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Autore: _Princess_    03/07/2009    34 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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“Vi, lo scimmione della tua portineria dice che in casa tua non c’è nessuno, ma io lo so che sei lì. Da BJ non ci sei. Grazie per aver spento il cellulare, fra parentesi, così chiamarti sul fisso mi costa il doppio. Allora, cosa vogliamo fare? Hai intenzione di lasciarmi spiegare o farai la malmostosa ancora per molto? Quella troia mi è piombata in casa all’improvviso, che cazzo ne sapevo io? Stavo aspettando te, le ho aperto senza nemmeno controllare! Vi, maledizione, tira su questa dannata cornetta e di’ qualcosa!”

 

***

 

“Søster, volevo solo avvisarti che Tom ti ha cercata qui. Gli ho detto che non c’eri, ma perché non gli vuoi nemmeno dare modo di dire la sua? Io penso che sia sincero quando dice che non ha fatto nulla di male. Non fare la scema come al solito, potresti essere tu a sbagliare, sai? Non farmi stare in ansia, se poi mi viene un infarto cosa facciamo? Tom ti vuole bene sul serio, aveva una voce spaventosa quando ha chiamato. Non essere ipocrita, ti stai fasciando la testa prima del tempo. Ti rendi conto di cosa stai buttando via, vero? Se cerchi l’amore perfetto, vallo a cercare nei libri di fiabe. Nella vita reale, un rapporto sano non si basa sul non sbagliare mai, ma sull’imparare a risolvere i problemi. Anche se Tom avesse commesso un errore così stupido, non significa che non possa essersene sinceramente pentito, non credi? Klem Klem, il tuo Orsacchiottino ti vuole tanto bene e spera che tu ti decida a ragionare.”

 

***

 

“Sto cominciando a innervosirmi. Sarà il decimo messaggio che lascio e, oltre ad intasarti la segreteria, sto sprecando tempo, denaro e fatica, solo perché sei una maledetta cocciuta vittimista che crede di sapere tutto lei. Credi che mi darei tanta pena per riuscire a parlarti se non me ne fregasse un cazzo di te? Rispondi, stronza!”

 

***

 

“Vi, mi hai proprio rotto! Ti decidi a rispondermi, cazzo?! Ti stai comportando da stupida, lo vuoi capire o no? Se ti degnassi di lasciarmi spiegare come stanno veramente le cose, capiresti che è tutto fumo e niente arrosto! Mi basta un minuto. Un solo fottutissimo minuto, comprendi? Pensi di potermi concedere un sacrosanto minuto di pazienza, per cortesia?”

 

***

 

“Bee, sono Georg. Ti prego, parla con Tom. Sta dando di matto, non sappiamo più come calmarlo. Lo so che è difficile credere che non abbia fatto niente, ma è davvero sconvolto, una possibilità di spiegarti la situazione gliela dovresti dare. Pensaci, almeno, ok?”

 

***

 

“Wolner, dai, non fare così! Lo so che Tomi è un idiota, ma non è colpa sua, è caduto dal seggiolone da piccolo! Perché non vi vedete e ne discutete con calma? Almeno per correttezza… Se sentissi la sua versione, sono sicuro che cambieresti idea… Spero. Sii buona!”

***

 

“TRE GIORNI! Tre Cristo di giorni che non ti fai vedere né sentire, Vi! Ti stai divertendo? È soddisfacente mandarmi in bestia in questo modo? Sono al limite, ti avverto. Dimmi cosa devo fare per riuscire ad avere un dialogo da adulti con te! Mi devo appostare sotto casa tua ed aspettare che tu esca? Lo faccio, se serve a qualcosa!”

 

***

 

“Ti dai alla macchia, norvegese? Avanti, almeno con me potresti parlare, che ne dici? Io e te e basta, te lo giuro. Di me ti fidi? Voglio solo sapere come stai, anche se penso di avere un’idea abbastanza precisa. Richiamami, siamo preoccupati.”

 

***

 

“Va bene, Vi, fa’ come cazzo ti pare! Sai che ti dico? Me ne sbatto di te e delle tue scenate! Vuoi farci la figura dell’ottusa? Accomodati, io me ne lavo le mani! Questione chiusa.”

 

***

 

“Un favore, Dio santo, un misero, banalissimo favore! Me lo puoi fare, per una volta? Ok, me ne hai già fatti tanti, è vero, ma stavolta è importante. Importante sul serio, Vi, davvero. Non ho fatto niente con quella, te lo giuro. Cioè, l’ho fatto, ma prima che tu ed io… Insomma, sono stato sempre onesto con te, credevo lo sapessi! Vi…? Non ci credo che non vuoi nemmeno urlarmi un po’ addosso… Tira fuori tutto una buona volta, sbraita quanto ti pare, ma lascia che dica la mia una volta per –”

Un click inaspettato troncò il finale della frase di Tom, che fu scosso da un sussulto interiore nel rendersi conto che quel minuscolo ed infinitesimale frammento di silenzio significava che la segreteria era stata interrotta.

“BASTA!” Stentorea ma rauca, uscendo dal nulla, la voce distante di Vibeke lo aggredì rudemente. “Basta, basta, basta!” Suonava stanca, ma fin troppo piena di rancore. Dopo giorni, ancora le bruciava tanto da intaccare la fermezza del suo tono. “Non ho nessunissima voglia di stare a sentire qualunque stronzata tu pensi di rifilarmi! Io… Io non so più cosa fare, con te, onestamente! Sei troppo… Doppio! A volte ti guardo e penso di aver capito tutto di te, altre invece mi sembri un perfetto estraneo… Io non ho la più pallida idea di chi sia Tom Kaulitz! Dopo mesi che ti conosco, ancora non sono capace di distinguere fino in fondo il vero e il falso che ci sono in te! Sei un attore, spesso pessimo, ma in certi momenti la parte del pezzo di merda ti riesce così bene che non sono più sicura di niente, se non del fatto che ai miei occhi resti ancora la stessa terrificante, inaffidabile doppia faccia di sempre!”

Tom boccheggiò spaesato, il volto in fiamme e le mani gelate. Razionalmente, non era sicuro di aver captato con esattezza tutte le parole di quella soverchiante invettiva a valanga, ma sensibilmente parlando aveva perfettamente colto il messaggio: categorico, insindacabile, irrevocabile sabotaggio di qualunque speranza gli fosse sopravvissuta in corpo.

“Senti,” sospirò, lo sconforto che, suo malgrado, dilagava senza controllo. “Perché non –”

“Perché no!” sberciò lei, senza neanche lascialo finire. “Ora, gentilmente, piantala di assillarmi!”

“Ma io…”

“Non cercarmi più, non chiamarmi più, non fare più un cazzo!”

Non aggiunse altro, né lasciò a lui il tempo di replicare. Gli riattaccò il telefono in faccia e lo lasciò a se stesso, abbattuto e svuotato di ogni grammo di positività.

Più in basso di così gli sembrava impossibile andare.

 

 

***

 

The pain ain’t hurting me
But the love that I feel

Ce l’aveva conficcata in testa, quella frase, come un disco rotto che le cantava dentro. E dire che era una delle sue canzoni preferite.

Non è il dolore a farmi male, ma l’amore che provo.

Se solo avesse potuto staccare la spina e far cessare tutto. Era sempre stata brava a curare le ferite altrui, ma con le proprie non ne era mai stata in grado. Era forte e invincibile solo quando c’era da lottare per gli altri; quando si trattava di se stessa, sapeva solo giocare in difesa, e se la difesa falliva poteva solo sperare di non essere colpita.

Così non era stato.

Da quanto lo aveva aggredito verbalmente, ormai due giorni prima, Tom non aveva più osato farsi sentire, a differenza degli altri, che non avevano ancora demorso. Le dispiaceva tagliarli fuori così, ma c’erano ferite che preferiva leccarsi da sola, anche se aveva la netta sensazione che questa volta, in qualunque caso, non sarebbe riuscita a curarle.

Lasciò squillare per l’ennesima volta il telefono, abbandonata tra i cuscini del divano di fronte alla televisione accesa su nemmeno lei sapeva cosa. Al decimo squillo, si attivò la segreteria telefonica.

La voce alterata di Gustav riempì la stanza:

“Bee, adesso basta! Ti do dieci secondi per prendere il telefono e darmi segni di vita, dopodiché chiamo la polizia, e non sto scherzando. Uno… Due… Tre…”

Vibeke chiuse gli occhi e si strinse un cuscino al petto.

“Quattro… Cinque…”

Non aveva voglia di sentire nessuno. Erano quattro giorni che dormiva poco e male, che non riusciva a mangiare, che non usciva di casa. Aveva persino trascurato BJ, limitandosi a sentirlo via telefono un paio di volte.

“Sei… Sette…”

Ciononostante, era cosciente di non poter andare avanti così per sempre. E poi sentiva il bisogno di qualcuno con cui razionalizzare tutta quella stupida faccenda, anche se, prevedibilmente, Gustav sarebbe stato dalla parte di Tom.

“Otto…”

Cosa darei per un tuo abbraccio, Gud…

“Nove…”

Qualcosa dentro di lei stava ferocemente lottando per impedirle di alzarsi e rispondere a quella telefonata. Qualcos’altro, però, le diceva che chiudersi in se stessa non la avrebbe portata da nessuna parte.

“Dieci.”

Delusione, amarezza, rammarico, preoccupazione… Vibeke contò le emozioni che trasparirono da quell’ultima parola rassegnata che Gustav pronunciò. Lui non aveva colpe, era meschino lasciarlo stare in pena per lei in quel modo.

“D’accordo,” sospirò Gustav, mesto, dal nastro della segreteria. “Non ti disturberò più. Quando avrai voglia di parlare con qualcuno, io sono qui. Spero che tu –”

“Gud!”

Vibeke non aveva saputo trattenersi: a tutto poteva resistere, ma non ad un Gustav Schäfer così dolcemente preoccupato per lei.

Un paio di secondi di vuoto, poi la voce risollevata di Gustav tornò a lambirla con il suo solito potere lenitivo:

“Finalmente ti sei decisa, avevo già perso le speranze.”

“Mi dispiace,” si scusò frettolosamente lei. “Non avevo molta voglia di parlare…”

Dall’altra parte, Gustav sospirò.

“Voglia e bisogno non vanno di pari passo.”

Oh, taci, taci, taci!, lo sgridò Vibeke, mordendosi la lingua. Angelo saggio e premuroso contro umile essere umano non è uno scontro equo!

“Bee,” riprese Gustav, non ricevendo risposte. “Non fare la testona come al solito, almeno con me la vuoi dimostrare un minimo di disponibilità?”

Vibeke era disponibilissima, ma non le mancava qualche legittima riserva in merito.

“Kaulitz ti avrà già accuratamente infiocchettato la storia nella sua comoda ed innocente versione dell’equivoco, scommetto.”

“Sì, ma –”

“Quindi starai già sicuramente dalla sua parte.”

“Non ci sono parti, c’è solo da mettersi a discuterne civilmente!”

“Civilmente?!” abbaiò Vibeke. “In quale bucolica ed utopistica dimensione parallela una frase che ha me e Kaulitz come soggetto contiene l’avverbio civilmente?”

Gustav sospirò di nuovo.

“Anche questo è vero.”

In cuor suo, Vibeke capiva che la situazione non era semplice nemmeno per lui, e una minuscola porzione della sua coscienza non faceva che ripeterle che, delle tante pessime idee che avrebbero potuto venirle in mezzo a tutta quella negatività in cui si era ritrovata, parlare con Gustav era senza ombra di dubbio la più sana e sensata. Quando qualcosa non andava, la risposta giusta a ogni male era sempre Gustav Schäfer. Il suo appiglio sicuro, il suo rifugio, la spalla a cui appoggiarsi per chiudere gli occhi e dimenticare, le braccia forti in cui nascondersi nel momento del bisogno, e quegli incredibili occhi che avevano il potere di curare tutto.

O quasi.

Gustav per lei rappresentava certezze e affidabilità, un punto fermo e nitido, trasparente e solido al tempo stesso. Tutto era bello, con lui, tutto era sereno e tranquillo e così semplice.

Gustav. Il suo Gustav. Il suo meraviglioso, adorato Gustav… Lui era tutto quello che non era Tom.

Già, Tom...

Solo a ripensare a lui, si sentiva mancare. Percepiva di nuovo quella sgradevole sensazione di vuoto improvviso che aveva provato nel trovarlo con quella ragazza, lo stesso senso di impotenza e stordimento, la stessa angoscia.

Questo è quello che succede alle sciocche illuse che cascano come pere mature nelle trappole di quelli come lui, rimproverò a se stessa, amaramente. Eppure lo sapevi che sarebbe successo, prima o poi…

“Bee, sei ancora lì?”

“Sì,” Vibeke ripiombò bruscamente nel presente. “Scusa, ero soprapensiero.”

“Se passo da te avrai il coraggio di ignorarmi?” la punzecchiò Gustav.

A lei venne quasi da ridere: ignorare Gustav, quando tutto ciò che voleva era sprofondare nel calore di un suo abbraccio e della sua voce, era possibile quanto spegnere il sole.

“Perché vuoi farmi puntualizzare l’ovvio?”

Lui emise una piccolissima risata divertita, che le scivolò addosso come una morbida coperta avvolgente e la cullò con dolcezza. Si sentì stupida per aver anche solo avuto la presunzione di pensare di non avere bisogno di lui.

“Allora tra una mezzoretta sarò lì.” Promise Gustav. “A dopo.”

“A dopo.”

Quando Vibeke ripose il telefono, si sentiva strana: aveva la sensazione di aver sbloccato qualcosa dentro di sé, ma al contempo si domandava se fosse un bene, un male o semplicemente un dettaglio indifferente.

Ma al momento le importava un po’ meno di quello e di tutto il resto: Gustav stava arrivando, tutto sarebbe andato meglio.

 

***

 

Il cielo sopra Amburgo era plumbeo, violaceo, tappezzato da una densa coltre di pesanti nuvole gonfie d’acqua, che lacrimavano una rada e sottile pioggerellina che quasi sembrava condensa nebbiosa. Secondo il termometro non faceva freddo; secondo Tom, un clima così rigido non si era sentito in tutto l’inverno.

Sedeva nella piccola serra attigua alla villa dello studio, con una tazza di cappuccino ormai gelato davanti e qualche biscotto che Bill gli aveva lasciato lì, nella vana speranza che mangiasse qualcosa.

Ma Tom non voleva mangiare.

Imbracciava la chitarra con indolente mollezza, pizzicando corde a caso, lo sguardo perso nel vuoto. Guardava il cortile al di là dei vetri e rivedeva il sole caldo di pochi giorni prima, l’espressione curiosa di Vibeke mentre gironzolava per il giardino, facendo frusciare quel suo abito così bizzarro che le stava tanto bene. Guardò l’aiuola piena di margherite dai petali flosci e anneriti e capì di sentirsi così, come loro. Tutto quanto, adesso, era esattamente come quei fiori: splendore appassito, un regalo morto.

La rabbia che Tom aveva sputato nei messaggi lasciati alla segreteria di Vibeke non era che la traduzione sbagliata di qualcosa di ben diverso e ben più forte, lo sfogo errato di un’emozione che altrimenti non sarebbe mai riuscito a lasciar emergere.

Aveva troppa paura del dolore per affrontarlo.

E, dopotutto, la rabbia, le urla, i litigi erano sempre stati i loro mezzi di comunicazione primari, e forse non avrebbero mai imparato a fare diversamente.

Non c’è più niente da imparare, si disse Tom, sfiorandosi il piercing con la lingua. Non c’è più niente.

Di tutto quanto, la cosa che più lo feriva era la facilità con cui Vibeke aveva lasciato crollare tutto, senza nemmeno lasciargli il tempo di dire mezza parola. Probabilmente si era aspettata un passo falso da parte sua fin dall’inizio – se mai un vero inizio c’era stato – e non si era mai veramente fidata di lui. A nulla erano valsi i suoi sforzi di impegnarsi, di adattarsi, di comportarsi in modo più spontaneo. Vibeke non lo aveva mai preso sul serio comunque, ed era un pensiero che feriva Tom più di ogni altra cosa.

Quel che era peggio, inoltre, era che ora sicuramente Vibeke pensava che lui l’avesse presa in giro, confessandole di essere innamorato di lei, quando a lui invece quelle parole erano costate una fatica lunga settimane e tutto il coraggio di una vita.

Non avrebbe pianto – no, quella era una capacità che aveva perso già da diversi anni – ma se ne sarebbe rimasto lì, isolato da tutto e da tutti, a rimuginare su troppe cose per una mente sola, suonando note casuali con la testa completamente altrove.

Lui e i ragazzi avevano un album da terminare con urgenza, e tutto ciò che lui sapeva fare era starsene lì a sentirsi uno straccio.

“Tomi.”

Tom trasalì. Bill, comparso dal nulla al suo fianco, gli sedette accanto, mettendosi a cavalcioni sulla panca. Osservandolo anche solo distrattamente, Tom lo vide stanco e preoccupato, e si sentì profondamente in colpa: la loro empatia spesso era tutt’altro che un fattore positivo.

“Non hai mangiato niente.”

La voce desolata di Bill gli inferse una pesante gomitata nello stomaco. Se mangiare avesse reso le cose più facili almeno a lui, Tom decise che poteva anche costringersi a buttare già qualcosa. Afferrò alla cieca un biscotto e se lo mise in bocca, masticandolo grossolanamente, infine deglutì a fatica, come se la sua laringe fosse dimezzata di diametro.

Bill rimase a guardarlo in silenzio per un po’, poi sussurrò:

“Gustav sta andando da Vibeke. Forse lui riesce a farla ragionare.”

“Bene.” sbottò Tom, pungolato dalla solita, fastidiosa gelosia. Per qualche strano motivo, per Gustav tutto era semplice, con Vibeke. “Così magari, tra un abbraccio consolatorio e un bacio rassicurante, capiscono di essere fatti l’uno per l’altra e vivranno per sempre felici e contenti. Anzi, ora che ci penso, avrebbero dovuto stare insieme fin dall’inizio. Starebbe stato meglio per tutti.”

“Tom.” Bill gli rivolse una timida occhiata di ammonimento, ma lui continuò a suonare. “Tom,” Con maggiore decisione, Bill gli afferrò il polso e lo obbligò a fermarsi e guardarlo. “Non dare la colpa a Gustav perché non ha il tuo caratteraccio.”

“Devi darmi dello stronzo anche tu, adesso?”

Bill chinò umilmente il capo e non disse più niente. Di nuovo, i sensi di colpa attanagliarono le viscere di Tom. Doveva smetterla di accanirsi su Bill, non avrebbe risolto niente e gli avrebbe solo fatto del male. Del resto, stava solo cercando di aiutarlo, come tutti gli altri.

In quel momento Georg apparve sulla soglia, il basso in una mano e un plettro nell’altra. Anche lui, come Bill, aveva un’aria spossata. Lanciò a Tom una rapida occhiata compassionevole e prese posto all’altro lato del tavolo, di fronte a lui.

“Gustav è andato,” comunicò. “Ha promesso che farà del suo meglio per ammorbidirla.”

Ammorbidirla. Tom dubitava che perfino Gustav sarebbe riuscito in quell’impresa, almeno considerato il particolare frangente. Cocciuta com’era Vibeke, nemmeno un miracolo l’avrebbe smossa dalle sue assurde convinzioni.

“Sta andando a sprecare il suo tempo.” Borbottò, rassegnato. “Vi non gli darà retta, soprattutto se vuole fare l’avvocato del diavolo.”

“Mi sembra che non ci sia molto altro che si possa fare, no?” ribatté Georg, seccato.

Aveva ragione, e fin lì nessun problema. Il guaio era che Tom temeva davvero che, in un momento così delicato, Vibeke potesse aprire gli occhi e capire di essere stata stupida ad infatuarsi di lui, che avrebbe comprensibilmente realizzato che Gustav era migliore di lui – più dolce, più paziente, più gentile – e che era lui quello per cui aveva senso innamorarsi davvero, non Tom.

“Sai,” proseguì Georg, tentennando. “Pensavo che forse un modo ci sarebbe per sistemare le cose.”

Un flebile barlume di speranza di accese in Tom.

“Che cosa?”

“Chiedile scusa.”

Tom steccò, sollevando la testa di scatto.

“Ho capito bene?” indagò, offeso. Scusarsi sarebbe stato come ammettere di essere colpevole.

“Hai capito benissimo.” Confermò Georg. “Penso che dovresti scusarti con lei.”

Scusarmi?!, Tom era sul punto di scoppiare. Scusarmi, io! Io chiedere scusa a lei per qualcosa che non ho fatto! Per una cosa che si è inventata da sola!

“Ma io non ho fatto un cazzo di niente!” protestò vividamente. “Io l’ho respinta, Lara, Cristo!”

Georg si limitò a fare spallucce.

“Io ti credo, ma ti aspetti veramente che Vibeke faccia altrettanto, con la reputazione che ti ritrovi?”

D’improvviso, Tom perse tutta la sua aggressività.

“No.” Ammise a malincuore.

“Georg ha ragione,” soggiunse Bill con delicatezza. “Ho paura che sia l’unica via, Tomi.”

“Non capisci?” insisté Georg. “È l’unico modo. Se ti scusi con lei avrai qualche possibilità di essere perdonato. Se ti ostini a negare, penserà solo che sei un bugiardo.”

“Avrò chiesto scusa tre volte in tutta la mia vita e non rovinerò certo la media per una colpa che non ho!”

Georg si alzò in piedi e si stagliò contro Tom, serio ed estremamente rigido.

“Chiediti se stavolta non valga la pena di farlo. Altrimenti saprai che ha ragione lei: sei solo uno stronzo.”

A Tom veniva da vomitare, la testa gli vorticava. Si dovette appoggiare al tavolo, una mano alla fronte, per riacquisire lucidità, scrutando cupo la propria immagine nella superficie riflettente del vetro.

Si sentiva uno schifo.

Se c’era qualcuna che poteva ridurti così, non poteva che essere una stramba psicopatica con gli occhi bicromi e il cuore al contrario.

Era scandalizzato: non solo gli era piombata addosso un’accusa del tutto ingiusta, ma adesso doveva addirittura umiliarsi a chiedere perdono per una colpa inesistente. Lui, che non si scusava nemmeno per gli errori che commetteva davvero. Lui, che aveva sempre messo l’orgoglio davanti a tutto il resto, anche al costo di mentire a tutto il mondo presentandosi come qualcuno che non era davvero.

Lui, che si era dimenticato ogni maschera per crogiolarsi liberamente nel benessere di giorni che ormai non sarebbero più tornati.

A meno che…

Gli doleva ammetterlo, ma, ad essere onesto almeno con se stesso, era abbastanza disperato da essere disposto a scendere a qualunque compromesso.

“E che cosa dovrei fare, sentiamo?”

Bill e Georg si scambiarono uno sguardo d’intesa e la risposta di Georg fu eloquente ed inequivocabile: gli sfilò il cellulare dalla tasca della felpa e glielo mise in mano.

“Chiamala.”

“Mi sbatterà il telefono in faccia, come del resto ha già fatto,” puntualizzò Tom, lugubre. “Sempre ammesso che risponda, in ogni caso.”

“Usa la chiamata anonima.”

“Resta sempre il problema dello sbattimento di telefono in faccia.”

“Dacci un taglio, è inutile cercare scuse,” intervenne Georg, duramente. “Se vuoi risolvere la situazione, sai cosa fare, altrimenti avrai solo risparmiato a Vibeke il fastidio e l’umiliazione di risentirti.”

Tom fissò a lungo il display nero del proprio Nokia, domandandosi fino a che punto ne valesse la pena. Era poi così importante? Era vissuto senza legami affettivi con le ragazze fino ad ora, che differenza avrebbe fatto continuare così?

La differenza è che adesso sai cosa ti perdi, lo pungolò la sincerità che sopravviveva in lui.

Il suo pollice indugiò sul tasto che selezionava l’ultimo numero chiamato, quello di Vibeke. Georg e Bill osservavano pazienti, ma carichi di aspettativa. La cosa, però, lo metteva pesantemente a disagio.

Alla fine, chissà come, qualche forza ignota gli fece premere il tasto. Il cuore che gli martellava ansiosamente nel petto, Tom si portò il cellulare all’orecchio. Il segnale era libero.

Uno squillo.

Rispondi.

Due squilli.

Rispondi, Vi.

Tre squilli.

No, non rispondere, ti prego. Non ti reggo proprio quando fai la drama queen.

Quattro squilli.

No, rispondi, invece. Ho bisogno di sentirti.

Cinque squilli.

Non risponderai, vero?

Sei squilli. Bill e Georg cominciavano a sembrare sconfortati.

Stupida ottusa.

Sette…

“Kaulitz.”

Il cuore di Tom crollò precipitosamente nello stomaco, affondando nel buio come se fosse stato di piombo. La voce di Vibeke, forzatamente calma e così gelida, gli fece male dentro.

“Vi…”

“Smettila,” ordinò lei, tagliente. “Smettila, una buona volta, Tom. Fa’ un favore a entrambi e dacci un taglio, non abbiamo niente da dirci.”

L’aveva chiamato Tom. Era la seconda volta, da quando si conoscevano, e il suo tono, stavolta, non avrebbe potuto essere più diverso di quello della prima. Il primo ‘Tom’ era stato morbido, esausto ma gentile, colmo di riconoscenza e forse anche affetto. Il ‘Tom’ di adesso era stato usato alla stregua di un’arma, con una premeditazione infierente e crudelmente mirata, e si era conficcato alla sinistra del petto di Tom come una freccia avvelenata. E al di sopra della rabbia e della frustrazione per essere trattato con una tale cattiveria del tutto ingiustamente, al di sopra dell’offesa e del risentimento, c’era il dolore, e non per se stesso, ma per lei, per la consapevolezza della ferita che, pur involontariamente, le aveva inferto.

Seppe con certezza di aver veramente toccato il fondo: provare rimorso per qualcosa che non aveva mai compiuto era davvero all’apice del ridicolo.

“Abbiamo un sacco di cose da dirci, invece! Se solo tu –”

“Che bisogno avevi di rifilarmi tutte quelle stronzate?!” gli abbaiò contro Vibeke, l’odio che permeava ogni suo singolo respiro. “Io non ti ho chiesto niente, perché hai voluto mentire a tutti i costi?!”

“Io non ho mentito!” si infiammò lui. Era una fortuna che fosse seduto, perché le ginocchia gli tremavano come se qualcuno gli avesse puntato una pistola alla tempia.

“Oh, no, certo! La sgualdrina era solo un’amica e io tu eri seminudo per il caldo, giusto?”

“Vi, ascoltami, per favore…” la pregò, ma inutilmente.

“Sono stanca di ascoltarti, Kaulitz,” gli sibilò lei. “Stanca di credere come una scema a cose che non esistono!”

“Vi, aspetta!” urlò lui, sotto agli sguardi pietosi di Bill e Georg. “Io volevo chiederti scu–”

Ma la linea era già caduta.

Stupida, stupida, stupida!, ringhiava Tom dentro di sé, mentre degli artigli invisibili lo martoriavano dall’interno.

“Maledizione!”

“Tom…” Bill allungò esitante una mano verso la sua spalla, ma Tom scattò in piedi, scaraventando il cellulare a terra in un raptus di furia irrazionale. Il Nokia si frantumò sul pavimento con uno schianto secco e pezzi della cover e dei tasti schizzarono in ogni dove.

Bill sussultò dalla sorpresa; Georg sgranò gli occhi senza emettere un suono. Tom non attese che uno di loro dicesse o facesse qualcosa. Non era proprio in vena di essere compatito.

“Che diavolo state combinando, qui dentro?” Benjamin era appena spuntato dalla porta e li guardava accigliato. “E posso sapere perché Gustav ha preso e se n’è andato senza una paro–?”

L’occhio gli era caduto sui resti del cellulare di Tom. “Ok, esigo spiegazioni.” Portò lo sguardo su Tom, ma questi si voltò dall’altra parte. “Tom Kaulitz, voglio sapere perché hai fatto a pezzi un ninnolo da settecento euro, e lo voglio sapere adesso. Allora, cosa sta succedendo?”

Bill strinse le labbra, sgranando gli occhi, e Georg incrociò le braccia, come faceva sempre quando era teso.

“Niente di nuovo, Benji,” rispose Tom, in tono neutro. “Sta succedendo quello che succede da anni: la mia vita va a farsi fottere.”

“Gesù, non ricominciamo!” rantolò Benjamin. “Siamo in ritardo mostruoso sulla tabella di marcia, l’album è già stato rimandato tre volte e dio solo sa quando e se lo finiremo. Non te ne puoi venire fuori con una crisi depressiva in un momento come questo!”

In due falcate furibonde, Tom lo raggiunse.

“Mi procurerò un po’ di ecstasy, allora, va bene?” lo sfidò. “Così saremo a posto con il curriculum da rockstar doc: falso, puttaniere e drogato. Ci stai?”

“Tom!” lo riprese Benjamin, allibito, ma Tom era stanco e irritabile e tutto ciò a cui riusciva a pensare era scappare.

“Tom un cazzo! Chiedo solo un po’ di pace, vi sembra eccessivo?!” sbraitò, guardandoli tutti uno per uno. “Me ne vado. Non rompetemi i coglioni fino a domani, se ce la fate. Grazie.”

Sgusciò fuori dalla serra, dentro alla casa.

“Tom!” esclamò Georg, ma Tom non lo ascoltò. Attraversò tempestosamente il salotto ed infilò la porta a vetri che dava sul retro. Aveva parcheggiato la Cadillac subito fuori dal cancello.

Oltrepassò il cancello con una tale rapidità che, quando individuò un ostacolo non indifferente, fece appena in tempo a fermarsi per non andare a sbattervi contro. La reazione immediata fu di tentare un dietrofront subitaneo, ma le due ragazze al suo cospetto avevano già sfoderato due espressioni di puro sconcerto misto a cupidigia, e Tom non riuscì nemmeno a pensare di essere irrimediabilmente braccato: le due brandivano una macchina fotografica digitale e carta e penna. Non c’era l’ombra di un’emozione concreta nei loro occhi; solo compiacimento e una discreta dose di sfacciata malizia. Lui era lì, ma era come se non lo vedessero, come se davanti non avessero una persona, ma una semplice attrazione turistica.

Per la prima volta in tutta la sua carriera, Tom si sentì offeso ed intimamente svilito da quella cecità.

Una delle due ragazze – bassa, bionda, magra da fare impressione – gli sventolò un foglio sotto al naso, porgendogli un pennarello indelebile nero.

“Tom, ci fai un autografo?”

L’altra, non molto più alta dell’amica, anch’essa bionda, ma tozza e sgraziata, sorrise con grottesca voluttà.

“Non vi faccio un bel niente,” tagliò corto Tom, cercando di scansarle. “Sparite, andate via.”

“Ma sei una star…” insisté la bionda grassa, tallonandolo, la fastidiosa amica alle calcagna. “Perchè non ci puoi fare un autografo?”

“Non sono una star. Andatevene.”

“E allora cosa sei?”

Una lunga serie di risposte risuonò nella mente di Tom, riemergendo da ricordi di scene così diverse tra loro.

“Sei un bullo presuntuoso.”

“Sei un coglione.”

“Sei il solito capriccioso!”

“Sei un cafone pieno di sé da far vomitare!”

“Sei proprio un bambino!”

“Sei una merda.”

“Sei solo un porco.”

Suoni aspri, stizziti, indignati, sprezzanti, a cui si era abituato in fretta. E poi, in quel marasma di insulti, una goccia di insolita bontà, di cui lui aveva segretamente fatto tesoro, custodendola dentro gelosamente.

“Sei un bravo Kaulitz.”

Ricordava ancora distintamente il tono soffice della voce di Vibeke nel pronunciare quella frase, la sua espressione docile e commossa. Ricordava, e fin troppo bene, il senso di appagamento che era scaturito in lui nell’udire quel complimento. Quello che non riusciva proprio a ricordare era la sensazione della mano di Vibeke che lo accarezzava.

“Sei un bravo Kaulitz.”

Gli era sembrato tutto, in quel momento.

“Sei un bravo Kaulitz.”

E lui l’aveva delusa.

Era tutto rovinato. Per niente.

L’angoscia gli stava di nuovo montando dentro, mordendo e graffiando senza pietà. Si sentiva claudicante, senza Vibeke, come se gli fosse stato tolto un sostegno fondamentale.

Vi…

Gli mancava il respiro.

“Non sono nessuno.” Mugugnò stancamente, la mano che, all’interno della tasca, già stringeva convulsamente le chiavi della macchina.

“Allora perché lo fai?”

Tom si fermò e si voltò di scatto. Le due scocciatrici sussultarono.

“Chi dice che se faccio musica, allora voi ve ne potete stare qui?” ringhiò, inveendo contro le ragazze, prese in contropiede. “Chi l’ha detto? Chi vi dà il diritto?”

“Ma…”

“Sparite!” ordinò loro Tom.

“Non stiamo facendo niente!” protestò quella tarchiata, in tono di sfida.

“Siete qui, e mi dà fastidio!” sentenziò lui. “Andate a fanculo!”

Aprì in fretta l’auto con il telecomando e salì a bordo prima che una delle due potesse dire altro. Infilò la retro e, dopo una manovra fulminea e decisamente azzardata, sgommò via a tutta velocità, senza una meta.

Non aveva importanza il dove, la direzione. Voleva solo andare via.

 

***

 

Gustav giunse di fronte alla porta di casa Wolner con un fastidioso peso allo stomaco. Si sentiva spiacevolmente diviso tra la cieca fiducia verso Tom e la solidale comprensione che provava per Vibeke.

In fondo, anche se lei non sapeva che quanto aveva visto in realtà non era mai esistito, la sua delusione era fin troppo concreta.

Se solo quella cocciuta desse retta a qualcuno…

Premette appena il bottone del campanello, pronto a tutto, e attese. Un attimo dopo, la porta era aperta. Al di là di essa, con nient’altro che una delle sue magliette extralarge addosso, Vibeke.

“Ciao, Gud.” Lo salutò flebilmente. Sembrava davvero depressa.

Entrarono. Gustav la studiò meglio: aveva un pessimo colorito, spento e grigiastro, gli occhi nudi sgranati in un’espressione stravolta, e, sotto, delle terribili occhiaie. Non sembrava lei.

“Ho portato una cosina per facilitare lo sfogo.” Le disse, e nel farlo sollevò un piccolo sacchetto trasparente, contenente una cosa che aveva sottratto alla dispensa dello studio un attimo prima di uscire. Qualcosa che Vibeke non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere alla prima occhiata..

“Nutella!”

Gustav sorrise.

“Quanto mi ami?”

Sorridendo a sua volta, tristemente, Vibeke spalancò le braccia:

“Tanto così.” E lo strinse in un abbraccio pieno di gratitudine.

“È sempre bello sentirselo ricordare.” Sdrammatizzò lui.

“Non ti saresti dovuto precipitare qui in questo modo. È sabato, avrai i tuoi programmi con Fiona, e io –”

“Non ho nessun programma con Fiona,” Mise subito in chiaro Gustav. “Non ne avrò mai più.”

Vibeke parve stupita dalla notizia.

“Scusa?”

Gustav sospirò. Lasciò la Nutella sul mobile dell’ingresso e andò a sedersi stancamente sul divano. Vibeke fece lo stesso, prendendo posto accanto a lui.

“Io e lei…” Gustav non sapeva nemmeno da che parte cominciare. Forse tagliare corto era la cosa migliore. “Be’, è finita, qualche giorno fa.”

Dirlo a voce alta era meno doloroso di quel che avrebbe creduto.

Una strana espressione di dispiacere misto a sollievo calò sul viso di Vibeke.

“Oh. Gud, mi dispiace, io…”

“Bee, dai, non potevi nemmeno sentirla nominare.” Le ricordò lui, ma con una punta di ilarità.

Apparentemente imbarazzata, lei chinò il capo.

“Sì, è vero, ma… A te piaceva. Anche se l’ho sempre detto io che non ti meritava.”

“Stando a te, non mi meriterebbe nessuna.” La canzonò lui.

“Infatti! Tu sei solo mio, solo io ti amo senza condizioni, sono la sola che ti merita in questo mondo di viscide maniache sovreccitate!”

Gustav rise con le lacrime agli occhi. In pochi sapevano divertirlo come lei.

“Forse hai ragione,” ammise, ma poi si incupì leggermente. “Però non mi dispiacerebbe anche incontrare un tipo di amore diverso, prima o poi.”

Arrossì, vergognandosi. Erano fantasticherie da adolescenti sentimentalisti, quelle, e lui non lo era mai stato. Era facile, tuttavia, finire per desiderare ciò che di bello si vedeva nelle mani degli altri.

“Ma Fiona non era quella giusta.” Decretò Vibeke, decisa, e Gustav capì che aveva avuto ragione lei fin dal principio, riguardo Fiona.

“Preferisco che sia andata così, davvero.” La rassicurò. Non gli andava di parlare di sciocchezze simili: era lì per lei, per aiutarla, non per farle carico anche di problemi non suoi.

“Ma cos’è successo, esattamente?” Volle però sapere lei.

“Ha visto il nuovo episodio della Tokio Hotel TV,” Sembrava una cosa stupida, a pensarci adesso. “Non le è piaciuta la parte in cui la definisco ‘nulla di rilevante’.”

“Se devo essere sincera, non è una cosa molto carina da sentirsi dire, anche se indirettamente.”

“Cosa avrei dovuto fare, scusa?” si difese lui. “Lei mi piaceva, è vero, ma nient’altro. Se avessi detto qualcosa di diverso, avrei mentito, e lei si sarebbe illusa e basta.”

Vibeke fissava il pavimento con uno sguardo vacuo e immobile.

“Giustamente.” Mormorò. Tirò su con il naso, poi sollevò le spalle. “Dopotutto è un ragionamento che farebbe chiunque possedesse un minimo di umanità e di riguardo verso il prossimo.”

Gustav sospirò, chiedendosi se parlare fosse saggio, visto che aveva la sensazione che qualunque cosa avesse detto, sarebbe stata quella sbagliata.

“Mi dispiace, davvero,” sussurrò infine. “Io credo a Tom quando dice di non aver fatto nulla di male, ma non smetteremo mai di dargli dell’idiota per come si è comportato.”

“Non è Tom l’idiota,” disse Vibeke amareggiata. “Lui si è sempre comportato così, era prevedibile che facesse qualcosa del genere. L’idiota sono io che mi sono dimenticata di ricordarmelo.”

Gustav era senza parole. Aveva frainteso tutto. Era stato fermamente convinto che Vibeke ce l’avesse a morte con Tom per quello che credeva le avesse fatto, ma non era affatto così.

“Tu non sei arrabbiata con lui,” realizzò, quasi senza capacitarsene. “Sei arrabbiata con te!”

“Non mi ero mai concessa un simile lusso, prima,” proseguì lei, senza dargli ascolto. “E una volta che lo faccio –”

“Di che lusso stai parlando?”

“Di…” Vibeke tentennò e non osò guardarlo. “Di abbassare la guardia.”

‘Abbassare la guardia’ non era ciò che era stata sul punto di dire all’inizio, Gustav lo sapeva, ma preferì soprassedere. Mettere i puntini sulle i con Vibeke con i nervi ballerini era sconsigliabile.

“Penso che sia il momento della Nutella,” suggerì. “Che ne dici?”

Vibeke si concesse un sorriso umido. Allungò una mano e gliela posò su una guancia, accarezzandolo piano. Lo guardò a lungo negli occhi, da vicino, le labbra premute tra loro in un’espressione assorta. Aveva le mani calde, cosa insolita, per lei, e le sue carezze erano leggere e tremule, commosse.

“Avrei dovuto innamorarmi di te, Gud.”

Un sussurro o poco più, questo era stato. Pieno di amore e rimpianto, e di una voglia esasperata di stabilità. Gustav le pizzicò affettuosamente il naso.

“Sarebbe stato piuttosto squallido doverti venire a rifilare il solito ‘Ti amo come una sorella’…”

Il tentativo di alleggerire la tensione emotiva fallì: Vibeke aveva un tristissimo languore negli occhi. Era davvero spenta, le mancava quel suo tipico fuoco impetuoso che la illuminava da dentro.

A Tom non sarebbe piaciuto vederla così.

“Non sono all’altezza.” La udì farfugliare, dietro a una cortina di capelli neri.

“All’altezza di cosa?” Glielo chiese, anche se non ne aveva alcun bisogno.

“All’altezza di Kaulitz,” rispose Vibeke, dando così conferma ai timori di Gustav. “Dei suoi gusti, dei suoi standard, di tutte quelle strafighe perfette che è abituato a filarsi.” Rassegnazione. Troppa rassegnazione e troppa arrendevolezza in quel tono labile. “Io non sono una cantante, né una modella, né una celebrità di alcun tipo. Io sono Vibeke, e ho le smagliature e gli incisivi sovrapposti, non ho grazia femminile, non so camminare sui tacchi a spillo, e non entrerò in una quaranta nemmeno tra un milione di anni!” Si afflosciò contro i cuscini, come svuotata, e si prese il viso tra le mani. “Io non sono a misura di Tom Kaulitz, Gud. Non sono niente.”

Era così tenera, senza la sua artiglieria pesante di sarcasmo addosso. Le persone erano fragili, lontane dalle loro maschere.

“Tom non se ne fa niente di una sua replica al femminile, Bee. Ci potrebbe andare a letto, si potrebbe divertire, ma poi rimarrebbe sempre con il suo solito senso di vuoto. Lui non lo sa, ma ti ha cercata per anni nei volti di mille ragazze sbagliate. Adesso che ci sei, non puoi lasciarlo solo senza nemmeno parlare con lui.”

La bocca di Vibeke si aprì, ma si richiuse subito dopo. A quanto pareva Gustav aveva trovato il modo di lasciarla senza parole.

Ora, pensò, fissandola negli occhi con ferrea determinazione, viene la parte difficile.

La aveva ammorbidita. Adesso bisognava convincerla a cedere.

Gustav pregò che un miracolo intervenisse ad aiutarlo.

 

***

 

“Voglio morire!”

“Non dire stronzate.”

“No, voglio morire davvero!”

“Piantala, idiota!”

“Ho il cuore a pezzi! Tu non puoi capire, sei un automa senza sentimenti!”

“Oh, BJ, falla finita, era solo uno stupido fisioterapista!”

“Era il mio fisioterapista, e poteva almeno finire la mia terapia prima di farsi arrestare per atti osceni in luogo pubblico!” protestò BJ con veemenza. “Licenziato per una simile cavolata! E mi mandano una racchia dell’era mesozoica a sostituirlo!”

“Bror,” sospirò Vibeke, sfregandosi la fronte con una mano. “Quella poverina avrà a stento cinquant’anni.”

Non riusciva a credere di essersi fatta fregare. Nel bel mezzo della visita di Gustav, aveva ricevuto una telefonata disperata da parte del proprio fratello. Non aveva capito un bel niente dei sui vaneggiamenti, ma Gustav la aveva convinta che andarlo a trovar avrebbe giovato a entrambi, così lei, fidandosi del suo buonsenso – caratteristica di cui lei aveva gravi carenze –, gli aveva dato retta, ed era corsa alla clinica in fretta e furia, il tutto per scoprire che l’insensatezza dei discorsi di BJ era dovuta al trauma del licenziamento in tronco del suo adorato Nikanor.

Non fosse stato un prolungamento di lei che le era irrimediabilmente necessario per vivere, Vibeke avrebbe ammazzato il proprio fratello già da un pezzo.

“Va bene, allora,” concesse lui, sistemandosi meglio tra i guanciali. “Basta parlare di me. Parliamo di te. Ti sei decisa a uscire di casa, finalmente.”

”Sì.” Mugugnò lei, alterata. Lo aveva fatto per lui, solo per quello. Fosse dipeso da lei, se ne sarebbe rimasta sul divano con Gustav per sempre, al sicuro.

“Dimmi, il tuo Gud ha cavato qualche ragno dal buco con te?”

“E tu che ne sai di Gud?”

BJ fece ruotare gli occhi con ovvietà.

“Ti ho quasi vista sorridere quando ti ho detto di Nikanor. Solo Gustav potrebbe rasserenarti abbastanza da farti sprecare un sorriso nel bel mezzo di una fase di faccia da funerale perenne come quella che ti stai ostinando a mantenere in questi giorni.”

“Non mi sto ostinando a fare un bel niente!” tuonò Vibeke. “Sono incazzata e basta!”

BJ non si scompose di una virgola. Assunse anzi un’espressione irritantemente indulgente, come se lei fosse una bambina da assecondare nei suoi capricci.

“Lo sai perché sei così incazzata?”

“Perché Kaulitz è un pezzo di merda patentato?” rispose prontamente lei. In effetti, era fermamente convinta che il mondo sarebbe stato senz’altro un luogo migliore – più sereno e felice – senza la piaga del sesso maschile a infestarlo.

Immune dai suoi attacchi di cinismo pungente, però, BJ sorrise e scosse la testa.

“No.” Il suo sorriso si fece enigmatico, poi incredibilmente serio. A Vibeke fece una certa impressione: raramente, in vita sua, BJ era stato serio. “Perché, volente o nolente, Tom ti ha resa umana,” le disse tranquillamente. “E sai che ti dico? Gli devi un grazie, se adesso stai ricordando cosa significa essere fallibili e vulnerabili.”

Non è vero, disse Vibeke a se stessa. Non è vero, maledizione!

Si sarebbe coperta le orecchie con le mani, se non fosse stato un segno di immaturità, e non voleva dare al fratello una ragione in più per accusarla di puerilità.

“Il trucco non è non ferirsi mai, Bee,” continuò BJ, infierendo con perfida consapevolezza. “Ma farsi male e imparare a sanguinare, curarsi nel modo giusto… E credo che tu e Tom abbiate molto da insegnarvi l’un l’altra, sotto questo aspetto.”

“Io sono sempre stata umana.” Disse Vibeke, ma si rese conto di non suonare convincente nemmeno a se stessa.

“No.” Fu infatti la secca obiezione di BJ. “Scusa la franchezza, ma erano anni che eri palesemente disumana. Fredda e sarcastica con chiunque tentasse di avvicinarsi a te, diffidente e discostante fino all’esasperazione… Non so come facevi a vivere, prima.”

“Prima di cosa?”

“Prima che Tom frantumasse il tuo guscio di apatia verso il mondo.”

“Non dire assurdità!”

“Vibeke, apri gli occhi!” esclamò BJ con evidente impazienza. “Eri una maschera, prima di conoscere lui, sorridevi senza avere nulla di cui sorridere, evitavi qualunque cosa potesse turbare il tuo prezioso equilibrio statico… Non era vita, quella!” Il discorso la scosse dentro come un tuono. BJ non si arrabbiava mai, e per questo, le sporadiche volte che accadeva, la rendeva irrequieta. “Tom ha fatto a pezzi le tue convinzioni? Bene, non posso che rallegrarmene. Magari è la volta buona che riesci a liberarti dagli strati di te stessa che non ti appartengono più!”

Per l’ennesima volta in quei giorni, Vibeke sentì che qualcosa dentro di lei si incrinava e si sbriciolava, lasciandola con una difesa in meno, pericolosamente vicina all’essere nuda.

Che fossero gli strati di cui parlava BJ?

Tom ha fatto a pezzi molto più delle mie convinzioni, pensò, arrabbiata.

“Jeg kjenner deg, søster,” aggiunse BJ. “Det er som du villet.” (“Io ti conosco, sorella. È quello che volevi.)

“Mi credi veramente così masochista?”

BJ continuava a fissarla orstinato:

“Hai tirato in piedi una tragedia per questa storia, ma a chi vuoi darla a bere? Tu non vedevi l’ora che Tom facesse un passo falso. Eri lì, vigile; non aspettavi altro. Non vedevi l’ora di trovare una bella scusa per ritirarti nel tuo bozzolo e rimettere il filo spianto, blindata a vita. Bene, non sei contenta?”

La bocca di Vibeke era asciutta, incapace di muoversi.

No, non è così. Io non sono così…

“Sì che sei così,” la contraddisse BJ, leggendo direttamente nei suoi pensieri. “Raccontati tutte le trottole che vuoi, ma è la verità.”

“Si dice frottole.” Lo corresse a mezza voce.

BJ fece un gesto incurante.

“Quello che è. Il punto è che te lo farò pesare per i prossimi mille anni se ti lasci scappare così l’unico folle autolesionista che si sia interessato a te per l’odiosa iena intrattabile che sei e non per le tue tette.”

“E chi te lo dice che non sia per le tette?”

BJ sorrise furbamente.

“Due tette così le trova ovunque, un carattere pessimo come il tuo è una vera rarità, per somma fortuna del genere umano.”

“Probabilmente dovrei sentirmi lusingata…” ironizzò lei.

“Sono abbastanza sicuro che Tom non ti piaccia per le sue tette,” la ignorò BJ. “Quindi magari un minimo di disponibilità a collaborare gliela potresti anche concedere. ‘Hard, I’m harder than the life I’ve lived. Strong, I’m stronger than the pain you give’… Ricordi?”

Questa volta a Vibeke un sorrisino scappò davvero. Sì, ricordava. Non avrebbe mai potuto dimenticarla: era stata la sua prima canzone preferita. Lost, dei Tristania, suoi conterranei. Erano stati a lungo la sua band più ammirata; a dodici anni il suo vanto era portare il nome della loro vocalist. Poi, quando la formazione era cambiata e la cantante se n’era andata, tutto aveva perso senso. Ma quella canzone le era rimasta nel cuore, perché sembrava scritta apposta per lei. Ora più che mai.

Sono più dura della vita che ho vissuto, sono più forte del dolore che tu mi dai.

“Ci credi ancora?”

“Probabilmente no.” Gli rispose Vibeke con voce priva di colore.

“Allora perché non –”

“Perché no!”

“Se continui così, mi costringerai a passare ai mezzi pesanti, Vibekina!”

Vibeke lo derise.

“E cosa fai, sentiamo? Mi leghi con le tue flebo e con i tuoi portentosi sessantatre chili di cosiddetti muscoli mi trascini di peso da Kaulitz?”

“Non mettermi alla prova!” la avvertì lui, ma senza intimidirla. Bloccato lì dentro, poteva minacciarla quanto gli pareva, ma c’era poco, in concreto, che potesse fare.

“Sto tremando di paura.” Si alzò dalla sedia e raccolse la borsa da terra.

“Te ne vai di già?” fece lui, deluso.

“Ti ho già lasciato sbizzarrire abbondantemente, per oggi. Non stressiamo la pressione.”

“La mia pressione sta benissimo.”

“Dicevo la mia.” Chiarì Vibeke, poi si allungò verso di lui per stampargli un bacio su una guancia. “Vado un paio d’ore in piscina. Ti chiamo domani, d’accordo?”

BJ annuì come un bambino ubbidiente.

“D’accordo. God natt.” (“Buona notte.”)

“Natt!”

Una volta uscita, Vibeke poteva dire di stare un po’ meglio. Non tanto da non sentirsi più l’anima appesantita dal macigno di sentimenti in lotta tra loro, ma quanto bastava per godersi una serata in piscina e magari una pizza gigante.

Andò a dormire verso mezzanotte, portandosi dietro un interminabile susseguirsi di riflessioni.

Tutta colpa di BJ.

Prese un CD dalla pila che teneva sul comodino, quelli sacri che non si sarebbe mai stancata di ascoltare, e lo inserì nello stereo.

Si addormentò così, abbracciata al cuscino, con Rogue ai piedi del letto che faceva le fusa, e la voce di un angelo lontano a cullarla.

Sing for me, my love
Sing the right from wrong
Here inside my mind
Truth is hard to find

 

***

Dopo la scenata di Tom, Bill si era sentito veramente male. Sia per il fratello, che sembrava impazzire a causa dei recenti avvenimenti, sia per Vibeke, che per le stesse ragioni era diventata un fantasma.

Non la vedeva da giorni e da altrettanto tempo non aveva sue notizie, se non il succinto resoconto che Gustav aveva riferito a lui e Georg appena rientrato. Se non altro era viva, anche se forse non proprio vegeta.

Erano lei sei quando Bill aveva lasciato lo studio e, risoluto, si era diretto al Sankt Georg. Non avrebbe avuto molto tempo per parlare con BJ, ma qualcosa andava fatto, e in fretta, perché la situazione era grave.

Come d’abitudine, uscito dall’ascensore, attraversò il corridoio e si diresse verso la porta della stanza, seguito da una pioggia di sguardi omicidi provenienti dalle infermiere.

Sono un maschio, gente, piantatela di rompere! Non ve lo tocco il vostro bocconcino norvegese!

Colmo di sdegno, si sistemò la Prada sulla spalla e bussò.

“Avanti!”

Entrò. Trovò la stanza stranamente in ordine, segno che Vibeke era passata di lì non più di un paio d’ore prima. Il letto era sfatto, ma vuoto. Perplesso e vagamente allarmato, Bill ispezionò la camera con lo sguardo: BJ era davanti alla finestra, nient’altro che i pantaloni del pigiama indosso, e si stava tamponando i capelli umidi con un asciugamano. Attaccate al suo braccio c’erano un paio di tubicini che si ricollegavano a una piccola sacca piena di liquido trasparente, fissate a una stampella con le rotelle, mentre sul torace era ben visibile il grosso medicamento bianco che proteggeva la ferita ancora fresca.

“Bill!” trillò entusiasta appena lo vide. “Sei esattamente chi speravo di vedere!”

Bill rimase di sasso.

Davvero?

Al di là della brutta sensazione di essere arrivato in un momento inopportuno, si chiedeva se per caso BJ non si fosse aspettato un nuovo rifornimento di fiori rosa, dato che non ne aveva portati. Aveva deciso di andarlo a trovare su due piedi, non aveva affatto pensato che sarebbe stato maleducato presentarsi a mani vuote.

“Siediti, non stare lì impalato!” lo invitò BJ, indicandogli il letto. “Mettiti comodo, sarai stanco. Vibeke mi ha detto che state lavorando sodo…”

“Sto benone, grazie,” affermò lui, prendendo comunque posto. “Era un po’ che non venivo, e visto quello che è successo…”

“Ah, non me ne parlare!” BJ gettò l’asciugamano sulla sedia ai piedi del letto e si sedette anche lui, senza preoccuparsi di mettersi addosso qualcosa di caldo. “Oggi è stata qui mia sorella e non ti dico che lotta all’ultimo sangue è stata per ficcarle un po’ di sale in quella sua maledetta zucca dura.”

“Risultato?” domandò Bill, speranzoso.

BJ gli rispose con un eloquente ed avvilente pollice verso.

“Abbiamo due fratelli deficienti.” Sospirò Bill.

“Puoi dirlo forte.”

“Soprattutto il mio.”

“Be’, come direbbe Vibeke: ‘È un uomo, non è tutta colpa sua’. E in effetti credo che in questo caso non abbia nulla di cui essere incolpato, sbaglio?”

“Infatti. Però non doveva fare entrare Lara, sapeva che Vibeke stava arrivando. Esistono uomini che capiscono quando hanno la fortuna di aver trovato la persona giusta e imparano a non fare cazzate.”

“Parli di Georg?”

“Mh?”

“Avevi un debole per Nicole, sbaglio?”

Bill lo fissò ammutolito. Era così evidente?
“Lei ti vuole veramente molto bene, si vede da come ti guarda.” Aggiunse BJ mite.

“Sì,” Bill si sentì riscaldato da dentro al pensiero di Nicole. L’amicizia che era nata tra loro due era più bella e vera di qualunque amore Bill avesse mai immaginato. “È un bene che ho imparato ad apprezzare e ricambiare nel modo giusto.”

BJ annuì pensoso.

“So che Vibeke ti ammira molto per questo.”

Bill rimase a bocca aperta:

“Vibeke mi ammira?”

“Che c’è di strano?” replicò BJ con un sorriso.

“Sai com’è, sono troppo abituato a sentirmi chiamare Principessa con quel tono di sopportazione…”

“Non farti ingannare dal suo cinismo. A Vibeke raramente piace manifestare i propri sentimenti, lo ha sempre visto come un segno di vulnerabilità. Sono rimasto scioccato nel vederla così affettuosa con Gustav, l’unico altro essere vivente per cui abbia mai dimostrato un tale affetto è Rogue.”

“Sì, credo di saperne qualcosa… Anche Tom è così.”

“Sì. E credo di avere abbastanza in comune con lui da capire le sue motivazioni.”

“Ah sì?” Bill aveva immaginato che Tom e BJ avessero molti potenziali punti di somiglianza. Anche se per certe cose erano opposti, per altre sembravano usciti dallo stesso stampino.“Penso che Tom non abbia molta confidenza con l’amore, sbaglio?”

“Se intendi in senso romantico, non sa nemmeno cosa sia.”

“Be’, tu immagina di essere innamorato per la prima volta, di avvertire questo sentimento fortissimo che non conosci e non sai come gestire, che ti viene scatenato da una singola persona…”

Bill tentò di immedesimarsi in Tom. Un Tom innamorato che non sapeva nemmeno cosa volesse dire, che si ritrovava solo dopo aver finalmente trovato il coraggio di ammettere che la solitudine non gli bastava.

“Panico.” Disse, a disagio. Non aveva mai provato pena per il proprio fratello, prima.

BJ mosse appena il capo in un cenno di assenso.

“Già.”

Bill non l’aveva mai guardata da quest’ottica. Aveva sì pensato che Tom potesse trovare strana e poco consona alla propria persona l’idea di legarsi stabilmente a una ragazza, ma che addirittura la prospettiva potesse spaventarlo non lo aveva mai supposto. Riflettendoci, tuttavia, aveva un suo intricato senso.

“Ti è capitato?”

BJ parve rifletterci.

“Una volta sola, un paio di anni fa,” confessò poi. “Ma ho fatto esattamente come Tom, anche se forse con un po’ più di cruda consapevolezza.” Il suo sguardo, la copia esatta di quello della sorella, si sollevò su Bill. “È rischioso investire il proprio cuore in qualcosa di incerto come una relazione.”

“Sì, è vero.”

“Ma se mai rischi, mai scoprirai come può andare a finire.”

A quel punto Bill si sentì in dovere di spezzare una lancia in favore del proprio fratello. Lui, in fondo, ce la stava mettendo tutta, mentre Vibeke non faceva che scappare.

“Tom ci sta provando a chiarire le cose,” precisò. “Ma Vibeke non ne vuole sapere più niente.”

“Sicuramente al telefono non risolveranno mai niente.”

“Lo so.” Convenne Bill.

BJ si sfregò meditabondo il mento.

“Andrebbe colta di sorpresa.”

“E come?” Si interrogò Bill. Cogliere di sorpresa una fredda calcolatrice come Vibeke era come buttare Tom giù dal letto la mattina: una missione impossibile.

Eppure BJ aveva l’aria di chi la sapeva lunga. Il suo viso si illuminò di compiacimento mentre rivolgeva a Bill un inquietante sorrisetto sibillino.

“Una mezza idea ce l’avrei…”

 

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Note: sì, lo so, anche stavolta vi starete chidendo: “Sogno o son desta? È forse un miraggio? Possibile che quell’inetta di _Princess_ abbia aggiornato davvero?!”

Ebbene sì, gente, è così: ho aggiornato. Siete liberi di invocare il coro dell’hallelujah, se credete. ^^

Dunque, il capitolo è abbastanza frammentario, come vedete. A parte la sequela di messaggi telefonici dell’inizxio, ho voluto comunque inserire una serie di confronti tra personaggi, perché era un po’ lo scopo dell’intera faccenda nata nello scorso capitolo: far riflettere tutti.

Le più aggiornate di voi sui nostri quattro amati sdapranno che il pezzetto del 'litigio' cvon le fan assillanti è accaduto davvero e il dialogo è preso parola per parola dalla registrazione che le due rompipalle hanno fatto dell'incontro con Tom. Ho semplicemente interpretato il fatto a modo mio. ^^

Vi informo che le due canzoni che ho usato appartengono nell’ordine ai Nightwish (Higher Than Hope), ai Tristania (Lost), e alla Divina Tarja Turunen (Sing For me). Per qualunque altro dubbio, sapete che sono disponibile a chiarire. ^^ Ah, quasi dimenticavo: l'espressione "Klem klem" usata da BJ è un modo di dire norvegese, tipico del linguaggio internet, che significa "Abbraccio abbraccio".

Ora, finalmente, dopo mesi e mesi di vane promesse, i ringraziamenti ad personam:

TushiUndDark: eccola qui, l'inetta! XD Una che ha la maturità e si spara ventidue capitoli di una ff in tre giorni non può che essere una... grande! ;) Dopotutto lo studio è marginale, no? XD Ti ringrazio davvero tanto per i complimenti! Lo so, ci ho messo due mesi ad aggiornare (Oddei! XO), ma è stato un periodo pesante, chiedo venia!

Miss Dangerous: quando ricevo recensioni come la tua, ammetto che per qualche minuto vado in modalità pavone: gonfia di orgoglio e compiaciuta fino all'osso, se non anche dentro. ^^ Hai ragione, Vibeke è un personaggio abbastanza complesso nella sua psicologia. Mi piace dare uno spessore alle mie creature, un'impronta tutta loro che le renda uniche e inconfondibili, e spero di riuscirci almeno in parte. E poi adoro la Psicologia, quindi, anche in futuro, darò ampio sfogo a questa mia passione. XD E chiedo scusa anche a te, come a tutti, per la mia orribile incostanza nell'aggiornare. Sono un disastro, lo so, ma l'ispirazione ultimamente scarseggiava. A parte le mie pecche, un grazie enorme di tutto!

natyy: purtroppo non so se sei riuscita a leggere il capitolo, e quindi anche questa nota, ma ti lascio ugualmente due righe di ringraziamento, se mai ci riuscirai. ^^ Spero davvero che tu abbia modo di sfruttare qualche pc 'esterno', perché la fine è vicina e sarebbe un peccato perderla proprio ora!

rose_: quando una non-fan dei Tokio Hotel mi dice che, nonostante tutto, apprezza la mia storia, io non so mai che dire. Vale il doppio del complimento di una fan, perché significa che si ama la storia per quello che è e non anche per i personaggi che contiene. Sono davvero lusingata! Spero che continuerai a seguirmi e apprezzare il mio sudato lavoro, anche per le storie che seguiranno! GRAZIE! *__*

schwarznana: è viva, signori! XD Ormai ti avevo data per dispersa, ma tu sei magicamente apparsa proprio quando la speranza era perduta! Bill e BJ sono due pettegole, non c'è niente da fare, ma se non ci pensassero loro a parlare di queste cose, chi lo farebbe? I loro gemelli sono due incapaci, mica sono in grado di fare da sè! Ora dimmi tu se ho fornito abbastanza conforto al tuo cuoricino, con l'ultima parte del capitolo. ;) E grazie!

azzapaloccip: piccolapazza... mi sento scema, ma ci ho messo qualche momento a capire il 'gran segreto' del tuo nick! XD Però mi piace un sacco come suona! E un fiume di punti in più, visto che hai letto anche Lullaby! sai, molti si fiondano su The Truth, e Lullaby nemmeno si accorgono che esiste. ^^" Mi chiedi se sto pensando di fare un ulteriore sequel... be', direi che la risposta è: sì! Ho già iniziato a scrivere qualcosa già mesi fa, quindi appena terminata The Truth, arriverò con il suo seguito (Il cui profetico titolo sarà Once In A Blue Moon). Sono felice che la storia ti piaccia, ma se secondo te ci sono dettagli da perfezionare, sarei ben felice di sapere quali, di modo da chiarire o, in caso, rimediare! ^^ Ci conto!

Lady Vibeke: sempre a rate arrivi, tu! XD Tra perle sui Nightwish (sia resa lode a Dio u__u) e recensioni 'illuminate', mi sembra quasi di ricordarmi chi sei! XD Ma un salto su MSN qualche volta no, vero? E non usare la scusa 'Faccio sempre un salto, ma tu non ci sei mai!', perché ieri sono stata al pc quasi tutto il giorno, e tu nada! >:( Vabbe', attenderò che tu risorga dai gravami lavorativi. Attendo giudizi su questo capitolo, visto che non lo hai nemmeno betato! ^^

Kvery12: la prima recensione è sempre speciale... ma spero non sarà l'ultima! ;) Grazie per il fiume di complimenti, e... no, aimè, non sono norvegese. ^^ Sono solo molto solerte nelle mie ricerche scientifiche al fine di insaporire la storia. XD

ninacri: carissima! meglio tardi che mai, no? Ti vedo molto sgamata sul destino dei miei personaggi, soprattutto su quello di Gustav! XD Ma, no, non sono così crudele, anche Gud avrà modo di sperimentare... ma non sbottoniamoci troppo! ;) Ti ho messo un bel po' di BJ, visto che sei una buongustaia.,.. Soddisfatta?

cri_4e_: non tutto può sempre andare alla perfezione, no? Se tutto fosse perfetto, non si potrebbe imparare dagli errori, no? ;)

Debry91: non ti dico come finisce, ma ti dico che nel prossimo capitolo lo scopriremo, e che quello dopo ancora sarà l'epilogo. ;)

NeraLuna: eheheh, noi universitarie siamo sempre superimpegnate, soprattutto se lavoriamo anche, ma ti ringrazio per aver trovato il tempo di commentare dopo la lettura, lo apprezzo tantissimo! Mi auguro di scrivere sempre cose sensate e degne (?) di lode. XD

ruka88: eh, sei una delle poche che ha sentito puzza di bruciato nell'uscita di scena così repentina di Lara! Brava!

Lady_Daffodil: le tue recensioni sono tra quelle che amo di più, perché approfondisci, ti soffermi sui dettagli, pertmettendomi così di capire pregi e difetti di quello che scrivo e di come lo scrivo. Ti devo un grazie particolare per questo. Soprattutto sono lieta che tu abbia compreso le dinamiche psicologiche della reazione di Tom. Grazie anche di questo! ;)

loryherm: ecco la nostra maturanda! Serve che dica qualcosa, a te? Ci sei sempre, fedelissima e dettagliatissima, ormai fin troppo ferrata nello sgarbugliare i miei perfidi garbugli. ;) Danke schoen!

kikka_tokietta: come vedi, Bill e BJ si sono messi in moto! XD Ora vediamo che combinano... e incrociamo le dita! E tu non ti preoccupare di dilungarti troppo, io amo la prolissità! ^^

lafandeitokiohotel: per mancanza di tempo, non ho risposto alla tua email con quella canzone, ma sappi che l'ho trovasta veramente adatta! Non è per niente il mio genere, lo ammetto, ma devo dire che è proprio azzeccata, hai avuto occhio! Spero che qualcosa di questo capitolo ti abbia risollevata. :) un bacio!

Lales: quando ho visto la tua recensione, ammetto di essermi un po' emozionata. Stimandoti molto come scrittrice, non ho potuto fare a meno di provare una puntina di vanaglorioso orgoglio nel ricevere dei complimenti da te. Non so che dire, se non grazier, anche se è riduttivo.

Reby94xx: mi fa male la pancia da quanto ho riso per la tua stupenda recensione. Mi ci voleva! grazie! XD

winTh: e ci sei anche tu! meno male, perchè quando salti un turno, mi manchi! La spiegazione del perchè Vi ha creduto così ingenuamente all'equivoco è tutta qui nel capitolo, spero sia stata esauriente. ^^

Orologio: prima di ogni altra cosa, ti ringrazio per aver speso cinque minuti per commentare, è una cosa che sembra niente, ma per me è importante. Mi fai notare che il capitolo scorso è 'banalotto' e io non sono certo così ipocrita da negare. ^^ mi spiego meglio: l'equivoco in sè è un topos letterario abusatissimo, ben lo so, e sicuramente non è la cosa più originale da inserire in una storia, ma forse quello che non è poi così scontato è il perché io lo abbia inserito: lo scopo non è semplicemente mettere zizzania facile in una situazione che era troppo amena; lo scopo è mettere due personaggi, notoriamente egoisti, testardi e insicuri, di fronte a un problema serio. Quello che volevo era che si trovasserro di fronte a qualcosa di grosso contro cui sbattare il muso e rendersi conto che la situazione tra loro due è molto più complessa e profonda di quel che credano loro. Forse, o almeno spero, comprenderai meglio cosa voglio dire nel prossimo capitolo. intanto, grazie ancora.

CowgirlSara: con te non posso commentare niente, potrei lasciarmi sfuggire cose altamernte spoilerose e puccierotiche. XD Ma sei la Grande Favorita, per quanto riguarda le mie storie, quindi è superfluo aggiungere alcunché al tutto che già sai. ;)

marty sweet princess: eheheh, sì, un break-up generale! Ma Georg e Nicole non li scolla nessuno... o quasi. ;) Presto la storia finirà e tutti i nodi verranno al pettine, tranquilla, quindi non c'è che da mettersi comodi e aspettare con calma. ^^

LadyCassandra: mia diletta! ** Anche a te, cosa dovrei dire, a parte che mi manchi? E, ovviamente, a parte che le tue analisi sono sempre impeccabili e delizianti (ehm, passami il termine XD). Fatti viva, ogni tanto!

kit2007: vedo che anche tu hai capito il vero problema di quello che è successo: non la rabbia, ma la delusione. E, ora che hai letto, saprai che avevi ragione. se tutto non fosse stato così bello, per lei, Vi non ci sarebbe rimasta così male. E sono io che devo ringraziare te, per tutto. :)

Isis 88: mi vergogno da morire! Mi hai supplicata di aggiornare ben due mesi fa, e io posto solo adesso. ç__ç Non sono degna di rispetto professionale. Almeno spero ne sia valsa un po' la pena. ^^
Ladynotorius: ma io aggiorno senza avvisare per farti delle sorpresone! XD E, a proposito, lo hai visto il videomessaggio di Tom? ;) Se era figo nel photoshoot di H&M, chissà cosa mi dirai di questo! XD

vivihotel: per ora non hanno chiarito, ma almeno si sono confrontati con un bel po' di gente che li ha saputi consigliare. Ora è tutto in mano loro... e dei loro gemelli! XD

eva35: ommamma, che sfilzona di esclamazioni! XD Me le devo segnare tutte! Ma davvero hasi sognato the Truth? Voglio sapere tutto per filo e per segno! racconta!

fruminella89: dai, stavolta non dovrebbe essere stato traumatico leggere il nuovo capitolo. ^^ Rispondendo alle tue domande: 1) tra Bill e BJ sta semplicemente nascendo una bellissima amicizia; 2) non so il norvegese, faccio solo accuratissime ricerche in rete. ;)

_Pulse_: mi ha fatto sorridere vedere che hai citato il 'bravo kaulitz' di Vibeke, perchè in effetti, come avrai notato, è una cosa che ha colpito molto anche lui. :) Scusa il ritardo di postaggio, ma ho avuto da fare. ^^"

pazzerella_92: il titolo di questo capitolo era lievemente più rassicurante, no? XD E anche il capitoloo dovrebbe averti un pochino rasserentata. ora abbi solo un po' di pazienza e saprai tutto! ;)

Ho terminato, per oggi, credo. Vi lascio ai commenti, che spero vorrete lasciare, per dare alla mia triste vita di topo da biblioteca estivo un senso e una gioia. XD

Per il resto, grazie a tutti e alla prossima! <3

 

   
 
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