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Autore: Duncneyforever    17/05/2018    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Avvertimento: come nel caso del precedente, anche questo capitolo conterrà violenza, così come altri che verranno in seguito: niente che superi il rating, ma comunque tenevo a precisarlo. 

Detto ciò ( e alleggerita da questo peso ) auguro a tutti buona lettura! 

 

 

 

 

Vorrei che la smettesse, che non mi toccasse più senza ritegno, che non promettesse più di uccidere persone innocenti ad ogni mio passo falso. 

Ciò che ha fatto è assolutamente ingiustificato, squallido, un colpo basso che da lui proprio non mi aspettavo. 

È come se l'arrivo di Reiner avesse scatenato qualcosa in lui, una gelosia che non credevo potesse uscir fuori in un modo così evidente. 

Geloso di cosa, poi? 

Ha bevuto, è ovvio, ma questo non giustifica i suoi mezzi; ha sempre retto bene gli alcolici, quindi è ancora lucido, sa cosa mi sta facendo e sono sicura che riesca a vedere la serva in cui mi sta trasformando. 

Mi sono piegata davanti alla sua prepotenza, per codardia da un lato, per coraggio dall'altro: non voglio morire, ma ritengo anche che nessuno debba morire a causa mia. 

Sono giovane, c'è tanta vita in me e Friederick me lo ricordava sempre, che ci poteva essere bellezza nei miei occhi, se solo avessero avuto la forza di brillare in mezzo all'oscurità, in mezzo a tutto questo male. 

Se solo ne avessi, di forza! 

È un profilo di ghepardo il suo, magro e lineare, però sa dove colpire, sa dove toccare per causarmi più dolore, sa cosa dire per assicurarsi la mia obbedienza... 

Sono in trappola. 

- Non c'è niente che non abbia già visto lì, è inutile coprirsi. - Tira su il busto, lentamente, preparandosi a gustare l'azione futura: abbassa il mio vestito con un unico movimento fluido, sigilla i miei polsi con le mani e sospinge di nuovo il petto contro il mio, non prima di aver rimosso la camicia bianca e d'aver calato le bretelle soprastanti. 

Del portamento regale che si è sforzato di mantenere non è rimasto niente; si struscia come un animale, perdendo anche la più primitiva forma di contegno. 

Non risparmia alcun luogo, allunga le mani dappertutto, alla ricerca di ciò che ancora non ha esplorato. 

Sono piccola in confronto a lui, tanto piccola da rimbalzare su e giù ad ogni sua movenza e, questo, non fa che eccitarlo maggiormente. 

Gli occhi blu sono ridotti ad una pozza liquida e informe: riflette l'immagine ignobile di una ragazzina privata della sua libertà, in lacrime, intimorita dalla sola sua presenza. 

- Rudy, basta! Lo hai detto tu, non è il momento! -

Ho pena per me stessa. 

Mi sono ridotta a negoziare questi termini con un nazista, un nazista! 

Spinge le unghie nella carne, sui fianchi, e mi trascina sotto di lui, incastrando le gambe attorno al mio bacino; scalpito per tornare nella posizione di prima, continuando a piangere, forse anche pateticamente, secondo il suo punto di vista. 

- So quel che ho detto! spiel mit mir! / gioca con me! - Sbottona i pantaloni in gran fretta, fregando i boxer contro il misero pezzo di stoffa che separa la sua biancheria dalle mie parti intime, ormai prive di difesa. 

Anche nella mia testa scatta qualcosa; un ricordo, di Reiner che mi invitava a non abbassare più lo sguardo, a dimenticare i piaceri passati per focalizzarmi sulla dura realtà del presente. 

Ripensandoci, ciò che mi viene da chiedere è: " ma diavolo sto facendo?! Si può sapere perché non sto combattendo? "

Lui schernisce la mia origine, il mio popolo; si permette di schiaffeggiarmi, di gemere come un porco nell'atto di tastarmi e, poi, di tirar giù tutto ciò che mi era rimasto addosso, stringendo il tutto tra le mani, con cupidigia, come se il mio sangue non contasse più. 

" Codardi " ci definiscono, eppure non lo siamo mai stati. 

Il loro più grande difetto è l'avidità: di oggetti, di fama, di denaro, di sesso, purché sovvenga ai loro desideri, tutto è concesso.  

Rimpiangerà di essersi tolto la divisa. 

- Ti vogliono tutti, ragazzina, ma tu sei mia! Mia! - Ha un'espressione mostruosa, gli occhi spiritati puntati nei miei, le pupille ridotte a due puntini insignificanti; - quel bastardo non ti avrà mai, a costo di marchiarti il mio nome sulla pelle, come lo si farebbe con una bestia, non si avvicinerà mai più a te... a queste meraviglie! - Preme con durezza sulla mia figura gracile, affondando la mano libera nei pochi punti formosi. - Nostro Signore ti ha dato questo corpo affinché io potessi possederlo - e, così sospirando, l'aquila germisce l'agnello, andando a conficcare i suoi artigli nella polpa. 

Approfitto di una sua leggera distrazione per sbrigliarmi le mani e graffiargli la schiena con tutta la bestialità di cui dispongo. 

Lui urla, alzandosi in piedi di scatto e tamponandosi le ferite con le mani, lunghe almeno cinque centimentri ciascuna e piuttosto profonde ( considerando che sono state provocate da un solo affondo d'unghie. ) 

Non mi prendo neanche del tempo per coprire le mie grazie, troppo compiaciuta alla vista del sangue " ariano " sgocciolante per tutta la schiena. Mi limito a studiare la sua prossima mossa, serrando quanto basta le gambe per impedire al tedesco di reintrodursi. 

Prende coscienza della gravità del danno, scrutandomi dapprima con odio e poi con piacere, aprendosi in due dalle risate. 

Strofina le dita le une con le altre, facendo seccare il sangue ancora denso sui polpastrelli. 

- Gli italiani non si arrendono mai senza combattere, bastardo! - Riesco a colpirlo sull'addome con una ginocchiata, spingendolo nuovamente all'indietro. Inizia ad infastidirsi lui, a colmare l'eccitazione crescente con sadica cattiveria. - Sono questi gli uomini del Reich?! - Ho l'impulso di sputargli in viso, ma lui è più svelto e mi fa volare per terra con un manrovescio, saltando addosso alla sua preda ignuda con l'impeto di un cane da caccia. 

Fa sentire anche a me quel sapore amarognolo, di ruggine, benché io sia troppo contenta per farci caso: gli ho fatto male, sanguina, la sua schiena sembra un quadro di Jackson Pollock... Non avrei potuto chiedere di meglio. 

Non ho più nè vergogna nè paura e sono pronta a combattere per quanto ho di più caro. 

Ci guardiamo entrambi negli occhi, con astio, sebbene nel suo sguardo veda molto di più che semplice odio; so di piacergli, di regalargli qualcosa che non gli aveva dato nessuna e comprendo che non mi lascerà andare tanto presto. 

Perlomeno, non con le buone maniere e, forse, neanche con le cattive. 

- Ho cambiato idea, kleines Mädchen, c'è qualcosa che vorrei avere in questo stesso momento... - Prende la carne di un mio polpaccio fra le dita, trascinandomi verso di lui, incurante di avermi quasi stirato una fascia muscolare.

- Sei disgustoso - grosse gocce traslucide piovono sul pavimento, mosse dall'umiliazione della vicina sconfitta e dalla rabbia di essere impotente agli occhi di un avversario apparentemente invincibile. 

Ma nulla è perso ancora, perché la brama rende l'uomo distratto e vulnerabile. 

Nella furia del momento, per l'appunto, ha scordato di tenermi ferme le gambe, impegnato com'era nello schiacciarmi a terra, cosicché mi è permesso scalciare in totale frenesia, impedendogli, in tal modo, di consumare la terribile sconcezza. 

Colpito proprio nel bassoventre, ora mi tiene per la gola, grugnendo insulti in un tedesco piuttosto regionale, di cui posso solo immaginare la traduzione. 

Quando vediamo sopraggiungere Erika, tuttavia, lui tace, limitandosi a guardarla con aria beffarda, soddisfatto a discapito del suo clamoroso fallimento. 

I suoi occhi severi bruciano d'odio, pizzicati da lacrime che, orgogliosamente, seppur a fatica, è in grado di trattenere all'interno delle palpebre. Rüdiger ne approfitta: palpa natiche e fianchi con le mani, facendo leva sulle insicurezze della bionda per " giustificare " il suo comportamento. 

Lei sarà anche una vipera, ma questo è crudele, spregevole da farmene dispiacere, anche senza averne colpa. 

Dopo tutto quel che lui le fa subire, non mi sorprende affatto che sia così perfida con gli altri! Questa ragazza morirebbe per Rudy, eppure a lui non sembra importare, anzi, gode nel vederla struggersi ogni giorno per un amore non corrisposto. 

- Für solche verdammte Hure... / Per quella maledetta puttana... - Una volta riacquistato il senno e abbandonato ogni traccia di quella disumanità che mi aveva salvata, mi copro pudicamente il corpo, distaccandomi con rancore dal mio aguzzino e precipitando nello sconforto. 

- Cara, non ti guasterà badare al mio rozzo fiorellino in mia assenza, nicht wahr? A quanto pare, anche ai disertori spetta un funerale! - Mi canzona, alludendo al mio amico assassinato dall'ignoranza di questo mondo. 

Ci metto un po' a connettere le varie le cose, ma quando arrivo alla conclusione di non poter dare il mio ultimo saluto a Friederick e di dover restare qui in compagnia di una donna che mi vuole morta, la mia lucidità mentale vacilla, facendomi rivoltare contro il rosso.

- Cosa cazzo ho appena sentito?! È uno scherzo, spero! No, no, te lo scordi! tu lo hai ucciso, razza di mostro genocida! Non puoi negarmi anche questo, non ne hai il diritto! - Lui sorride, traboccante di malignità, vendicando l'affronto subito. 

- Come stavo dicendo... Sarà anche una villana, ma solo io ho la facoltà di sfregiare questo bel faccino, intesi? Voglio ritrovarla viva al mio ritorno e ben tenuta anche! - Si allontana bruscamente da me, andando a recuperare i suoi vestiti sparsi a terra e lasciandoci sole nella grande sala silenziosa. Io raccatto la mia biancheria ed il vestito ormai sgualcito, indossandoli all'istante per evitare di infastidire ulteriormente la governante. 

- Erika, non è successo niente. - Lei mi urla di stare zitta, di non pronunciare il suo nome e di aspettare che lui torni al piano terra, per poi sparire del tutto. Decido di ascoltarla e, non appena intravedo Rüdiger, mi fiondo su per le scale, impedendogli, con un gesto della mano, di baciarmi; poi, con la scusa di essere stanca, mi infilo sotto alla coperta, attendendo che l'ira della tedesca si plachi. 

Non ho idea di quanto tempo sia passato, il fatto è che inizio a sentire dei rumori dal corridoio, fin davanti alla porta della " mia " camera; da bambina, per paura che un qualche essere spaventoso mi divorasse i piedi, tendevo a raggomitolarmi all'interno del bozzolo di cotone e così, anche adesso, rassicurata da questa precauzione infantile, mi adagio al di sotto delle coperte, immobile, nella speranza che tutto passi. 

Sento qualcuno ( probabilmente lei ) chiudere la mia porta a chiave, imprigionandomi all'interno, negandomi ogni possibilità di fuga.

Balzo fuori dal letto, scioccata, andando a smuovere la maniglia più e più volte, senza ottenere niente: è quanto di più simile ad una porta semi-blindata e la paura sale a dismisura. 

- Ma che fai, sei impazzita?! Fammi uscire di qui! non hai sentito cos'ha detto il colonnello? - Provo, invano, a minacciarla, sapendo già di non poter ottenere niente da una donna invidiosa, il cui unico scopo è vendicarsi su colei che, secondo la sua versione dei fatti, ha tentato di sottrarle l'uomo di cui è innamorata. 

E, non avendo paura di morire per mano sua, non ho neanche modo di convincerla. 

Se l'avesse chiusa per sempre? Se volesse farmi morire qui, di fame e di sete? 

Non voglio schiattare per colpa di un nazista geloso, non è giusto!

Non è giusto... 

Ripeto ad oltranza, picchiando contro il legno fino a farmi male.

Le gambe sono malferme e tutto il corpo risente delle ecchimosi che mi ha provocato rosso, distese ovunque; intanto, prendo tra le braccia una sedia ( convinta di poter riuscire a lanciarla contro l'uscio ) tuttavia, non avendone la forza, frano miseramente sul pavimento freddo, sfinita. 

Striscio fino ad un piccolo specchio posto accanto al dipinto di Renoir e alzo di poco la stoffa del vestito, ritrovando la mia pelle, prima candida, di color bianco latte, nera e gialla, gonfia, stracolma di graffi ed evidenti segni di morsi, soprattutto, vicino e sopra al seno. 

Persino mostrare disappunto è doloroso, con il labbro spaccato in due metà, una rosea e una violacea per via del sangue raggrumato. 

Non devo sprecarlo perchè, per quanto disgustoso possa suonare, in casi estremi, potrebbe sempre tornarmi utile. 

E non c'è proprio niente che io possa fare ora, se non dormire e pregare che qualcuno possa accorrere in mio soccorso. 

Un sonno irrequieto il mio, interrotto dai primi crampi di fame e da molti dolori di diversa natura. 

Mi rialzo barcollante, verificando se io sia ancora rinchiusa nella stanza o se Erika abbia avuto pietà di me. 

Macché, bisognerebbe che sbattesse la testa quella! 

Per di più, è tardo pomeriggio, non ho niente da fare se non tentare di liberarmi, ma ovviamente non ne sono in grado, troppo debole e sprovvista di idee. 

Mamma, papà... Se solo sapeste cosa sto vivendo! un incubo! 

Non voglio lasciarvi; voglio rivedervi e raccontarvi di come sono stata forte di fronte al colonnello di Birkenau, di come l'ho combattuto e di come abbia tentato di aiutare delle persone in difficoltà. 

Morirò qui, invece e, per uno strano scherzo del destino, potrei condividere la stessa sorte di coloro cui lessi la triste fine nei miei libri di storia.

Che fine orribile! A sedici anni, nessun desiderio realizzato, una vita distrutta e presto dimenticata. 

Nessuno saprà mai cosa mi è accaduto. 

- Aiuto, vi prego! Non fatemi questo! qualcuno mi aiuti! Zlata! - Lei non mi risponderà mai, ma io, per la disperazione, continuo a tentare. 

La gola mi stringe, secca, bisognosa di liquidi e, per rimediare, mi sforzo di piangere, cercando di raccogliere le mie lacrime e tamponarmi almeno la bocca, anch'essa arida e increspata. 

È tanto che non bevo; per l'esattezza, dal primo mattino e, per questo, inizio a risentirne, a rimpiangere di non aver bevuto nemmeno un bicchiere d'acqua, ma solo un misero sorso di cappuccino.

Le ore passano in agonia, poiché non posso nè medicarmi le ferite nè, tantomeno, andare al bagno: quant'è imbarazzante dovermi svuotare la vescica in un vasetto di fiori ( costoso, presumo ) e gettare il tutto dalla finestra! 

Lo spregio è l'unica cosa che mi fa sorridere, che mi impedisce di gridare dal dolore. 

Penso unicamente a dormire e tentare di forzare la serratura con qualunque cosa mi capiti a tiro, non importa cosa. 

Il sole sorge a rilento e la mia salute peggiora: sono disidratata, ho le ossa indolenzite e avverto male in ogni parte. 

Prego Iddio che mi salvi, constatando, sempre con meno forza, il passare delle ore, fino a sera, momento in cui inizio a non sentire più niente. 

Al quarto giorno, miracolosamente, riapro gli occhi, stanchi e rossi, ma non mi muovo dal letto, incapace di farlo. 

Non piove mai in questo posto dannato quando serve! Non si è vista una singola goccia di pioggia in tre giorni di prigionia! 

Ed io... Io credo di star abbandonando questo mondo, con la bocca completamente asciutta ed il fiato corto. 

In un gesto disperato, addento il labbro, riaprendo la ferita e risucchiando avidamente una punta di sangue, ristagnatami sulla lingua. 

Ho paura di riaddormentarmi. 

Non voglio dormire. 

Non voglio morire. 

Chiudo gli occhi per un istante, prima che una grave voce di uomo me li faccia dischiudere; 

- Sara?! Sara ci sei? Rispondimi! ich bitte dich! - Le parole non fuoriescono dalla gola impastata, non ho nemmeno le lacrime per piangere. 

Socchiudo le perle nocciola che hanno fatto sussultare tanti cuori, ora ridotte a due biglie opache, sconfitte. 

Il braccio, contemporaneamente, scivola giù dal materasso, ormai quasi privo di polso.

Poi rumore, un rumore indistinto, un caos infernale che mi fa scivolare nell'oblio, prima di uno spiraglio di luce, che attraversa le palpebre serrate. 

Percepisco appena una scossa, a cui vorrei reagire, ma è troppo distante, come fosse già separata dalla mia anima. 

Infine, una spinta vitale, un barlume di speranza che rimette in funzione un motore già spento. 

Reagisco ad un impulso, ad un secondo, ad un terzo: qualcosa si è riacceso dentro di me.

Una voce ovattata, più nitida; una sensazione di morbido e, poco dopo, di bagnato. 

Acqua! 

Finalmente, acqua! 

Apro un occhietto, debolmente, tanto da non essere vista, non abbastanza da non riuscire a vedere il luccichio di tristezza nell'azzurro cielo di Reiner e le sue labbra posarsi sulle mie... Sentire l'aria dai suoi polmoni passare nei miei. 

Intreccio lo sguardo apprensivo di Ariel, in piedi, con un bicchiere d'acqua fra le mani e, per un istante, lo vedo vacillare, provato da una forte emozione; 

- signore! È sveglia, guardate! - Il biondo, sul punto di commuoversi, accarezza il mio viso pallido, predisponendo tutto ciò di cui ho bisogno, liquidi per prima cosa. 

- Temevo di averti persa - adagio una guancia sul palmo della sua mano, piuttosto stanca, benché felice d'essere viva e di essere stata salvata proprio da loro, due persone diametralmente diverse a cui, per un motivo o per l'altro, mi ero affezionata.

Reiner carica tutto il mio poco peso sulle braccia, toccandomi a malapena per via dei lividi che, trascurati, non hanno fatto altro che rendere questi ultimi giorni un inferno.

Soffro e non mi lamento, perché so che sta facendo il possibile e non voglio rimproveragli un qualcosa per cui non è responsabile.  

Mi adagia sul sedile della sua bella auto e preme spedito sull'accelleratore, trasformando la casa degli orrori in un brutto ricordo, abbellito soltanto dalla genuina contentezza di Ariel nel vedermi andar via. 

Avrei potuto ringraziarlo. 

Avrei dovuto salutarlo. 

Ma me ne hai data la facoltà? 

Spesso e volentieri va tutto storto, mentre io non sono che un pezzetto di carta gettato nel contenitore sbagliato. 

A volte, mi chiedo se non ci sia un modo per arginare l'inesorabile susseguirsi degli eventi... 

- Mi dispiace, avrei dovuto esserci. - 

- C-ci sei ora - gli rispondo, a fil di voce, rasserenandolo ben poco. Mormora: " Hurensohn " ovvero, " figlio di puttana " con una pura espressione d'odio in volto, facendolo suonare come una vera e propria minaccia di morte. 

Se solo sapessi dove guardare! Non saprei distinguere il vero Reiner tra i due riflessi neanche se ci fosse un'insegna luminosa ad indicarmelo. 

E se solo avessi avuto un fisico migliore, più resistente, a quest'ora tutto questo non sarebbe mai accaduto.

Dev'essere la disidratazione, senz'altro, però non ci tengo comunque a farglielo capire, dato che non voglio che stia in pensiero per me. 

Appoggio la testa allo schienale, strabuzzando gli occhi per cercare di ri-adattarli ad un funzionamento ottimale. 

- Non sforzare la vista; piuttosto, riposa. - Entrambe le figure mi ammoniscono, sovrapponendosi leggermente. 

Imbocchiamo una strada che non ho mai notato prima, appena più lontana delle vie principali che conducono al campo o al Solahütte, situato a circa trenta chilometri da Auschwitz, che ha funzione di luogo di ritrovo e relax per tutto lo " staff " del lager. 

Relax, certo, come se fosse normale vedere degli assassini cantare allegramente e strafogarsi di torte quando, magari, il giorno stesso hanno sottratto vite umane e riso della paura di coloro che, a differenza di quegli sfortunati, sono scampati al massacro. 

Questo, invece, è un posto a sè, dove primeggiano i boschi di betulle, dove il terreno è incontaminato dalle nostre orme. 

Al di fuori dello sterrato, c'è una stradina ghiaiosa che conduce ad un'abitazione in legno, una sorta di baita costruita in un tratto spianato, ma comunque circondata da alti alberi dal tronco bianco: la nostra destinazione. 

Secondo quanto ho appreso, è un alloggio che ha affittato per la durata di un paio di settimane da un sudeto ( un tedesco con cittadinanza straniera ) che già resiedeva in Polonia prima della guerra e che, a causa della vicinanza con il campo, si è dovuto spostare in un altro paese, più vicino alla civiltà. 

È una casa carina, non grandissima, rustica e, quel che è meglio, silenziosa, avvolta in un costante tepore natalizio. 

Il comandante mi prende alla maniera di un marito fresco di nozze, con in braccio una sposina forse troppo acciaccata e mal vestita per poter sembrare una principessa. 

Continua a vorticarmi la testa, ma sono molto felice di essere qui e non altrove, ad esempio, laggiù, in balia di quella strega bionda. 

- È così bello che non pare vero - e, con il sole alto nel cielo a ricordarmi i capelli sbarazzini di Fried, lascio correre giù una lacrima, di gioia e di tristezza, simbolo di una frammentazione interiore, irreparabile. 

Ciò che molti considererebbero una maledizione, è per me un dono miracoloso e, allo stesso tempo, ricordo persecutorio della mia colpa: il fatto che riesca a vederlo è sì frutto della mia immaginazione, ma è anche il risultato di un'angoscia che non si può esprimere a parole e che mi fa tremare di rabbia tanto nella mente, quanto nel corpo. 

- Dimmi se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa - entriamo all'interno di una stanza sulla sinistra, al piano terra, una camera con un letto enorme, considerando le dimensioni più o meno modeste del resto della villetta. 

- Basta dormire, Reiner. Ho dormito così tanto che ho rischiato di lasciarci le penne nel sonno! - Mi tengo stretta alla sua camicia, impedendogli di andarsene. - Resta. - 

- Devi stenderti almeno un attimo, non ti reggi in piedi! ehi, ma dove stai andando, attenta! - Nel tentativo di aggrapparmi a lui, scivolo sulle lenzuola di seta,  atterrando rovinosamente su un fianco. 

- Non fa male - mi appresto a dire, alzandomi di colpo. 

Bugia, una maledetta bugia. 

- Te ne farai, di questo passo. - Risponde lui, con tono pacato, rimettendomi nella posizione di prima e massaggiandomi il punto dolorante, adesso invaso da una fitta opprimente. - Vado a prendere un antidolorifico. - 

- Mi raccomando, non ti muovere. -  Mi lancia un'occhiata severa, sparendo dalla mia visuale e riapparendo con una strana pomata di colore grigio; - posso? - 

Mi hanno guardata semi-nuda ( se non del tutto nuda ) cani e porci; per cui, uno in più, uno in meno... 

Di sicuro, non avrò schifo dell'uomo che mi ha aiutata a sopravvivere: è come quel giorno, al Portico d'Ottavia, in cui dormii con Samuele, nonostante lui si fosse proposto di sistemarsi a terra; mi sarei vergognata di me stessa, se glielo avessi permesso. 

- Non ti preoccupare. - Scopro il fianco rigonfio, continuando a soggiacere di lato, tranquillizzata dalla pacifica esperienza avuta con lui fino ad oggi. - Ahi! È pure fredda! - 

- Un attimo e avrò finito. - Penso solo al sollievo che proverò una volta guarita e, al contempo, mi aggrappo alle lenzuola, non riuscendo più a resistere ad un dolore tanto intenso. - Non sarebbe dovuta andare così - 

- prima o poi sarebbe successo, invece. Lui era già cambiato, ancor prima di conoscere te; hai solo fatto traboccare il vaso. - Terminato di spalmarmi la crema, si stende accanto a me, abbracciandomi da dietro, a cucchiaio. 

Deve avermi vista tremare, ma non rabbrividivo per il freddo, bensì per la tristezza, per Fried e per molte altre cose come, ad esempio, per aver creduto che Rudy Schneider potesse essere un uomo migliore, almeno con me. 

Anche lui mi aveva a cuore, mi abbracciava, mi coccolava, sapeva riconoscere i propri errori e trovava il coraggio, mettendo da parte l’orgoglio, di chiedermi scusa, cercando di farsi perdonare. 

Aveva giurato che non mi avrebbe ferita in nessun caso, neanche se lo avessi insultato o picchiato; lui scherzava, ma io ci credetti davvero e finii con l’assolverlo dai suoi innumerevoli peccati. 

- Lo fai solo per compassione? - Domando, con occhi persi nel nulla. 

- Diciamo senso di responsabilità; una ragazza così giovane e così forte è da ammirare, non compatire. - 

- Forte io? - 

- Ti sottovaluti. Di certo, non è da tutte difendere la propria virtù a costo della vita. - 

Potrebbe anche essere vero... 

- Ma tu come fai a saperlo? - 

Tramonta un silenzio che atterrisce. 

...

Oh, Reiner... Anche tu.

 

 

 

  
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