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Autore: heliodor    23/04/2018    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Rivelazione
 
Per qualche secondo Joyce non seppe cosa rispondere.
"Sorpresa? Non te lo aspettavi, vero?" fece Khadjag gioviale.
"Come fai a dirlo?"
"È un segreto, ma riflettici un attimo. Hai mai sentito parlare di un mago supremo buono? O che avesse a cuore i suoi sudditi?" La domanda aleggiò nella sala.
Joyce non sapeva che cosa rispondere.
"I maghi sono tutti arroganti e crudeli, questo è risaputo" proseguì Khadjag.
Non è vero, avrebbe voluto rispondergli Joyce, ma si trattenne.
"Lotayne non avrebbe dovuto fare eccezione, eppure è ricordata come una maga di buon cuore. Gli alfar, quegli sciocchi, la venerano persino come una dea." Scosse la testa come se fosse affranto da quel pensiero, ma continuò a sorridere. "Non so se sia più assurdo o tragico. Chissà che cosa ne penserebbero se sapessero la verità."
"Maga o strega non fa differenza" disse Joyce. "Lotayne era una persona che scelse di proteggere i più deboli."
"Non ti interessa sapere perché finse di essere una maga, quando invece era una strega dai poteri immensi?"
Joyce attese che proseguisse.
"Lotayne aveva paura. Se i maghi supremi avessero scoperto il suo segreto, si sarebbero coalizzati per ucciderla. Per quanto potente, non avrebbe resistito a un attacco combinato di quella portata. A quei tempi, chi nasceva con i poteri della stregoneria era segnato da una condanna a morte. I maghi davano la caccia a chiunque avesse dei poteri stregoneschi. Molti si nascondevano, passando la vita a celare il proprio dono. Altri combattevano l'oppressione e la crudeltà dei maghi supremi con alterne vicende. Lotayne scelse di nascondersi in piena vista. Non sfidò mai i suoi nemici, non diede mai loro un pretesto per sospettare e attaccarla. Quando Harak andò da lei per convincerla a unire le forze per combattere i maghi, lei rifiutò."
"Il Re Stregone?"
Khadjag annuì.
"È esistito veramente?"
"Se ti dicessi di sì cambierebbe qualcosa per te?"
"La sua profezia..." iniziò a dire Joyce.
"Vedo che inizi a capire."
"È reale?"
Khadjag sospirò triste. "Il mondo in cui viviamo è più grande di quanto pensiamo. Non esistono solo i tre continenti, ma molti altri. Alcuni hanno viaggiato per queste terre. Rhegan Donorin ha lasciato un diario che pochi hanno letto in cui parla di montagne che raggiungono il cielo e città di luce e acciaio i cui costruttori sono scomparsi da tempo. Molti chiamiamo il lembo di terra in cui viviamo Mondo Conosciuto, ma oltre di esso si estende un territorio molto più vasto che noi chiamiamo Anaterra."
Joyce non aveva mai sentito quel nome.
"La storia del nostro mondo è divisa in cicli. Quando ne termina uno, ne inizia un altro."
Era quello che diceva anche Khater, il prete del culto dell'Unico.
"Adesso siamo alla fine di un ciclo e sta per iniziarne un altro. Quando ciò accade, il mondo diventa preda del caos e dell'anarchia. È un tempo di sofferenze e di lutti. Ed è qui che interveniamo noi."
"Voi?"
Khadjag sorrise. "Noi vegliamo sul regno di Harak, affinché il sole non tramonti mai su di esso."
Joyce faticava ad afferrare quel concetto. Aveva tante altre domande da fare, ma aveva la sensazione che Khadjag le avrebbe dato solo risposte elusive come aveva fatto fino a quel momento.
"Ancora non mi hai detto quello che cerchi."
"Penso di averlo trovato" disse Khadjag indicando la parete di roccia.
Solo allora Joyce notò il bassorilievo inciso nella pietra. Vide il profilo di continenti o forse isole e quello di montagne e fiumi che scorrevano in immense vallate per gettarsi in oceani vastissimi. Mischiate a queste, c'erano linee sovrapposte l'una all'atra che si incrociavano e si dipanavano in ogni direzione.
"Lotayne ha studiato a lungo il mondo in cui viveva" disse Khadjag. "Aveva accesso a conoscenze che noi abbiamo perduto."
Joyce non capiva, ma avrebbe voluto.
Khadjag sospirò. "È un peccato che nessuno a parte noi due potrà sapere che cosa abbiamo visto qui sotto." Guardò Joyce e sollevò una mano.
D'istinto evocò lo scudo, ma non arrivò nessun colpo. Qualcosa le afferrò le caviglie e poi le gambe, avvolgendole e serrandole in una morsa.
Joyce gemette cercando di divincolarsi. Guardando in basso, vide la ragnatela magica serrarle gli arti, imprigionandoli.
Khadjag le passò accanto.
Joyce vide l'aria che lo circondava incresparsi sotto l'effetto dello scudo magico. Da quella distanza avrebbe solo sprecato i suoi colpi.
"Sta tranquilla, durerà solo qualche minuto. Il tempo necessario per sigillare il santuario per sempre" disse Khadjag passandole oltre. "Ovviamente, tu rimarrai qui sotto per sempre. Sei una strega, scommetto che sai come infliggerti una morte rapida e indolore. E non pensare di poter usare un richiamo: in questo posto non funzionerebbe per uscire."
"Aspetta" fece Joyce disperata, cercando un modo per trattenerlo lì.
Khadjag la guardò con condiscendenza.
"Rispondi solo a una domanda" fece Joyce, la mente che lavorava frenetica.
"Solo una."
"Perché avete ucciso Gastaf? Non eri suo alleato?"
"Sono due domande" l'ammonì lui.
"Ma scommetto che la risposta è la stessa."
Khadjag sorrise. "Gastaf era fuori controllo per la questione di suo figlio. Sono stato io a spingerlo perché dichiarasse guerra agli alfar."
"Perché?"
"Per entrare nel santuario."
"E Gajza? Ti sei alleato con lei, un'assassina."
"Gajza è stato un utile strumento per unire le forze con Rancey e assaltare questo luogo, altrimenti irraggiungibile per me."
"Quindi sei stato tu a volere questa guerra?"
Khadjag scrollò le spalle. "Le guerre accadono, che noi lo vogliamo o meno. Io mi sono limitato ad approfittarne. Sei soddisfatta adesso?"
"Ma ti sei alleato con Rancey."
"Io combatto Malag e la sua follia, ma in questo caso dovevo usarlo per i miei scopi. Rancey era solo un mezzo per raggiungere il mio scopo. Se Malag scoprisse la conoscenza che si cela in questo luogo..."
"Un'ultima cosa. Perché hai rubato la lettera a Jhazar? Perché lo avete ucciso?"
"Io non ho rubato alcuna lettera. È Jhazar che l'ha sottratta a Gastaf."
"Vuoi dire che era diretta a lui?"
"Gastaf faceva parte del circolo supremo. Non era un membro di prim'ordine, ma era il nostro referente a Nazedir. Quando seppe che cosa stava accadendo, chiese il mio aiuto. Jhazar invece si era messo a indagare sul circolo ed era arrivato troppo vicino alla verità. Per questo è morto."
"Cos'è il circolo supremo?"
"L'unico argine contro la fine della stregoneria e il caos."
"Ma..."
Khadjag sorrise. "Il tempo è finito, Jasmina o qualunque sia il tuo nome. È tempo di andare e porre fine a questa storia."
"Ottima scelta di parole" disse una voce dall'altra parte della biblioteca.
Joyce vide esplodere i dardi magici e colpire lo scudo magico di Khadjag. L'uomo venne proiettato all'indietro dal contraccolpo, ma si riprese subito.
Un'ombra saettò alle sue spalle.
Joyce vide due lame di energia baluginare nel buio, udì lo sfrigolio dell'energia che veniva liberata dal contatto con lo scudo magico.
Il duello proseguì nelle penombra senza che lei riuscisse a cogliere che qualche particolare. Un'esplosione di dardi magici, un'ombra che volava in direzione delle pareti di roccia, un grido di dolore soffocato.
Joyce tenne lo scudo alzato per tutto il tempo, temendo di ricevere qualche colpo vagante. Non accadde.
Ogni dardo e incantesimo lanciato andò a segno.
Alla fine, vide un corpo rotolare a terra e fermarsi in una posizione scomposta, innaturale.
Vide con orrore che gli mancava un braccio, tagliato all'altezza del gomito. Quando vinse la repulsione e guardò meglio, riconobbe il viso di Khadjag, gli occhi sbarrati e le orbite vuote che fissavano la volta della grotta.
Nello stesso momento sentì la morsa sulle gambe allentarsi e poi sparire. Era di nuovo libera. Aveva appena assaporato quella dolce sensazione che una mano le afferrò il braccio.
"Spero che tu non stia pensando di andartene come l'altra volta, principessa."
Il volto di Rancey, deformato da un'espressione di crudele trionfo, la fissava nella penombra.
Joyce si sentì gelare il sangue nelle vene.
"Sorpresa?" fece Rancey. "In verità, ti avevo già riconosciuta al campo, quando ti ho vista prigioniera di quella odiosa donna, ma ho dovuto fingere di non conoscerti. Se ti avessi presa allora sotto la mia custodia, Gajza si sarebbe insospettita."
"Che cosa vuoi?" chiese Joyce cercando di liberarsi della presa.
"Seguire il piano originale" disse Rancey trascinandola via. "Ti porterò da lord Malag, ma solo dopo aver ricopiato la mappa di Lotayne. Poi sigilleremo il santuario per sempre." Passarono accanto al corpo di Khadjag. "Il fallimento di lady Gladia adesso è totale."
"Che cosa vuole Malag da me?"
Gli occhi di Rancey sembrarono brillare. "Mi credi uno stupido? Ti ho visto usare i poteri. Tuo padre  è stato astuto a nasconderti davanti agli occhi di tutti."
Joyce non capiva, ma sapeva di dover reagire in qualche modo.
"Re Andew è stato davvero molto, molto furbo. Mentire per tutti questi anni..." Rancey scosse la testa. "Nasconderti così in bella vista, dove nessuno ti avrebbe mai cercato..."
"Lasciami" disse Joyce liberandosi con uno strattone deciso. Con sua sorpresa Rancey la lasciò andare. Lei si lasciò cadere a terra e marchiò il pavimento con un gesto veloce. Aveva usato quel trucco a Vanoria, era troppo chiedere che funzionasse anche quella volta?
Si rialzò fingendosi affaticata ma Rancey non si degnò di aiutarla. Erano tornati nella grande sala con il pozzo esagonale.
"Se tu sei quello che sei, Robern doveva averci già tradito prima di quel giorno" disse Rancey. "Forse quello che ci ha detto sugli Eredi non era per niente vero" aggiunse pensoso. "Lord Malag deve sapere quello che è successo."
"Non verrò con te" disse Joyce guardandolo con aria di sfida.
Rancey si bloccò. "Verrai eccome. Guarda il tuo braccio."
Joyce vide che nel punto dove Rancey l'aveva sfiorata era apparsa una macchia violacea. Sembrava allargarsi a vista d'occhio.
"Conosci le maledizioni?" fece Rancey divertito. "Te ne ho appena fatta una. Più ti allontani da me, più le tue forze diminuiscono. A un certo punto diverrai così debole da svenire e io verrò a riprenderti. Perciò scappa pure, avanti."
Joyce non si mosse. "Non voglio scappare" disse fissandolo negli occhi. "Sono qui per ucciderti."
Rancey sorrise. "Vuoi uccidere me? Ti ho fatto qualcosa di male?"
A parte cercare di rapirmi due volte e uccidermi?, pensò Joyce. "Sì" disse. "Hai maledetto una persona alla quale tengo molto."
"Ho maledetto molte persone, mi perdonerai se ora mi sfugge il suo nome."
"Non ha importanza. Te lo ricorderò io un attimo prima della tua morte."
Stavolta Rancey la fissò con aria crudele. "Non mi importa chi sei e non mi importa se lord Malag ha promesso una ricompensa a chi ti porterà da lui. Per me sei solo un'arma che il circolo supremo voleva usare per opprimerci. Se ti elimino adesso, scommetto che lord Malag non se la prenderà a male. E passi per la ricompensa, sono stato povero per quasi tutta la mia vita, il denaro non mi interessa più di tanto." Evocò due daghe magiche, una per mano.
Joyce fissò le armi di energia che luccicavano e mormorò la formula della pelle di quercia.
Rancey non perse tempo e avanzò verso di lei mulinando le lame.
Per un attimo Joyce fu abbagliata dal loro splendore come una falena dal fuoco.
Rancey ne approfittò per tentare un fendente da sinistra.
Joyce lo evitò d'un soffio gettandosi di lato e rotolando sulla dura pietra. Si rialzò giusto in tempo per evitare un secondo fendente.
Rancey iniziò a girarle attorno, le lame di energia che che ruotavano come se fossero delle vere spade.
Joyce faticava a staccare gli occhi dalle due armi. Doveva guardare Rancey e cercare di anticiparne i movimenti.
Lui si concesse un ghigno. "Sembri a digiuno di duelli magici, strega suprema. Tuo padre non ti ha insegnato proprio niente?"
Joyce cercò di mantenere la calma e tenere la mente lucida. Non doveva farsi distrarre. Evocò due dardi e li scagliò contro Rancey, ma il suo scudo li assorbì.
"Mi hai fatto il solletico" disse agitando le spade.
Joyce valutò se fosse il caso di voltarsi e fuggire. Se diventava invisiile forse poteva seminarlo, ma Rancey aveva la vista speciale e l'avrebbe seguita.
Anzi, grazie alla mledizione non doveva nemmeno sforzarsi più di tanto. Gli bastava aspettare che lei si alontanasse abbastanza e stramazzasse al suolo senza forze.
Non poteva fuggire né arrendersi.
Doveva combattere.
Senza riflettere oltre lanciò un urlo e si scagliò contro di lui a mani nude mulinando le braccia in tutte le direzioni.
Sorpreso da quell'attacco Rancey fece un passo indietro e alzò le braccia, pronto a rispondere all'attacco.
Joyce evocò il buio. Tutto scomparve avvolto in una notte innaturale.
Joyce, che aveva memorizzato la posizione dell'altro, lanciò due dardi magici, poi si spostò di lato di qualche passo.
Qalcosa la colpì alla schiena e lei si sentì proiettare in avanti da una forza mostruosa, come se un gigante l'avesse afferrata e poi scagliata via.
Il volo fu breve ma l'impatto col suolo doloroso. Rotolò per alcuni metri sbucciandosi gomiti e ginocchia.
Quando si fermò, balzò in piedi puntellandosi sulla braccia. Controllò se avesse qualche ferita.  A parte il dolore, non stava sanguinando e la pelle non era stata lacerata in profondità.
"Avrei dovuto spezzarti la schiena" disse Rancey emergendo dal buio. "Immagino tu abbia usato la Pelle di Quercia, non è vero? Noi lo chiamiamo l'ultimo rifugio dei vigliacchi." Indicò la nube di oscurità. "E questi trucchi da quattro soldi? Gli incantesimi di occultamento funzionano solo con un avversario privo di poteri. Uno stregone addestrato lo sa bene. Ecco perché gli illusionisti perdono sempre i duelli."
Joyce non aveva idea di cosa stesse dicendo. Raddrizzò la schiena e si gettò in avanti gridando. Nello stesso momento, evocò un dardo magico dopo l'altro verso l'avversario.
Lo scudo di Rancey li assorbì tutti e quando fu a meno di cinque passi di distanza, lui scattò in avanti.
Joyce lo vide appena e non poté difendersi dall'attacco. Sollevò le mani per proteggersi il viso mentre veniva colpita all'addome da un calcio che la fece piegare in due e le tolse il fiato.
Prima che cadesse, le mani di Rancey l'afferrarono per le spalle e la sollevarono senza difficoltà, scagliandola verso una parete di roccia.
Joyce volò per alcuni metri come una bambola di pezza e quando colpì la dura pietra perse i sensi per un istante.
Si ritrovò seduta a terra, la schiena e le braccia che le dolevano. Senza la pelle di quercia quel colpo le avrebbe frantumato tutte le ossa.
Rancey scosse la testa. "Che scena patetica. Possibile che Lord Malag temesse una creatura come te? Non sei una minaccia per nessuno."
Joyce si rimise in piedi su gambe che le tremavano per la fatica e il dolore.
"Ti arrendi?" le chiese Rancey divertito. "Se lo fai non ti ucciderò, ma non posso assicurarti che Lord Malag ti abbia tutta intera."
"Ancora non hai visto i miei incantesimi migliori" disse Joyce con aria di sfida.
Rancey scrollò le spalle. "Addio ricompensa allora. Ti ucciderò qui e adesso e porterò la tua testa a Lord Malag."
Joyce partì di nuovo alla carica, stavolta puntando le braccia verso Rancey e lasciando partire il raggio magico. Una lama di luce intensa fendette l'aria e raggiuse l'avversario, che piegò le ginocchia e posizionò lo scudo davanti al suo corpo per assorbire il colpo.
Joyce si concentrò e con uno sforzo supremo indirizzò le ultime energie nel raggio magico.
Rancey digrigò i denti per lo sforzo. "Ora sì che fai sul serio" disse con aria soddisfatta.
Joyce intensificò il suo attacco, ma Rancey, dopo l'incertezza iniziale, cominciò ad avazare verso di lei.
Un passo alla volta, coprì la distanza che li separava fino a trovarsi a cinque o sei passi da lei.
Joyce, esausta, lasciò che il raggio magico si affievolisse per poi sparire. Cadde in ginocchio ansimando per la fatica.
Rancey, l'espressione soddisfatta, le girò attorno e si posizionò alle sue spalle.
Joyce lo sentì chinarsi verso di lei e poi cingerle il collo con il braccio.
"Tuo padre è stato uno sciocco a credere di poterti nascondere a noi" le sussurrò Rancey nell'orecchio. "La sua disfatta è completa e così quella di Lady Gladia. Ma non preoccuparti. Nessuno di loro sopravvivrà abbastanza da piangere la tua morte, strega."
Joyce sentì la rabbia montarle dentro. "Io non sono una strega" disse stringendo i denti.
Rancey serrò la presa sul suo collo.
"Io sono una maga." Joyce mormorò la formula della levitazione e con le ultime forze residue si diede uno slancio deciso verso l'alto.
Lei e Rancey volarono verso il soffitto della grotta, coprendo la distanza che lo separava dal suolo in pochi attimi.
Joyce chiuse gli occhi e strinse i denti, preparandosi all'impatto contro la roccia.
Rancey, ancora aggrappato al suo collo, si ritrovò schiacciato tra lei e la dura pietra.
Joyce lo sentì ansimare per il dolore e la sorpresa e al momento dell'impatto lasciò la presa sul suo collo.
Joyce si divincolò e lo vide precipitare nel vuoto. Il volo di Rancey fu seguito da un tonfo sordo. Lei atterrò a pochi passi di distanza.
Rancey giaceva al suolo, una gamba girata in una posizione innaturale e il viso coperto di sangue. Sollevò gli occhi verso di lei. "Ora ti..."
Joyce mormorò la formula del richiamo.
Rancey scomparve per un istante e riapparve in una posizione diversa e voltato di spalle.
Ma non era stato lui a muoversi. Era stata Joyce a spostarsi nello spazio angusto della grotta.
Sollevò le braccia ed evocò due dardi magici. Li lasciò partire e colpì Rancey alla spalla, passandolo da parte a parte. Quindi si avvicinò a lui, un altro dardo pronto a colpirlo.
Rancey, ferito e ansimante, la guardò con occhi pieni di furore. "Tu..."
"Ora sei mio prigioniero."
"Non si fanno prigionieri in questa guerra" disse Rancey.
Joyce deglutì a vuoto. "Togli la maledizione che hai fatto a Oren."
Lui rise. "È così che si chiama?"
"Fallo e basta."
"Dovrai uccidermi" la sfidò Rancey.
Joyce ansimò. "Non c'è bisogno che tu muoia."
"Invece" disse Rancey ridendo. "Credo che sia venuto il momento."
Joyce lo vide reclinare la testa all'indietro ed emettere un singulto. "Sigillo di morte" disse con voce arrochita.
Joyce aveva già sentito quella frase. Era successo mesi prima, al gran ballo organizzato in occasione della consacrzione di Bryce. Era stato uno degli uomini di Malag a pronunciarla, prima di liberare tutta l'energia che aveva dentro di sé e farsi esplodere.
Rancey stava per fare lo stesso?
Non aveva intenzione di restare lì per scoprirlo.
Senza pensarci oltre si girò su se stessa e iniziò a correre. Non si voltò mai, nemmeno quando vide un bagliore accendersi all'improvviso. Corse per altri metri, aggrappandosi alla roccia quando inciampò e cadde.
Poi udì il ruggito della pietra che si spaccava ed esplodeva e tutto divenne confusione e dolore.

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