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Autore: aki_penn    02/07/2009    3 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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I miei venti metri quadrati

Dodicesimo Capitolo

Dieci minuti di nobiltà

 

 

 

 

 

Era dalla mattina presto che mia madre lambiccava attorno a uno stralcio di tulle fucsia che imbottiva una gonna a frappe. Con tre aghi in bocca e il metro al collo , mentre le sue mani correvano veloci sulla stoffa. Io ero decisamente assente, non stavo pensando a nulla, mi ero svegliata presto, come al solito a causa dei brutti sogni e da parecchio tempo mi ero rintanata  sul divano con un biscotto in mano, che però non accennavo a mangiare. Fuori il tempo si era fatto ancora più uggioso del giorno prima , se era possibile.

“Cosa ne pensi Rachele, tesoro?” domandò mia madre che si alzava presto per poter cucire un po’ prima di andare al lavoro.

“Carino” commentai senza guardarlo e volgendo lo sguardo verso il corridoio. Mi chiesi che fine avesse fatto mio fratello, ovviamente quando mia madre non l’aveva visto nel suo letto, quella mattina, si era presa un colpo, ma si era subito tranquillizzata dopo che l’avevo informata della sua degenza da Joyce.

Non avrei mai capito da dove spuntava quella cieca fiducia nell’impellicciato, perciò avevo smesso di badarci.

“Nikka dice che è carino” brontolò guardando critica l’imbastitura. Rizzai le orecchie e increspai le sopracciglia.

“Quando l’ha visto Nikka?”mi informai accigliata. “Oh” cominciò distratta lei “ieri sono andata da Marianna , e sua figlia ha dato un’occhiata ai miei disegni”

Schioccai la lingua. Sembrava che Nikka volesse rubarmi anche mia madre , oltre che mio fratello.

“Forse dovresti metterci qualche lustrino” azzardai dando attenzione alla creazione di mia madre, mentre mi avvicinavo a Mr. Manichino.

Lei mugugnò “Tesoro non saprei… secondo Nikka ultimamente uso troppi lustrini, appesantiscono troppo… temo che abbia ragione…” fece con voce preoccupata girando pensierosa attorno al vestito.

Colpita e affondata.

“credo che dovresti seguire solo il tuo gusto” terminai indispettita ingoiando il mio biscotto, mentre qualcuno suonava alla porta.

Andai ad aprire, e forse lo feci con troppa veemenza, tanto che mio fratello fece un passo indietro mentre io grugnivo “Chi è?”.

Se prima ero di cattivo umore, di sicuro la vista di Mei mi tirò su il morale, intabarrato in una  giacca gessata fucsia e un cappellino dall’aria fin troppo femminile.

“Non chiedermi perché sono vestito così, è opera di Joyce” si difese subito. Sorrisi e gli lanciai uno sguardo malizioso “Chissà perché lo supponevo… e capisco anche perché nessuno abbina più la lana con le paillettes” continuai guardando disgustata il suo copricapo.

“Ho deciso che andrò alla festa di Nikka” continuò torturandosi le mani in grembo aspettando la mia sfuriata.   E invece ebbe la mia benedizione. “Perfetto” faceva troppo ridere perché la stupida festa di Nikka potesse rovinarmi l’umore.

“Ma non ti aiuterò” aggiunsi. Mei sobbalzò “Certo, infatti… Joyce si è offerto di aiutarmi”.  Mi astenni per cortesia  dal fargli gli auguri.

“Bene allora siamo a posto” trillai accennando a chiudergli la porta in faccia, poi la riaprii “Dimenticavo, entra dalla finestra che mi vergogno a farti passare dalla porta conciato così” spiegai, poi gli strizzai l’occhio e richiusi l’uscio.

 

 

Joyce se se stava seduto per terra con la schiena appoggiata al letto e le gambe distese in avanti sul pavimento, intento a lambiccare col cellulare quando entrò tranquillamente Nikka in mutande e canottiera di un rosa caldo e in mano un piatto d’insalata.

“Ehi” esclamò lui alzando gli occhi da quella che fino a pochi secondi prima era stato il suo unico interesse “Giri in mutande con me nella stanza?”

Nikka alzò le spalle “Tanto tu sei gay” spiegò tranquillamente lasciandosi cadere accanto a lui e mettendosi in bocca un pezzetto di pomodoro e una foglia d’insalata.

“Ehi! Basta con questa storia!! Io non sono gay!” esclamò accigliandosi e voltandosi su un fianco per guardarla.

“Guarda che non te ne devi vergognare! E poi lo sappiamo tutti che hai un tatuaggio sul sedere con si scritto Darcy!”esclamò allegra accavallando le gambe e mostrando al mondo le sue pantofole rosa fashion.

“Ma Darcy è un nome unisex!” cercò di difendersi inutilmente.

“Certo certo bla bla bla!” lo scimmiottò lei dando attenzione alla sua insalata. Joyce sbuffò e si lasciò scivolare sul pavimento coperto da un tappeto.

“Beh, allora? Che ci fai qui? Non sarai mica venuto a dirmi che non posso girare per casa mia in desabie!!” scherzò allegramente  infilzando con la forchetta un pomodorino pericolosamente trasparente.

“Sono venuto ad assicurarmi che non facessi del male al mio protetto” spiegò con voce teatrale. Nikka lo guardò perplessa.

“Che sarebbe?” chiese . “Mei Pavesi!” sbottò accigliato.

“ Di cos’hai paura? che lo mangi?” chiese con un risolino beffardo, mentre Joyce lanciava uno sguardo disgustato al pranzo dell’amica.

“No, non credo che rientri nei tuoi gusti… sono convinto che Mei sia decisamente troppo calorico per i tuoi standard. Però potresti indurlo al suicidio. Piuttosto hai intenzione di diventare trasparente?” continuò.

“Non si è mai abbastanza magri” fece con un sorriso mentre si sdraiava sulla pancia di Joyce con l’intento di prendere dei tovagliolini appoggiati su una mensola bassa.

“E questo chi l’avrebbe detto scusa? Coco Chanel?” domandò lui alzando un sopracciglio ma rimanendo comodamente sdraiato sul tappeto.

“Vedo che sei informato” ridacchiò lei.

“Ho sparato a caso..” fece con un grugnito schifato.

“A proposito di Mei” continuò pulendosi la bocca con un tovagliolino di carta. “L’ho visto ieri… ha un nuovo livido… sullo zigomo… come se l’è fatto?” chiese seria guardandolo.

Joyce strizzò gli occhi dovendo ammettere che il nuovo livido era decisamente opera sua. “Beh, quello gliel’ho fatto io… ma non l’ho fatto apposta… cioè c’è stato un malinteso e ho rischiato di staccargli un dente… ma sono stato abbondantemente punito da sua sorella!”.

Nikka fece una smorfia “E’ sempre stata manesca” disse con un po’ di rabbia repressa. Joyce alzò le sopracciglia come per chiedersi per quale motivo Nikka dicesse una cosa del genere.

“Andavamo alle medie insieme” sbottò “non so se ti ricordi, i simpaticissimi gavettoni di aranciata, eccetera eccetera …” continuò un po’ alterata.

“Beh almeno con l’aranciata ha smesso” constatò lui soddisfatto.

“Sì, e ha cominciato con il brodo di dado… ci ho rimesso i miei stivali di Chanel” brontolò dando l’ultimo boccone rabbioso al suo pranzo.

“E voi quando vi siete conosciuti?” chiese fingendo disinteresse mentre finiva di masticare il suo boccone vegetale.

Lui sembrò pensarci, ma in realtà non aveva bisogno di ragionarci nemmeno un secondo “Ci siamo conosciuti in un parco, mentre lei dava la caccia a un opossum… avevamo otto anni. E’ stato qualche mese prima che morisse suo padre”. Nikka non commentò.

Joyce si alzò da terra scuotendosi la polvere dai pantaloni violetti. “Devo andare all’Irish… Mei mi aspetta lì… ma prima devo andare in bagno. Non è che avresti qualche cosa da leggere? Senza leggere proprio non concludo nulla… e leggere la composizione chimica dello shampoo mi pare triste” spiegò.

“Tu in casa mia non fai proprio nulla!” sbraitò cacciandolo fuori a calci. “Ehi calma! Sono questioni fisiologiche! Niente di personale , Nikka!” .

Nonostante tutto lei non sembrò intenerirsi e il ragazzo venne malamente cacciato fuori, d’altronde la regina della festa doveva prepararsi.

Nella stessa città, ma in tutt’altra atmosfera Mei camminava lento ed incerto con un foglietto accartocciato in mano, il suo senso dell’orientamento non era un granché. Anche perché non aveva avuto modo di allenarlo, stando sempre in casa. Le sue mete erano sempre le stesse: scuola , edicola, negozio di computer e pochi altri.

Quella via scritta con la calligrafia di Joyce non l’aveva mai sentita nominare, e aveva dovuto procurarsi una piantina da internet per arrivare nelle vicinanze.

Rimase per qualche secondo a fissare la tenda verde speranza un po’ sdrucita e arricciata, tanto con quel tempo uggioso di certo non serviva. Sulla tenda stava scritto in caratteri semplici e bianchi “Irish”.  Mei deglutì e increspò un poco le labbra guardando le due sedie squallide e sporche che se ne stavano abbandonate fuori dal locale.

Si affacciò per poi entrare, mentre all’interno era tutto piuttosto scuro e fumoso. Nella penombra riconobbe delle sagome, che parevano bere e giocare a carte. “Salve” cominciò incerto e balbettante “Stavo cercando Joyce” disse, un tizio gli rispose con uno sbuffo e disse qualche cosa in una lingua strana che Mei non conosceva.

Dall’altro capo del localino buio si levò un urlo “MEI” e uno sgargiante  Joyce con un enorme cappello verde  si accinse ad attraversare la sala per il lungo passando sopra i tavoli, rovesciando pinte di birra e rovinando mazzi di carte tra le proteste degli avventori.

Arrivatogli accanto gli cinse le spalle con il braccio e urlò “Lui è Mei!! Siate carini con lui, e soprattutto parlate in italiano! Va bene?” . Dal locale si alzò un consenso insoddisfatto e qualcuno azzardò un “Adesso mi ripaghi la birra però!”

“Eddy!” continuò tranquillamente Joyce trascinando per la stanza il malcapitato Mei “Quando vedi questo ragazzo offrigli una birra! E non parlare in gaelico!! Mi raccomando!!”

“Sei sempre bravo ad offrire coi soldi degli altri eh?” commentò un uomo quasi calvo e con un dente in meno del normale, mentre puliva il bancone con uno straccio bisunto, e Mei non capì se scherzava o era davvero scocciato quindi preferì avvertire “Non si preoccupi, sono astemio!”.

Joyce lo strattonò tirandolo per il collo e rischiando di strangolarlo mentre lo conduceva verso l’uscita e nel frattempo urlava “Eddy, sei il solito taccagno!!”.

Poco dopo si trovarono nuovamente sul marciapiede, la strada era vuota e il cielo uggioso come prima che Mei entrasse.

“Che posto è quello?” ansimò il ragazzo massaggiandosi il collo. “E’ l’Irish!! Il ritrovo di tutti gli Irlandesi di questa città! Ci troviamo lì , parliamo in gaelico, beviamo a carte e festeggiamo San Patrizio”

“Non pensavo che la percentuale di Irlandesi in questa città fosse così folta…” fece Mei ancora senza voce, mentre l’amico rispondeva con un’alzata di spalle sibillina.

“Vuoi il cappello tipico dei lepri cani?” domandò porgendogli l’enorme copricapo verde. Mei declinò gentilmente l’offerta.

A quel punto bisognava avere un’idea, un’idea intelligente su come conciarsi per la festa. L’Irlandese si appoggiò al muretto di un passaggio che dava su un lurido canale, che avrebbe dovuto ricordare Venezia, ma che di Venezia aveva solo la puzza, e si accese una sigaretta.

“Ebbene mio prode Mei  hai qualche proposta intrigante?”. Mei si guardò un po’ in giro come se potesse chiedere l’aiuto del pubblico.

“A dire il vero non saprei”. Joyce non sembrò preoccupato, anzi diede tutta l’attenzione alla sua sigaretta che aveva l’aria di essersi spenta.

“Falso allarme” disse rimettendosela in bocca “Allora pensiamo… feste in maschera…carnevale: cosa ti viene in mente?”.

Mei ci pensò. “Arlecchino?” domandò come se avesse paura di sbagliare.

“Ti vuoi vestire da arlecchino?” chiese tranquillo Joyce sempre comodamente appoggiato al muretto mentre Mei se ne stava davanti a lui in piedi  e intirizzito, con l’aria di chi viene interrogato in una materia difficile.

Il ragazzo si sbrigò a scuotere la testa. “Immaginavo” sentenziò l’amico “passiamo oltre: carnevale di Rio… no vabbè questo lo escludo io perché non credo che avresti speranze di conquistare Nikka con un perizoma e una corona piumata… rimane halloween… cosa pensi…?”

Mei alzò gli occhi al cielo, forse sperando che la risposta fosse scritta nelle nuvole.

“Zucche?”

“NO! vampiri Mei! Vampiri! Ti vestirai da Vampiro… non puoi mica conquistare Nikka vestito da zucca!!” sbraitò esaltato sbracciandosi senza un motivo vero e proprio.

“Credi che sia un travestimento carino? E poi comunque non mi piace Nikka!”

“Vabbè non importa! Corri corri Mei ci aspetta la nostra grande impresa!!” strillò sovraeccitato trascinandolo dove pareva lui.

“La parte difficile sarà la dentiera… ma qualche cosa troveremo!!” esclamò allegro continuando a tirarlo.

“Dentiera? Che dentiera?”domandò preoccupato, ma l’Irlandese non si degnò di dargli risposta.

 

Era vero, la cosa difficile era la dentiera , ma non perché fosse difficile da trovare, o troppo costosa, ma semplicemente perché era incredibilmente scomoda. Storse la bocca un poco, sentendo i canini di plastica scorrergli sulle labbra.

“Da cosa sei vestito?” domandò Rachele che camminava accanto a lui silenziosa e veloce nonostante i tacchi vertiginosi.

“Da vampiro” rispose lui incerto.

“Originale” commentò lei senza guardarlo. Mei arrossì “Grazie”

“Facevo del sarcasmo” lo stroncò senza pietà. “E’ stata un’idea di Joyce…” spiegò lui con gli occhi bassi. Quelle parole rubarono alla sorella un sorriso “Allora immagino di dover ringraziare di non vederti vestito da Lepricano” disse ridacchiando.

“E tu da cosa sei vestita?” domandò guardandola senza capire. Si era messa gli occhiali da vista anche se non ne aveva bisogno.

“Da cliché…”. Mei sbatté le palpebre senza capire.

“Da segretaria porno” spiegò lei con un sorriso. “Di quelle che seducono il datore di lavoro?” chiese delucidazioni lui, incerto.

“Esatto…comunque… sta sera con Nikka… non fare il nerd” disse, ma probabilmente le costò molta fatica. Mei ci pensò su, per quanto sua sorella detestasse Nikka non sembrava intenta a sabotarla per una volta.

“Sei un bel cliché” disse con quel che avrebbe dovuto essere un complimento. Lei lo prese come tale e sorrise mentre arrivavano a una villa illuminata, il giardino era disseminato di candele e c’era gente vestita in modo ambiguo e sgargiante ovunque.

“Bah… tanti soldi spesi per questa idiozia” commentò Rachele sprezzante. Ma Mei suppose che in fondo quelle cose eccessivamente costose ed eccentriche piacessero anche  a lei, se no non si sarebbe certo presentata.

Oltrepassarono a passo lento il cancello guardandosi intorno, Mei notò poco distante un mangiafuoco. Sbatté le palpebre e si chiese in che razza di posto fosse andato a finire, non ebbe tempo per pensarci ulteriormente, perché davanti a loro apparvero come per magia una Nikka dal sorriso plastico e un Joyce dal sorriso esaltato. Lei vestita di veli rosa, frappe e lustrini, Mei suppose fosse una specie di odalisca. Mentre Joyce sfoggiava una camicia floreale Hawaiana e un grosso medaglione di plastica con due serpenti incrociati, dalla’aria decisamente pacchiana.

“Accidenti Mei ti sei vestito da vampiro! Pensa che caso io sono vestito da esorcista!” trillò gioviale.

“Joyce, ma lo hai deciso tu che mi sarei dovuto vestire da vampiro” fece il ragazzo incerto, Joyce, che del canto suo voleva dare un po’ di spettacolo si rabbuiò.

“E quello sarebbe un esorcista razza di idiota?” sbottò acida Rachele “Gli esorcisti sono dei preti.. e comunque non si è mai visto un esorcismo a un vampiro! E che roba è quella camicia? Non siamo mica alle Hawaii!” . Joyce si voltò verso Nikka sperando in un po’ di comprensione, o almeno di un po’ di spirito di contraddizione verso la ragazza coi capelli blu.

“Mi spiace ammetterlo ma devo darle piena ragione…” fece lei prima di girarsi e continuare “e tu da cosa saresti travestita?” chiese strafottente.

“Da segretaria porno” rispose Rachele come se fosse una sfida.

“Raffinato” fu il commento sarcastico della sua interlocutrice.

“Ciao” saluto Joyce allegro facendo cenno a un tipo che scappò via impaurito. Mei assottigliò gli occhi per vederlo meglio “Joyce , perché conosci Pallotti?”domandò accigliato.

“Oh, è una lunga storia che riguarda nudità e cancelli” spiegò tranquillamente. “Ha un ché di osceno” fece lui con una smorfia.

“Di osceno non c’è proprio niente” lo tranquillizzò l’Irlandese con un sorriso che più che altro faceva paura.

 “Il vampiro viene con me?”. Mei che non si era reso conto che stava parlando con lui si guardo in giro, e Nikka un po’ scocciata fu costretta a ripetere la frase e prenderlo per un braccio perché capisse. Rachele si coprì il volto con la mano e mugolò qualche cosa che poteva essere un “cosa ho fatto di male per avere un fratello così invornito?”

Quando finalmente Nikka e Mei riuscirono ad allontanarsi anche Rachele girò i tacchi annunciando “Ho bisogno di alcol dopo questa scena assurda!” .

“C’è il free bar!” esclamò allegro Joyce rincorrendola.

Mei sbatté addosso a una decina di persone mentre Nikka con una mano lo tirava e con l’altra si teneva stretta i veli.

In un batter d’occhio si trovò lanciato su un divanetto bianco con accanto una Vanessa che per colpa della pettinatura, coi capelli raccolti somigliava più del solito a un cavallo. Milly invece trangugiava una millefoglie , Nikka ancora in piedi la fulminò con uno sguardo che sembrava dire “CALORIEEEE”, e la malcapitata fu costretta vergognosamente a lasciare andare la sua torta.

Poi anche Nikka si lasciò cadere accanto a Mei.

“Allora cosa vuoi fare?” chiese alzando le sopracciglia ed avvicinandosi di più a lui. Mei di rimando aumentò la distanza che c’era tra di loro spostandosi un po’ dall’altra parte.

Nikka probabilmente se ne accorse, perché lo guardò male, e lui si rese conto di aver fatto una tremenda gaffe. “Non saprei” rispose, ritrovandosi a desiderare un cilicio per potersi punire come si deve. Ma che diamine stava facendo? E per fortuna che non doveva fare l’impacciato!

Nikka parve scocciarsi, lo fulminò con uno sguardo e si alzò “Vado a prendere qualche cosa da bere, vuoi qualche cosa?” sbottò come se non fosse neanche una domanda.

“Una coca cola?” azzardò.

La faccia che fece Nikka fu davvero indescrivibile mentre spariva tra la folla alla ricerca del bar.

Era sempre peggio! Come poteva essere così idiota? Ma perché diamine era astemio?  Forse vedere zio Michele ubriacarsi tutti i Natali lo aveva scandalizzato, ma non poteva andare avanti così! Una gaffe dopo l’altra , forse avrebbe potuto fare un po’ il figo tenendo dello spumante nel bicchiere e senza berlo.  E probabilmente avrebbe dovuto fare il cavaliere ed andare lui a prendere da bere invece di mandarci Nikka.

Da una parte e dall’altra si vide accerchiato da Milly e Vanessa, le amiche succubi di Nikka.

“Allora da cosa sei vestito?” chiese Milly facendo la sensuale, anche se il risultato era una foca monaca spiaggiata che cercava di imitare una gatta. Mei deglutì chiedendosi perché diamine si era ritrovato in quella situazione.

“Ehm… da vampiro…” rispose guardando disperato la mano di Milly che passava sul suo petto.

“Già, da vampiro idiota! Non vedi che ha i canini e il sangue che gli cola dalla bocca?” strillò isterica Vanessa spostando con un colpetto la mano di Milly per metterci poi la sua.

Mei nel frattempo si guardava in giro sperando nell’arrivo di Superman, o di Joyce vestito da Superman, o della provvidenza divina, o di qualsiasi altra cosa letale che lo salvasse da quelle due.

Nikka del canto suo non accennava a tornare, si era seduta al banco e aveva chiesto un cuba libre appoggiando la testa alle mani. Quando glielo avevano portato si era messa a giocherellare con il limone dopo averne buttato giù metà in un sol colpo. “Diamine quanto è stupido..” aveva sbuffato.

Che cavolo ci doveva fare con quel ragazzo? Insomma quando l’aveva visto aveva pensato che potesse essere come lei, assomigliarle insomma. Essere un uomo di mondo che veste bene , è intelligente e piace alle ragazze. Non ne aveva mai incontrati che riuscissero ad avere tutte e tre quelle qualità e le era sembrato che con Mei si potesse fare un buon lavoro. Ma dopo che Pallotti lo aveva picchiato si era rovinato tutto. E poi quel Mei non era proprio uno che riuscisse a essere un attimino meno ingessato. La soluzione a qui pensieri nefasti fu  scolarsi l’altra metà del bicchiere e ordinare del martini.

Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e si voltò lentamente, già un po’ annebbiata dall’alcol.

“Sei bellissima sta sera…” disse con voce bassa il ragazzone vestito fa giocatore di football americano che era apparso alle sue spalle.

“Io sono sempre bellissima, Pallotti… e ora sparisci” bofonchiò con voce strascicata.

“Ma Nikka… ho prenotato il servizio limousine solo per noi due…” , disse cercando di comprarsela almeno così, era mezza ubriaca e non sarebbe stato difficile infinocchiarla.  Nikka scese barcollante dello sgabello con il quarto martini stretto in mano. “Mai e poi mai…rimarrò da sola con te… vacci pure da solo sulla tua limousine” sentenziò annebbiata.

“Nikka verresti a ballare con me?” chiese un ragazzo vestito da quello che poteva essere topolino, ma anche un contadino che si è messo il vestito buono per la messa della domenica. Nikka fece un sorriso e si lanciò tra le braccia del ragazzo “Sono tutta tua! Andiamo a ballare!!” urlò.

Pallotti sbatté un pugno sul tavolo scocciato e si guardò intorno irritato. Poi vide qualche cosa che gli rallegrò la serata e ordino un paio di cocktail.

Ottenuti questi si avvicinò velocemente verso il centro del suo interesse.

“Verresti in un posto tranquillo con me?” domandò gentile porgendo uno dei due bicchieri. Rachele rispose con un sorriso e fece toccare i due bicchieri, che se non fossero stati di plastica avrebbero fatto cin cin . “Va bene” disse “andiamo dove vuoi”.

Nel frattempo Mei si era trovato a sgranare il rosario sperando che Nikka tornasse e si portasse via quelle due assatanate. Milly lo abbracciava da destra e Vanessa a sinistra gli era quasi completamente in braccio, con il naso a pochi centimetri dal suo. Gli avevano chiesto tutto quello che si potesse chiedere a una persona, a quanti anni aveva perso il primo dentino e che numero di scarpe portava!

Ci sarebbe voluto un miracolo per salvarlo, anche perché Vanessa sembrava davvero intenzionata a baciarlo. Strizzò gli occhi. Cercando di allontanarsi un po’ dalla ragazza bionda che si stava avvicinando a occhi chiusi, ottenendo soltanto di affondare nella spalla cicciotta di Milly.

L’angelo  dell’apocalisse lo salvò dicendo “ Baldi giovani! Cosa si fa qui? Vi posso rubare un attimo il vampiro?”.  Mei guardò in alto e vide in piedi dietro al divanetto dove stava seduto lui un Joyce allegro con una Guinnes in mano. Gli Irlandesi non amano smentirsi.

“Certo Joyce arrivo subito” rispose il ragazzo alzandosi e liberandosi della presa delle due sanguisughe , come se il divano stesse andando a fuoco. E si allontanò quasi correndo.

“Mi hai salvato la vita” ansimò.

“Non ho mai visto delle odalische così brutte” su il laconico commento di Joyce. “Hai perso la tua bella?”domandò poi. Mei fece un’espressione arricciata, se si può dire, perché più che altro era decisamente indefinibile.

“E’ andata a prendere da bere e non è più tornata, mi sa che ho fatto qualche cosa di stupido” ammise.

“Forse hai fatto qualche cosa di stupido, ma è tornata da te…” fece l’amico.

“Cosa?” replicò Mei prima di sentirsi tirato per il mantello di raso. “Mei!” esclamò Nikka prima di abbracciarlo calorosamente, mentre Joyce veniva inghiottito dalla folla.

“Che bello vederti! Ti avevo perso!!” esclamò alzando la testa per guardarlo, era davvero molto più bassa. Una ragazza in miniatura. Non come sua sorella che era quasi alta quanto lui.

Avrebbe voluto precisae che era lei a essere sparita , ma era palese che non fosse del tutto lucida.

“Lo sai che ho baciato Alberto Lombardi? Bacia benissimo” cantilenò contenta senza volerne sapere di slacciare le braccia dalla sua vita.  Come al solito lui non sapeva cosa rispondere “ehm… mi fa piacere, sono contento per te…” fece imbarazzato.

Lei sorrise annebbiata e gli fece una carezza sulla guancia. “Sei davvero un ragazzo  dolce…” disse nei fumi dell’alcol prima di rispondere ad Alberto che la chiamava “Arrivo!”. Lo salutò con la mano e sparì per l’ennesima volta.

Mei sbuffò. E così quell’idiota era riuscito ad arraffarsi Nikka. Beh, gli stava bene, così avrebbe imparato a non fare il nerd. Uscì in giardino , dove non c’era quasi nessuno, a parte qualche coppietta imboscata. E quelli che si avviavano a casa.

 

 

Stavo guardando il falò quando arrivò Mei. “Che roba è che brucia?” chiese con un insolito sprint passandosi la mano tra i capelli.

“Oh, nulla di ché… i vestiti di Pallotti… o guarda lì ci sono anche le mutande..” . Mio fratello mi guardò perplesso. Io alzai le spalle divertita “Nessuno prende in giro i Pavesi, e soprattutto : nessuno mi usa come seconda scelta!!” sentenziai.

“E come avresti fatto a rubarglieli?” chiese sbigottito. Gli strizzai l’occhio “Joyce docet” fu la semplice risposta.

“Andiamo a casa?” chiese con aria un po’ triste. Annuii serenamente, essermi vendicata su Pallotti mi aveva riempito di allegria.  Mei non sembrava del mio stesso umore a giudicare dallo sguardo truce e dalle mani nelle tasche, ma supposi fosse per colpa di Nikka. 

Stava per avviarsi a piedi quando lo trattenni. “Oh no, sta sera si torna a casa in limousine” annunciai.

“Limousine?” ripeté lui perplesso. Sorrisi “Già, l’aveva prenotata Pallotti, ma dato che adesso se ne sta andando in giro nudo come il sedere di un macaco non ne avrà bisogno. E poi Joyce conosce l’autista, gli sta insegnando il gaelico!” dissi aprendo la portiera della lussuosa vettura e infilandomici. Mio fratello mi seguì guardingo.

Feci un cenno con la testa “Quello è Ambrogio, l’autista come quello della pubblicità dei cioccolatini” spiegai , mentre Joyce cercava di convincerlo a scarrozzarlo a suo piacimento.

“Dai Ambrogio! Cosa ti costa venirmi a prendere a scuola qualche volta! Io ti sto insegnando il gaelico! Lo sai che se non impari Eddy non ti servirà mai una birra!” diceva.

Ridacchiai, e finalmente l’auto partì, con un Joyce lanciato in un’ardua impresa, un Mei abbattuto e una me intenta a godersi i suoi dieci minuti di nobiltà.

 “Ambrogio? C’è dello spumante? Che razza di limousine è senza spumante?”

 

 

 

Eccomi tornata con il dodicesimo capitolo. Ringrazio davvero Niggle e Lidiuz93 che hanno commentato il capitolo 11… è davvero bello sapere che a qualcuno piace la mia storia! Spero che anche questo capitolo vi piaccia! Se volete lasciatemi un commento , mi darebbe la carica per il prossimo!! E spero che dopo l’orale riuscirò ad aggiornare in modo un pochino più regolare!!

 

Baci Aki_Penn

 

 

 

 

   
 
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