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Autore: Luxanne A Blackheart    06/04/2018    0 recensioni
Un grosso edificio è stato costruito nel centro di una grande città americana. Impiegati in smoking e tailleur vi lavorano, circondati dal lusso e da vetrate nere sempre pulite e immacolate.
Nessuno sa che cosa ci sia al suo interno, oltre ad una piccola casa editrice che accetta i vari talenti provenienti da tutto il paese.
Ophelia Adams scrive da tutta la vita e si ritroverà catapultata, per ordine della madre, in una situazione più grande di lei, piena di effetti collaterali.
Uno di questi sarà proprio Jacob Robertson, tra gli editori che lavorano nell'edificio Senza Nome, un uomo bellissimo quanto misterioso.
I suoi occhi azzurri celano una verità importante, che Ophelia dovrà comprendere poco alla volta...
Riuscirà a capire cosa succede nelle ore più buie della notte, nei silenziosi e inquietanti sotterranei dell'edificio?
Riuscirà a capire le sfumature dei begl'occhi di Jacob?
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Uno.


«Non andava bene l'assistenza agli anziani?», domandò la mia migliore amica avendo notato la mia faccia disperata. Aurora lavorava all'ufficio di collocamento ed era da due anni che cercava di trovarmi un lavoro degno delle mie capacità o che mi soddisfacesse.


«Tu dovresti essere la persona che mi conosce meglio in tutto l'universo! Sai che non riesco ad approcciarmi con la gente normale, figuriamoci con i vecchi! Mi sono licenziata dopo una giornata di lavoro, che spero mi retribuiranno.», mi buttai sulla sedia davanti la sua scrivania, sprofondandovi.


Avevo da poco finito l'università di Lettere Moderne, quindi avevo una laurea, ma appartenevo a quella poco sfigata élite di laureati che avrebbero sofferto per l'eternità, prima di un trovare un lavoro degno delle loro competenze.


«Che cosa hai detto, Ophelia? Spero tu non li abbia insultati come tuo solito...»


«No, non mi permetterei mai!», mentii, strofinandomi il viso.


Da quando il pub in cui lavoravo aveva chiuso due anni prima, mi ritrovavo a saltare da un lavoro all'altro. Avevo provato di tutto: assistenza a disabili e anziani, babysitter, dogsitter, ho addirittura lavorato in una macelleria. Ma in tutti mi ero rivelata un disastro, poiché le interazioni umane e animali non mi riuscivano particolarmente gradite... anche se lo scuoiare carne morta e tagliare con forza carne e ossa mi era piaciuto.


«Certo, faccio finta di crederci.»


«Ti prego, aiutami, il mio destino è nelle tue mani! Ho bisogno di un dannato lavoro, altrimenti non riusciremo a pagare l'affitto, non puoi provvedere sempre tu, soprattutto adesso che ti stai per sposare.»


Aurora sospirò. I suoi occhi azzurri si mossero sullo schermo del computer, mentre le dita pigiavano velocemente i tasti.
Era una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi, gli occhi azzurri spesso nascosti dietro un paio di occhiali retrò, che vestiva con abbinamenti spesso inguardabili, persino per la sottoscritta che non sapeva che cosa fosse la moda.


«Ho trovato qualcosa, ma credo che possano accettarti... secondo me saresti perfetta, perché hai tutte le competenze e anche una laurea.», si spostò gli occhiali sul naso sottile, avvicinando il viso allo schermo del computer. «Credo che si possa fare, forse potrebbe aiutarti Vanessa a farti assumere, mettendo una buona parola.»


«Di che cosa si tratta?», cercai di spostarmi per sbirciare incuriosita, considerato che Aurora stava parlando più a se stessa che alla sottoscritta.


«Segretaria in una casa editrice. Cercano qualcuna che abbia una buona memoria, che fortunatamente hai, considerato che ti ricordi anche in che giorno ho mangiato il sandwich tre anni fa... Poi, vediamo... Conosci benissimo la lingua e sai scriverla bene e hai anche un B2 di spagnolo e francese.»


«E di cosa se ne fanno di un B2 di spagnolo e francese in una casa editrice?»


«Potrebbe sempre servire, Ophelia.»


«Mh... quando è il colloquio e dove?»


«Nella stessa casa editrice dove sei stata ieri, nell'edificio Senza Nome e...», si interruppe, controllandosi l'orologio da polso. «Esattamente tra un'ora.»


«Che cosa?! E quando avevi intenzione di dirmelo? Si trova dall'altra parte della città, ci metterò anni a spostarmi in tutto questo traffico!»


«Allora ti conviene correre, tesoruccio.», Aurora mi salutò con un cenno della mano e io balzai in piedi, afferrai la mia borsa con la gigantografia della faccia di Kurt Cobain e cominciai a correre come mai nella vita.










Riuscii ad arrivare appena in tempo, sudata e con il trucco sbavato, ma ancora viva.
Il colloquio si trovava da l'altra parte del palazzo, ma per fortuna giravo sempre con una copia del curriculum nella borsa, proprio per queste evenienze improvvise.


La sala d'aspetto era più grande e non sembrava un asilo improvvisato, considerato che i colori delle pareti erano di un semplice bianco panna, ma era piena di donne sui vent'anni, vestite con abiti di alta sartoria, truccate e appena uscite dalla parrucchiera.


Alzai gli occhi al cielo, quando tutte le candidate mi squadrarono dalla testa ai piedi.


«Il mio parrucchiere è andato in vacanza, ho dovuto arrangiarmi, scusate.», sollevai le spalle, prendendo il cellulare dalla borsa. Aprii la fotocamera frontale, sussultando, quando notai il mio aspetto.


Avevo il trucco sbavato sotto gli occhi scuri, delle occhiaie bruttissime che mi davano un aspetto malsano, le sopracciglia sfatte e i capelli castani, che di solito erano lisci come spaghetti, arruffati sulla parte destra.


Cercai di allisciarli e mi ripulii dal trucco con una salviettina, ma nonostante ciò sembravo ancora scioccata.


La concorrenza era spietata e non avrei mai ottenuto quel lavoro. Le candidate si alzarono una ad una nel sentir pronunciare il loro nome; camminavano sui loro vertiginosi tacchi quindici, mentre le mie rovinate e scolorite converse sembravano vergognarsi sui miei piedi.


Le guardai, pensando che quello sarebbe stato uno dei colloqui più imbarazzanti di tutta la mia vita... Ma infondo, che cosa avevo da perdere?


«Signorina Adams, tocca a lei.», a farmi entrare fu la stessa segretaria che mi aveva ricevuta dai signori Robertson e Cole, quella bellissima dai capelli rossi.


Mi sorrise, quando le passai il mio curriculum spiegazzato e macchiato di caffè; su una pagina ci era addirittura finito un po' di tabacco.
Nei suoi occhi potevo leggere tutta la comprensione e l'imbarazzo che provava verso di me, essere penoso e inutile a confronto con la sua perfezione.
Mi fece accomodare in una piccola saletta dai muri dipinti di rosso carminio, dallo stile spartano, essenziale: una semplice scrivania in mogano e tre sedie nere. Su una di quelle c'era seduto un uomo che già conoscevo, William Cole, il mio futuro editore, che riconoscendomi mi sorrise.


Indossava un vestito nero, di alta sartoria, ma ci aveva abbinato una cravatta bianca a quadri.


Guardandolo, mi fece sorridere il fatto che ogni dipendente vestisse di nero o grigio in un luogo nel quale predominavano colori accesi; per me, creatura della notte, era un controsenso.


«Ophelia, la rivedo di nuovo. Vuole fare un colloquio, come mai?»


«Sa, appartengo a quella poca categoria di eletti, che fa colloqui per puro divertimento... L'euforia, l'adrenalina di sentirsi costantemente giudicati per le proprie abilità mentali e cercare di non combinare cagate, pardon defaillance, mentre si parla è una cosa che si dovrebbe fare spesso.», parlai prima che riuscissi a tenere a freno la mia linguaccia; era un mio grande difetto dar sfogo a qualsiasi pensiero sarcastico che mi scorrazzava per il conscio.


Il signor Cole, per fortuna, colse l'ironia e la mia agitazione e rise di gusto, come se avessi detto la cosa più divertente del mondo. «Lei mi piace, signorina Adams, ha davvero uno spirito divertente.»


E io ringrazio lei per non mettermi in imbarazzo, piccolo cuore di panna, nonostante sia una completa rincoglionita, pensai, avendo la decenza di non dirlo.


«Comunque ho perso il mio lavoro e me ne servirebbe disperatamente uno nuovo... ma con questo non sto assolutamente cercando di farle pena per farmi assumere.»


William annuì, quasi sovrappensiero, esaminando il mio curriculum e spostando il tabacco finitoci sopra con un gesto noncurante, come se fosse una cosa di tutti i giorni.


«Non pensavo lei facesse colloqui.», mi rendevo conto di sembrare una completa idiota, ma quel silenzio stava cominciando a diventare assordante.


«Infatti, oggi è semplicemente stata una eccezione, signorina.», questa volta non sorrise, quando sfogliò l'ultima pagina. «Bene, credo di non avere più nulla da esaminare.»


«Come? Non mi fa le solite stupide domande da colloquio?», quando mi resi conto dell'aggettivo utilizzato, avrei voluto defenestrarmi con violenza, ma William Cole sorrise, come se sapesse fare soltanto quello.


«Sono stupide, ecco perché non le faccio. E poi, lei è la candidata migliore. Il lavoro era già suo da quando è entrata.»


«Dice sul serio?»


«Certo!»


«Ma lei le ha viste tutte le precedenti candidate?»


«Sì, e allora?»


«Allora è forse omosessuale?»


Rise, scuotendo il capo. Era davvero un uomo affascinante.


«Non mi importa di quanto loro possano essere affascinanti, quello che conta sono le abilità e mi creda se le dico che lei sia perfetta per questo impiego.»


Mi aprii in un enorme sorriso, sincero per la prima volta in ventisei anni.


«Grazie, davvero, non la deluderò!»


«Allora ci vediamo domani mattina, signorina.»


«Ophelia.», lo corressi, anche se lui avrebbe potuto chiamarmi in qualsiasi modo per quanto gli ero riconoscente.


«Ophelia.», sorrise.


Ci salutammo e io cominciai letteralmente a correre per il corridoio, componendo il numero di Aurora e darle la lieta notizia. Era tutto merito suo!


Tuttavia, non appena girai l'angolo, andai a sbattere contro un maledetto energumeno e caddi per terra di sedere; vidi il mio povero Samsung del 300 A.C. rotolare via da me. Mi sentii esattamente come Rose nel veder affogare il suo Jack nelle acque gelate dell'Atlantico.


«Gesù Cristo Addolorato!», urlai, essendomi fatta un male cane.


«No, sono solo Jacob Robertson, dovrebbe ricordare il mio nome, essendoci incontrati poco fa.», era solo Signor-Palo-In-Culo, che mi sorrise falsamente. Nel sentire quella voce possente e incontrando quegli occhi glaciali, alzai gli occhi al cielo.


Come rovinarsi la giornata in semplici e pochi attimi.


«Ma che cosa è un armadio lei? Le sono venuta addosso e non si è spostato di un millimetro», borbottai, rialzandomi e andando a ripescare il cellulare. «No, ma stia tranquillo, non mi dia una mano. Sono apposto e no, non mi sono fatta male.»


«E lei invece va ancora all'asilo? Ha trent'anni e corre ancora per i corridoi.», borbottò irritato, togliendosi l'auricolare dall'orecchio.


«Per la cronaca, ne ho ventisei.»


«Sì certo e io sono Brad Pitt.»


«No, lei è signor-palo-in-culo.», risposi, irritata. Aveva anche il coraggio di fare lo spiritoso quell'essere fastidioso!


«Come ha detto, prego?», mi squadrò, alzando un sopracciglio.


«Ho detto arrivederci.», dissi e senza aspettare un'ulteriore risposta fuggii via, considerato che Aurora mi aveva risposto e stava urlando da una buona mezz'ora.




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Spazio autrice!
Eccomi qui, con il primo capitolo!
Ophelia sa essere una vera burlona e lo scoprirete leggendo la storia, tutto il contrario di Signor-Palo-In-Culo, o almeno lo è per ora!
Nel prossimo capitolo incontreremo ancora una volta Aurora e un nuovo personaggio: Vanessa!
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e se avete voglia lasciatemi un commento e una stellina!
Alla prossima!
   
 
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