12
Emozione
Corsi a
gran velocità verso casa di Bella, era una notte tranquilla, nuvolosa ma senza
troppo vento.
Entrai come
di consueto nella sua camera dalla finestra, attento a far il meno rumore
possibile.
Mi
avvicinai al letto sedendole accanto, il suo respiro era lento e regolare,
nonostante il buio pesto riuscii a scorgere i suoi lineamenti rilassati nel
sonno.
Non si
dimenava, né pronunciò parola,profondamente addormentata; sorrisi nel vederla
così tranquilla.
Era da
molto che non si lamentava dei colori troppo verdi di Forks, o di quanto le
mancasse sua madre.
Restavo
seduto su quel letto immobile, trattenendo il respiro, ipnotizzato da suo volto
e dalla sua quiete.
Dato il suo
sonno pesante, mi convinsi di avvicinare una mano al suo viso, con le dite
fredde le sfiorai una guancia, accarezzandola delicatamente e in modo
circolare.
Quando
mosse leggermente il capo e dischiuse le labbra, allontanai istintivamente la
mano da lei: non ero ancora pronto a farle sapere che le facevo compagnia
mentre dormiva, svegliandola.
Sapevo che
il pomeriggio che sarebbe sopraggiunto sarebbe stato decisivo. Avrei capito una
volta per tutte se davvero avrei potuto starle accanto nel modo giusto:
“Non
m’importa, cosa sei”
Le sue
parole risuonavano nella mie orecchie, come poteva non provare mai paura nel
starmi vicino. Una mossa sbagliata, un passo falso e sarebbe finita male. Sia
per me che per lei.
Con
quell’affermazione mi aveva fatto intendere che lei aveva preso la sua
decisione, preferiva correre il rischio piuttosto che interrompere la nostra-
come poterla definire- relazione?!
Ma io, cosa
avrei dovuto fare? Ero al corrente, più di lei, del pericolo in cui la mia attrazione-
ricambiata, per altro- l’aveva messa. Per questo la scelta se allontanarmi da
lei per sempre, era solo mia:ero io che dovevo accettare i miei limiti.
La vedevo
così rilassata davanti a me, a portata di mano,avrei trovato abbastanza forza
da scappare ai miei istinti?!
Alice mi
aveva consigliato di vivere, ma a quale costo?
Guardai un
momento fuori dalla finestra accorgendomi che stava per spuntare il giorno.
<< A
dopo >> sussurrai nell’orecchio di Bella.
Correre era
sempre una grande libertà, districava i nodi che avevo nel cervello e rendeva
il flusso dei pensieri più fluido.
Quella
mattina ebbi più fortuna nel non inciampare nei miei fratelli: solo Alice mi
sosteneva.
Guidai a
gran velocità, arrivai nuovamente di fronte casa di Bella, che l’ispettore Swan
non era ancora uscito di casa.
Lo vidi
solo un quarto d’ora abbandonante dopo salire noncurante sulla sua macchina.
“Mi fa
piacere vedere Bella tanto di buon umore”
E così mi
aveva appena svelato l’umore con cui avrei trovato Bella tra pochi minuti.
Avviai il
motore e parcheggiai dove pochi istanti prima c’era la macchina della polizia,
dovetti attendere solo altri dieci minuti prima di vederla uscire di casa; era
stata puntuale.
L’aspettai
in macchina, con i finestrini abbassati e il motore spento.
Le rivolsi
un mezzo sorriso in segno di saluto: le occhiaie erano sparite.
« Dormito
bene? », chiesi, anche se ero a conoscenza della risposta.
« Sì. E la
tua nottata, com'è stata? ».
« Piacevole
» sorridevo, divertito, anche se lei non poteva sapere il perché.
Era
divertente il fatto che mi chiedesse come trascorrevo le notti, se solo avesse
saputo la verità…
« Posso
chiederti cosa hai fatto? ».
« No » feci
un sorriso. « Oggi è ancora mio ».
Quel giorno
la mia curiosità si concentrò sulle persone che avevano popolato la sua vita
fino a qualche mese prima: notizie su Renée, sui suoi hobby, su ciò che
facevamo assieme nel tempo libero. E poi l'unica nonna che aveva conosciuto,
le sue poche amicizie di scuola, e poi ci fu un momento di imbarazzo quando le
chiesi dei ragazzi con cui era uscita. Ero curioso di chi le fosse piaciuto
prima di incontrarmi. Ma quell’argomento ci portò via ben poco tempo. Mi rivelò
di non avere vecchie fiamme nascoste a Phoenix, la cosa mi stupì:
« Perciò non sei mai uscita con qualcuno che
ti piaceva? », chiesi, serio.
Possibile?!La
scrutavo e mi convincevo sempre di più che i ragazzi che aveva conosciuto in
Arizona avessero qualche problema.
« Non a
Phoenix ».
A quelle
parole le labbra mi si stesero in un sorriso: dopotutto non mi dispiaceva aver
avuto solo io quel privilegio.
A quel
punto della conversazione eravamo già arrivati all'ora della mensa.
Solo in
quel momento mi ricordai del favore che avevo chiesto ad Alice, la quale aveva
accettato volentieri. La forza dell’abitudine me ne aveva fatto dimenticare.
« Forse
oggi era meglio che tu venissi da sola », dissi, di punto in bianco, mentre
masticava una ciambella.
« Perchè? ».
« Dopo
pranzo vado via con Alice ».
« Oh »
sembrava delusa « Non c'è problema, farò una passeggiata ».
« Non
intendo farti tornare a casa a piedi. Andiamo a prendere il pick-up e lo
portiamo qui » le dissi con un’occhiata torva.
« Non ho le
chiavi », sospirò. « Davvero, non è un problema ».
Scossi la
testa:
« Il tuo
pick-up sarà qui e la chiave sarà nel quadro, a meno che tu non tema che
qualcuno lo rubi ». Al pensiero di un tale furto, scoppiai a ridere.
« D'accordo
», rispose, a denti stretti.
Presi la sua
risposta come una sfida. E feci una smorfia, sicuro di me.
« Dove
andate? », chiese.
« A caccia »,
risposi, scuro. « Se voglio restare solo con te domani, devo prendere tutte le
precauzioni possibili » la mia espressione si fece imbronciata ed implorante. «
Ricorda che puoi sempre annullare la nostra uscita ».
Abbassò lo
sguardo prima di rispondere.
« No »,
sussurrò, guardandomi, « Non posso ».
« Forse hai
ragione », mormorai tetro. Una forza più
grande della paura che avrebbe dovuto tenerla lontana da me, la costringeva a
fare il contrario.
« A che ora ci vediamo, domani? »
« Dipende.
È sabato, non vuoi dormire un po' più a lungo? » chiesi premurosamente.
« No »,
rispose troppo in fretta tanto che non riuscii a trattenere un sorriso.
« Al solito
orario, allora. Ci sarà Charlie? ».
« No,
domani va a pesca ».
« E se non
torni a casa, cosa penserà? » chiesi con voce nuovamente fredda.
« Non ho
idea », rispose, senza scomporsi. « Di solito il sabato faccio il bucato.
Penserà che sono caduta nella lavatrice ».
Come poteva
fare dell’ironia su una tale prospettiva?!
Le lanciai
un'occhiataccia, che ricambiò.
« Di cosa vai
a caccia, stanotte? », chiese d’improvviso, rilassando lo sguardo.
« Quello
che troviamo nel bosco. Non ci allontaneremo ».
« Perché ti
fai accompagnare da Alice? ».
« È l'unica
che mi... incoraggia ». Ammisi rabbuiandomi.
« E gli altri?
», chiese timidamente. « Cosa dicono? ».
« Perlopiù sono increduli » dissi corrugando
la fronte.
Lanciò un
breve sguardo dietro di lei ai miei fratelli. Erano tutti seduti al solito
posto, la guardavo inquieto.
« Non gli
piaccio », commentò.
« Non è
questo il problema» , risposi ingenuamente « Non capiscono perché mi
intestardisca con te ».
« Nemmeno
io, se è per questo » ribadì con una smorfia.
Scossi la
testa lentamente, e alzai gli occhi al cielo, prima di incrociare i suoi:
« Te l'ho
detto: tu hai un'idea completamente sbagliata di te stessa. Sei diversa da
chiunque altra abbia conosciuto. Mi affascini ».
Spalancò
gli occhi allibita.
Si aveva
capito proprio bene: ero affascinato da lei.
Sorrisi
cercando di decifrare la sua espressione:
« Grazie a
certe mie qualità », mormorai, toccandomi la fronte, « Ho una comprensione
della natura umana superiore alla media. Le persone sono prevedibili. Ma tu...
tu non fai mai ciò che mi aspetto. Mi cogli sempre di sorpresa ».
Tornò a
osservare i miei fratelli, imbarazzata.
« E fin qui, spiegare è molto facile »,
proseguii.
Continuava
a tenere lo sguardo fisso sui miei familiari, ma io non distolsi i miei da lei.
Volevo
essere sincero, sentivo che era la cosa giusta da fare…ma come avrei potuto
spiegarle cosa sentivo: ci provai.
« Ma c'è di
più... e non è facile da dire a parole... ».
Fui
interrotto nel captare il pensiero di Rosalie:
“ E’ tutta
colpa tua. Piccola, insignificante, umana”
Spostai lo
sguardo verso mia sorella, emisi un ringhio cupo e minaccioso sapendo che sarebbe
stata in grado di udirlo.
Poteva
prendersela con me, poteva accusarmi di tutto, ma doveva lasciare fuori Bella.
Non tolleravo che la trattasse male.
Cercai di
spiegare, nervoso:
« Mi
dispiace. È soltanto preoccupata... Non sarebbe pericoloso soltanto per me, se
dopo aver passato così tanto tempo assieme sotto gli occhi di tutti... »,
abbassò lo sguardo.
« Se? ».
« Se
dovesse finire... male ».
Mi presi la
testa fra le mani: soffrivo combattuto. Non riuscivo a star lontano da Bella, e
il mio bisogno egoistico colpiva tutte le persone che mi erano care, la mia
famiglia e la stessa Bella.
Perché ero
stato colto da una simile debolezza, avrei dovuto trovare la forza di urlare
“no” quando ne ero ancora in tempo. Ma le sue parole, i suoi gesti, i suoi
occhi…tutto di lei mi aveva inchiodato senza speranza di fuga.
Se solo
fosse andata male, non me lo sarei mai potuto perdonare. Immaginai quale
sarebbe potuta essere la mia scelta davanti una tale prospettiva ma la voce di
Bella mi riscosse:
« È ora di andare? ».
« Sì »
mostrai il viso, prima serio, poi sorridente. « Probabilmente è meglio così. Ci
restano ancora quindici minuti di quel maledetto filmato da vedere durante
l'ora di biologia e non penso che li sopporterei ».
Accanto a
me, a sorpresa, spuntò Alice.
La salutai
senza staccare gli occhi da Bella:
« Alice ».
« Edward »,
rispose lei, con la sua solita voce canterina.
« Alice,
Bella... Bella, Alice » le presentai con un gesto disinvolto della mano e un
sorriso obliquo.
« Ciao,
Bella » la salutò con un sorriso amichevole. « Piacere di conoscerti,
finalmente ».
La fulminai
con lo sguardo: odiavo quando cercava di mettermi in imbarazzo.
« Ciao,
Alice », mormorò Bella, timida.
« Sei
pronto? »,mi chiese Alice.
« Quasi. Ci
vediamo alla macchina » volevo restare un altro po’ in compagnia di Bella.
Mia sorella
se ne andò senza aggiungere altro.
« Devo
augurarvi "buon divertimento", o è l'emozione sbagliata? », chiese.
« No,
"divertitevi" può andar bene » sorrisi compiaciuto dalla
partecipazione che Bella mostrava.
« Allora divertitevi
».
« Ci
proverò. E tu, per favore, cerca di sopravvivere » non ero contento di dovermi
allontanare da lei.
« Sopravvivere
a Forks... che sfida ».
« Per te lo
è » divenni serio « Promettilo ».
« Prometto
che cercherò di sopravvivere. Stasera faccio il bucato, una missione piena di
incognite ».
« Non
cadere nella lavatrice ».
« Farò del
mio meglio ».
Ci alzammo
entrambi.
« Ci
vediamo domani », sospirò.
« Per te è
un'eternità, vero? » la rimproverai.
Annuì
seria.
« A
domattina », promisi, con un mezzo sorriso. Mi sporsi per accarezzarle ancora
la guancia. Poi mi voltai e me ne andai.
Raggiunsi
Alice nel parcheggio, la trovai appoggiata aggraziatamente alla fiancata della
Volvo.
Le sorrisi
scusandomi per l’attesa.
“Nessun
problema”pensò sorridendo a sua volta.
Quando ci
trovammo entrambi nell’abitacolo:
<< Ti
dispiace se facciamo una piccola deviazione? >> le chiesi facendo
manovra.
“Dove
andiamo?”
<< A
recuperare il pick-up di Bella e lo portiamo qui >>
“Ok”
Ecco perché
consideravo Alice la mia sorella preferita: non si chiedeva il perché delle mie
decisioni, se agivo in determinati modi le bastava sapere che lo facevo per
validi motivi, e poi era piacevole la sua compagnia data la sua innata
allegria.
Durante il
viaggio fino a casa di Bella non mi pose domande, i suoi pensieri non mi
riguardavano:
<<
Come mai questa mancanza di curiosità nei miei confronti? >> le chiesi
ironico.
Mi guardò
inclinando il capo da un lato, il sorriso sempre protagonista sulle sue labbra:
“Non c’è
molto da sapere!” strizzò un occhio e poi riprese “E non ti scordare che
passerai molto tempo con me”
Giusto,mi
lasciava ancora qualche istante di privacy.
Parcheggiai
la Volvo nei pressi della casa di Bella, non potendo bloccare l’uscita al
pick-up. Spensi il motore ma lasciai le chiavi nel quadro, poi sia io che Alice
scendemmo dall’auto.
Mi chinai a
raccogliere la chiave da sotto lo zerbino, come le avevo visto fare molte
volte: notai che vicino la porta d’ingresso c’era un gancio, ma non trovai le
chiavi come sperai.
Salii al
piano di sopra, in camera sua mi guardai attorno, respirando il suo odore
colpito dall’essenza di lei: la scrivania era leggermente in disordine, ma il
letto era ben fatto. Pensai a dove avrei potuto trovare le chiavi del pick-up,ulteriore
inconveniente venutosi a creare dall’impossibilità di poter leggerle nella mente.
Mi fermai
al centro della stanza con le braccia incrociate facendo mente locale:
quand’era l’ultima volta che Bella aveva preso il suo mezzo per muoversi? La
data risaliva a parecchi giorni prima, perciò probabilmente le avrei trovate in
qualche jeans smesso. Trovai la lavanderia al piano sottostante, piena di
vestiti da lavare: scartai le magliette fino a risalire al jeans di cui avevo
bisogno, svuotai le tasche e recuperai il bottino.
Risalii in
camera di Bella, presi carta e penna e le scrissi:
Stai attenta.
Saltai giù
dalla finestra, mi avvicinai allo sportello del pick-up, mentre Alice salì
sulla Volvo e si avviò a scuola; di certo sarebbe arrivata prima di me.
Annuii
salendo sul sedile, posai il foglio su quello del passeggero e partii verso
scuola.
Ovviamente
ci misi più del solito, il pick-up non poteva sopportare oltre un certo limite
di velocità.
Recuperai
il foglio che adagiai sul sedile del conducente, lo piegai e scesi lasciando
come promesso la chiavi nel quadro.
Infine
velocemente ripresi la guida della Volvo e sfrecciai in compagnia di Alice
verso casa.
Avevamo
l’intero pomeriggio e tutta la notte a nostra disposizione, accontentandoci di
qualche cervo.
Anche il
loro sangue, se bevuto in abbondanza, mi dava il giusto sostentamento e mi avrebbe
aiutato a sentire meno la sete in gola il giorno successivo.
“Sei
nervoso?”
Puntuale
arrivò la domanda di Alice, nel momento di pausa.
<< Un
po’ >> ammisi sorridendo, lievemente imbarazzato.
“Come hai
deciso di comportarti?”
<<
Dimmelo tu >> la sfidai.
Scosse il
capo con un sorriso enigmatico:
“Non ti
dico proprio un bel nulla”
<<
Antipatica! >> voltai il capo altrove, fingendo risentimento.
Alice si
avvicinò a me, mi diede uno spintone scoppiando a ridere.
“Ma se ti
dico cosa ho visto, poi che gusto c’è?!”
Sospirai
scuotendo il capo. Alice mi si accovacciò di fronte, cercando i miei occhi:
“Stai
tranquillo. Andrà tutto bene”
Ero nervoso
ed inquieto, ma il sorriso che mia sorella fece in quel momento mi contagiò.
<<
Grazie >> le dissi, sentendomi in dovere.
“E di
che?!”
Ma sapeva
esattamente di cosa la ringraziavo: della pazienza, comprensione e fiducia che
aveva riposto in me. Mi era stata molto d’aiuto con le sue parole rassicuranti,
mi aveva fatto sentire meno solo. Era confortante sapere di avere almeno un
alleato in una guerra dura da affrontare.
Infine
restammo ognuno per conto proprio,persi nei nostri pensieri: per quanto mi
riguardava cercavo di restare calmo al pensiero dell’indomani, ma non mi venne
molto facile come cosa.
Se domani
non sarebbe andato come speravo, se avessi commesso- anche il più piccolo degli
sbagli- sapevo cosa avrei dovuto fare razionalmente. Ma quanto mi costava solo
valutare l’ipotesi, figurarsi metterla in pratica.
Solo
qualche ora dopo Alice, tornò a rivolgersi a me:
“Questa
devo dirtela!”
Preso alla
sprovvista com’ero, non mi accorsi della sua agitazione.
<<
Credevo non volessi rivelarmi nulla! >> dissi ironico.
“Non
scherzo, Edward!”
Mi sollevai
con il busto mettendomi a sedere, volsi il capo nella sua direzione ed incontrai
i suoi occhi. La guardai a mia volta, sconcertato.
<<
Che succede?!Così mi allarmi >>
“Perdonami”
fece una pausa guardandosi le mani, strano che fosse così in ansia, non era da
lei. “Ma questa nuova visione devo proprio dirtela”
Mi
avvicinai a lei, mi piegai sulle ginocchia e la presi per le spalle.
<<
Sai che puoi dirmi tutto >> le dissi rassicurandola.
Alice annuì
energicamente con il capo, prima di tornare a guardarmi negli occhi.
“Ho visto
Bella…diversa…”
Non capii
cosa intendesse, o forse non volevo capire. Scossi il capo confuso.
“Insomma,
l’ho vista come noi!”
Mi sentii
ghiacciare più del solito, lasciai ricadere le braccia lungo in fianchi e mi
rialzai.
Tornai a
sederle lontano, volevo restare solo.
“Edward…”
<<
Non accetterò mai l’idea! >> esclamai con troppa durezza. La vidi
dischiudere le labbra per la sorpresa. Feci un sospiro per recuperare la calma
<< Alice, sai meglio di me che il futuro non è certo. Tutto cambia! >> sottolineai l’ultima
parola.
Alice non
disse né pensò nulla al riguardo, intuendo che il discorso finiva lì.
Non avrei
mai potuto permettere che Bella diventasse fredda come il marmo, dura come la
roccia, che le guance smettessero di avvamparle di vergogna…non potevo
sopportare l’idea che la vita smettesse di fluirle nelle vene, che il suo cuore
smettesse di battere.
La visione
di Alice non poteva avverarsi, tutto cambiava e si evolveva. Nulla era dato per
certo, con questo pensiero riuscii a ritrovare parzialmente la calma, l’unica
ansia che nutrivo era per il giorno seguente.
Puntuale
all’ora stabilita, bussai leggermente alla porta di casa sua.
Ero giunto
da lei scuro in volto, a causa della tanta tensione che mi trapassava in tutti
i nervi. Ma poi sorrisi nel vedere come si era vestita: aveva scelto una felpa
marrone chiaro, dalla quale sbucava il colletto di una camicia, con un jeans.
Proprio l’abbigliamento che avevo scelto anche io.
« Buongiorno
» risi sotto i baffi.
« Cosa c'è
che non va? » mi chiese stupita.
« Stessa
divisa » le feci notare, continuando a
ridere.
Chiuse la
porta, mentre mi avvicinavo al pick-up. L’aspettai dalla portiera del
passeggero, come un prigioniero condannato a morte.
« Gli
accordi sono accordi », precisò, palesemente compiaciuta. Salì dalla parte del
conducente, e si allungò per aprirmi la portiera.
« Dove
andiamo? >> chiese.
« Allaccia
la cintura: sono già nervoso » aveva già poca stabilità quando camminava,
immaginavo la sua guida.
Obbedì
lanciandomi un'occhiataccia.
« Dove? »,
ribadì sospirando.
« Prendi la
centouno, verso nord ».
Mentre
guidava non le staccai gli occhi da dosso, vigile.
« Pensi di
farcela, a uscire da Forks prima di sera? » era irritante procedere così
lentamente.
« Questo
pick-up potrebbe essere il nonno della tua auto, abbi un po' di rispetto ».
Poco dopo
raggiungemmo la periferia, malgrado il mio pessimismo. I prati e le case presto
lasciarono il posto al
sottobosco
e ai tronchi velati di verde.
« Svolta a destra verso la centodieci », dissi,
anticipando la sua domanda. Obbedì in silenzio.
« Adesso
prosegui finché non trovi lo sterrato ».
Le dissi
contento d’essere quasi arrivati incolumi.
« E quando
arriva lo sterrato, cosa c'è? ».
« Un
sentiero ».
« Trekking?
»
« È un
problema? » chiesi incerto. Non mi sembrava di aver calcolato male i piani.
« No ».
« Non
preoccuparti, sono solo sette o otto chilometri, e non abbiamo fretta ».
Cade il
silenzio, era concentrata sulla guida.
« A cosa
pensi? », chiesi impaziente. Temevo sempre per ciò che le passava per la testa.
« A dove stiamo andando ».
« In un
posto in cui mi piace stare quando c'è bel tempo » entrambi guardammo le nuvole
sempre più sottili, fuori dai finestrini.
« Charlie
diceva che sarebbe stata una giornata calda ».
« E tu gli
hai raccontato quali erano i tuoi piani? »
« No ».
« Ma
Jessica crede che stiamo andando a Seattle assieme? » chiesi retorico, sollevato
che almeno qualcuno sapesse che stava in mia compagnia.
« No, le ho
detto che hai annullato la gita... il che è vero ».
« Nessuno
sa che sei con me? » domandai inquietandomi. Ma cosa le era saltato in testa?!
« Dipende...
immagino che tu l'abbia detto ad Alice ».
« Questo sì
che mi è d'aiuto », dissi sarcastico. Il fatto che Alice non era egoista, non
voleva dire che non mi avrebbe procurato un alibi se…se… Non riuscivo neanche a
formulare quel pensiero.
« Forks ti
deprime così tanto da farti contemplare il suicidio? », chiesi, reclamando la
mia attenzione.
« Sei stato
tu a dire che per te poteva essere un problema... farci vedere troppo assieme ».
« Così
saresti preoccupata dei guai che potrei passare io... se tu non
torni a casa? » se aveva cercato di calmarmi dicendo quelle parole, aveva
sbagliato i suoi calcoli, perché mi irritai ancora di più. Non poteva mettere i
miei problemi dinanzi i suoi.
Annuì,
senza staccare gli occhi dalla strada.
<<
Pazza >> borbottai tanto velocemente da impedire di farmi capire.
Per il
resto del viaggio in auto regnò sovrano
il silenzio. Ero in preda al furore, alle volte si comportava come una bambina
immatura.
Infine, la
strada terminò e si trasformò in un sentiero stretto, indicato soltanto da un
piccolo ceppo. Parcheggiò nel poco spazio disponibile a lato della strada. La
temperatura si era alzata,tanto che Bella levò la felpa e se la strinse in vita.
A quel
punto scesi dal pick-up, sbattendo lo sportello. Mi ero tolto anche io la
felpa, le davo le spalle, rivolto verso la foresta fitta e ombrosa al di là del
veicolo.
« Da questa
parte », dissi, con un'occhiata ancora nervosa. Feci strada, dentro la foresta
fitta e ombrosa.
« E il
sentiero? » girò attorno al pick-up di corsa con la voce piena di panico.
« Ho detto
che alla fine della strada avremmo incontrato un sentiero, non che lo avremmo
percorso ».
« Niente
sentiero? », chiese, palesemente nel panico.
« Non ci
perderemo, fidati >> le dissi, voltandomi verso di lei con un sorriso
beffardo.
La guardai
confuso: mi fissava di rimando, immobile con un’espressione- quasi- disperata.
« Vuoi tornare
a casa? », dissi piano, con un velo di tormento nel vederla allarmata.
« No » si
avvicinò accelerando il passo.
« Cosa c'è
che non va? », chiesi, delicato.
« Il
trekking non è il mio forte, purtroppo. Ti toccherà essere paziente ».
« So essere
molto paziente... se mi sforzo » sorrisi, sostenendo il suo sguardo e cercando
di alleggerire quel suo improvviso e inspiegabile avvilimento.
Cercò di
rispondere al sorriso, ma senza convinzione. La studiai in volto, i suoi
lineamenti non accennavano a stendersi.
« Ti
porterò a casa » dissi rassegnato, data la sua evidente paura.
« Se vuoi
che io riesca a percorrere otto chilometri nella giungla prima che il sole
tramonti, è il caso che tu faccia strada da subito », disse acida. La guardai,
serio, sforzandomi di leggere la sua espressione e il suo tono di voce, ma con
scarsi risultati.
Toglievo di
mezzo le felci umide e i grovigli di muschio, semplificandole la camminata.
Quando ci imbattevamo, lungo il nostro percorso dritto, in alberi caduti o
massi, l’aiutavo, sostenendola per il braccio e lasciandola andare appena
superato l'ostacolo.
Ogni
qualvolta che la mia pelle era a contatto con la sua, sentivo i battiti del suo
cuore accelerare vertiginosamente, ed ogni volta ne rimanevo stupito.
Perlopiù,
camminammo in silenzio. Di tanto in tanto buttavo lì una domanda dimenticata
durante i due giorni di interrogatorio. Le chiesi dei suoi compleanni, dei
suoi professori, dei suoi animali domestici, svelando di averci rinunciato del
tutto, dopo avere ucciso tre pesci rossi uno dopo l'altro. Ciò mi fece ridere
a crepapelle.
La
camminata occupò quasi tutta la mattina, ma non diedi alcun segno di
impazienza. La foresta si spandeva in un labirinto sconfinato di alberi
secolari, ma nonostante questo ero perfettamente a mio agio, nel verde della
vegetazione, e non mostravo alcuna esitazione, neppure il minimo problema di
orientamento, dato che non ne avevo.
Dopo molte
ore, la luce che filtrava dal tetto di foglie cambiò, da un tono oliva scuro a
un giada luminoso. Era uscito il sole, come avevo previsto.
« Non siamo
ancora arrivati? », mi stuzzicò, fingendo di lamentarsi.
« Quasi » sorrisi
notando che si era finalmente calmata. « Vedi che laggiù c'è più luce? »
« Ehm,
dovrei? » chiese ironica.
« In
effetti, forse è un po' presto, per i tuoi occhi » le concessi
ridacchiando.
« Mi ci
vuole una visita dall'oculista », mormorò. La mia risatina divenne un ghigno.
Accelerò
quando riuscì a vedere il cambiamento di luce che le avevo indicato. Le permisi
di precedermi.
Raggiunse i
confini della chiazza di luce e, oltrepassate le ultime felci, entrò nella radura,
piccola, perfettamente circolare, piena di fiori di campo viola, gialli e
bianchi. Si sentiva anche la musica scrosciante di un ruscello, nei dintorni.
Il sole era alto e riempiva lo spiazzo di luce. Camminava lentamente, a bocca
aperta, tra l'erba soffice e i fiori che dondolavano, sfiorati dall'aria calda.
Si voltò appena ma non ero più alle sue spalle. Si guardò attorno, allarmata,
cercandomi. Infine mi notò, ai margini del prato, nascosto nel fitto della
foresta; la guardavo circospetto. La bellezza del posto l’aveva decisamente
distratta.
Fece un
passo verso di me, con gli occhi accesi di curiosità. Ero incerto e riluttante:
stavo per mostrare alla ragazza che amavo la parte più brutta di me, ma dove
avrei trovato il coraggio?
Mi rivolse
un sorriso di incoraggiamento, facendomi segno di avanzare, e si avvicinò
ancora. A un mio cenno, si arrestò dov'era,i piedi ben piantati per terra.
Feci un
respiro profondo; arrivato a quel punto era tardi per tornare indietro. Avanzai
di un passo, facendo in modo che la luce accesa di mezzogiorno mi travolgesse.
Ringraziamenti:
Aberlin:
Aggiornare velocemente mi sembra il minimo, solo molto felice che ti piaccia la
storia!
Lady Cat: Spero
che il viaggio nella mente di Edward non ti abbia deluso in questo capitolo,
grazie per i complimenti!
Ed inoltre:
Encora 72
per aver aggiunto la mia storia tra le seguite.
Un
grossissimo saluto,
Maryana.