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Autore: fiammah_grace    15/04/2018    0 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 21: La storia di un ingenuo re e della sua cattiva regina

 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Più dolce sarebbe la morte se il mio ultimo sguardo avesse come orizzonte il tuo volto.
E se così fosse, mille molte vorrei nascere per mille volte ancor morire.”
 
(William Shakespeare - “Amleto”)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Siate in silenzio.
 
La funesta dea nera tace, godendo dell’immensità del suono vuoto che sottace nel nulla.
Un nulla che freme fra le barriere di un universo che non la riconosce; tuttavia lei vige e regna in quelle terre ove alcuno vorrebbe giacere troppo a lungo.
 
Un sibilo impalpabile, letale, nocivo. L’animo trema. Fa paura trovarsi dinanzi la sua solennità.
La pelle si fa fredda, le labbra si seccano, il corpo s’irrigidisce; eppure suda, tanto; il cuore non smette di battere.
Il tremore sembra parte di quel palpito cruciale che si propaga all’interno del corpo in ogni sua parte; ciascuna vuole muoversi, danzare insieme a quel battito, non vuole fermarsi. Vuole essere ancora vivo, sa che è la sua ultima opportunità di muoversi.
La mente vacilla, non ce la fa più. Vuole riposare; tuttavia si trascina lungo quel cammino non ancora compiuto.
Fa male. Fa male più dentro che fuori.
 
Il bagnato che aveva addosso era di sudore o di sangue? Sentiva solo il corpo farsi pesante e appiccicoso; non voleva guardare. Non voleva sapere la verità.
I denti cominciavano a battere sempre più freneticamente fra loro.
Per quale motivo siamo destinati a finire in modo così pietoso? Cosa accanisce la vita sempre contro la stessa persona? E’ forse divertente?
Oppure è un destino?
Se invece fosse solo un crudele e spregevole “caos”? Un caos incurante della mala sorte che aveva afflitto tutto in una volta quella vita.
 
Siate in silenzio.
 
Il baldo cavaliere non vuole sentire più nulla. Vuole solo trovare la pace che merita, almeno adesso.
 
Adesso….che….sapeva sarebbe finita così.
 
Sì, lo sapeva.
Lo bramava.
 
Era da quindici anni che si sentiva così.
Quel cuore si era spezzato molti, molti anni prima.
Anche se le sue parti erano state unite con tutte le sue forze, sapeva fin dal principio che quelle crepe sanguinavano. Ago e filo avevano cucito crudelmente ogni sua parte, bucandolo e stringendo nel suo filo ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo. A furia di ricucirne i pezzi, questo si era bucato ancora di più, finché i lembi rimasero recisi irreparabilmente. Eppure quell’ago continuava a ricucire, e ricucire, e ricucire….
Massacrava quelle carni, affondava nel suo sangue, pur di mantenere in piedi quel muscolo vitale.
Morto, reciso, sanguinante e freddo; costretto a restare in vita da quella dannazione.
 
Siate in silenzio.
 
Non c’è nulla da dire più.
 
Tutto si spegne.
 
La recita è finita.
 
Il Re può chiudere gli occhi.
 
Puo’ lasciare che quei fili si spezzino, che cadano insieme ai resti di quel cuore oramai annerito.
 
 
Perché costringere qualcuno a vivere in un mondo che non desidera?
 
Era……………….così………………………..semplice. Dannatamente semplice.
 
Era tutto così bello e semplice. Fino a quel giorno. Quel giorno che aveva cambiato tutto.
Se avesse potuto cancellare tutto ciò che era avvenuto dopo quella funesta scoperta, sarebbe stata un’esistenza encomiabile, priva di frustrazione, dolore e menzogne.
Perché si era imposto di vivere in quel modo? Perché non aveva calato quel sipario nel momento opportuno anziché trascinare la commedia fino alla follia?
Sapeva fin da quel giorno che la sua storia sarebbe stata un perpetuo massacro, un’indecenza verso il concetto di vita stessa.
Sarebbe stato tutto così semplice se………..…
 
……………….che importanza aveva ora?
 
Siate in silenzio.
 
Non v’è vento, eppure lo sentite sulla pelle?
Soffia tenue, v’accarezza, vi sfiora.
Tuttavia…il vento non c’è.
 
E’ giunto il giorno in cui concedere a questo corpo quel che desidera.
Quella reale parte di cui è stato privato.
 
 
 
 
Almeno adesso.
 
 
 
 
Nel silenzio.
Nella solitudine.
Nell’incessante dolore freddo e acuto che precede la pace.
 
 
 
 
 
Lasciate che questo cuore veda un’ultima volta quello che un tempo lo rendeva felice.
 
 
 
 
 
 
Le parole mancano, si strozzano.
Quel cuore sussulta.
Si emoziona.
Prova imbarazzo e vergogna per i suoi errori. Costernato, si contorce per i suoi peccati.
Piange. Si disprezza.
Si appaga però di quella felicità immensa che solo quella persona sapeva dare alla sua vita.
 
Nonostante fosse impalpabile, nonostante dovesse sopportarne l’amara assenza fisica, ella continuava ancora adesso a rappresentare…tutto.
 
Tutto ciò poteva sembrare la menzogna di un losco burattinaio impazzito; la recita di un folle che ha costruito un palco nelle tenebre; ma non era così.
Non lo era.
 
Questa era la sua realtà.
La sua sola e unica.
 
Nessuno avrebbe mai capito. Nessuno doveva costringersi a farlo. Ed andava bene.
 
Lei era ancora una volta la sua roccia, quell’amore a cui poteva aggrapparsi in quegli abissi crudeli.
Ed era lì. Era lì sempre.
 
 
Alexia…….
 
 
 
Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro s'allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai.
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.”
  (William Shakespeare)
 
 
 
 
Nella vita non esiste altra forte consapevolezza; e ciò d’esser soli.
Tuttavia a lui era stato dato un destino diverso. Lui non era mai…solo.
Il destino che lo aveva unito ad Alexia non era né una dannazione, né una forma di pazzia. Era invece un dono. Un grande, immenso, unico dono.
 
 
“Alexia…”
 
Le porte del laboratorio si spalancarono e un’abbagliante luce trafisse gli occhi dello sconfitto comandante vestito di rosso.
Mistico, aulico, solenne; era tutto bianco, tutto immacolato.
Le sue iridi erano l’unica parte del suo corpo ancora capace di muoversi. Il resto giaceva a terra, sempre più inerme. Il suo dolore era così intenso da non riuscire nemmeno più a sentirlo. L’azzurro dei suoi occhi faceva quasi sparire le sue pupille, fisse su quella donna che per lui significava ogni cosa.
Le sue dita tremavano. Tentavano invano di allungarsi verso la sua dama tanto agognata, ma era ormai impossibilitato a muoversi.
Sorrise; sorrise di fronte quell’amore che aveva illuminato la sua strada fino all’ultimo respiro. Sorrise amaramente mentre la vista si appannava, non riuscendo ancora una volta a reggere la grandiosità che meritava il suo amore eterno.
Un amore che non lo aveva tradito, che non lo aveva mai trascurato, e che in quel momento gli stava donando un po’ di pace; a lui che invece aveva fallito miseramente, dimostrandosi incapace di proteggerla fino alla fine.
Voleva condividere con lei il suo sogno, realizzare i suoi desideri.
Invece la sua amata si era ritrovata ad affidare la sua vita a un fratello folle, ingenuo e inutile, che aveva perso tempo dietro compiti ignobili.
Al suo risveglio Lei avrebbe trovato ai suoi piedi non un devoto e potente Re, ma l’orripilante carcassa di un uomo sporco, insanguinato e debole.
Provava una vergogna inimmaginabile, si sentiva ignobile; eppure era appagato di essere lì in quel momento.
Nell’umiliazione e nel dolore più opprimente, Lei era lì. C’era sempre stata. Immutata. Pura.
La sua Alexia. La sua unica donna e regina.
Era questo ciò che aveva sempre desiderato e basta.
Si sentiva egoista nel lasciarsi andare così, ma almeno una volta nella sua vita voleva fare felice se stesso.
Sarebbe stato crudele, macabro, disonorevole. Quando Alexia l’avrebbe visto ridotto in quel modo, cosa avrebbe pensato?
Dopo aver dormito per quei lunghi quindici anni, sarebbe stato così che lo avrebbe rivisto?
Che fratello ignobile, lasciare che lei lo vedesse in quello stato pietoso, ai suoi piedi.
Quanto dolore avrebbe provocato nel suo cuore?
Almeno stavolta però non gli importava.
Voleva che i suoi occhi fossero fissi su di lei, fino all’ultimo, nel ricordo di quella che un tempo era la sua felicità.
Voleva che la sua vista si spegnesse in quell’ultimo sguardo.
Avrebbe sfidato la pazzia milioni e milioni di volte; e milioni di volte sarebbe impazzito e poi morto pur di immaginare fino alla fine quegli occhi ricambiarlo finalmente.   
 
Bip
 
Non sempre il fato è avverso.
 
Bip
 
Non sempre i miracoli sono falsi e ingannevoli. Talvolta….qualcuno ci ascolta…
…e un singolo istante può dare quelle risposte che abbiamo cercato in una vita intera.
In. Un. Piccolo. Fuggente. Istante.
 
Sono gli istanti quelli che cambiano tutto.
 
Alfred Ashford sbirciò oltre le sue spalle, verso uno schermo che si accese d’improvviso. Questo s’illuminò e una serie di codici presero a scorrere velocemente uno dietro l’altro riempendo la pagina del computer.
Il biondo, sconcertato, riportò lo sguardo di fronte a sé, fissandosi tremante verso il vetro che lo divideva dalla…
 
Potente…
Unica…
Bellissima…
 
“A…Alexia…”
 
Dimenticò il suo dolore. Dimenticò il suo senso di umiliazione. Dimenticò in un istante i suoi tormenti e la sua sconfinata solitudine.
Il suo cuore intanto non poteva reggere, si stava inesorabilmente fermando nell’ultimo battito vitale, ma il devoto Re ferito non aveva null’altro se non quell’immagine nei suoi occhi.
Né pensieri, né nulla. Solo gioia pura.
 
La capsula per la criostasi si svuotò del suo liquido liberando in un attimo quel sogno intrappolato da una vita.
Per lei che il tempo non era passato. Per lei che aveva atteso silente il suo risveglio. Per lei, che aveva immolato tutto.
Il vetro si aprì. Lo sguardo freddo e fisso della donna dai capelli biondi era già vigile.
 
“A…….lexia……….quanto ho aspettato……….questo…..momento…….Al…….”
 
 
Ella avanzava...
 
 
Avanzava verso di lui
 
 
Soave….
 
 
Fiera…
 
 
Bellissima…
 
 
Lei….
 
 
La sua…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Grazie….Alexia…
…mi hai fatto…………………….
……………..il dono….più bello……….di tutti…………..”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Silenzio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi.”
(William Shakespeare – “Macbeth”, atto IV, scena III.)
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
Che cosa significa perdere tutto?
Può essere figurato per davvero un giorno nel quale ogni cosa rappresenta la tua vita, essere cancellato davanti ai tuoi occhi?
Può essere immaginato sul serio?
 
Buio, solitudine, gelo…
Sangue….e rabbia.
 
E’ possibile ….concepire questo?
Degli occhi lucidi e vitrei, di un azzurro così intenso da indurre a distogliere lo sguardo, vedevano riflesso nelle loro iridi qualcosa di umanamente inconcepibile.
Ipotizzabile…ma non concepibile davvero.
Era tutto………………..…freddo.
Lei era bagnata.
Il suo corpo aveva ripreso padronanza in pochi attimi, era già in grado di muovere qualche passo. L’acqua gocciolava da ogni parte del suo corpo, scivolando dai capelli appesantiti, dalle braccia sottili, dalle dita affusolate, dalle gambe pallide, dal suo viso glaciale.
Il respiro era bloccato. Il suo sguardo fermo.
Il suo corpo, sebbene esteticamente rigido e posato, era contratto nel suo seno.
L’acqua intanto scivolava via ancora, scorrendo sotto l’immagine più fredda cui avesse mai assistito.
Una stanza vuota, immersa nel silenzio, cupa e gelata.
Una sirena prese a suonare, predicendo l’apocalisse che presto si sarebbe compiuta. Il suo ritmo disturbante martellava le mura del laboratorio incessantemente, eppure appariva un eco lontano rispetto il pandemonio interiore che stava prendendo coscienza dentro di Lei.
Si trovava in uno spazio bianco sospeso fra due mondi: quello di una donna che era sparita per quindici anni e di un uomo che l’aveva aspettata.
Quello spazio sospeso si stava dissipando, abbattendo finalmente quella barriera che li aveva divisi.
L’acqua cominciava già ad asciugarsi sulla sua pelle che si ricoprì lentamente di tante gocce.
Il tempo era un nefasto crudele, che passava…passava nonostante tutto.
Era tutto freddo e silente; era tutto ancora terribilmente freddo e silente.
I suoi occhi erano fissi su quel corpo. Non si spostavano.
Voleva vedere. Voleva sapere.
L’acqua della criostasi si mescolò con quella che fuoriusciva da quell’uomo accasciato; un organismo bellissimo, coraggioso, forte…per qualche motivo ora inerme ai suoi piedi.
I suoi occhi erano ancora fissi su di lei. Spenti. Freddi. Bianchi.
Il suo braccio propendeva ancora con tutte le sue forze verso di lei.
La donna fece diversi passi in avanti, lenti e fermi; fra le dita dei piedi navigavano righe rossastre, mescolate nel liquido biologico che l’aveva tenuta in vita.
La pelle bagnata e immacolata della donna si era macchiata di sangue già al primo battito di ciglia.
Si piegò verso quell’uomo. Lo toccò e pose il suo capo sulle sue ginocchia, sedendosi così accanto a lui.
Vide il rosso spargersi velocemente. La sua pelle bianca, marmorea, era ora rigata del rosso della sua parte più preziosa. Le sue mani si sporcarono per prime, poi le sue gambe, dove egli era appoggiato.
La sua rinascita rappresentata dall’acqua limpida e sterile che allagava la stanza e la morte rappresentata invece da quel rosso doloroso. Vita e Morte assieme.
Era tutto freddo…
Era tutto silente…
 
…ma quel freddo si trasformò in fuoco.
 
Un sibilo le bisbigliava nella mente. Un sussurro debole ma assordante, che la richiamava. L’assecondò e nella sua mente riuscì a vedere ogni meandro di quel Palazzo della follia. I suoi corridoi abbandonati, le sue stanze anguste…
Quelle immagini scorrevano come un film nella sua mente, come se avesse il controllo dell’intero laboratorio.
 
Lady Veronica…
 
 
La chiamava; il suo potere la chiamava. La riconosceva. Si concentrò e cercò di rispondere a quel richiamo mistico e potente che bruciava nel suo corpo.
 
 
Parlatemi…
 
Cosa vedete…?
 
 
Guidatemi…
Guidatemi verso di Loro.
 
Verso coloro che mi hanno fatto questo.
 
 
 
 
Galleggiava con la mente lungo i corridoi della base, alla ricerca dei suoi carnefici come un felino affamato da giorni. Lo sguardo scorreva felpato e finalmente riuscì a raggiungere due figure estranee aggirarsi furtive in quello che era il suo territorio.
 
 
 
 
Li vedo!
 
 
 
 
Lady Alexia Ashford spalancò i suoi occhi, richiamando a sé i suoi sudditi; le mura tremavano.
Gli intrecci erbosi del Baccello custodito in quei laboratori erano in completa simbiosi con la sua mente. Poteva guidare i suoi tentacoli letali ovunque volesse.
Il T-Veronica Virus era esattamente questo. Connetteva la sua mente al Baccello, fulcro dei suoi esperimenti, dal quale poteva guidare gli organismi di cui era composto. 
Durante le sue ricerche nella Base Antartica, nel 1981 scoprì i resti di un antico virus all'interno dei geni di una formica regina che la ispirarono nel suo progetto, che mirava a creare un Virus concorrente al T-Virus dell’Umbrella, allo scopo di ridare prestigio alla sua nobile stirpe.
Fu affascinata dall'ecosistema delle formiche, e più nello specifico dal rapporto che c'è nel formicaio tra la formica regina e quelle soldato, che avevano una simbiosi paragonabile a un sistema di controllo assoluto da parte della regina.
Se quell’idea avesse funzionato, il virus avrebbe posseduto il potere che cercava, ovvero quello di dominare in modo assoluto tutti gli altri organismi a esso connesso; una relazione che Alexia vedeva perfetta.
Le sue ricerche da quel momento mirarono dunque a creare un virus mutagenico artificiale incorporando nel virus Progenitor scoperto da Spencer, il gene di una formica regina.
Alexia somministrò il virus in una pianta che, dopo il suo positivo adattamento, diventò un enorme formicaio chiamato "Baccello di Alexia".
Il nuovo virus possedeva impressionanti capacità. Grazie alle temperature rigide dei laboratori in Antartide, poteva essere coltivato in sicurezza e poté sperimentarlo.
Durante il primo esperimento su una cavia umana, suo padre Alexander, tuttavia il virus causò un rapido cambiamento nelle sue cellule, innescando la completa distruzione del suo cervello e di gran parte del tessuto esterno. Questo fallimento rese necessario una soluzione all'adattamento.
Alexia capì che sopprimendo l'attività del virus ad una temperatura estremamente bassa, il corpo si sarebbe trasformato lentamente. Sicura di sé, decise che lei stessa sarebbe stata la cavia di quell’esperimento finale.
In base ai suoi calcoli le ci sarebbero voluti quindici anni prima che il suo corpo raggiungesse l'immunità e fosse in grado di coesistere con il virus.
Da quel giorno del 1983, era giunto il momento di raccogliere finalmente i frutti…e i risultati, fin dal suo risveglio, sembravano stupefacenti.
La sua mente era ora connessa a ogni cosa. Era…inebriante; potente.
Sentiva i suoi “sudditi” pronti a muoversi al suo comando. Erano pronti.
Le sinapsi bruciavano in un fuoco fatuo piacevole mentre raggiungevano i soldati che stava richiamando.
Come una Dea Vendicatrice, accolse il potere appena raggiunto e rimise ai suoi oppositori Colpe e Peccati, impartendo al contempo Doveri e Compiti che la Regina voleva vedere soddisfatti.
Questi si risvegliarono, obbedienti alla loro sovrana; in un attimo allinearono la loro mente a quella di Alexia e condivisero con lei la sua ira. Scattarono così violentemente verso il bersaglio; verso i nemici che le avevano fatto del male.
La donna strinse di nuovo gli occhi, raggiungendo la mente di un altro esperimento legato alla sua opera madre. Si sarebbe alzato anche lui, a lottare per Lei.
 
“Padre…”
 
Un grido di dolore echeggiò dalle fondamenta del Laboratorio Artico, penetrando fra le rigide mura. Le catene che lo imprigionavano da anni si spezzarono, la benda che gli impediva di strillare venne via.
Nosferatu era libero. Il suo ordine……..era vendicare suo figlio.
 
 
***
 
 
 
 
 
Base Antartide dell’Umbrella Corporation – laboratori
 
 
 
Claire Redfield correva seguendo i pochi percorsi a lei familiari di quel gelido laboratorio.
Si ritrovò a riflettere su quanto fosse accaduto fino a quel momento…
Prima era faticosamente scappata dal Palazzo ove era stata imprigionata dopo essere stata a Rockfort, poi a stento era riuscita a salutare Steve che subito era finita nei terribili sotterranei assieme ad Alfred Ashford.
Era successo tutto così in fretta….
Così dannatamente in fretta…
Il suo cuore batteva incessantemente, quella storia aveva preso una piega personale più profonda di quanto si sarebbe mai aspettata.
Eppure al contempo era stato un incalzare lento; lento tuttavia costante. Non sapeva nemmeno esattamente quanti giorni fossero passati da quando aveva cominciato a nutrire compassione per l’altolocato folle comandante biondo, ma quel cambiamento c’era stato ed era stato forte.
Aveva solo pietà per lui? Voleva aiutarlo? Oppure…lo amava?
Non era ancora certa di quel che sentisse davvero.
Sapeva però che non voleva abbandonarlo, voleva arrivare in tempo. Voleva che i suoi occhi vitrei e abbandonati si posassero su di lei, trasmettendogli quel calore umano e di comprensione che lui tanto temeva, poiché tradito troppe e troppe volte. Lei si rifiutava di essere ricordata da lui come l’ennesima delusione della sua vita.
Conosceva cosa significava perdere tutto, aveva provato sulla sua pelle la solitudine, l’abbandono…era stata sola in un buio periodo della sua vita; quando perse la sua famiglia in quel tragico incidente d’auto. Era troppo giovane all’ora.
Aveva perso la fiducia nel prossimo, non si era sentita capita, vedeva tutto distrutto; ma aveva ritrovato la speranza proprio nell’aiutare gli altri, in modo che nessuno si sarebbe mai sentito come lei.
Perdere la famiglia, il caposaldo fondamentale nella vita di un ragazzo, equivaleva alla sua distruzione mentale.
Lei non avrebbe mai potuto rappresentare questo per lui, ma poteva almeno essere una finestra aperta sulla quale affacciarsi e prendere un po’ di respiro.
Non pretendeva di guarire il suo dolore, voleva soltanto essere una spalla su cui potesse poggiarsi. Sentiva fortemente dentro di sé che Alfred poteva essere salvato.
Poteva farlo se fosse riuscita a raggiungerlo…e a portarlo via.
L’avrebbe fatto con la forza, se necessario. Voleva che quell’uomo devastato dal dolore desse un’opportunità al suo cuore. Non poteva…
Claire strinse gli occhi e il suo cuore sussultò a quel pensiero. Non riusciva a dirlo…
Lui non poteva…morire così…
…non dopo….aver sofferto tanto.
Si morse le labbra, le quali si fecero sempre più rosse a furia di torturarle stringendole fra loro.
Alfred si era rivoltato contro di loro e Steve aveva reagito sparandogli contro, così egli era caduto giù dalla balconata sopra i laboratori finendo nuovamente nelle profondità di quel
 labirinto tecnologico.
I proiettili l’avevano colpito? La caduta era stata mortale?
Aveva paura…una parte di sé temeva di aver assistito alla tragica e crudele conclusione di una vita sacrificata per nulla.
Non era giusto. Non riusciva a crederci e nemmeno a ipotizzarlo.
Era semplicemente…crudele se davvero quell’uomo che aveva gettato la sua anima in un vortice oscuro e spinoso, finisse la sua storia avvolto nelle tenebre ancora più oscure, coronando una vita distrutta e senza speranza; fredda, meschina, abbandonata.
Si voltò verso Steve, che fedelmente la seguiva, sebbene lui non avesse nulla a che fare con quella faccenda. Si bloccò di colpo e lo guardò con gli occhi colmi sia di angoscia, che di fermezza.
 
“Steve…”
 
“Cosa c’è, Claire?”
 
Rispose il ragazzo dai capelli ramati, fermandosi a pochi passi da lei, col fiatone in gola.
La ragazza divagò un attimo con lo sguardo poi tornò a lui. Era seria e voleva che lui lo capisse.
 
“Non devi venire a cercarlo anche tu. E’ una questione…mia. Non voglio che tu metta a repentaglio la tua vita. Dal tuo punto di vista ti capisco, Ashford ti ha tolto quanto più avevi di caro a Rockfort Island. Ha giocato con la tua vita…con la vita di tutti; e questo è imperdonabile. Mi spiace se mi vedi ora come un suo complice. Mi dispiace.”
Si fermò abbassando il viso. “Voglio aiutarlo perché è successo qualcosa; lui è vittima dell’Umbrella esattamente come me e te. Tu non sei obbligato ad aiutarlo; se invece io non lo facessi, non me lo perdonerei per tutta la vita. Devo farlo. Devo almeno sapere se posso fare ancora qualcosa per lui. Vai, dico sul serio. Non venire con me, non è giusto tu ti senta obbligato a farlo.”
 
Steve posò una mano sul fianco e assunse un’espressione di totale disapprovazione, esattamente come si aspettava. Claire se ne rattristò, non voleva mettere in pericolo anche lui.
 
“E tu pensi davvero che dopo tutto quello che abbiamo passato assieme, io mi giri dall’altra parte e me ne vada?”
 
Claire fece per interromperlo prontamente, al che Steve alzò l’indice e lo pose all’altezza del viso della rossa, facendo segno di no.
 
“Tsk, non hai capito che tipo di persona sono. Io…” il tono della sua voce si fece di colpo più profondo, come se le parole gli si strozzassero in gola. “…non ho nulla da perdere, Claire…a parte te.”
 
“Steve…”
 
“Non interrompermi, dico sul serio.” scosse la testa imbarazzato. “Avanti, ora andiamo. Non abbiamo tutto questo tempo per cianciare. Su! Dobbiamo andare di qua!”
 
Detto ciò riprese a correre, lasciandola sgomenta. Steve era un ragazzo più dolce di quanto volesse far credere. Faceva il duro e non era bravo nei sentimenti, ma lei aveva capito da tempo che voleva ringraziarla per essersi presa cura di lui quando agli albori della loro conoscenza si era mostrato un po’ testa calda. Quel che non capiva era che per lei era comprensibile quell’atteggiamento irrequieto e sconsiderato; come poteva non giustificarlo? Considerando il manicomio dove l’aveva trovato e nel quale lui era imprigionato da molto prima di lei?
Non doveva sentirsi grato, non voleva che pensasse questo. Lei non aveva mai pensato male di lui, mai. Non aveva motivi per sentirsi in debito.
Doveva però rispettare la sua scelta, sebbene avesse paura, molta paura, di perdere anche lui.
La gabbia di morte nella quale era entrata negli ultimi mesi era così intricata da sembrare non avere uscita; vedeva solo gente morire. Il suo unico desiderio era quindi uscire vivi da lì. Tutti. A tutti i costi.
Basta……………………..morte.
Steve conosceva il laboratorio un po’ meglio di lei. Aveva girovagato da solo abbastanza a lungo da poter ipotizzare dove l’Ashford fosse rovinosamente piombato.
La portò oltre una serie di corridoi che lui sembrava ormai conoscere a memoria. Afferrò una maniglia e si addentrarono in una zona congelata, ormai completamente cosparsa di ghiaccio. Il soffitto era quasi completamente bianco, così come le pareti, avvolte in un sottile ma gelido strato di condensa.
Sebbene si muovesse a passo felpato, stette attenta a puntar bene i piedi a terra in modo da non scivolare. Una volta entrati in questa zona, di fronte a loro trovarono la porta dell’Alto Voltaggio.
 
“Ho trovato il modo di ripristinare la corrente, dovrei raccontarti che giro ho dovuto fare.” Scherzò su il ragazzo mentre sistemava il grosso macchinario abbandonato in un angolo. “Ho notato che in fondo al corridoio c’è una porta elettronica, soltanto che non sono andato a controllare in quanto sorvegliata da una marea di zombie. In due però dovremmo farcela.”
 
“Pensi sia lì che dobbiamo andare?”
 
“Sicuro!” affermò. “Sono stato ovunque ma non sono riuscito ad andare troppo in profondità. Sono certo che se Ashford sta cercando Alexia, lei è ipoteticamente nascosta lì sotto. Vale la pena fare questo tentativo.”
 
Intanto il moro ripristinò la luce, fu strano tornare a vedere con una certa normalità; l’ambiente, infatti, era comunque ancora molto cupo.
Egli sgattaiolò fuori e puntò prontamente le sue armi di fronte a sé, pronto a far fuoco. La sua temerarietà intristì la giovane, la quale capì che così voleva dimostrarle quanto tenesse a lei.
In cuor suo apprezzò davvero quel gesto, tuttavia si sentiva terribilmente in colpa.
Puntò anch’ella la sua 9mm e mirò alle cervella dei poveri operai e ricercatori, intrappolati da anni ormai in quei martirio senza fine. Eliminare quelle b.o.w. nello spazio di uno stretto corridoio poteva rappresentare un’impresa fatale, comprese perché Steve aveva desistito nell’avventurarsi lì senza un aiuto. Erano in sei, famelici e relativamente veloci. Ognuno di loro incassava quasi una cartuccia intera prima di giacere a terra. Se fosse stata da sola, nel tentativo di liberarsi la strada le altre b.o.w. certamente sarebbero riuscite a fiondarsi su di lei, costringendola a continui spostamenti veloci. In compagnia del ragazzo invece, questi caddero velocemente in una pozza di sangue e quel potenziale pericolo fu facilmente aggirabile. Mentre superò le loro carcasse ora inermi, con la coda dell’occhio osservò i loro toraci comprimersi ancora e sussultare fino all’ultimo battito all’odore di carne viva. Sebbene fossero sconfitti, la paura che si alzassero e azzannassero le sue caviglie era inevitabile dunque girò al largo il più possibile dalla loro bocca insanguinata.
Superarono dunque la porta che si apriva elettronicamente e subentrarono in una zona totalmente diversa, dall’aria più domestica. Si trattava sostanzialmente dell’ennesimo atrio con stretti corridoi che si intrecciavano fra loro, stavolta però rivestiti da una lussuosa moquet rosso vino.
Claire cercò di memorizzare la strada in quel putiferio; quel luogo sembrava una matrioska, che nascondeva al suo interno talmente tanti strati da non riuscire più a orientarsi…esattamente come il cuore di Alfred.
 
“Ci siamo quasi, ho visto sulla mappa che oltre la stanza di sterilizzazione c’è un altro percorso. Dovrebbe essere girando da questa parte.”
 
Un’altra porta elettronica si aprì al loro passaggio. Claire seguì Steve con lo sguardo esaminando la stanza, la quale aveva più le sembianze di una cabina spaziale ultra tecnologica. Non appena entrarono, questa si chiuse alle loro spalle e un forte getto di vapore fu scagliato contro di loro. Non era né tossico né nocivo. Probabilmente non aveva più efficacia, ma questo significava che stavano davvero per entrare in un luogo ove fosse richiesto il massimo controllo.
La sterilizzazione non durò tanto. In pochi attimi la porta opposta a quella dove erano entrati si aprì e si trovarono su una passerella circolare che affacciava sul vuoto più assoluto. Quanto diavolo era profondo quell’edificio?
Il suo sguardo, però, prima di cadere nell’immensità del buio sotto i suoi piedi, andò a posarsi sul gigantesco artificio posto al centro di quell’area, sospeso oltre la balconata.
Le venne la pelle d’oca.
Fiumi di insetti camminavano da una parte all’altra, non staccandosi da esso….
La consistenza mucosa che rivestiva quella massa di dimensioni mastodontiche….l’aria pesante che emanava quel posto….
Era qualcosa che non avevano mai visto.
 
Il Baccello.
 
Claire non sapeva nemmeno lontanamente di cosa potesse trattarsi, poteva solo ipotizzare l’ennesimo esperimento di Ashford. Ad ogni modo era disgustoso, voleva distogliere lo sguardo ma non riusciva a farlo.
Camminò lentamente, attenta a non attivare l’attenzione degli insetti e a non schiacciare quei pochi volati sulla passerella. Sbirciò verso Steve, il quale era spaesato esattamente come lei. Entrambi si fecero animo e continuarono ad avanzare, sicuri di starsi avvicinando a qualcosa di “grosso”.
Di colpo Steve piombò i piedi a terra e Claire quasi sbatté contro la sua schiena. Sbirciò oltre, per capire cosa avesse visto.
 
“E’ tutto…” si pietrificò. “…a posto?”
 
Dedusse la risposta prima ancora di terminare la frase.
Facendo silenzio era possibile udire l’eco lontano di una persona che cantava; era una dolce voce femminile. Le note del motivetto intonato erano molto ben note alle orecchie dei due prigionieri.
 
“C'era un re amichevole ma ingenuo, sposato con una regina molto cattiva.”
 
“Chi sta cantando?” disse Steve a denti stretti. Claire fece spallucce.
In quello stesso momento gli allarmi presero a suonare in modo più impetuoso, facendo sprofondare l’area nel buio per un lungo istante. I due si guardarono attorno, sentendo al contempo il pavimento vibrare.
 
“Cosa sta succedendo qui?!”
 
“Corri!”
 
Urlò Claire e continuò ad attraversare la balconata sicura che stessero per avvicinarsi ad Alfred.
Allarmi, una voce femminile che cantava la triste ninnananna amata da lui e Alexia, b.o.w. in avvicinamento……..era il suo stile.
Doveva trovarlo e parlargli!
Ad un tratto cascò a terra, senza nemmeno rendersene conto. La sua testa girò vorticosamente e non riuscì a tornare padrona di sé prima di qualche istante di confusione. Premette i palmi sul pavimento e cercò di mettersi in piedi. Vide sopra di lei una grossa liana erbosa muoversi da sola come una serpe, come fosse un tentacolo.
Cosa diavolo era?! Questa fece uno scattò in sua direzione e la rossa poté solo portare le mani davanti al viso, non riuscendo a spostarsi in tempo. Mentre chiuse istintivamente gli occhi, sentì qualcosa tirarla via prendendola per l’addome. Si voltò e sdraiato alle sue spalle, con le braccia salde sul suo torace, v’era Steve, che era riuscito a metterla in salvo strascinandola in tempo.
 
“Claire, stai bene?”
 
“Sono ancora tutto d’un pezzo.”
 
Non poterono però continuare la conversazione che dovettero entrambi roteare sul pavimento, in due direzioni opposte.
Quel “mostro” non faceva che mirare verso di loro, indemoniato. Dovevano fare qualcosa.
La Redfield piegò un ginocchio e vi poggio la mano per rimettersi in piedi ed elaborare al più presto una strategia; tuttavia il suo sguardo fu attirato da una scia scura che aveva appena sporcato il suo jeans.
Portò la mano che aveva appena poggiato sul pantalone verso il viso e solo allora si accorse che era bagnata di un denso liquido rosso. Si sentì spaesata; quando si era sporcata di sangue? Era ferita? Steve era ferito?
Guardò se stessa e le sembrava tutto a posto. Così come Steve, il quale era già in piedi e sparava contro la b.o.w. .
Allora…di chi era? Era visibilmente sangue fresco.
Solo allora si accorse che, dove era scivolata per mettersi al riparo dal tentacolo, c’era del sangue. Tanto sangue fresco.
Era uno scenario grottesco.
Il liquido organico strisciava una consistente porzione della parete, come se chi fosse stato ferito si fosse trascinato lungo tutto il muro. Esso gocciolava sulle piastrelle perfettamente lucide, rigando quel versante e colando fino a convergere in una pozza vermiglia sul pavimento.
 
“Alfred……..” sussurrò senza nemmeno accorgersene.
 
“Claire spostati!”
 
Il tentacolo tornò nuovamente all’attacco; stavolta riuscì a mettersi in salvo e a prendere fra le mani la 9mm.
Fece fuoco e i suoi colpi assieme a quelli del Burnside riuscirono a mettere in fuga quella strana erbaccia massiccia.
I due si concessero un attimo per riprendere fiato. Più che la battaglia in sé, li aveva stremati essere stati presi alla sprovvista.
 
“Anf…Anf…pensi che ci stia aspettando per vendicarsi?”
 
“Anf…è probabile…”
 
“Vuoi comunque procedere?” chiese onestamente il giovane, al che lei calò lo sguardo.
 
Cosa stava combinando? Perché li stava attaccando in quel modo?
Perché doveva scegliere fra mettere in pericolo la sua vita e quella di Steve con la sua coscienza morale che le imponeva di parlare un’ultima volta con lui?
Avrebbe tanto desiderato vederlo e mettere le cose a posto, esattamente com’era riuscita a farlo in quelle segreta in fondo alla base. Non poté fare a meno di chiedersi se fosse stato tutto vano e se non fosse oramai possibile ragionare con lui.
Il ragazzo dai capelli ramati si accorse di quell’attimo di sconforto. Si morse le labbra e tentò di prenderle la mano per infonderle coraggio, ma si bloccò. Con lei si sentiva totalmente insicuro, un vero idiota. Grattò il capo, non sapendo che fare.
In fine si rivolse a lei, sapeva che Claire aveva bisogno del suo sostegno, quindi doveva dirle qualcosa. Mise le mani sui fianchi, ma prima che riuscisse a formulare una frase di senso compiuto, il tentacolo comparve nuovamente dal nulla, afferrandolo per una caviglia e tirandolo via.
 
“Steve!!!”
 
Corse in suo soccorso Claire, ma un secondo tentacolo si avvinghiò anche su di lei e la portò via.
Non riuscì più a vedere nulla, tutto scorreva velocemente davanti ai suoi occhi; sentiva solo le sue urla, quelle di Steve e un insopportabile senso di vertigini.
Improvvisamente vide poi un’insolita luce e finalmente la corsa finì. Il tentacolo sbatté lei e il ragazzo sulla neve, fuori dalla base dell’Umbrella.
In meno di un istante sentì il suo corpo congelarsi; erano nel bel mezzo del nulla, in una terribile e gelida bufera.
Abbracciò il suo corpo, non riuscendo nemmeno a muoversi. Faticosamente aprì le palpebre impedite dal vento, pungente come mille aghi, e cercò Steve. La sua pelle si stava spaccando, lo sbalzo termico fu devastante.
Mentre si guardò a torno, davanti a sé distinse improvvisamente dei piedi biancastri, feriti, consumati…
Sobbalzò, spaventata. Fece scorrere lo sguardo dal basso verso l’alto, tremando.
La sua pelle nuda era cadaverica, ingiallita, pallida; questi vestiva solamente di uno straccio sporco legato sui fianchi, fino ai polpacci; la sua epidermide era spaccata, del sangue raggrumato fuoriusciva dalle sue ferite. Il suo torace era gonfio e qualcosa al suo interno pulsava; era un cuore marcio eppure ancora vivo, che batteva incessantemente.
La carne che lo rivestiva era stata atrocemente squarciata in quello che sembrava essere stata un’operazione fatta da vivo.
Esso tuttavia non poteva morire e quindi urlava…urlava di dolore. La sua bocca era sporca di sangue e i suoi occhi erano celati da una striscia di cuoio che aveva a lungo andare segato la sua fronte.
Le sue braccia erano incatenate dietro la schiena; egli doveva essere stato un prigioniero in un passato molto lontano.
Chi aveva potuto ridurre un essere umano in quello stato...
La Redfield indietreggiò strisciando sulla neve, non riuscendo a cogliere se il mostro avesse o no avvertito la sua presenza. Questi era immobile e avanzava molto lentamente lungo la distesa nevosa. Si bloccò quando lo vide girare appena la testa per orientarsi; sperò con tutta se stessa che sbagliasse direzione.
Ad un tratto questi urlò. Urlò così forte da sembrare risvegliare i morti dalle loro tombe.
Un urlo disperato, soffocato da un’intera esistenza condannata fin da quando era ancora un essere umano.
Ridotto in quello stato malconcio, dotato di una potenza incontenibile, tuttavia in un corpo deturpato e dolorante, questi non poteva che spalancare le sue fauci e dare sfogo a quanto aveva crudelmente subito.
La rossa si mise in fuga, correndo e sprofondando sulla neve altissima. La b.o.w. invece era inarrestabile. Sebbene più lenta di lei, era come se la neve e il freddo non rappresentassero nessun ostacolo.
 
“S-Steve..! Dove sei? Scappa…scappa!!”
 
Non riuscì a trovare il ragazzo, ma sperò che riuscisse a sentirla e a mettersi in guardia. Sentiva che non poteva fronteggiare quel mostro, doveva mettersi al riparo.
Inciampò e cadde rovinosamente a terra. La bufera aveva ormai ghiacciato le sue dita, le sentiva bruciare, come se stessero per spaccarsi.
Con un ultimo gesto, prese il fucile da caccia di Alfred Ashford, ancora legato alla sua schiena. Prese la mira e nonostante la fioca distanza fra lei e il mostro, si prese il suo tempo per mirare bene…dritto al suo cuore scoperto.
Partì un colpo e questi indietreggiò indolenzito, mentre il suo sangue prese a schizzare violentemente dal suo corpo lercio. Claire ricaricò in fretta, non illudendosi che bastasse un colpo.
Uno strano vapore verde fuoriuscì improvvisamente dal corpo del nemico, costringendola a tossire. Sentì girare la testa, era veleno probabilmente.
Prima di inalarne troppo, decise di scappare e spostarsi da lui, perdendo la vantaggiosa posizione di mira per mettersi più lontano.
Tossi nuovamente, dopodiché imbracciò l’arma e puntò di nuovo. Il mostro diede lei le spalle, costringendola ad attendere ulteriormente in quel gelo.
Qualcosa però partì dalla schiena del mostro allungandosi verso di lei e purtroppo non fece in tempo a spostarsi; anch’esso era dunque munito di tentacoli, che utilizzò per colpirla e portarsi più vicino a lei.
Claire non demorse e si spostò di nuovo, prendendo di nuovo posizione. Fu un continuo e incessante mordi e fuggi; una vera e propria gara di resistenza. Doveva riuscire a mantenere la mente fredda o la fretta avrebbe decretato la sua fine.
La bufera offuscava la sua visuale; non riusciva a rendersi conto di dove si trovasse. Ai suoi occhi esistevano soltanto la tacca di mira del fucile, il bianco violento di quella incontrollabile tempesta e il rosso di quel cuore insanguinato. Doveva colpirlo, ogni volta che l’avesse avuto nella sua visuale, prima ancora di focalizzare quel mostro. Doveva sparare, prima che lui si spostasse; prima che la colpisse con le sue tossine o con i suoi tentacoli.
Non era facile distinguerlo in quel nulla desolato; quel cuore pulsante sapeva apparire e sparire come un fantasma nel buio. Il gelo faceva cedere la sua mente, che doveva controllare con il vigore che fino a quel momento l’aveva sempre mantenuta in vita.
Fece partire un altro colpo che finalmente andò a segno. Fece un sospiro e uno dopo l’altro punto quattro colpi ben assestati tutti dritti al suo cuore pulsante.
Il mostro urlò di nuovo, mentre i suoi organi schizzavano imbrattando la candida neve. Prima di esalare il suo agognato e tormentato ultimo respiro, questi colpì la rossa violentemente, facendola sbattere contro l’edificio alle sue spalle.
Il veleno si propagò dal suo corpo e infine cadde rumorosamente, assieme alla ragazza poco più avanti di lui, che sentì i suoi nervi paralizzarsi e i suoi occhi chiudersi.
Li dischiuse diverse volte, cercando ancora Steve, chiedendosi se fosse salvo fino all’ultimo secondo.
La sua mente, prima di perdere i sensi definitivamente, andò però su Alfred………………
 
“…………………..mi dispiace…….non sono riuscita a trovarti………”
 
Il suo corpo prese a contorcersi in preda alle convulsioni e alla fine si fermò, sparendo quasi fra la candida e gelida neve.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
“C'era un re amichevole ma ingenuo, sposato con una regina molto cattiva.”
 
Alexia accarezzava il capo di suo fratello.
I suoi occhi erano vaghi, distanti, persi in quella storia oramai distrutta.
 
“Il re era amato, ma la regina era temuta.”
 
Era stato tutto sempre molto difficile per Lei.
Arguta, intelligente, superiore ai comuni esseri umani. Chi era davvero? Un genio…oppure un mostro?
Le sue doti, anziché renderla amata, l’avevano trasformata nella “cattiva” di quella storia. Sapeva di esserlo.
Quello che cercava, quello che si aspettava dalla vita, quel che desiderava, aveva invece distrutto quel poco di buono che aveva. Quella parte buona di sé che sapeva aver condannato col suo egoismo.
Era tutta colpa sua.
Aveva sacrificato ogni cosa pur di dare un senso a quel crudele destino intrecciato con il suo nome; il suo compito primario, senza il quale non avrebbe potuto vivere.
Un’ossessione che era sempre stata nociva, folle, disumana…lo sapeva.
Alexia però….non era umana. Non lo era mai stata.
Il suo era un destino complesso che aveva deciso di imbracciare proprio per questo. Perché lei non era come tutti.
Desiderava visceralmente raggiungere quello scopo che aveva ingabbiato la sua vita fin dalla nascita; anche a costo di sacrificare la persona più dolce che quella stessa vita dannata le avesse donato.
Adesso quella persona era lì, col viso disteso. Aveva pulito la sua pelle, ordinato i suoi capelli pallidi, ingentilito la sua espressione facciale. Sembrava dormire.
Le sue dita scorrevano sul suo capo, dolcemente.
Le dita della crudele Regina di quella storia.
 
“Un giorno passeggiando per la sua corte, una freccia trafisse il cuore gentile del re. Perse così la sua vita e l’amore della sua signora.”
 
Alexia continuò a canticchiare con voce bassa e melodica quei versi dal significato spietato.
Non pianse e non disse nulla. Rimase nel silenzio più profondo, cullando entrambi nelle parole che rappresentavano la sua vita e quella di Alfred da sempre.
 
In seguito il suo sguardo si fece cupo e i suoi occhi gelidi si strinsero.
Nella sua mente vide grazie ai suoi poteri l’immagine della donna dai capelli scuri tramortita sulla neve; poco distante da lei altri due corpi, quello di suo padre e quello del giovane che aveva combattuto con lei.
 
 
Desiderava vendetta...
 
Non una vendetta qualsiasi.
 
Una vendetta che quella donna……..potesse……..capire……..
 
 
 
“Te lo farò morire………fra le tue braccia.”
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N.d.A.
Sono triste anche io credetemi…..
 
Ringrazio coloro che stanno seguendo la mia storia, in special modo MattaLara. Grazie!

 
Si aprirà ora una seconda fase della storia, aspettavo da tempo di iniziare questo pezzo…quello in cui il sipario si sarebbe alzato per lei….L Regina, Alexia Ashford.

Alla prossima. 

Credits: Parte della descrizione del Baccello di Alexia e del T-Veronica è stata tratta dalla Resident Evil Wiki, in quanto realizzata in modo eccellente a mio avviso.

 
Fiammah_Grace
 
 
 
 
 
 
 
  
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