Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: EdemaRuh    06/05/2018    1 recensioni
Una soffitta, una videocassetta e noi, che non sapevamo farci gli affari nostri. Così è iniziata.
Un manicomio di notte, il cliché perfetto. Così è finita.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
È di nuovo giovedì quando ci incontriamo a casa mia dopo aver cenato. Non dobbiamo attendere molto prima che il padre di mio cugino suoni il campanello. Mi sono assunta personalmente l’onorevole compito di scendere ai piani bassi per chiedere di potergli parlare oggi, così l’ho convinto a salire al secondo piano, dove avrò il supporto della mia squadra. Se gli avessi fatto certe domande davanti a sua moglie mi avrebbero presa per stupida ed infilata in un manicomio a mia volta. Nel senso, avrebbero proprio aperto un manicomio solo per me.

Lo faccio accomodare in cucina dove, attorno al tavolo, tutti gli altri ci aspettano. La sua espressione si fa improvvisamente confusa. Effettivamente forse avrei potuto accennare al fatto che non sarei stata la sola, che c’erano anche altri che avevano bisogno di questa amichevole chiacchierata. Prima di cominciare gli offro una birra, poi mi siedo.

«Ti abbiamo chiesto di venire per un motivo un po’ particolare.» gli spiego. «Qualche tempo fa siamo saliti in soffitta per cercare degli sci, come ti avevo già spiegato e abbiamo trovato alcune videocassette. Sai anche che Luca le ha prese per vederle, essendo appassionato di cinema. Ha trovato alcuni vecchi film, video della nostra famiglia e poi una cassetta particolare, diversa da tutte le altre, dove si vedeva un uomo probabilmente in un manicomio.»

Faccio una pausa per esaminare la sua reazione.
«Quindi esiste ancora.» sussurra senza rivolgersi a nessuno in particolare, come se fosse perso nei ricordi.
«Sapevi già dell’esistenza della cassetta?»
«Mia madre ne era ossessionata, ha passato anni a cercare di liberarsi di quei video. Posso vederla?».

Prima di continuare decidiamo di accontentarlo. In fin dei conti si tratta di suo padre, chissà da quanto tempo non lo vede, chissà se almeno si ricorda com’era la sua faccia. Rovisto tra le cartelle del mio computer, che è già strategicamente acceso, e faccio partire il video che Luca mi ha passato. Invece del familiare manicomio che abbiamo visto un centinaio di volte alla ricerca di particolari, però, ci ritroviamo davanti l’ennesimo banalissimo matrimonio e rimaniamo tutti interdetti. Il titolo del video è inequivocabile: CR68-507.1, sono certa di non aver sbagliato.
L’ennesimo cliché insomma.

«Permettimi di andare avanti con la spiegazione e capirai. Spero di capirlo anche io in effetti.» dico, prima che chiunque altro cerchi di spiegare quanto è appena successo.
«Quindi, troviamo questa cassetta e visto il contenuto, ben diverso da questo, decidiamo che vogliamo saperne di più, perché probabilmente siamo degli incurabili ficcanaso. Così sono tornata in soffitta a cercare e ho scoperto che l’uomo del video era tuo padre.» nessuna reazione particolare. La conferma che ne era già al corrente. Continuo. «Nel frattempo abbiamo trovato il nome del manicomio e abbiamo deciso di visitarlo. Sempre perché siamo leggermente ficcanaso.». La sua espressione si fa più curiosa.

Faccio partire il video della finestra sbarrata e della stanza del nostro paziente che Luca ha accuratamente ritagliato da ore di filmato inutili. Poi gli mostro la mappa che abbiamo disegnato. «Quella camera piena di scritte che hai appena visto era quella di tuo padre, a quanto risulta da alcuni archivi che erano ancora all’interno della struttura. Quando ci sono entrata mi era sembrata perfettamente bianca, pulita, come nuova. Invece nel video risulta essere tutt’altro. Suppongo sia la stessa cosa che è appena successa con la videocassetta, si tratta di qualche sorta di illusione.». Ometto la parte del cadavere, ma è decisamente meglio così per tutti quanti. Aspetteremo di sapere cosa ha da dirci prima di svelargli altro.

«Non so davvero cosa dire. Ho sempre pensato che mio padre fosse pazzo, invece scopro che potrebbe aver avuto ragione. Dopo tutto questo tempo. C’è una cosa che devo dirvi, che forse può aiutarvi. Dovete però promettermi che niente di tutto questo uscirà mai da questa casa, per nessun motivo.»

Ovviamente promettiamo che non succederà, nemmeno sotto tortura. In realtà stiamo registrando tutto con un cellulare.
«Mio padre non era veramente pazzo. Diceva di vedere “qualcosa in soffitta”, l’ha anche filmata un paio di volte ma mia madre ha cancellato tutto. Lo odiava.»
«Lo sappiamo.» ribatte Luca senza pensarci, quasi stizzito per non aver avuto informazioni nuove. Maledizione.
«Come fate a saperlo?» avevo sperato inutilmente che non se ne accorgesse. Mi concentro per trovare una scusa valida mentre gli altri temporeggiano ma sono costretta a dire la verità.
«Durante la nostra felice escursione abbiamo trovato un’altra videocassetta.»
«Posso vederla?»
«Non uscirà da questa stanza.».
Patto accettato, facciamo partire il secondo filmato in nostro possesso. Stavolta niente matrimoni, il paziente 507 è lì per raccontare qualcosa di sé a suo figlio.
 
Anche dopo che il video è finito rimaniamo in silenzio, aspettando che sia lui a parlare.
«Sapevo già tutto, mia madre me ne parlava spesso. Lo odiava per la sua ossessione per quella cosa ma ora che ho visto tutto questo posso dirvi con certezza che mio padre non si sbagliava.»
«Come fai a saperlo? C’è qualcosa che ci sta sfuggendo? Abbiamo analizzato tutto, ogni dettaglio.»
«No, non tutti i dettagli. Forse non avete mai notato che a volte, per poche frazioni di secondo, nel video compare un volto su sfondo nero.» Certo che l’abbiamo notato, già dalla prima volta che abbiamo visto la cassetta. Non ci siamo più posti il problema, non avendo nessuna pista che ci potesse portare a capire di cosa si trattava.
«L’abbiamo visto ma cos’è?»
«Dopo aver visto tutto questo pensavo fosse abbastanza facile da capire: quella è la faccia della cosa.»
«Come fai ad averlo visto senza dover fermare il video? Quei frame sono praticamente invisibili.» osserva Luca.
«Anche io ho visto la cosa. La prima volta è successo perché mio padre mi ha portato in soffitta con lui e non ho potuto fare a meno di vederlo. Poi, quando lui si è fatto rinchiudere in quel manicomio sono tornato lassù da solo, a cercare risposte, a volte lo faccio ancora. La cosa è sempre lì ad aspettarmi.»

Questo cambia le carte in tavola.
«Quindi dopo averlo visto riusciremo a vedere quello che al momento non vediamo?» chiedo. È folle.
«Sì, riuscireste a vedere qualcosa di più vicino alla verità in tutta questa storia. Ma non ve lo consiglio assolutamente.» tipico cliché anche questo. Lasciatemi indovinare, nonostante tutte le raccomandazioni e nonostante sembri davvero un’idea di merda saliremo in soffitta proprio questa notte per vedere quella cosa.
«Vogliamo vederla.» dice Riccardo risoluto. Ecco, appunto. Aggiungi che vuoi vederla stanotte, su.
«Vi ripeto che non vi conviene farlo, ma non sono nessuno per impedirlo. Avete più possibilità di incontrarla la notte, sempre che voglia essere vista.».
Lo sapevo. E preferivo non saperlo, sia chiaro.
 
 
Sono le 22 passate da un po' quando, armati delle sole torce dei cellulari, saliamo in soffitta.
Chiaramente ora sembra tutto ancora più tetro di quel pomeriggio quando ci sono venuta da sola. Le impronte, le stesse di allora potrei quasi giurare, sono ancora lì, come se non fosse passato che un attimo. Devo levarmi questa cosa dalla testa subito, non mi servono altre paranoie per oggi. Grazie.
Chiudiamo la porta alle nostre spalle e ci prepariamo a quella che, sono pronta a scommetterci, sarà una lunga notte. Ci sediamo in cerchio, schiena contro schiena per guardarci le spalle (mica scemi), le torce puntate dritto davanti a noi, perse nel buio. Ok, bene, due domande. Primo, cosa stiamo cercando? Secondo, dobbiamo davvero passare tutta la notte così?
Aspetto una mezz'oretta prima di prendere coraggio e parlare.

«Ho un'idea. Potremmo farci un giro per la soffitta, vedere se troviamo qualcosa. Se non sono morta cercando da sola non moriremo di certo in cinque.»
Mi guardano come se fossi impazzita, poi realizzano che l'alternativa è restare seduti a guardare il nulla per tutta la notte e mi danno ragione. Anche perché, non so loro, ma io inizio già ad avere mal di schiena.
Ci alziamo, facendo del nostro meglio per rimanere vicini, aspettandoci di vedere questa "cosa" da un momento all'altro. Ci avviciniamo al letto, nell'angolo più remoto della soffitta, senza sapere perché. Sembra tutto più facile ora che siamo in cinque. Erika e Luca ci guardano le spalle mentre noi tre fissiamo il letto, aspettando che qualche coraggioso si faccia avanti per controllare cosa c'è sotto di esso. Non saprei dire per quale assurdo motivo sentiamo il bisogno di dare un'occhiata è come se avessimo la certezza che c'è qualcosa che può darci un indizio.
Alla fine Riccardo si decide e fa il lavoro sporco per noi; si china e osserva lo spazio tra il pavimento e il materasso, aiutato da una torcia. Già il semplice fatto che niente lo sta uccidendo ci fa sospirare di sollievo. All'improvviso infila un braccio lì sotto, lontano dal nostro sguardo, dritto nella bocca del mostro. Non si fa. Proprio no.
Fortunatamente, però, il braccio riemerge poco dopo con la mano ancora attaccata ad esso e nessuna ferita. Mi do mentalmente della stupida per aver avuto paura.

«Ho trovato qualcosa.» dice. Ed eccolo lì, proprio davanti ai miei occhi, il mostro: una pallina colorata rotola verso di noi. Sì, sono stata decisamente molto stupida. Allungo le mani verso l'oggetto per fermare la sua corsa, lo spolvero. É una normale palla di gomma, del diametro di una decina di centimetri appena, rossa e blu. Niente di spaventoso.
Senza un motivo, la tiro. Rimbalza a terra facendo sussultare gli altri. Rimbalza di nuovo, allontanandosi, come tutte le palle del mondo fanno. Va verso la porta ma la sua corsa si ferma quando va a sbattere contro il guardaroba. Mi guardo intorno confusa, certa di aver già sentito il rumore che la palla ha appena prodotto. Proprio quel preciso rumore.

«Andiamo a controllare l'armadio» dico. Ho un sospetto. Gli altri si allontanano dal letto prima di me, senza alcuna esitazione, mentre io mi fermo cercando di raccogliere nella mia memoria quanti più dettagli possibili. Niente di strano. Come al solito mi convinco che era solo una mia impressione ma allo stesso tempo mi chiedo se è possibile che io abbia tutte queste impressioni. Scuoto la testa cercando di allontanare i pensieri stupidi e mi avvio anche io verso la luce delle torce degli altri ma mi blocco subito quando vedo Erika e Luca fermi davanti alla macchina da cucire.

«Che sta succedendo?» chiedo, leggermente in ansia. Non li vedo in faccia, non capisco se sono spaventati o se sono loro che stanno cercando di spaventare me.
«Ho nascosto qui un mio ricordo.» mi spiega Erika con voce tranquilla, chiudendo il cassettino del tavolo davanti a lei, che ricordo di aver esaminato l'ultima volta che sono venuta qui. Quando lei si volta verso di me, il suo sorriso mi gela il sangue. Non l'ho mai vista così.
«Quale ricordo?»
«Ho tagliato una ciocca di capelli a Luca. C'era un filo rosso qui nel cassetto così ho fatto un fiocco.»
«Perché?»
Improvvisamente sembra ritornare in sé.
«Non lo so, sentivo che dovevo farlo.».

Faccio allontanare entrambi e apro il cassetto. Filo rosso tagliuzzato, una forbice arrugginita e la stessa ciocca di capelli che ho trovato quel pomeriggio.
«Non dire puttanate cercando di spaventarmi, idiota.». Stasera ci sto prendendo gusto a darmi della stupida ripetutamente, ma stavolta stavo davvero per cascarci. Bello scherzo.
«Cosa intendi scusa? I capelli sono lì, come dovrei prenderti per il culo?»
«Vorresti dirmi che quelli sono i capelli di Luca?» bella recita, ma non mi fregano, sono stata qui una settimana fa e li ho visti.
«E di chi altro dovrebbero essere?»
«Lascia perdere. E complimenti, ci ho quasi creduto.» la lascio lì, confusa, e raggiungo gli altri due che, credo, sono ignari di tutto.
«Erika sta meglio?» mi chiede Alessio visibilmente preoccupato. Come non detto.
«Sta meglio, ma che è successo?»
«Stavamo venendo verso l'armadio e si è come bloccata. Ha iniziato a dire cose senza senso, tipo che voleva lasciare un ricordo. Non siamo riusciti a farla muovere, quindi noi abbiamo proseguito.»
«Speravo che almeno tu non amassi prendere per il culo. E fammi indovinare, già che ci siamo, c'è qualcosa di veramente inquietante dentro l'armadio.»
«Che ti prende? Ho le prove filmate di quanto successo. E comunque sì, mi dispiace dirtelo ma c'è qualcosa.»

Bene, fantastico. Se quello che dicono è vero voglio andarmene di qui subito, invece mi tocca pure vedere che altro è successo. Non riesco a spiegarmi come in così poco tempo possano aver architettato tutto, sono stata lontana solo pochi istanti. Non so nemmeno come facessero a sapere che c'erano davvero delle forbici e dei capelli nel cassetto della macchina da cucire visto che nessuno di loro l'ha mai aperto. A meno che qualcuno non l'abbia fatto la prima volta che siamo saliti per cercare gli sci. Troppe ipotesi mentre devo concentrarmi su altro.
Apro l'armadio senza esitare, tanto ormai di sorprese ne ho già avute. I cappotti sono ancora lì e non c'è niente di particolare che catturi la mia attenzione, finché non mi accorgo di una piccola scritta rossa su una delle ante. Riconosco quasi subito la calligrafia e non ho difficoltà a leggerla: change sides.
 
 
É la goccia che fa traboccare il vaso. Abbandono quella maledetta soffitta a se stessa, seguita dagli altri, promettendo ad alta voce di non tornarci mai più per nessun motivo per tutto il tragitto fino alla cucina di casa.
«Dobbiamo tornare al manicomio, ci sta dicendo che dobbiamo tornare lì, ne sono sicuro.» suggerisce Riccardo. Non esiste. Ovviamente però agli altri sembra una bellissima idea. Maledettissimi cliché.
«Magari di notte, magari la cosa è lì, magari scopriremo finalmente la verità.».

Oh esatto, la verità. Fulmino Erika e Alessio con lo sguardo, abbastanza eloquente perché capiscano che è venuto il momento di rivedere il video della serata.
Arriviamo subito al punto dove decidiamo di vedere cosa c'è nell'armadio, gli altri si allontanano mentre io, non inquadrata, sono ferma accanto al letto a pensare. Come mi è già stato spiegato Erika si ferma e inizia a ripetere parole senza senso, sconnesse tra loro. Poi si ferma davanti alla macchina da cucire, la guarda come se essa le stesse parlando e senza esitare estrae le forbici dicendo che deve lasciare un ricordo. Quindi è tutto vero.
Non è possibile che io abbia trovato i capelli di Fabio prima che essi fossero effettivamente nascosti in quel cassetto. Poi improvvisamente ricordo il suono della palla che rimbalza e rotola verso la porta. Illuminazione.

«L'ho sentito quel pomeriggio..» sussurro rivolta soltanto a me stessa, anche se ovviamente gli altri mi sentono e subito vogliono sapere.
«Quando sono salita in soffitta da sola quel pomeriggio ho trovato la ciocca di capelli. E uscendo ho sentito il suono della palla che cadeva, la stessa palla che ho lanciato io questa notte. Suppongo che anche tutte le impronte che ho trovato in giro fossero nostre. Per questo non riuscivo a credere a questa storia.»
«Non è possibile.»
«Lo credevo anche io. Evidentemente qualcuno o qualcosa vuole davvero che torniamo nel manicomio quindi lo faremo.»
«Non sappiamo nemmeno se quella cosa esiste davvero o se è solo un'invenzione. Non l'abbiamo vista.».
«Scopriamolo.»

Prendo il computer, spinta dalla curiosità ma terrorizzata allo stesso tempo. Faccio partire il video del paziente 507 che abbiamo trovato durante la nostra esplorazione al manicomio e obbligo anche gli altri a guardarlo. Quando la registrazione finisce ci guardiamo terrorizzati.
Per la prima volta siamo riusciti a distinguere i frame nominati dal padre di mio cugino. Abbiamo visto la cosa.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: EdemaRuh