proseguii, avvertendo i miei colleghi con quattro colpi sul charleston che precedettero i successivi sul resto dei tamburi, i quali vennero accompagnati anche da chitarra e basso.

Poi Serj sibilò al microfono: «They're trying to build a prison».

Ci fu un'altra pausa e io la prolungai il più possibile, godendo ancora del frastuono degli spettatori e notando quanto i miei amici fossero concentrati.

Notai Sako che ascoltava con attenzione dal lato del palco, cercando di capire se i suoni del mio strumento fossero perfetti come sempre. Era un collaboratore eccezionale, mi fidavo ciecamente di lui e non avevo alcun dubbio che il suo lavoro fosse impeccabile come al solito.

Prima di riprendere a suonare, scorsi Leah, Angela, Bryah e Mayda accanto al tecnico della batteria. Eravamo al completo, ora ne ero certo e potevo partire e caricarmi come una macchina da guerra, catapultandomi finalmente nella mia dimensione naturale.

Altri quattro colpi sul piatto socchiuso per staccare il tempo, e mi immersi completamente nella mia musica.

Per me era diventato automatico giocare con il mio strumento, un po' come guidare l'auto; improvvisavo, regalavo colpi inaspettati ai tamburi e mi burlavo dei pedali di cassa e charleston come se fossero dei giocattoli. Non mi fermavo, andavo avanti concentrato senza che niente potesse distogliermi dalla mia occupazione.

Un po' come Serj faceva con la sua voce. Gli piaceva giocarci, renderla più o meno potente, gorgheggiare, maneggiarla e modellarla come fosse argilla. Lo stimavo parecchio, anche se forse non glielo avevo mai detto, ciò che riusciva a fare era incredibile.

Shavo pareva leggermente teso, ma suonò comunque da dio, senza perdere neanche per un istante la sua concentrazione e precisione; la batteria e il basso erano strumenti che dovevano essere perfettamente sintonizzati, e io mi trovavo davvero bene a lavorare con lui. Insieme riuscivamo a creare un tappeto ritmico e sonoro che riusciva a mantenere in piedi il resto degli strumenti. Non avevamo mai avuto un chitarrista ritmico, quindi Daron aveva sempre dovuto destreggiarsi a ricoprire sia quel ruolo che quello di chitarrista solista.

Non era mai stato un problema, poiché Serj era un polistrumentista pazzesco e riusciva ad adattarsi con destrezza al pianoforte, la chitarra, le percussioni. In questo modo riuscivamo a regalare uno show completo ai nostri fan, senza bisogno di assumere dei turnisti né perdere a livello qualitativo.

Forse era strano, ma mi piaceva riflettere mentre suonavo, mi permetteva di essere ancora più concentrato sul mio lavoro e mi rilassava parecchio.

I brani scorrevano in piena fluidità, io ero completamente a mio agio e suonavo senza tensione né rigidità. Quando mi capitava di riascoltare o rivedere qualche stralcio dei nostri live, mi rendevo conto che il risultato era proprio quello a cui aspiravo: uno spettatore doveva assistere a uno spettacolo mozzafiato, durante il quale io mi sentivo in obbligo di dare il doppio del massimo. Ma chi stava tra il pubblico doveva avere l'impressione che ciò che facevo fosse semplice e rilassante, che ogni brano – per quanto caratterizzato da un ritmo serrato e incalzante – fosse un gioco da ragazzi e che ogni suono scivolasse fluido durante tutta l'esecuzione.

Mi vennero in mente alcuni batteristi che, per quanto provvisti di tecnica e talento, facevano venire l'ansia soltanto a sentirli; era palese quanto fossero rigidi e quanto dovessero riflettere su ciò che facevano, anziché lasciar fluire ogni colpo come se i loro arti fossero di gelatina.

Io volevo essere l'opposto, volevo proprio che i miei arti si svuotassero di ossa e muscoli e trasmettessero morbidezza anche in brani dalle tinte profondamente heavy metal.

All'improvviso, mentre cominciavamo a suonare Lonely Day, mi ricordai della discussione che Daron e Serj avevano avuto nel backstage; ascoltando il chitarrista cantare, mi resi conto che avrebbe realmente dovuto curare maggiormente la sua voce, seguendo perlomeno i consigli del cantante principale.

Tra tutti noi, Daron era sempre il più rilassato, anche questo non sempre era simbolo di precisione e accuratezza durante l'esecuzione; mi dispiaceva rendermene conto, dal momento che sapevo bene quanto il mio amico fosse talentuoso e quali fossero le sue reali potenzialità.

Quando giungemmo a Toxicity, fui cosciente che il concerto stava per volgere al termine. Mi divertii moltissimo a suonare quel brano, succedeva sempre così. Era pazzesco pensare che quella fosse proprio la nostra musica e che non stessi soltanto eseguendo una cover.

Passai senza alcuna difficoltà all'ultima canzone in scaletta, che come da tradizione era Sugar.

Quando Serj nominò Sako all'inizio della seconda strofa, sollevai un attimo lo sguardo e lanciai un'occhiata al mio tecnico; lui rise e si esibì in un piccolo e teatrale inchino, come se volesse dimostrarci quanto fosse onorato di essere finito in uno dei nostri brani più famosi.

Poi tutto si concluse. Raggiunsi Sako e cominciai a raccogliere dalle sue mani i souvenir che avrei lanciato tra il pubblico, ovvero diverse bacchette e qualche pelle dei miei tamburi.

«Sei stato fenomenale, mi tremano le gambe» gridò Leah alle sue spalle, sollevando una mano nella mia direzione.

Prima di dirigermi verso il centro del palco, dal quale i miei colleghi erano già scomparsi, incrociai gli occhi scuri di Bryah e mi resi conti che erano pieni di lacrime. Avrei voluto raggiungerla e stringerla subito tra le braccia, ma mi costrinsi a finire ciò che stavo facendo.

Mi avviai a passo svelto in direzione del pubblico, fermandomi a poca distanza dal bordo della piattaforma. Mi godetti per qualche istante il calore dei presenti che invadeva lo stadio dei Dodgers in ogni sua parte, scandagliando distrattamente la folla con gli occhi.

Era bellissimo, amavo quelle emozioni che solo suonare dal vivo mi faceva provare. Mi sentivo completo, totalmente immerso nel mio elemento. Avrei voluto che quella magia non finisse mai, eppure eravamo giunti al capolinea anche quel giorno e io dovevo ringraziare degnamente i presenti, regalando loro qualcosa di mio.

Cominciai a lanciare tra la folla le bacchette e le pelli che Sako mi aveva dato, accogliendo con immensa gioia l'ovazione dei miei ammiratori. Quell'atmosfera fu capace di scaldarmi il cuore e solo allora mi resi conto che tutto ciò mi era terribilmente mancato.

Dopo aver regalato l'ultimo oggetto al mio pubblico, mi accostai al microfono che Serj aveva abbandonato sull'asta. «Grazie Los Angeles, grazie di cuore. Ci avete riempito di gioia, grazie mille» dissi con un po' d'imbarazzo, ma sentendo che era realmente ciò che il mio cuore mi suggeriva di fare.

Mi allontanai a fatica dal palco, avvolto ancora una volta da quella malinconia dolce e rassicurante che seguiva la fine di ogni nostro spettacolo.


Bryah, senza neanche appoggiare la sua macchina fotografica, mi corse incontro e mi strinse in un abbraccio. Tentai di protestare, facendole intendere che ero sudato, ma lei sembrò non curarsene affatto; premette il suo corpo contro il mio e mi baciò con trasporto, facendo sobbalzare il cuore nel mio petto.

Tenendola stretta per la vita, le sfilai l'oggetto delicato di mano e mi chinai sul tavolino per posarlo con attenzione. Non volevo assolutamente che l'impeto del momento procurasse dei danni all'attrezzatura che usava per lavoro.

Bryah, infatti, aveva cominciato da poco a lavorare in un piccolo giornale della città, niente a che vedere con il Times o altre testate particolarmente importanti; a lei non interessava, voleva soltanto avere qualche soldo per mantenersi e si rifiutava categoricamente di farsi mantenere da me. Era ancora in prova, ma il reportage del nostro concerto e una piccola intervista che le avevo concesso avrebbero fatto capire ai suoi datori di lavoro qual era il suo potenziale. Speravo di poterla aiutare a dimostrare quanto valeva.

«Il giornale prenderà il volo!» affermò, tornando a stringersi a me. «Grazie alla postazione privilegiata che mi avete concesso, sono riuscita a fare delle foto spettacolari.»

Ridacchiai. «Per le foto non sarebbe stato un problema, avrei potuto chiedere a Greg di farti avere qualche scatto» la rassicurai.

Bryah scosse il capo. «È una soddisfazione molto più grande essere riuscita a fare tutto da sola» spiegò con entusiasmo.

Mi chinai sulle sue labbra e le baciai lentamente, sentendole morbide e delicate sotto le mie. Poi mi scostai e sospirai. «Devo assolutamente fare una doccia» mormorai.

«Forse hai ragione. Puzzi un sacco» mi canzonò in tono ilare.

«Stavo per proporti di venire con me, ma ci ho ripensato» finsi di offendermi, lasciandola andare. Mi passai le mani sui capelli zuppi di sudore e mi allungai sul tavolino a prendere una bottiglia d'acqua.

«Vorrà dire che ti seguirò anche se non mi inviti» decise, per poi carezzarmi il fianco destro. Si allontanò per rimettere a posto la macchina fotografica e io trangugiai metà del contenuto della bottiglia.

A quel punto fui raggiunto da Shavo, il quale mi si rivolse tutto agitato, guardandosi intorno con circospezione. «Cazzo, John, è successo un casino» sibilò.

«Che tipo di casino?» gli chiesi.

«Ho visto...» SI passò le mani sul volto e sospirò. «Prima di salire sul palco, ho visto la figlia di Daron. Cioè, insomma, quella ragazza che dice di essere sua figlia. Litigava con un paio di roadie, sicuramente stava cercando di entrare nel backstage. In giro non c'è, ma potrebbe essersi appostata all'esterno.»

Annuii. Questo poteva significare soltanto una cosa: voleva riavvicinarsi a Daron, ma non riuscivo a capire perché avesse deciso di rovinare proprio quella serata. Il concerto era andato bene, eravamo tutti euforici e non vedevamo l'ora di continuare a festeggiare altrove. Un problema come questo non ci voleva proprio.

«Che facciamo?» mi chiese Shavo.

Sospirai. «Senti, io ora faccio una doccia e Bryah viene con me. Tu fai come ti pare, sono stanco di dover risolvere i problemi di tutti. Dillo a Daron, poi sarà lui a sbrigarsela.» Feci spallucce. Mi costò parecchio rispondergli in quel modo, ma non volevo che la mia serata venisse mandata a puttane per un motivo del genere.

Shavo spalancò gli occhi e mi fissò con aria confusa, poi mi mollò una pacca sulla spalla e sorrise. «Dacci dentro» sussurrò ammiccante.

Non risposi e raggiunsi Bryah sulla soglia, dopo aver recuperato la sacca dove custodivo l'occorrente per la doccia e dei vestiti puliti.

Avvolsi la vita della mia compagna con un braccio e mi avviai verso i bagni degli spogliatoi. Non avevo intenzione di fare qualcosa di particolare con Bryah, desideravo soltanto stare solo con lei e godermi un momento di relax dopo il concerto.

«Che cosa voleva Shavo? L'ho visto agitato» mi domandò la giornalista, quando fummo abbastanza lontani dalla stanza principale del backstage.

«Dice di aver visto la presunta figlia di Daron nei paraggi e non sapeva che fare. Io gli ho detto che per stasera non mi importa. Sono stufo di fare da baby sitter a Daron, sul serio. Gli voglio bene, se lui fosse veramente in difficoltà non ci penserei due volte ad aiutarlo, ma queste sono cose che può benissimo gestire per conto suo. Deve imparare ad affrontare le situazioni che la vita gli pone di fronte.» Mi bloccai quando mi resi conto che forse avevo esagerato, che mi ero sfogato con Bryah e stavo inevitabilmente rovinando l'atmosfera.

Lei si fermò sulla soglia del bagno e si voltò a cercare il mio sguardo. «Dovresti sfogarti più spesso, ti fa bene.» Mi lasciò un bacio a fior di labbra. «Adoro quando sei così passionale!» esclamò in tono divertito, per poi fuggire all'interno della stanza.

Rimasi sbalordito per un attimo, poi la seguì all'interno e mi chiusi la porta alle spalle. Abbandonai la sacca sul pavimento e presi a correrle dietro. Come due bambini, giocammo e ci rincorremmo per qualche minuto, poi Bryah mi bloccò all'interno di un box doccia e mi fissò con gli occhi lucidi e le labbra socchiuse. Si reggeva con una mano alla parete piastrellata, mentre teneva l'altra premuta contro il mio torace.

«Adesso sei mio prigioniero» affermò. «E posso fare di te ciò che voglio.» Si accostò a me e mi sfilò con decisione la t-shirt, lasciandomi a torso nudo. Indietreggiò di un passo e mi scrutò con espressione estasiata.

Avrei voluto strapparle di dosso quel leggero vestito azzurro e fare l'amore con lei, ma sapevo che non era possibile. Bryah non aveva portato con sé un cambio, perciò sarebbe stato un disastro ricomporsi in quell'occasione.

«Sai, John, non puzzi poi così tanto.»

Sgranai gli occhi nel notare che si sfilava l'abito che indossava. Lo osservò per un istante, poi fece spallucce e continuò a spogliarsi con noncuranza, finché non rimase completamente nuda, fatta eccezione per i sandali bassi ai suoi piedi.

«Bryah, cosa fai?» I pantaloni mi parvero improvvisamente troppo stretti, mi sentii invadere da un intenso e bruciante calore che si diffuse rapidamente in tutto il corpo. I miei occhi percorsero increduli i seni bruni e abbondanti, i fianchi larghi e morbidi, poi tornarono a concentrarsi sul suo viso.

Mi sorrise maliziosa. «Ricordi? Ho detto che sarei stata qui con te. Credi davvero che sarei stata a guardare? Sei uno sciocco.» Sparì per un attimo dalla mia vista, poi ricomparve dopo aver posato i suoi abiti.

«Vieni qui» le ordinai a bassa voce.

Lei non ci pensò due volte e mi si avvinghiò contro, facendo sì che la mia schiena aderisse contro le piastrelle fredde e i suoi seni si schiantassero sul mio torace.

Non riuscivo più a resistere, così la baciai con forza, tenendola ferma contro di me, mentre l'erezione premeva con disperazione contro il tessuto che la teneva ancora prigioniera.

Bryah inclinò la testa all'indietro e mi offrì il collo, così mi ci avventai mentre le mie mani si serravano sui suoi glutei morbidi.

Ansimando, mi staccai a fatica da lei e la guardai negli occhi. «Non ne posso più, devo togliermi questa roba» biascicai, accennando con il mento ai pantaloni.

«Mi dispiace. Ci penso io» rispose lei con dolcezza, riempiendomi il viso di baci. Le sue mani armeggiarono con la chiusura dei miei pantaloni, per poi tirarli giù con un movimento rapido che già mi fece stare meglio. Poi afferrò l'elastico dei boxer neri e finalmente mi liberò definitivamente da quell'insopportabile prigionia.

Mi lanciò un'occhiata e, dopo avermi dato una pacca sul fianco, si chinò a sussurrarmi all'orecchio: «Prendimi. Adesso».

Da quel momento in poi persi completamente la lucidità e non riuscii a far altro che seguire il mio istinto e i suggerimenti del mio corpo infuocato e destabilizzato dal desiderio.


L'acqua scorreva ristoratrice sul mio corpo, mentre udivo Bryah canticchiare di fronte allo specchio.

«Per fortuna sono riuscita a fare la doccia senza bagnarmi i capelli» commentò a un certo punto.

Sorrisi e ripensai a quanto era appena successo. Io stesso avevo pensato che non avremmo dovuto fare l'amore in quell'occasione, convinto che sarebbe stato difficile per lei ricomporsi. Ma la mia compagna si era rivelata molto più audace di me, il che non mi era affatto dispiaciuto. Mi rimproverava spesso perché faticavo a lasciarmi andare, ma ultimamente mi stavo rendendo conto che mi piaceva rischiare ogni tanto. Con lei sapevo di poterlo fare, non mi sentivo mai sbagliato e non avevo paura di sperimentare o di dire ciò che mi passava per la testa. Era stato così fin da subito, avevamo trovato una sintonia pazzesca fin dal primo istante in cui ci eravamo incontrati nel vialetto dello Skye Sun Hotel; avevamo trascorso momenti difficili, e questi ci erano serviti per rafforzare il nostro legame e per comprendere che c'era qualcosa di speciale tra noi.

Bryah ricominciò a canticchiare, era in fissa con il ritornello di Soldier Side e non faceva che intonarlo a bassa voce. Forse sperava che non la udissi, ma io mi godevo quel momento e riflettevo sul fatto che fosse più brava di Daron a cantare.

Poi mi venne in mente il momento in cui, poco prima, mi aveva confessato i suoi sentimenti. In lacrime tra le mie braccia, aveva premuto il viso sul mio petto e lo aveva riempito di piccoli baci.

Avevamo appena finito di fare l'amore e io cercavo ancora di riprendere fiato, quando lei aveva sollevato il viso e mi aveva guardato negli occhi. Le lacrime rigavano silenziose le sue guance, e io avevo capito che non erano lacrime di dolore o sofferenza, bensì di gioia. Quando eravamo in intimità capitava spesso che Bryah, travolta dall'emozione, scoppiasse a piangere. Mi ero abituato a quel suo modo di fare, anche se un po' mi sentivo a disagio e temevo che quelle lacrime potessero rappresentare qualcos'altro. Le prime volte mi ero spaventato parecchio, avevo temuto di averle fatto male e mi ero sentito sprofondare nella disperazione. Poi lei mi aveva spiegato come stavano le cose, mi aveva rassicurato e mi aveva confessato che anche per lei era una novità. «È che sei così dolce» commentava spesso.

E quel giorno non fece eccezione. Mi aveva fissato con intensità e aveva sussurrato: «John, ti amo da sempre».

Io non avevo saputo come replicare, ma lei l'aveva capito e mi aveva abbracciato con tenerezza, accarezzandomi i capelli e la schiena.

«John?» mi richiamò Bryah, picchiettando sul pannello di plastica che circondava il box doccia per due dei suoi quattro lati.

Mi riscossi e finii di sciacquarmi, poi chiusi l'acqua e aprii leggermente l'anta scorrevole della doccia. «Mi passi il telo?» le chiesi, senza trovare il coraggio di incontrare il suo sguardo.

Lei annuì e mi porse ciò che le avevo chiesto, per poi darmi le spalle e riprendere a sistemarsi il trucco di fronte allo specchio.

Richiusi l'anta della doccia e cominciai ad asciugarmi con cura. Forse se le avessi parlato senza che lei potesse guardarmi, le cose sarebbero andate meglio.

Sospirai. «Ehi, Bryah?»

«Sì?»

«Mi dispiace per prima, insomma. Non ho saputo rispondere a... a quello che mi hai detto» incespicai tra le mie stesse parole, sentendomi avvampare per l'imbarazzo e l'inadeguatezza che stavo provando in quel momento.

«A cosa ti riferisci?» volle sapere. Si era accostata al box doccia, potevo scorgere la sua figura sfocata oltre il pannello satinato.

«Be', a quando mi hai confessato... a quando mi hai detto cosa provi per me» mormorai.

Lei ridacchiò. «Oh, John! Di che ti preoccupi? Io ho capito, non c'è bisogno che ti scusi o che tu risponda. Ho capito.»

Mi irrigidii leggermente. «Che cosa hai capito?»

«Che mi ami» rispose con semplicità, appoggiando una mano sul pannello di plastica.

Espirai bruscamente e continuai a tamponare il mio corpo umido con il telo in spugna. «Già» sussurrai. «Hai capito bene.»

«Allora perché ti scusi?»

Scossi il capo. «Vorrei riuscire... non lo so nemmeno io.»

Bryah sbuffò. «Vorresti dirmelo? Ma è una cosa banale. Io mi sono sentita banale quando l'ho detto, però me lo sentivo e l'ho fatto. Ma tu me lo dimostri.» Socchiuse l'anta del box doccia e fece in modo che i nostri sguardi si incontrassero. «Ti sei preso cura di me fin da subito, non ti sei lasciato spaventare dai miei problemi e mi hai protetto e tenuto al sicuro come nessun altro aveva mai fatto. Se questo non è amore, allora cos'è?»

Avvampai ancora una volta, ma mi costrinsi a non distogliere lo sguardo. Aveva ragione, lo sapevo bene, così annuii e mi accostai a lei. Spinsi completamente il pannello di lato e cercai le labbra della mia compagna, baciandole con delicatezza.

«Sì, è amore» confermò, per poi regalarmi un meraviglioso sorriso e lasciarmi un buffetto sulla guancia. «C'è una canzone che mi fa pensare a te» disse poi, indietreggiando per permettermi di uscire finalmente dal box.

Cominciai a rivestirmi in fretta, poi le lanciai un'occhiata interrogativa. «Ah sì?» feci curioso.

«Sì. Si chiama Shy Guy, è di Diana King» spiegò con un sorrisetto malizioso.

«L'ho già sentita nominare, ma ora non mi viene in mente. Me la canti?» proposi, infilando una felpa nera.

«Cantare? Ma scherzi? Sono stonata e poi...»

«Non sei stonata. Ti ho sentito prima mentre canticchiavi Soldier Side, sei più intonata di Daron» la contraddissi, strizzandole l'occhio.

Bryah sospirò, poi annuì. «E va bene. Ma solo un pezzetto, però sappi che mi vergogno.»

Scossi il capo e rimasi in attesa.


I don't want a fly guy

I just want a shy guy

That's what I want


Si interruppe e rise. Anche io ridacchiai.

«Tutto qui?» la punzecchiai.

«No, aspetta... c'è un'altra parte interessante!»

E riprese a cantare.


But I don't want somebody

Who's loving everybody

I need a shy guy

He's the kinda guy

Who'll only be mine


Si bloccò, ormai rideva apertamente. «Il testo è quasi tutto in patois giamaicano, ma hai capito il senso, no?» buttò lì.

Scoppiai a ridere a mia volta e la attirai in un abbraccio. «Certo che ho capito» soffiai sulle sue labbra. «Spero di essere all'altezza del ragazzo timido che tanto desideri.»

Bryah rise ancora e mi baciò sulla guancia. «Forza, shy guy, raggiungiamo il resto della banda e andiamo a festeggiare questo magnifico concerto!» concluse.

Poi insieme lasciammo il bagno dopo esserci fermati là dentro per un tempo incalcolabile. Qualunque cosa mi aspettasse di ritorno nel backstage, non avrebbe potuto rovinare il mio umore e in ogni caso ero pronto ad affrontarla.




Oooh, cari lettori!

Questo capitolo è un po' lunghetto, vero?

Ma non mi andava di interromperlo sul più bello, volevo che tutte queste idee rientrassero in un solo aggiornamento. Volevo parlare un po' del concerto, ma mi andava anche di dare spazio a un momento intimo tra John e Bryah; questi due ne hanno passato tante, è giusto che si godano anche un po' di relax, non siete d'accordo anche voi? ;)

E volevo anche inserire quest'ultima parte in cui Bryah rivelava a John i suoi sentimenti e gli dedicava questa meravigliosa canzone di Diana King! *-*
Vi devo confessare una cosa: da quando ho conosciuto questo brano, il che è avvenuto dopo che avevo cominciato a scrivere questa storia, ho subito pensato che si sposasse perfettamente con il nostro batterista preferito! Allora ho subito deciso che prima o poi Bryah l'avrebbe portata fuori, e finalmente c'è stata l'occasione :3

Vi lascio qui il link, questa canzone è stupenda e secondo me dovete sentirla assolutamente (soprattutto Carmensita, non so perché ma mi fa pensare a te e secondo me ti piace :D):

https://www.youtube.com/watch?v=szjaHbjhauk

Grazie a tutti per essere ancora qui, aspetto come sempre i vostri commenti e vi sono infinitamente grata per il supporto e l'affetto che mi dimostrate in continuazione!

Alla prossima ♥

  
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