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Autore: maryana    02/07/2009    3 recensioni
Fan fiction che tratta di Twilight dal punto di vista di Edward. In attesa che la Meyer pubblichi l'originale, ne ho dato una mia liberissima interpretazione. Da premettere che non ho dato il minimo sguardo ai capitoli in inglese già disponibili sul web.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12

Emozione

Corsi a gran velocità verso casa di Bella, era una notte tranquilla, nuvolosa ma senza troppo vento.

Entrai come di consueto nella sua camera dalla finestra, attento a far il meno rumore possibile.

Mi avvicinai al letto sedendole accanto, il suo respiro era lento e regolare, nonostante il buio pesto riuscii a scorgere i suoi lineamenti rilassati nel sonno.

Non si dimenava, né pronunciò parola,profondamente addormentata; sorrisi nel vederla così tranquilla.

Era da molto che non si lamentava dei colori troppo verdi di Forks, o di quanto le mancasse sua madre.

Restavo seduto su quel letto immobile, trattenendo il respiro, ipnotizzato da suo volto e dalla sua quiete.

Dato il suo sonno pesante, mi convinsi di avvicinare una mano al suo viso, con le dite fredde le sfiorai una guancia, accarezzandola delicatamente e in modo circolare.

Quando mosse leggermente il capo e dischiuse le labbra, allontanai istintivamente la mano da lei: non ero ancora pronto a farle sapere che le facevo compagnia mentre dormiva, svegliandola.

Sapevo che il pomeriggio che sarebbe sopraggiunto sarebbe stato decisivo. Avrei capito una volta per tutte se davvero avrei potuto starle accanto nel modo giusto:

“Non m’importa, cosa sei”

Le sue parole risuonavano nella mie orecchie, come poteva non provare mai paura nel starmi vicino. Una mossa sbagliata, un passo falso e sarebbe finita male. Sia per me che per lei.

Con quell’affermazione mi aveva fatto intendere che lei aveva preso la sua decisione, preferiva correre il rischio piuttosto che interrompere la nostra- come poterla definire- relazione?!

Ma io, cosa avrei dovuto fare? Ero al corrente, più di lei, del pericolo in cui la mia attrazione- ricambiata, per altro- l’aveva messa. Per questo la scelta se allontanarmi da lei per sempre, era solo mia:ero io che dovevo accettare i miei limiti.

La vedevo così rilassata davanti a me, a portata di mano,avrei trovato abbastanza forza da scappare ai miei istinti?!

Alice mi aveva consigliato di vivere, ma a quale costo?

Guardai un momento fuori dalla finestra accorgendomi che stava per spuntare il giorno.

<< A dopo >> sussurrai nell’orecchio di Bella.

Correre era sempre una grande libertà, districava i nodi che avevo nel cervello e rendeva il flusso dei pensieri più fluido.

Quella mattina ebbi più fortuna nel non inciampare nei miei fratelli: solo Alice mi sosteneva.

Guidai a gran velocità, arrivai nuovamente di fronte casa di Bella, che l’ispettore Swan non era ancora uscito di casa.

Lo vidi solo un quarto d’ora abbandonante dopo salire noncurante sulla sua macchina.

“Mi fa piacere vedere Bella tanto di buon umore”

E così mi aveva appena svelato l’umore con cui avrei trovato Bella tra pochi minuti.

Avviai il motore e parcheggiai dove pochi istanti prima c’era la macchina della polizia, dovetti attendere solo altri dieci minuti prima di vederla uscire di casa; era stata puntuale.

L’aspettai in macchina, con i finestrini abbassati e il motore spento.

Le rivolsi un mezzo sorriso in segno di saluto: le occhiaie erano sparite.

« Dormito bene? », chiesi, anche se ero a conoscenza della risposta.

« Sì. E la tua nottata, com'è stata? ».

« Piacevole » sorridevo, divertito, anche se lei non poteva sapere il perché.

Era divertente il fatto che mi chiedesse come trascorrevo le notti, se solo avesse saputo la verità…

« Posso chiederti cosa hai fatto? ».

« No » feci un sorriso. « Oggi è ancora mio ».

Quel giorno la mia curiosità si concentrò sulle persone che avevano popolato la sua vita fino a qualche mese prima: notizie su Renée, sui suoi hobby, su ciò che facevamo assieme nel tem­po libero. E poi l'unica nonna che aveva conosciuto, le sue po­che amicizie di scuola, e poi ci fu un momento di imbarazzo quando le chiesi dei ragazzi con cui era uscita. Ero curioso di chi le fosse piaciuto prima di incontrarmi. Ma quell’argomento ci portò via ben poco tempo. Mi rivelò di non avere vecchie fiamme nascoste a Phoenix, la cosa mi stupì:

 « Perciò non sei mai uscita con qualcuno che ti piaceva? », chiesi, serio.

Possibile?!La scrutavo e mi convincevo sempre di più che i ragazzi che aveva conosciuto in Arizona avessero qualche problema.

« Non a Phoenix ».

A quelle parole le labbra mi si stesero in un sorriso: dopotutto non mi dispiaceva aver avuto solo io quel privilegio.

A quel punto della conversazione eravamo già arrivati all'ora della mensa.

Solo in quel momento mi ricordai del favore che avevo chiesto ad Alice, la quale aveva accettato volentieri. La forza dell’abitudine me ne aveva fatto dimenticare.

« Forse oggi era meglio che tu venissi da sola », dissi, di pun­to in bianco, mentre masticava una ciambella.

« Perchè? ».

« Dopo pranzo vado via con Alice ».

« Oh » sembrava delusa « Non c'è problema, farò una passeggiata ».

« Non intendo farti tor­nare a casa a piedi. Andiamo a prendere il pick-up e lo portia­mo qui » le dissi con un’occhiata torva.

« Non ho le chiavi », sospirò. « Davvero, non è un proble­ma ».

Scossi la testa:

« Il tuo pick-up sarà qui e la chiave sarà nel quadro, a meno che tu non tema che qualcuno lo rubi ». Al pensiero di un tale furto, scoppiai a ridere.

« D'accordo », rispose, a denti stretti.

Presi la sua risposta come una sfida. E feci una smorfia, sicuro di me.

« Dove andate? », chiese.

« A caccia », risposi, scuro. « Se voglio restare solo con te do­mani, devo prendere tutte le precauzioni possibili » la mia espressione si fece imbronciata ed implorante. « Ricorda che puoi sempre annullare la nostra uscita ».

Abbassò lo sguardo prima di rispondere.

« No », sussurrò, guardandomi, « Non posso ».

« Forse hai ragione », mormorai tetro.  Una forza più grande della paura che avrebbe dovuto tenerla lontana da me, la costringeva a fare il contrario.

 « A che ora ci vediamo, domani? »

« Dipende. È sabato, non vuoi dormire un po' più a lungo? » chiesi premurosamente.

« No », rispose troppo in fretta tanto che non riuscii a trattenere un sorriso.

« Al solito orario, allora. Ci sarà Charlie? ».

« No, domani va a pesca ».

« E se non torni a casa, cosa pen­serà? » chiesi con voce nuovamente fredda.

« Non ho idea », rispose, senza scomporsi. « Di solito il saba­to faccio il bucato. Penserà che sono caduta nella lavatrice ».

Come poteva fare dell’ironia su una tale prospettiva?!

Le lanciai un'occhiataccia, che ricambiò.

« Di cosa vai a caccia, stanotte? », chiese d’improvviso, rilassando lo sguardo.

« Quello che troviamo nel bosco. Non ci allontaneremo ».

« Perché ti fai accompagnare da Alice? ».

« È l'unica che mi... incoraggia ». Ammisi rabbuiandomi.

« E gli altri? », chiese timidamente. « Cosa dicono? ».

 « Perlopiù sono increduli » dissi corrugando la fronte.

Lanciò un breve sguardo dietro di lei ai miei fratelli. Erano tutti seduti al solito posto, la guardavo inquieto.

« Non gli piaccio », commentò.

« Non è questo il problema» , risposi ingenuamente « Non capiscono perché mi intestardisca con te ».

« Nemmeno io, se è per questo » ribadì con una smorfia.

Scossi la testa lentamente, e alzai gli occhi al cielo, prima di incrociare i suoi:

« Te l'ho detto: tu hai un'idea com­pletamente sbagliata di te stessa. Sei diversa da chiunque altra abbia conosciuto. Mi affascini ».

Spalancò gli occhi allibita.

Si aveva capito proprio bene: ero affascinato da lei.

Sorrisi cercando di decifrare la sua espressione:

« Grazie a certe mie qualità », mormorai, toccandomi la fronte, « Ho una comprensione della natura umana superiore alla me­dia. Le persone sono prevedibili. Ma tu... tu non fai mai ciò che mi aspetto. Mi cogli sempre di sorpresa ».

Tornò a osservare i miei fratelli, imbarazzata.

 « E fin qui, spiegare è molto facile », proseguii.

Continuava a tenere lo sguardo fisso sui miei familiari, ma io non distolsi i miei da lei.

Volevo essere sincero, sentivo che era la cosa giusta da fare…ma come avrei potuto spiegarle cosa sentivo: ci provai.

« Ma c'è di più... e non è facile da dire a parole... ».

Fui interrotto nel captare il pensiero di Rosalie:

“ E’ tutta colpa tua. Piccola, insignificante, umana

Spostai lo sguardo verso mia sorella, emisi un ringhio cupo e minaccioso sapendo che sarebbe stata in grado di udirlo.

Poteva prendersela con me, poteva accusarmi di tutto, ma doveva lasciare fuori Bella. Non tolleravo che la trattasse male.

Cercai di spiegare, nervoso:

« Mi dispiace. È soltanto preoc­cupata... Non sarebbe pericoloso soltanto per me, se dopo aver passato così tanto tempo assieme sotto gli occhi di tut­ti... », abbassò lo sguardo.

« Se? ».

« Se dovesse finire... male ».

Mi presi la testa fra le mani: soffrivo combattuto. Non riuscivo a star lontano da Bella, e il mio bisogno egoistico colpiva tutte le persone che mi erano care, la mia famiglia e la stessa Bella.

Perché ero stato colto da una simile debolezza, avrei dovuto trovare la forza di urlare “no” quando ne ero ancora in tempo. Ma le sue parole, i suoi gesti, i suoi occhi…tutto di lei mi aveva inchiodato senza speranza di fuga.

Se solo fosse andata male, non me lo sarei mai potuto perdonare. Immaginai quale sarebbe potuta essere la mia scelta davanti una tale prospettiva ma la voce di Bella mi riscosse:

 « È ora di andare? ».

« Sì » mostrai il viso, prima serio, poi sorridente. « Probabilmente è meglio così. Ci restano ancora quindici minuti di quel maledetto filmato da vedere durante l'ora di biologia e non penso che li sopporterei ».

Accanto a me, a sorpresa, spuntò Alice.

La salutai senza staccare gli occhi da Bella:

 « Alice ».

« Edward », rispose lei, con la sua solita voce canterina.

« Alice, Bella... Bella, Alice » le presentai con un gesto di­sinvolto della mano e un sorriso obliquo.

« Ciao, Bella » la salutò con un sorriso amichevole. « Piacere di cono­scerti, finalmente ».

La fulminai con lo sguardo: odiavo quando cercava di mettermi in imbarazzo.

« Ciao, Alice », mormorò Bella, timida.

« Sei pronto? »,mi  chiese Alice.

« Quasi. Ci vediamo alla macchina » volevo restare un altro po’ in compagnia di Bella.

Mia sorella se ne andò senza aggiungere altro.

« Devo augurarvi "buon divertimento", o è l'emozione sba­gliata? », chiese.

« No, "divertitevi" può andar bene » sorrisi compiaciuto dalla partecipazione che Bella mostrava.

« Allora divertitevi ».

« Ci proverò. E tu, per favore, cerca di sopravvivere » non ero contento di dovermi allontanare da lei.

« Sopravvivere a Forks... che sfida ».

« Per te lo è » divenni serio « Promettilo ».

« Prometto che cercherò di sopravvivere. Stasera faccio il bucato, una missione piena di incognite ».

« Non cadere nella lavatrice ».

« Farò del mio meglio ».

Ci alzammo entrambi.

« Ci vediamo domani », sospirò.

« Per te è un'eternità, vero? » la rimproverai.

Annuì seria.

« A domattina », promisi, con un mezzo sorriso. Mi sporsi per accarezzarle ancora la guancia. Poi mi voltai e me ne andai.

Raggiunsi Alice nel parcheggio, la trovai appoggiata aggraziatamente alla fiancata della Volvo.

Le sorrisi scusandomi per l’attesa.

“Nessun problema”pensò sorridendo a sua volta.

Quando ci trovammo entrambi nell’abitacolo:

<< Ti dispiace se facciamo una piccola deviazione? >> le chiesi facendo manovra.

“Dove andiamo?”

<< A recuperare il pick-up di Bella e lo portiamo qui >>

“Ok”

Ecco perché consideravo Alice la mia sorella preferita: non si chiedeva il perché delle mie decisioni, se agivo in determinati modi le bastava sapere che lo facevo per validi motivi, e poi era piacevole la sua compagnia data la sua innata allegria.

Durante il viaggio fino a casa di Bella non mi pose domande, i suoi pensieri non mi riguardavano:

<< Come mai questa mancanza di curiosità nei miei confronti? >> le chiesi ironico.

Mi guardò inclinando il capo da un lato, il sorriso sempre protagonista sulle sue labbra:

“Non c’è molto da sapere!” strizzò un occhio e poi riprese “E non ti scordare che passerai molto tempo con me”

Giusto,mi lasciava ancora qualche istante di privacy.

Parcheggiai la Volvo nei pressi della casa di Bella, non potendo bloccare l’uscita al pick-up. Spensi il motore ma lasciai le chiavi nel quadro, poi sia io che Alice scendemmo dall’auto.

Mi chinai a raccogliere la chiave da sotto lo zerbino, come le avevo visto fare molte volte: notai che vicino la porta d’ingresso c’era un gancio, ma non trovai le chiavi come sperai.

Salii al piano di sopra, in camera sua mi guardai attorno, respirando il suo odore colpito dall’essenza di lei: la scrivania era leggermente in disordine, ma il letto era ben fatto. Pensai a dove avrei potuto trovare le chiavi del pick-up,ulteriore inconveniente venutosi a creare dall’impossibilità di poter leggerle nella mente.

Mi fermai al centro della stanza con le braccia incrociate facendo mente locale: quand’era l’ultima volta che Bella aveva preso il suo mezzo per muoversi? La data risaliva a parecchi giorni prima, perciò probabilmente le avrei trovate in qualche jeans smesso. Trovai la lavanderia al piano sottostante, piena di vestiti da lavare: scartai le magliette fino a risalire al jeans di cui avevo bisogno, svuotai le tasche e recuperai il bottino.

Risalii in camera di Bella, presi carta e penna e le scrissi:

 

Stai attenta.

Saltai giù dalla finestra, mi avvicinai allo sportello del pick-up, mentre Alice salì sulla Volvo e si avviò a scuola; di certo sarebbe arrivata prima di me.

Annuii salendo sul sedile, posai il foglio su quello del passeggero e partii verso scuola.

Ovviamente ci misi più del solito, il pick-up non poteva sopportare oltre un certo limite di velocità.

Recuperai il foglio che adagiai sul sedile del conducente, lo piegai e scesi lasciando come promesso la chiavi nel quadro.

Infine velocemente ripresi la guida della Volvo e sfrecciai in compagnia di Alice verso casa.

Avevamo l’intero pomeriggio e tutta la notte a nostra disposizione, accontentandoci di qualche cervo.

Anche il loro sangue, se bevuto in abbondanza, mi dava il giusto sostentamento e mi avrebbe aiutato a sentire meno la sete in gola il giorno successivo.

“Sei nervoso?”

Puntuale arrivò la domanda di Alice, nel momento di pausa.

<< Un po’ >> ammisi sorridendo, lievemente imbarazzato.

“Come hai deciso di comportarti?”

<< Dimmelo tu >> la sfidai.

Scosse il capo con un sorriso enigmatico:

“Non ti dico proprio un bel nulla”

<< Antipatica! >> voltai il capo altrove, fingendo risentimento.

Alice si avvicinò a me, mi diede uno spintone scoppiando a ridere.

“Ma se ti dico cosa ho visto, poi che gusto c’è?!”

Sospirai scuotendo il capo. Alice mi si accovacciò di fronte, cercando i miei occhi:

“Stai tranquillo. Andrà tutto bene”

Ero nervoso ed inquieto, ma il sorriso che mia sorella fece in quel momento mi contagiò.

<< Grazie >> le dissi, sentendomi in dovere.

“E di che?!”

Ma sapeva esattamente di cosa la ringraziavo: della pazienza, comprensione e fiducia che aveva riposto in me. Mi era stata molto d’aiuto con le sue parole rassicuranti, mi aveva fatto sentire meno solo. Era confortante sapere di avere almeno un alleato in una guerra dura da affrontare.

Infine restammo ognuno per conto proprio,persi nei nostri pensieri: per quanto mi riguardava cercavo di restare calmo al pensiero dell’indomani, ma non mi venne molto facile come cosa.

Se domani non sarebbe andato come speravo, se avessi commesso- anche il più piccolo degli sbagli- sapevo cosa avrei dovuto fare razionalmente. Ma quanto mi costava solo valutare l’ipotesi, figurarsi metterla in pratica.

Solo qualche ora dopo Alice, tornò a rivolgersi a me:

“Questa devo dirtela!”

Preso alla sprovvista com’ero, non mi accorsi della sua agitazione.

<< Credevo non volessi rivelarmi nulla! >> dissi ironico.

“Non scherzo, Edward!”

Mi sollevai con il busto mettendomi a sedere, volsi il capo nella sua direzione ed incontrai i suoi occhi. La guardai a mia volta, sconcertato.

<< Che succede?!Così mi allarmi >>

“Perdonami” fece una pausa guardandosi le mani, strano che fosse così in ansia, non era da lei. “Ma questa nuova visione devo proprio dirtela”

Mi avvicinai a lei, mi piegai sulle ginocchia e la presi per le spalle.

<< Sai che puoi dirmi tutto >> le dissi rassicurandola.

Alice annuì energicamente con il capo, prima di tornare a guardarmi negli occhi.

“Ho visto Bella…diversa…”

Non capii cosa intendesse, o forse non volevo capire. Scossi il capo confuso.

“Insomma, l’ho vista come noi!”

Mi sentii ghiacciare più del solito, lasciai ricadere le braccia lungo in fianchi e mi rialzai.

Tornai a sederle lontano, volevo restare solo.

“Edward…”

<< Non accetterò mai l’idea! >> esclamai con troppa durezza. La vidi dischiudere le labbra per la sorpresa. Feci un sospiro per recuperare la calma << Alice, sai meglio di me che il futuro non è certo. Tutto cambia! >> sottolineai l’ultima parola.

Alice non disse né pensò nulla al riguardo, intuendo che il discorso finiva lì.

Non avrei mai potuto permettere che Bella diventasse fredda come il marmo, dura come la roccia, che le guance smettessero di avvamparle di vergogna…non potevo sopportare l’idea che la vita smettesse di fluirle nelle vene, che il suo cuore smettesse di battere.

La visione di Alice non poteva avverarsi, tutto cambiava e si evolveva. Nulla era dato per certo, con questo pensiero riuscii a ritrovare parzialmente la calma, l’unica ansia che nutrivo era per il giorno seguente.

 

Puntuale all’ora stabilita, bussai leggermente alla porta di casa sua.

Ero giunto da lei scuro in volto, a causa della tanta tensione che mi trapassava in tutti i nervi. Ma poi sorrisi nel vedere come si era vestita: aveva scelto una felpa marrone chiaro, dalla quale sbucava il colletto di una camicia, con un jeans. Proprio l’abbigliamento che avevo scelto anche io.

« Buongiorno » risi sotto i baffi.

« Cosa c'è che non va? » mi chiese stupita.

« Stessa divisa » le feci  notare, continuando a ridere.

Chiuse la porta, mentre mi avvicinavo al pick-up. L’aspettai dalla portiera del passeggero, come un prigioniero condannato a morte.

« Gli accordi sono accordi », precisò, palesemente compiaciuta. Salì dalla parte del conducente, e si allungò per aprirmi la portiera.

« Dove andiamo? >> chiese.

« Allaccia la cintura: sono già nervoso » aveva già poca stabilità quando camminava, immaginavo la sua guida.

Obbedì lanciandomi un'occhiataccia.

« Dove? », ribadì sospirando.

« Prendi la centouno, verso nord ».

Mentre guidava non le staccai gli occhi da dosso, vigile.

« Pensi di farcela, a uscire da Forks prima di sera? » era irritante procedere così lentamente.

« Questo pick-up potrebbe essere il nonno della tua auto, abbi un po' di rispetto ».

Poco dopo raggiungemmo la periferia, malgrado il mio pessimismo. I prati e le case presto lasciarono il posto al

sottobosco e ai tronchi velati di verde.

«  Svolta a destra verso la centodieci », dissi, anticipando la sua domanda. Obbedì in silenzio.

« Adesso prosegui finché non trovi lo sterrato ».

Le dissi contento d’essere quasi arrivati incolumi.

« E quando arriva lo sterrato, cosa c'è? ».

« Un sentiero ».

« Trekking? »

« È un problema? » chiesi incerto. Non mi sembrava di aver calcolato male i piani.

 « No ».

« Non preoccuparti, sono solo sette o otto chilometri, e non abbiamo fretta ».

Cade il silenzio, era concentrata sulla guida.

« A cosa pensi? », chiesi impaziente. Temevo sempre per ciò che le passava per la testa.

 « A dove stiamo andando ».

« In un posto in cui mi piace stare quando c'è bel tempo » entrambi guardammo le nuvole sempre più sottili, fuori dai fi­nestrini.

« Charlie diceva che sarebbe stata una giornata calda ».

« E tu gli hai raccontato quali erano i tuoi piani? »

« No ».

« Ma Jessica crede che stiamo andando a Seattle assieme? » chiesi retorico, sollevato che almeno qualcuno sapesse che stava in mia compagnia.

« No, le ho detto che hai annullato la gita... il che è vero ».

« Nessuno sa che sei con me? » domandai inquietandomi. Ma cosa le era saltato in testa?!

« Dipende... immagino che tu l'abbia detto ad Alice ».

« Questo sì che mi è d'aiuto », dissi sarcastico. Il fatto che Alice non era egoista, non voleva dire che non mi avrebbe procurato un alibi se…se… Non riuscivo neanche a formulare quel pensiero.

« Forks ti deprime così tanto da farti contemplare il suici­dio? », chiesi, reclamando la mia attenzione.

« Sei stato tu a dire che per te poteva essere un problema... farci vedere troppo assieme ».

« Così saresti preoccupata dei guai che potrei passare io... se tu non torni a casa? » se aveva cercato di calmarmi dicendo quelle parole, aveva sbagliato i suoi calcoli, perché mi irritai ancora di più. Non poteva mettere i miei problemi dinanzi i suoi.

Annuì, senza staccare gli occhi dalla strada.

<< Pazza >> borbottai tanto velocemente da impedire di farmi capire.

Per il resto del viaggio in auto  regnò sovrano il silenzio. Ero in preda al furore, alle volte si comportava come una bambina immatura.

Infine, la strada terminò e si trasformò in un sentiero stretto, indicato soltanto da un piccolo ceppo. Parcheggiò nel poco spazio disponibile a lato della strada. La temperatura si era alzata,tanto che Bella levò la felpa e se la strinse in vita.

A quel punto scesi dal pick-up, sbattendo lo sportello. Mi ero tolto anche io la felpa, le davo le spalle, rivolto verso la foresta fitta e ombrosa al di là del veicolo.

« Da questa parte », dissi, con un'occhiata ancora nervosa. Feci strada, dentro la foresta fitta e ombrosa.

« E il sentiero? » girò attorno al pick-up di corsa con la voce piena di panico.

« Ho detto che alla fine della strada avremmo incontrato un sentiero, non che lo avremmo percorso ».

« Niente sentiero? », chiese, palesemente nel panico.

« Non ci perderemo, fidati >> le dissi, voltandomi verso di lei con un sorriso beffardo.

La guardai confuso: mi fissava di rimando, immobile con un’espressione- quasi- disperata.

« Vuoi tornare a casa? », dissi piano, con un velo di tormento nel vederla allarmata.

« No » si avvicinò accelerando il passo.

« Cosa c'è che non va? », chiesi, delicato.

« Il trekking non è il mio forte, purtroppo. Ti toccherà esse­re paziente ».

« So essere molto paziente... se mi sforzo » sorrisi, soste­nendo il suo sguardo e cercando di alleggerire quel suo im­provviso e inspiegabile avvilimento.

Cercò di rispondere al sorriso, ma senza convinzione. La studiai in volto, i suoi lineamenti non accennavano a stendersi.

« Ti porterò a casa » dissi rassegnato, data la sua evidente paura.

« Se vuoi che io riesca a percorrere otto chilometri nella giungla prima che il sole tramonti, è il caso che tu faccia strada da subito », disse acida. La guardai, serio, sforzandomi di leggere la sua espressione e il suo tono di voce, ma con scarsi risultati.

Toglievo di mezzo le felci umide e i grovigli di muschio, semplificandole la camminata. Quando ci imbattevamo, lungo il nostro percorso dritto, in alberi caduti o massi, l’aiutavo, sostenendola per il braccio e lasciandola andare appena superato l'ostacolo.

Ogni qualvolta che la mia pelle era a contatto con la sua, sentivo i battiti del suo cuore accelerare vertiginosamente, ed ogni volta ne rimanevo stupito.

Perlopiù, camminammo in silenzio. Di tanto in tanto buttavo lì una domanda dimenticata durante i due giorni di interrogato­rio. Le chiesi dei suoi compleanni, dei suoi professori, dei suoi animali domestici, svelando di averci rinun­ciato del tutto, dopo avere ucciso tre pesci rossi uno dopo l'al­tro. Ciò mi fece ridere a crepapelle.

La camminata occupò quasi tutta la mattina, ma non die­di alcun segno di impazienza. La foresta si spandeva in un labi­rinto sconfinato di alberi secolari, ma nonostante questo ero perfettamente a mio agio, nel verde della vegetazione, e non mostravo alcuna esi­tazione, neppure il minimo problema di orientamento, dato che non ne avevo.

Dopo molte ore, la luce che filtrava dal tetto di foglie cam­biò, da un tono oliva scuro a un giada luminoso. Era uscito il sole, come avevo previsto.

« Non siamo ancora arrivati? », mi stuzzicò, fingendo di la­mentarsi.

« Quasi » sorrisi notando che si era finalmente calmata. « Vedi che laggiù c'è più luce? »

« Ehm, dovrei? » chiese ironica.

« In effetti, forse è un po' presto, per i tuoi oc­chi » le concessi ridacchiando.

« Mi ci vuole una visita dall'oculista », mormorò. La mia risa­tina divenne un ghigno.

Accelerò quando riuscì a vedere il cambiamento di luce che le avevo indicato. Le permisi di precedermi.

Raggiunse i confini della chiazza di luce e, oltrepassate le ul­time felci, entrò nella radura, piccola, perfettamente circolare, piena di fiori di campo viola, gialli e bianchi. Si sentiva anche la musica scro­sciante di un ruscello, nei dintorni. Il sole era alto e riempiva lo spiazzo di luce. Camminava lentamente, a bocca aperta, tra l'erba soffice e i fiori che dondolavano, sfiorati dal­l'aria calda. Si voltò appena ma non ero più alle sue spalle. Si guardò attorno, allarmata, cercandomi. Infine mi no­tò, ai margini del prato, nascosto nel fitto della foresta; la guardavo circospetto. La bellezza del posto l’aveva decisamente distratta.

Fece un passo verso di me, con gli occhi accesi di curiosità. Ero incerto e riluttante: stavo per mostrare alla ragazza che amavo la parte più brutta di me, ma dove avrei trovato il coraggio?

Mi rivolse un sorriso di incoraggia­mento, facendomi segno di avanzare, e si avvicinò ancora. A un mio cenno, si arrestò dov'era,i piedi ben piantati per terra.

Feci un respiro profondo; arrivato a quel punto era tardi per tornare indietro. Avanzai di un passo, facendo in modo che la luce accesa di mezzogiorno mi travolgesse.

 

Ringraziamenti:

Aberlin: Aggiornare velocemente mi sembra il minimo, solo molto felice che ti piaccia la storia!

Lady Cat: Spero che il viaggio nella mente di Edward non ti abbia deluso in questo capitolo, grazie per i complimenti!

Ed inoltre:

Encora 72 per aver aggiunto la mia storia tra le seguite.

Un grossissimo saluto,

Maryana.

  
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