#07 – POWDER ;
Fantasmi e Orme.
“Questa
è la vera natura della casa: il luogo della pace; il rifugio
non
soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia."
—John
Ruskin, “Sesamo e gigli"
Avevano
fatto sesso fino a tarda notte, con lei che gli affondava le unghie
nella schiena, lo mordeva, lo stringeva. Aveva tenuto gli occhi
chiusi per quasi tutto il tempo o aveva trovato altri modi per non
incrociare il suo sguardo che in quei rari momenti la guardava come
se potesse carpirle ogni più oscuro segreto.
L'aveva
pagato e se n'era andato senza quasi aprire bocca, era la prima volta
da che lei ricordasse in cui lui non le aveva domandato nulla. Non
che la cosa la infastidisse, quella sera l'ultima cosa che le serviva
era parlare si sé stessa.
Il
giorno dopo, l'arrivo della governante con la spesa le
ricordò
quanto fosse imminente il ritorno della sua famiglia e, di
conseguenza, la perdita di un luogo comodo per poter vedere Ian.
Di
Hotel ―che fossero a ore o costosi― non se ne parlava nemmeno,
giravano troppi coniugi infedeli della cerchia dei suoi genitori
perché non la riconoscessero, in più lei era
ancora minorenne
avrebbe rischiato in ogni caso che qualcosa andasse storto. Mentre
rifletteva sul da farsi la soluzione le si presentò davanti
agli
occhi, appesa ad un chiodo vicino allo specchio sopra il suo
comò.
Ora
non le restava che preparasi al fatto che di lì a poche ore
la casa
non sarebbe stata più vuota e silenziosa.
~*~
“Domani
sera, alle 23:30, a questo indirizzo."
Quando
gli arrivò il messaggio della ragazza per un momento
pensò che
avesse sbagliato a dargli la via, per quando ne sapeva quel quartiere
–per quanto fosse vicino al centro storico della
città in cui un
monolocale costava una fortuna– era abitato
perlopiù da immigrati
e gente con pochi mezzi. La loro città era il classico
esempio di
contrasto fra ricchezza e povertà, quei due quartieri in cui
il
panorama cambiava svoltando un angolo ancor prima che te ne
accorgersi ne era la prova.
Nonostante
questo la sera dopo si presento puntuale e suonò il
campanello che
gli era stato detto, che era l'unico con la targhetta bianca.
«Mel?»
«Ultimo
piano, l'ascensore non funziona.» gli rispose la sua voce
distorta
dal vecchio citofono gracchiante.
Era
un palazzo di quattro piani, scoprì arrivando ad un
pianerottolo che
dava su un'unica porta lasciata socchiusa
Entrò
senza bussare e la trovò seduta sul davanzale di una
finestra,
aspettava rivolta verso la porta, con le ante aperte alle spalle da
cui entrava l'aria fredda della notte.
«Non
mi sarei mai aspettato un posto del genere da te.»
esordì
chiudendosi la porta alle spalle a cui era attaccato un mazzo che
conteneva tre chiavi.
«Perchè?»
inarcò un sopracciglio la ragazza dondolando leggermente i
piedi.
«Bhe
non sembra proprio il tuo stile dopo aver visto casa tua.»
scrollò
le spalle mentre la sua voce rimbombava nella stanza vuota. C'era
solo un angolo cottura spoglio contro il muro alle sue spalle e
parecchia polvere.
«Anche
questa è casa mia.» il tono in cui lo disse, con
semplicità
disarmante uguale a quella di un bambino che pronuncia
un'ovvietà
che gli adulti si ostinano a negare lo lasciò ammutolito per
qualche
istante.
Lei
scese dal davanzale con un piccolo balzo che rimbombò fra le
mura
vuote e si diresse verso il piccolo corridoio separato da quella
stanza solo da una vecchia tenda di perline di legno
«Vieni,
non abbiamo tutto il tempo del mondo.» lui la
seguì fino a quella
che sembrava una camera da letto che sembrava l'unica stanza abitata
della casa, con un letto da una piazza e mezza rivestito con delle
lenzuola evidentemente nuove di zecca. Le buste vuote che le avevano
contenute spuntavano da un sacco nero in un angolo.
«Ci
vieni spesso qua?» non si poté trattenere da
chiederle
«No,
sono venuta qua un po' prima per sistemare.» rispose
distrattamente
mentre si sedeva sul letto un po' scricchiolante. «Ora basta
parlare.»
Con
quella frase gli fece capire che altre domande non sarebbero state
ben accette. Le si avvicinò mentre altri tasselli di lei,
nuove
sfumature gli turbinavano davanti agli occhi.
Se
all'inizio si era presentata come una ragazzina ricca e viziata ogni
cosa che scopriva di lei tendeva a cambiare quella versione
così
superficiale.
Capì
che quello che intuiva mentre facevano sesso erano solo l'eco di una
persona completamente diversa da quella che era ora, una ragazza
viva.
Che
lei era esattamente quella casa spogliata da ogni avere sulle cui
pareti rimanevano indelebili le tracce dove una volta c'erano mobili
e quadri. Tracce su cui nessuno si era dato la pena di passare una
mano di vernice nuova, come se quel l'involucro vuoto non contasse
più niente, come se, dopo tutto, andasse bene
così.
Quando
lei si accese una sigaretta guardando il soffitto silenziosa non
poté
frenarsi.
«Così
questa casa è tua?»
«In
realtà è di mia madre.» ermetica come
sempre.
«Però
ci hai vissuto anche tu?» insistette testardo come sempre.
«Sì.»
«A
vederti non sembrerebbe proprio.» gli sfilò la
sigaretta dalle mani
tentando di velare sotto il tono leggero la malinconia che percepiva.
«Vero?»
non capiva bene a cosa doveva quella nube di tristezza che lo aveva
assalito tutto d'un tratto, pensando al passato di quella ragazza che
con un'unica parola era riuscita a comunicare sentimenti
contrastanti. Quel tono stanco con cui l'aveva detto, a cavallo fra
l'ironico e il nostalgico.
~*~
Aveva
dovuto vederlo anche quella sera, anche se per poco, perché
quella
casa la soffocava, così piena di voci e rumori da essere
assordante.
Rientrando riuscì quasi a sentire il respiro della sua
famiglia
attraverso le pareti, il peso di altre vite in quella casa.
Per
sua fortuna erano arrivati sul tardo pomeriggio, devastati dal
viaggio e poco reattivi. In poco tempo la casa era tornata
silenziosa, non senza aver sentito prima i commenti di sua madre sul
fatto che la vedeva deperita e che sperava avesse fatto ciò
che
doveva dato che la scuola era vicina.
Suo
fratello era stato il primo a rinchiudersi in camera sua,
probabilmente a riguardare e sistemare le foto al computer con le
cuffie nelle orecchie.
Dopo
un'oretta si erano dileguati anche sua madre e Francesco, dopo che
avevano rischiato di addormentarsi più volte sul divano.
La
loro sola presenza sonnacchiosa sul quel divano la disturbava, si era
talmente abituata ad avere i propri spazi che ora impazziva a
dividerli con le uniche persone per cui provava ancora qualcosa di
più della pura indifferenza. Eppure era andata
all'appuntamento con
Ian, non aveva potuto fare a meno di dividere uno spazio ancora
più
angusto e intimo con lui per dimenticarsi di sé stessa per
qualche
istante in più.
Aveva
riaperto la porta a vecchi fantasmi senza ripensamenti.
Non
aveva degnato di uno sguardo le tacche sullo stipite della cameretta
in cui rimaneva spoglio lo scheletro di un letto a castello dell'IKEA
a cui era rimasto appeso un acchiappasogni spelacchiato e pieno di
polvere preso ad un Tutto a un € 1,00 anni prima. Si era
diretta
veloce alla camera da letto che una volta era dei suoi genitori, il
letto aveva le gambe tagliate perché da piccola lei aveva la
brutta
abitudine di lanciarsi per terra di faccia. Aveva sbattuto il vecchio
materasso, facendogli prendere aria e poi rivestirlo con lenzuola
nuove di zecca.
Alla
fine non le restava che aspettare, seduta sul davanzale di quella che
una volta era stata cucina, sala da pranzo e salotto senza poter fare
a meno di paragonare quell'appartamento dalle mura spoglie a
sé
stessa. Quando Ian aveva suonato aveva tentennato, quasi per paura
che fosse qualcuno delle sue vecchie conoscenze ad aver suonato
vedendola entrare. Ma se c'era una cosa in cui era brava era tagliate
i ponti senza guardarsi indietro, facendo in modo di farsi terra
bruciata dietro di sé.
Ora
che era di nuovo nel suo letto non poteva fare a meno di pensare che
forse era stata anche fin troppo brava.
Il
tempo passò anche troppo velocemente e le vacanze natalizie
finirono, con il conseguente ritorno alla normale vita scolastica per
rivedere le solite facce, alcune abbronzate nello stesso identico
modo di suo fratello a causa della neve, altre perché erano
state in
qualche isola esotica. Ognuno aveva qualcosa da raccontare, qualcosa
da dire di troppo importante per poterselo tenere per sé. In
un
attimo si ritrovò infastidita nella solita routine,
circondata dalla
solita gente.
La
prima settimana passò senza che chiamasse Ian, troppo presa
a
riprendere il ritmo sia a scuola sia a casa. Doveva riabituarsi ai
rapporti con la sua famiglia, con i compagni di classe.
Quando
arrivò il week-end non poté fare a meno di uscire
con Elisa che le
aveva chiesto se avrebbe raggiunto lei, altre sue amiche ed il
fratello ad un bar di universitari in centro. Non poteva farne a meno
perché la sua vacanza in solitudine aveva messo in allarme
la madre
che stava sempre sull'attenti, pronta a cogliere ogni segno di
malessere della figlia.
Così
si era ritrovata in un bar in cui si stava svolgendo un torneo di
birra-pong nella sala più grande, mentre nell'altra la
musica era
sparata a mille manco fosse stata una discoteca. Un miscuglio mal
riuscito fra un locale fighetto e baretto di quartiere.
Era
stata ventilata l'idea di andare ballare più tardi e si era
ritrovata a sperare ardentemente che succedesse, piuttosto che
rimanere lì con un drink in mano senza
possibilità di allontanarsi
facendo finta di capire cosa le stessero dicendo.
Il
non fare sesso da una settimana forse l'aveva inacidita più
del
dovuto, pensò mentre si defilava fuori per fumare l'ennesima
sigaretta. O forse era semplicemente il contatto umano non richiesto
a cui si sottoponeva, torturandosi da sola per amor delle apparenze.
Appoggiata
al muro, con il secondo o terzo drink annacquato in mano e i piedi
che cominciavano a protestare costretti nelle scarpe alte si mise ad
osservare i gruppi più disparati che passavano da quelle
parti. Il
centro era pieno di ragazzi: dai classici metallari, ai fattoni a
quelli che giravano abbracciati già ubriachi a
metà serata con una
bottiglia in mano cantando in coro. Quelli erano tutti di passaggio
da quella zona che costava troppo piena di figli di papà,
che la
circondavano. Lei era una di loro, anche se una volta aveva fatto
parte di quelle compagnie di sbandati ora era in un giro diverso. Uno
in cui all'erba si sostituiva la cocaina, ai jeans strappati vestiti
firmati, ai cori le chiacchiere su qualcosa di costoso appena uscito
che sarebbe stata presto loro. Quel mondo era così
perfettamente
vuoto e scintillante che sembrava esserle stato cucito addosso su
misura, rifletté schiacciando la sigaretta e rientrando,
decidendo
che sarebbe andata a fare un po' il tifo per Luigi e i suoi amici ad
uno dei tavoli.
Erano
tutti già piuttosto ubriachi, Luigi aveva una cravatta
legata
attorno alla fronte che non aveva idea da dove fosse spuntata fuori e
si preparava ad un lancio, concentrato al massimo delle sue
capacità.
Quando
centrò per miracolo il bicchiere degli avversari era
più incredulo
lui dei suoi amici che gli saltarono addosso esaltati.
«Hey
Amelia, sei te che mi hai portato fortuna?» le si
lanciò incontro
appena la vide, mettendole un braccio attorno alle spalle.
«Non
sei il primo a dirmelo.» fece un mezzo sorriso.
«Bene,
allora prenditi una sedia e resta qua, o mia dea della
fortuna!»
fece un piccolo inchino dimostrandosi molto più sobrio di
quanto
sembrasse.
Prese una sedia che le era stata passata da un altro ragazzo e si
sedette vicino a loro. Solo in quel momento posò lo sguardo
sugli
sfidanti trovandosi davanti quegli occhi blu che sfavillavano
divertiti. Si bloccò all'istante, senza avere né
il coraggio né la
voglia di spezzare il contatto visivo. Non aveva nemmeno guardato con
chi era, cosa stava facendo, era semplicemente stata pietrificata da
quello sguardo blu così fuori luogo quando lei era in quelle
vesti e
lui nella sua vita normale. Lui ammiccò nella sua direzione
con un
sorrisino poi venne distratto da un ragazzo poco più alto di
lui e
con molta massa muscolare che gli posò una mano sulla spalla
facendolo voltare dopo aver indugiato ancora una frazione di secondo
nella sua direzione
La
perdita di contatto visivo la fece riavere e cercò di
lasciarsi
coinvolgere quanto possibile dalla conversazione dei ragazzi,
lanciando qualche occhiata ogni tanto dall'altro capo del tavolo
quando pensava di non essere vista.
Non
l'avrebbe mai ammesso, ma era curiosa. Curiosa di come trascorresse
le sue serate quando non lavorava, chi frequentasse, chi fosse lui.
Rideva
e scherzava allegramente con i suoi coetanei, beveva quando gli
toccava. Era normale, un normale ragazzo in un normale sabato sera.
Non capiva perché, ma quella cosa la infastidiva parecchio.
Era come
se la sottile connessione che non sapeva nemmeno di sentire con lui
si fosse spezzata.
Si
alzò di colpo e senza dire nulla a nessuno uscì
di nuovo a fumare.
La porta si aprì e si richiuse poco dopo che lei aveva
acceso la
Lucky Strike.
«Sai
che se continui a fumare così tanto morirai a
trent'anni?» la sua
voce familiare era così fuori contesto.
«Amen.»
rispose dura lanciandogli un'occhiata scocciata.
«Guarda
che non ti sto stalkerando, il torneo di birra-pong attira parecchia
gente.» le si parò davanti con disinvoltura. I
vestiti erano gli
stessi, i capelli spettinati, il viso, gli occhi brillanti—
ma
tutti nel contesto sbagliato. Non aveva mai notato quanta vita
sgorgasse fuori da lui, quanta luce. Era lo stesso di sempre, ma era
come se lo vedesse per la prima volta. Così diverso da lei
da
irritarla
«Infatti
non l'ho pensato nemmeno per un istante.» non
riuscì a nascondere
l'irritazione.
«Mhm,
sarà.. » inarcò un sopracciglio mentre
la studiava per qualche
istante. «Allora anche tu hai degli amici, se me l'avessero
detto
non ci avrei mai creduto.»
«E
infatti avresti fatto bene, sono solo dei conoscenti.» fece
un lungo
tiro dalla sigaretta fissandolo di rimando.
«Allora
sei fredda ed insensibile indiscriminatamente. Poveri loro, sono
sicuro che pensino di aver creato un legame.» sorrise
divertito.
«Io
sono sempre io e nessuno gli ha detto di pensarlo.
«Mi
correggo, stasera sei più gelida del solito.»
«Non
so di che parli.»
«Invece
io penso di sì» continuava a sorridere come se
niente fosse,
guardandola come se capisse tutto di lei. Gettò la sigaretta
fumata
per metà per terra con un po' troppa energia fulminandolo
con lo
sguardo.
«Tu
pensi un po' troppo.» e con questo rientrò con
passo deciso nel
locale.
Lui
la seguì come se niente fosse e raggiunse i suoi amici, un
tizio
muscoloso lo avvicinò dopo averle lanciato un'occhiata
interessata e
si mise a discutere con lui. Vide Ian scuotere la testa con un mezzo
sorriso che sembrava un po' mesto.
Quando
raggiunse Luigi e i suoi amici ne vide uno quasi collassato su una
sedia.
«Ne
avete perso uno vedo.» commentò non appena fu
abbastanza vicina da
essere sentita.
«Amy,
dov'eri sparita?» le buttò un braccio attorno alle
spalle Luigi
vistosamente brillo. «Comunque sì, credo che Gio
sia
definitivamente KO. »
«A
fumare.» indicò con il pollice l’uscita
alle sue spalle. Lanciò
un'occhiata all'altro capo del tavolo dove i ragazzi ridevano e Ian
le lanciava qualche occhiata sottecchi studiandola. «Vi serve
un
cambio?» la proposta le scivolò fuori dalle labbra
in un attimo,
mentre non staccava gli occhi dal moro.
«Davvero?
Non ti facevo una tipa da giochi!» le sorrise il ragazzo.
«Non
lo sono infatti, arrivo subito.» rispose facendo una smorfia
per poi
scrollarselo di dosso ed andare a convincere l'arbitro che la sua
entrata poco lecita in realtà lo era eccome.
Un
attimo dopo aveva tirato su le maniche della giacca di pelle e si era
appropriata di una pallina.
Si
alzò qualche protesta dal gruppo di Ian quando la videro
pronta a
lanciare.
«Andiamo,
se la principessina vuole giocare perché
impedirglielo?» intervenne
Ian lanciandole una strana occhiata.
«Perchè
devi distruggere i miei sogni per farti bello?»
protestò il
ragazzone.
«Non
l'ho detto per fare colpo, non ne ho bisogno. E poi il tuo sogno
è
davvero una fornitura di birra per un anno?»
Amelia
si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo spazientita. Certo
che non
doveva fare colpo, lo pagava già per farci sesso.
«Non
faresti colpo comunque, ora possiamo iniziare?»
sentì i ragazzi
alle sue spalle ridacchiare e Luigi esclamare sonoramente un
apprezzamento che ignorò bellamente, intenta a fissare il
moro con
sfida.
«Se
hai tanta fretta di perdere..» lasciò in sospeso
la frase l'amico
di Ian che non degnò nemmeno di una risposta lanciando con
quanta
più sicurezza potesse ostentare. Non aveva mai avuto una
particolare
mira, quindi era tutta una questione di culo e del tasso alcolico nel
suo sangue decisamente più basso degli altri partecipanti.
No, okay,
era solo questione di culo, pensò quando vide la pallina di
plastica
centrare il bicchiere. Si sentì pervadere dalla
soddisfazione mentre
Ian non distoglieva lo sguardo da lei bevendo.
Luigi
la prese da dietro abbracciandola e sollevandola esuberante facendola
irrigidire come un pezzo di legno. Non aveva il permesso di toccarla,
non doveva, non poteva. Si vide quasi specchiata negli occhi blu
nella penombra che la osservavano infastiditi. In un attimo riprese
il controllo di sé e con qualche colpetto alle braccia
abbronzate
che le circondavano la vita e un sorrisetto falsissimo lo
incitò a
metterla giù.
Continuarono
fino a mezzanotte e mezza, quando la partita si concluse a favore
degli avversari. Chi non era crollato era piacevolmente ubriaco o
brillo, ma era impossibile trovarne uno sano. Le ragazze erano venute
a fare il tifo poco dopo che lei aveva iniziato e ora si mettevano
d'accordo coi ragazzi su quale discoteca sarebbe stata la loro
successiva destinazione.
In
quanto a lei era più occupata a lanciarsi occhiate con Ian,
come
avevano fatto per tutto il tempo, studiandosi, sfidandosi in
continuazione. La tensione sessuale era palpabile e lei era
abbastanza brilla per accettarlo.
Si
allontanò di poco e scrisse un breve messaggio, poi
sollevò lo
sguardo dallo schermo trovando il suo, accompagnato da un ghignetto
mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca il cellulare, sbloccava
lo schermo e poi lo sollevava sventolandolo come una prova che la
inchiodava. Poi annuì e basta.
Quello
bastò per farla ritornare alla sua compagnia e avvertire che
sarebbe
tornata con un taxi a casa prima. Quando uscì facendo finta
di
chiamarlo lui la raggiunse.
«Andiamo
assieme, la mia macchina è di qua.»
l'affiancò poggiandole una
mano sulla schiena senza nemmeno fermarsi. Lei si lasciò
guidare,
comprendeva la sua fretta, era meglio che non li vedessero lasciare
il bar assieme, un conto era che lo immaginassero, un conto era che
li vedessero. Non sapeva quanto del suo lavoro sapessero i suoi amici
e un po' era curiosa, a dire il vero, di che cosa dicesse in giro.
Cosa sapessero di quel lato di lui che conosceva così bene.
Anche
se, a dire il vero, agli occhi degli spettatori di quella sera
sarebbero sembrati semplicemente due ragazzi che si erano incontrati
in un bar e dopo qualche birra lo avevano lasciato assieme.
Due
ragazzi normali, che facevano qualcosa di assolutamente normale.
Dopo
pochi minuti in assoluto silenzio arrivarono alla macchina. Vide le
luci dei fari sfarfallare stava per aprire la portiera quando si
sentì prendere e spingere contro l'auto. Gli occhi blu
sembravano
quasi neri nella luce opaca dei lampioni, le pupille così
dilatate
da sembrare un gatto.
Rimase
a qualche centimetro dalle sue labbra per una frazione di secondo,
per poi attaccarle con violenza, mordendola mentre con le mani
scorreva lungo i suoi fianchi alzandole il vestito di velluto corto
che la fasciava. Di rimando lei non si accorse nemmeno di come fosse
finita ad alzare la gamba destra per incastrarla con la sua. Quella
passione che era scoppiata tutto d'un tratto la travolse scuotendo
ogni sua terminazione nervosa, l'approccio di lui, i brividi non
più
dovuti alla fredda notte di Gennaio, ma al suo calore che la
soffocava mentre lasciava una scia di baci e morsi umidi sulla sua
giugulare.
«Fermati.»
gli sospirò in un orecchio affondandogli le unghie nella
spalla per
recuperare la concentrazione.
«Cosa?»
il tono perplesso la fece sorridere, sembrava la desiderasse davvero,
a prescindere dai soldi, da tutto.
«La
casa―» riprese fiato, « è qua dietro, ci
arriviamo a piedi.» si
spiegò guardandolo finalmente di nuovo negli occhi.
«Oh,
vero.»
«Andiamo.»
lo spostò con delicatezza sistemandosi il vestito e
cominciando a
camminare. Nonostante da lì la strada sarebbe stata
brevissima, loro
la allungarono di parecchio, perché si fermavano quasi ad
ogni
parete incapaci di trattenersi. Probabilmente era la settimana di
astinenza per lei, l'alcol per lui, ma quando arrivarono finalmente
alla casa consumarono il primo amplesso contro la porta d'entrata che
avevano sbattuto con violenza dietro di loro. Sembravano divorati da
una febbre incontenibile, mentre ancora per metà vestiti
riprendevano fiato l'uno contro l'altro.
Sul
letto si presero il loro tempo, assaporando ogni istante, ma
spogliandosi con frenesia.
Solo
quando sentiva la sua pelle contro la propria, le sue mani che la
veneravano in una danza che uomini e donne fin dalla notte dei tempi,
smetteva di sentirsi un ammasso di effetti collaterali e macerie, ma
solo una ragazza. Anzi, una donna.
Smetteva
di fingere, fingere che le importasse di qualcosa
La
paura di essere feriti lentamente si era trasformata nel terrore di
poter fare altrettanto male a chi provava ad amarla. E,
così,
lentamente era rimasta sempre più sola a lottare contro i
suoi
demoni. A guardare sé stessa, distruggersi pezzo dopo pezzo
senza
intervenire, come se fosse stata solo una spettatrice disinteressata.
Impotente.
E
in realtà lo era, perché non le importava,
perché sapeva che
quello era l'unico modo, l'unico per smettere di soffrire. Smettere
di esistere era la strada più facile e lei l'aveva percorsa
senza
indugi.
Sola.
Indifferente.
Con
lui poteva non preoccuparsi dei suoi cari, di ciò che doveva
dire e
fare per sembrare una normale liceale. Che poi, chi
aveva
scritto i parametri di quella normalità che tutti cercavano
e che i
pochi che la provavano disprezzavano?
«A
cosa pensi?»
Il
fumo della sigaretta lentamente saliva formando una colonna
traslucida.
«Alla
normalità.»
«Tu?»
«Strano
vero?»
«...»
«...»
«Penso
che la normalità sia sopravvalutata.»
«Sai—
anche io.»
Dissero
la volpi all'uva.
note dell'autrice hey!
Lo so che sono passati mesi (?), ma sono successe molte cose
che hanno ritardato la stesura della storia, anche se questo capitolo
in realtà era pronto da un bel po'.
La storia in realtà è in continua
evoluzione e revisione, quindi ogni critica è ben accetta,
anzi, quasi necessaria per rendere possibile la sua crescita e
formazione.
Sono sempre stata una scrittrice incostante quindi vedere che certe
persone anche da delle mie vecchie storie ricapitano qui mi fa
enormemente piacere.
with love. :)