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Autore: heliodor    12/04/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il santuario della Dea
 
"Dov'è Maera?" chiese Joyce a Thali.
Il ragazzo indicò un punto alla sua destra, dove infuriava la battaglia con le forze che stavano arrivando dalla gola.
Lì si era concentrato il fuoco si sbarramento degli stregoni alfar, impegnati nel disperato tentativo di contenere quella marea che stava montando.
Joyce corse nella stesa direzione, nonostante fosse esausta e dolorante per le ripetute cadute.
Vide i due orsi accasciati nella polvere, privi di vita e molto più piccoli di come li ricordava. Senza il controllo di Ertham erano tornati a essere gli animali di prima.
Che razza di potere aveva quello stregone?
Ormai non importava, era morto.
Arrivò senza fiato vicino ai ripari dove gli alfar si erano piazzati e cercò Maera con lo sguardo. La trovò che impartiva ordini a destra e sinistra, aiutandosi con ampi gesti delle braccia.
"Maera" gridò mentre si avvicinava.
Lei le scoccò un'occhiata frettolosa. "Fai fuoco verso l'ingresso della gola" disse con voce roca. "Li dobbiamo contenere."
"C'è una cosa importante che devo dirti."
"Non è il momento."
"Lo è. Potrebbe essere una trappola."
"Certo che lo è" disse Maera spazientita. "Ne abbiamo discusso a lungo."
"Non mi riferivo al tuo piano, ma all'attacco" disse Joyce scegliendo con cura le parole. "Non ti ho detto come siamo fuggite Leyra e io."
"Che importanza ha?"
"C'è stato un attacco al campo di Gajza" spiegò Joyce. "Abbiamo approfittato della confusione per fuggire."
"Attacco? Noi non abbiamo mai..." Maera si bloccò, lo sguardo fisso verso un punto.
"Volevano che scappassimo" disse Joyce. "Gajza e Rancey sapevano che sarei venuta a riferirvi del loro piano. Non è un caso se ne hanno parlato di fronte a me."
"Volevano che noi usassimo tutte le nostre forze per difendere la gola."
Joyce annuì. "Mi dispiace."
"Non è colpa vostra, non potevate saperlo." Maera si guardò attorno. "Dov'è il resto delle forze di Gajza e Rancey?"
Joyce temeva di saperlo.
"Il santuario" disse Maera. "Stanno andando lì."
"Era il loro obiettivo fin dall'inizio."
Arwel, Leyra e altri si unirono ai difensori mentre parlavano. Sembravano esauste ed erano ferite, anche se non in modo grave.
Joyce fu sollevata nel vedere l'amica.
Ad Arwel sembrò bastare l'espressione di Maera per capire che le cose non stavano andando bene. "Che succede?"
"Gajza e Rancey stanno puntando al santuario con il grosso delle forze" disse Maera.
Arwel sospirò. "Non possiamo difendere due punti così distanti. Se ce ne andiamo da qui, sarà la fine."
"Se Rancey e Gajza prendono il santuario sarà stato tutto inutile" disse Joyce.
Maera scosse la testa. "Il mio dovere è difendere il santuario, non posso lasciarlo incustodito."
"Tu servi qui" disse Arwel. "Senza la tua guida perderemo."
"Ci andrò io" disse Joyce. Le era balenata in mente un'idea rischiosa, ma che poteva risolvere il problema principale.
"Tu? Da sola? Come pensi di fermare Gajza e Rancey?" disse Maera incredula.
"Non li voglio fermare, ma anticipare" disse Joyce. "Entrerò nel santuario e prenderò quello che Rancey sta cercando."
Maera la fissò stupita. "Tu vorresti violare il santuario? Che differenza vuoi che faccia per noi alfar? Perché dovremmo anche solo pensare di approvare un'azione così blasfema?" disse con voce stridula.
Joyce raccolse tutto il suo coraggio e disse: "Per voi non fa alcuna differenza. Rancey violerà in ogni caso il santuario. Ma per tutti gli altri che combattono contro Malag potrebbe fare la differenza."
"E che cosa vuoi che ci importi della vostra guerra? Non ci riguarda affatto."
"La state già combattendo" disse Joyce. "Anche se non volevate, Gajza e Rancey vi hanno trascinato dentro."
Serime, che aveva ascoltato restando in silenzio, disse: "Maera, uccidi subito questa kodva. Vuole violare il santuario, la cosa più preziosa che possediamo. Lo ha praticamente confessato."
"Sta zitto" disse Maera con tono che non ammetteva replica. I suoi occhi si fissarono in quelli di Joyce. "Dovrei ucciderti seduta stante."
Joyce resse quello sguardo. "Allora uccidimi, ma sai che sto dicendo la verità e  che intendo fare la cosa giusta. L'unica cosa che possiamo fare."
"Non starla a sentire" disse Serime.
Maera gli scoccò un'occhiata furiosa. "Ti ho detto di fare silenzio."
Lo stregone si ritrasse, ma non smise di lanciare occhiate ostili a Joyce.
Maera tornò a concentrarsi su di lei. "Se ti lascio andare, se entri nel santuario, sai che non potrai più tornare tra di noi? Sarai una nemica. Per sempre. Se oserai tornare dovremo ucciderti. È chiaro?"
Joyce annuì.
Leyra si fece avanti. "Nidda, non devi. Tasas Arwel, dille che non può fare una cosa del genere."
Arwel scosse la testa. "Vorrei che ci fosse un altro modo, ma non c'è. Nessun alfar lo farebbe, rispettiamo troppo il divieto impostoci dalla dea, ma Sibyl non è una di noi e non lo sarà mai. Lei è una kodva, un'estranea."
"Giusto" disse Maera. "Se sarà lei a entrare non violeremo il patto con la dea. Il nostro onore sarà salvo."
"Nidda, non farlo. Non devi" disse Leyra con tono implorante.
"Non c'è tempo" disse Joyce. "Devo andare al santuario prima che Gajza e Rancey lo trovino."
"Ti dirò come arrrivarci da un sentiero che solo noi conosciamo" disse Maera. Le fece cenno di seguirla.
Arwel e Leyra si avviarono insieme a loro.
Raggiunsero un punto dove gli alberi crescevano più fitti. Maera indicò un fiore dai petali viola. "Segui questo fiore. Ti indicherà la strada."
Joyce fece per avviarsi, poi si voltò e rivolse un saluto a Leyra. L'alfar per tutta risposta scoppiò in lacrime e si voltò.
Arwel raggiunse Joyce. "C'è un altro motivo per cui noi alfar non abbiamo mai violato il santuario. Maera non lo ammetterà mai, ma è stata anche la paura."
"Paura? Credevo che Lotayne fosse vostra amica."
"Lotayne era una maga prima che una dea. I santuari dei maghi supremi sono posti pericolosi, pieni di trappole alimentate da energie arcane."
Joyce ricordò il santuario di Zanihf e i suoi automi guardiani. "Lo so" disse.
Arwel annuì. "Il santuario di Lotayne potrebbe non essere diverso. Devi stare molto attenta."
"Lo sarò" disse Joyce convinta, ma in realtà non aveva idea di quali trappole o pericoli avrebbe incontrato.
Senza aggiungere altro si avviò lungo il sentiero.
Come detto da Maera, le bastò seguire i fiori viola per trovare la strada. Mano a mano che si allontanava dalla battaglia, i rumori arrivavano sempre più ovattati e distanti, come se quell'evento stesse accadendo a decine di miglia da lì e non a poche centinaia di metri.
Il sentiero si diradò all'improvviso, rivelando l'ampia radura dove sorgeva l'albero primordiale della foresta, Edranor. Non perse tempo a guardarsi attorno e cercò l'entrata del santuario. Trovò la grotta dove ricordava che fosse. Prima di entrare marchiò il terreno con un sigillo per il richiamo.
Non vide le tracce del passaggio di altre persone. Era arrivata prima di Rancey e Gajza. Forse i due stavano ancora cercando il sentiero giusto e ne avrebbero avuto ancora per qualche minuto, se era fortunata.
Doveva sbrigarsi.
A un passo dall'entrata, esitò. Dopo qualche passo l'oscurità sembrava solida, palpabile. Evocò un globo luminoso e si inoltrò nelle viscere della terra.
La prima cosa che la colpì fu il profumo di fiori freschi che aleggiava nell'aria. Possibile che nel buio così fitto crescesse qualcosa più di qualche fungo?
Avanzando nel buio appena rischiarato dal globo luminoso, notò che le pareti della grotta erano lisce e levigate, anche se l'umidità nei secoli aveva danneggiato quella opera. C'erano crepe e qualche parete aveva ceduto, riempiendo di terriccio il corridoio. Altre zone erano piene di radici che sbucavano dalle pareti o piovevano dal soffitto e proseguivano nel pavimento.
Dovevano essere quelle degli alberi-torre. Solo quelle piante gigantesche potevano scendere così in profondità.
Avanzò con fatica in una zona che era stata allagata da una falda acquifera. L'acqua le arrivava alla cintola ed era gelata. Mentre avanzava un passo alla volta, cercava di non inciampare in qualche ostacolo nascosto.
Il tunnel si allargava e restringeva a intervalli regolari, ma non si divideva mai. Proseguiva per chissà quanti metri con una lieve pendenza verso il basso, penetrando sempre più nelle viscere della terra.
Il globo luminoso scomparve all'improvviso.
Aveva camminato per un'ora intera? Si era resa conto a malapena del tempo che passava. A quest'ora Rancey e Gajza dovevano aver raggiunto l'entrata del santuario.
Joyce valutò se fosse il caso di affrettare il passo, ma aveva troppa paura di inciampare e cadere. Se si fosse slogata una caviglia o, peggio, rotta una gamba, sarebbe stata la sua fine. Non c'erano posti in cui poteva nascondersi e attendere che la superassero per poi fuggire.
Tuttavia, se avesse atteso troppo, Gajza e Rancey l'avrebbero raggiunta in ogni caso, rendendo vani tutti i suoi sforzi.
Quel pensiero la indusse ad aumentare l'andatura.
Il passaggio si restrinse, fino a diventare così stretto da consentire a una sola persona di corporatura modesta di avanzare. Sentì le pareti chiudersi sopra di lei, come se volessero schiacciarla e, complice il buio, si sentì soffocare da quell'abbraccio di pietra.
Stava per mettersi a gemere quando il passaggio si allargò di nuovo, ampliandosi fino a formare un'ampia grotta dalla volta alta diversi metri.
Joyce avanzò con cautela mentre, sotto la luce incerta del globo luminoso, osservava gli strani fregi che adornavano le pareti di roccia.
Qualcuno aveva scolpito centinaia, forse migliaia di volti nella pietra. Non c'erano due visi uguali tra quelli ritratti. Riconobbe un'anziana, un ragazzo dall'espressione divertita, un adulto dai folti baffi e poi visi con lunghe barbe, solcati da profonde rughe o pieni di lentiggini e dagli occhi dal taglio sottile tipici dei popoli lontani di cui Joyce aveva solo sentito parlare.
Sotto i loro sguardi pietrificati dal tempo e dalla mano di svariati artisti, raggiunse la parte opposta della grotta, che si apriva a formare una conca ancora più ampia, tanto che la volta spariva nell'oscurità.
Al centro esatto, un pozzo esagonale largo una decina di metri. Qualcosa pioveva dall'alto e proseguiva verso il basso, affondando nell'oscurità. Avvicinandosi, vide che erano radici che si avvolgevano l'una all'altra formando una corda compatta. Altre radici si erano fatte strada nella volta di pietra, scavando la loro strada verso il pozzo.
Joyce si sporse di qualche centimetro per guardare il fondo del pozzo. Non vide che buio per metri e metri e, alla fine di quel tunnel di oscurità, un lucore pulsante. Allo stesso tempo sentì un vento caldo che le soffiava sul viso e sembrava provenire dalle profondità del pozzo stesso.
Era come un respiro leggero che aumentava e diminuiva d'intensità col pulsare della luce sul fondo. Impossibile dire se le due cose fossero collegate.
Si allontanò per riflettere qualche secondo su cosa doveva fare. Le radici erano cresciute lungo le pareti del pozzo e vi si avvolgevano in spire compatte, ma c'era abbastanza spazio per calarsi di sotto.
Il cuore del santuario, quello che stava cercando e che Rancey voleva non poteva che trovarsi in fondo a quel pozzo.
Doveva entrarvi per prima e proseguire.
Sospirò e si diresse verso il pozzo, lo scavalcò con un gesto agile e per qualche secondo restò sospesa sul baratro, incerta su cosa fare. Poi mormorò la formula della levitazione e si lasciò andare.
Cadde per diversi minuti, aiutandosi nella discesa con braccia e gambe. Le radici erano viscide e scivolose, ma c'erano degli appigli su cui fare presa.
Ci vollero due incantesimi di levitazione per completare la discesa. Quando toccò terra trasse un sospiro di sollievo.
Alla luce del globo luminoso, le pareti in fondo al pozzo erano lisce e levigate. Le radici proseguivano lungo il condotto, seguendo una via tortuosa che si snodava attraverso i cunicoli.
Joyce la seguì, facendo attenzione a non perdere di vista la strada. Mano a mano che avanzava, la luce palpitante cresceva in intensità. Sembrava emanare dal fondo del condotto e riflettersi sulle pareti.
A un certo punto la luce divenne così intensa che Joyce annullò il globo luminoso e procedette senza.
Il condotto terminava aprendosi in una enorme grotta che le ricordò quella di Zanihf, con l'unica eccezione che questa era vuota, a parteil groviglio di radici che al centro esatto formavano una torre che svettava verso l'alto. Solo allora notò che c'erano altri condotti e che da ognuno di essi spuntavano gli stessi grovigli, come se intere foreste fossero cresciute abbeverandosi alla stessa fonte.
E quella fonte era al centro della grotta, nel punto dove tutte le radici si riunivano formandone una sola. O erano state tutte originate da quell'unico punto?
Impossibile dirlo.
Joyce passò qualche minuto ad ammirare quello spettacolo, cercando di seguire le mille spire che le radici avevano formato. La luce brillava attraverso di esse, tra una spira e l'altra. Ad ogni cambio di luminosità, un vento leggero si alzava spirando dal centro della grotta verso l'esterno.
Seguì con lo sguardo le radici che si innalzavano verso l'alto e scomparivano nel buio, dirette chissà dove.
Solo allora comprese che alcune erano cresciute verso la luce e altre invece ne erano state generate, salendo verso l'alto.
Che cosa stava guardando? Era una creazione di Lotayne o la dea si era limitata a sorvegliare quel luogo?
"Immagino di dover essere impressionato" disse una voce alla sua spalle.
Joyce sussultò, temendo di vedersi piovere addosso un dardo da un momento all'altro. Si voltò, pronta a rispondere con lo scudo magico.
Davanti a lei, nel lucore della luce che pulsava, c'era una figura maschile.
Ma non era quella che si era aspettata e che temeva.
Non era Rancey.
Davanti a lei c'era il volto sorridente di Khadjag.
Joyce lo fissò con stupore.
"Vedo che sei sorpresa quanto me" disse l'uomo avvicinandosi.
Joyce rimase sul chi vive, lo scudo ancora alzato.
"Non hai nulla da temere finché non mi attacchi" disse l'uomo passandole accanto. Joyce vide che nelle sue mani non brillava alcun dardo, ma non si sentì più sicura per questo.
Non tutti gli incantesimi venivano preparati con largo anticipo. Per quanto ne sapeva Khadjag poteva colpirla in ogni momento. Poi pensò che non l'aveva fatto quando era distratta e si rilassò. Annullò lo scudo magico.
"Bene" disse l'uomo. "Vedo che sei ragionevole. Ora dimmi perché sei qui."
"Voglio impedire a Rancey di prendere una cosa."
Khadjag annuì. "È quello che voglio anche io, anche se immagino che i miei motivi siano molto diversi dai tuoi."
"E quali sarebbero?"
"Mettere fine alla guerra. In ogni modo possibile. Anche quelli meno accettabili."
Joyce ne sapeva più di prima, ma finché riusciva a farlo parlare avrebbe guadagnato tempo per pensare a qualcosa. "E come pensi di riuscirci?"
Khadjag indicò le radici. "Con quello."
"Che cos'è?"
"Uno dei segreti meglio custoditi del mondo." Si mosse verso uno dei cunicoli allineati lungo le pareti della grotta, l'unico dal quale non spuntavano radici. "Vieni, ti mostro una cosa."
Joyce lo seguì in silenzio.
Nel cunicolo il buio era rischiarato appena dalla luce pulsante. Le pareti erano lisce e decorate con delle pitture, ma il tempo le aveva rovinate. Restavano solo delle ombre dai colori sbiaditi che Joyce faticava a mettere a fuoco. "Che cosa raffigurano?"
"La vita di Lotayne. Le sue imprese. Chi lo sa?" disse Khadjag scrollando le spalle.
Arrivati in fondo al cunicolo, si ritrovarono in una stanza ovale. In fondo a essa vi era un altare modellato da un unico pezzo di roccia nera. C'erano due sedili scavati nella pietra. Sullo schienale di uno di essi qualcuno aveva inciso un simbolo. Due triangoli uniti per una delle punte.
"Proprio come era scritto nelle cronache di Osmar" disse Khadjag avvicinandosi.
"Chi?" fece Joyce guardandosi attorno.
L'uomo sospirò e si diresse verso la parete dietro l'altare. Joyce lo vide sparire all'improvviso ed ebbe un sussulto. Quando si avvicinò, vide che c'era una seconda uscita nascosta da una parete di roccia. Il buio e un effetto ottico voluto da chi l'aveva costruita la nascondeva alla vista di chiunque altro.
Dall'altra parte c'era una seconda sala, più grande di quella che ospitava il trono. Lungo la parete erano state scavate delle nicchie profonde una o due palmi.
Qualsiasi cosa avessero ospitato, adesso era ridotta in polvere. Joyce notò che era ovunque, ammonticchiata sia sugli scaffali di pietra che sul pavimento.
Si chinò per guardare meglio e notò il lembo di una pagina ingiallita spuntare da un mucchio di polvere. Allungò la mano e la prese tra le dita, sollevandola. C'erano dei segni, forse delle parole.
"Sono libri" disse Joyce realizzando quello che aveva di fronte.
"La biblioteca di Lotayne" disse Khadjag, il viso rivolto verso la parete di nuda roccia. "Quello che ne resta, almeno."
Ora tutto le appariva più chiaro. "Stai cercando il suo compendio, non è così?" Ripensò al santuario di Zanihf e a cosa era successo quando Dume aveva trovato il compendio del mago supremo e aveva riattivato le sue macchine.
Khadjag rise, ma la sua risata era più simile a un latrato. "No, certo che no, sarebbe inutile."
Joyce si guardò attorno. "Perché a quest'ora sarà ridotto in polvere come gli altri libri?"
Khadjag tornò serio. "No, il motivo è un altro." Trasse un profondo sospiro. "Lotayne non era una maga suprema. Era una strega."

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