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Autore: NyxTNeko    01/06/2018    1 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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"Illud autem optimum est, in quod invadi solere ab improbis et invidis audio: cedant arma togaeconcedat laurea laudi".
Cicerone, De officiis, I, 77

Non appena la notizia della morte di Caligola giunse nel Senato, si decise di radunarsi subito nel Campidoglio, la cui sede era il Tempio di Giove, per discutere della situazione creatasi.

Anche loro all'inizio avevano creduto che quella fosse una diceria messa in giro dall'imperatore stesso per giustiziare gli oppositori, ma quando Propedio giunse al raduno, confessò di essersi messo d'accordo con i congiurati per uccidere il tiranno.

- Non ci resta che abolire l'Impero e ristabilire la Repubblica! - aggiunse poi con aria maliziosa - Per troppo tempo abbiamo dovuto subire le prepotenze e le crudeltà di Tiberio e di Caligola, senza aver potuto controllarli; un uomo solo al comando non può garantire nulla nè ai cittadini, nè a noi!

- Ma non ci sono altri componenti della dinastia facilmente manovrabili? - chiese uno dei suoi colleghi - Se la memoria non mi inganna, ricordo che Caligola avesse una sorella, da lui stesso esiliata mesi fa, potremmo farla sposare nuovamente con qualcuno di influente e sarà quest'ultimo a governare - propose infine.

- Giulia Agrippina intendete? - domandò come conferma Propedio massaggiandosi il mento glabro; rimase in silenzio a mugugnare tra sé, non aveva minimamente pensato a lei - No, non credo che sia una buona idea - esordì poco dopo - Quella donna è ambiziosa ed orgogliosa come poche, non credo che si sottometterebbe facilmente.

- Propedio ha ragione! - sostenne un altro - Per il momento è meglio lasciare tutto com'è, poi si vedrà...

- I congiurati sono a nostra completa disposizione - ricordò Propedio - Non dovete temere nulla.

Qualcuno, in cuor suo, stava già preparando a candidarsi come successore di Caligola, aspettando che i tempi e le modalità fossero maturi.

Nel palazzo imperiale, intanto, c'era ancora tanto fermento, seppur i pretoriani avessero smesso di seminare morte e distruzione intorno a loro.

Non avevano ricevuto alcun ordine preciso, oltre a quello di massacrare chi gli capitasse a tiro, ma dopo l'eccitazione del momento, si erano placati in attesa di novità, mentre la noia iniziava a serpeggiare tra i soldati.

- È sempre così che accade, appena succede qualcosa di eccitante, questo svanisce in un lampo... - sbuffò uno di quelli.

- Sempre meglio qui che su un campo di battaglia non credi?

- Hai ragione, non riuscirei a sopportare un tale sforzo - rise nuovamente.

- Nonostante tutto siamo fortunati

La tenda presente in una sala indicata dal corridoio si mosse leggermente, l'uomo che vi era nascosto tentava di restare immobile, nonostante stesse letteralmente tremando di paura. 

- Vado a prendere una boccata d'aria - gli disse il compagno sbadigliando.

- Cerca di non addormentarti, non vorrei ritrovarti appisolato da qualche parte del palazzo - si trattenne il soldato cercando di non scoppiare dal ridere.

- Lo stesso vale per te, amico - ribatté il compagno d'arme allontanandosi dalla stanza.

Una volta che il suo amico si allontanò, il soldato emise un profondo sospiro e si appoggiò ad un muro, cercando di non lasciarsi vincere dal sonno.

Ad un certo punto, però, udì qualcosa, era debole ma continuo, persistente; curioso di scoprire di cosa trattasse iniziò a perlustrare la zona con grande foga, mentre il rumore diventava più forte man mano che si avvicinava.

Finché non trovò una grossa tenda tirata: era l'unica in effetti a non essere chiusa; il soldato, avendo compreso la provenienza del rumore e visti dei piedi, spostò fulmineamente la tenda.

Incrociò gli occhi terrorizzati di un uomo tremante di paura, che lo fissavano sgomento, supplichevoli. Il soldato semplice lo riconobbe immediatamente e rimase stupito nel trovarlo lì: era Tiberio Claudio Druso, zio di Caligola e fratello dell'amato Germanico, che nessuno aveva dimenticato.

Si era nascosto lì dietro durante il trambusto e la confusione che la congiura aveva creato e aveva creduto di essere salvo, fino a quel momento.

- Vi...vi p-prego...non...non u-uccidetem-mi... - lo implorò gettandosi ai suoi piedi, con il cuore che gli esplodeva nel petto - R-risparmiatemi la...la vita...io...io n-non centro...

Il soldato corse immediatamente a chiamare i suoi colleghi per avvisarli; Claudio, credendo che fosse ormai la fine, ritornò a nascondersi dietro la tenda, avrebbe potuto scappare ma la paura lo bloccava.

"Spero solo che non mi uccidano come Caligola" pensò stringendo una parte della tenda quando vide tornare il soldato con una decina di compagni, tutti con un'espressione mista tra felicità ed eccitazione.

Non appena si avvicinarono a Claudio, uno dopo l'altro s'inchinarono al suo cospetto, sapendo che quello dinanzi a loro era l'ultimo discendente adulto della dinastia Giulio-Claudia - Ave Cesare! - esclamarono con convinzione.

- Co-cosa significa? - chiese intimidito l'uomo ancora più tremolante di prima - N-non volete uccidermi?

Il soldato che lo aveva trovato per prima, sorrise e lanciò uno sguardo d'intesa ai suoi compagni, per poi allungare la mano verso Claudio.

- Venite con noi, questo posto non è più sicuro - gli rispose con tranquillità.

Claudio si rassicurò, strinse la mano del soldato semplice che lo condusse verso una lettiga colma di feriti e lo trasportò nel campo fuori porta Nomentana, per farlo riposare.

25 gennaio 41 d.C.

- Cosa? Quel Claudio! - balzò il senatore Valerio Asiatico, nel momento in cui un gruppo di soldati gli riferì di quanto era accaduto - Ma...ma è uno stupido infermo!

- È l'ultimo discendente della dinastia e poi non ha mai avuto occasione di mostrare le sue abilità! - ribattè il soldato.

- Non è il momento di sperimentare, Claudio è il meno indicato nel ruolo di imperatore! - sbraitò il senatore balzando sul soldato scuotendolo con forza.

Proprio quando sembrava che la strada per arrivare al potere fosse stata spianata con tanta pazienza, ecco che qualcuno doveva intromettersi a rovinare i progetti di un uomo ambizioso. 

Il soldato lesse la preoccupazione sul viso del senatore ed intuì che bramava di arrivare in alto, molto più di qualsiasi altro suo collega.

- Perché voi vi sentite adeguato, senatore? - lo punzecchiò il soldato.

Valerio tentennò per un istante; era riuscito a leggere i suoi pensieri, lui un insulso ragazzino, un infimo soldato.

Ebbe l'impulso di strozzarlo ma il collega Propedio lo fermò e lanciandogli un'occhiata schifata lo fece cascare al suolo.

Nemmeno riuscì a finire la frase che sbucò un altro gruppo di soldati con Claudio in persona che, ancora scosso dagli avvenimenti, fissava con meraviglia i suoi ex colleghi.

Era stato un paio di volte senatore, ma la sua opinione era sempre stata ascoltata per ultima e senza la minima attenzione; non aveva mai contato nella società: considerato un infermo fisico e mentale, incapace di comprendere le normali istituzioni romane.

Vissuto nell'ombra fino a Caligola con il quale fu console, in quelle ore gli si prospettava una vita differente da quella che si era immaginato fino a qualche giorno prima.

- Questa è un'azione intollerabile! - esclamarono gli altri senatori che inziarono a protestare.

Claudio restava in silenzio, con la testa china, remissivo come era sempre stato, guardando i piedi di cui uno era malfermo e lo aveva reso zoppo, da qui il nome Claudio, claudicante.

Inoltre non era né bello, nè aggraziato e neanche più giovane: aveva da poco raggiunto la soglia dei cinquant'anni.

- La vostra presenza qui è inaccettabile! - gridarono i senatori verso Claudio che continuava a restare inerme - Recatevi alla Curia e sottomettetevi al volere dei padri!

- Io non sono più padrone di me stesso - sussurrò Claudio alzando leggermente gli occhi verso di loro.

Zittirono tutti e gli intimarono di ripetere ciò che aveva appena detto, compresi i soldati che erano al suo fianco. 

- Non sono più il padrone di me stesso!! - urlò con una determinazione che non credeva di possedere - In fondo me lo avete sempre ribadito che sono un incapace, un inetto, un infermo! Ora ne ho la certezza!

I pretoriani e i soldati compresero che quello di Claudio era un trionfo. E senza che avesse impugnato un'arma.

Il Senato non riuscì a reagire dopo l'inaspettata reazione di colui che consideravano un uomo tutt'altro che pericoloso e che adesso era sostenuto dall'esercito insieme a gladiatori e liberti.

Per quanto comuni uomini, essi stavano assumendo un potere sempre più grande e questo li spaventava.

Se avessero continuato a sottomettersi al loro volere cosa sarebbe accaduto? Anche loro avrebbero fatto la stessa fine dell'ex imperatore? 

Quel terribile pensiero fece sbiancare Valerio Asiatico che fissò il collega Propedio, anch'egli preoccupato, soprattutto per il fatto che non avevano minimamente contato la presenza di Claudio: un uomo insignificante, la cui figura era sempre stata sospesa nell'aria, senza alcuna voce in capitolo.

- Cosa facciamo? - domandò sconsolato al collega.

- Per il momento solo aspettare - gli rispose Propedio che improvvisamente capì che forse Claudio sarebbe stato il trampolino di lancio per ritornare al vecchio splendore della Repubblica, senza istituirla effettivamente.

Portato in trionfo dal esercito, i cittadini non poterono non restare attoniti di fronte a quell'evento: le milizie urbane, al servizio di Cassio Cherea, che fino a pochi istanti prima declamavano la libertà e avevano giurato fedeltà al Senato, non esitarono a cambiare bandiera, abbandonando la guardia del Foro e del Campidoglio per giungere al campo di Porta Tomentana.

- Stolti! Vi pentirete! - si sgolò Cassio Cherea inutilmente, col disperato tentativo di trattenerli - Vi pentirete di aver patteggiato per un imbecille dopo esservi liberati da un pazzo.

Cassio Cherea sospirò: ormai era troppo tardi, la tanto agognata libertà, era durata poche ore e sarebbe stata oppressa nuovamente da un imperatore.

Anche se si fosse ribellato, nessuno lo avrebbe seguito o sostenuto come era successo in quell'effimero momento di gloria; anzi sapeva benissimo che la sua vita, insieme a quella di Cornelio Sabino e Papiniano, era in serio pericolo.

- Ma allora è vero! - riferì entusiasta un cliente irrompendo nella taverna di Aulus - Caligola è veramente morto! Non era uno scherzo! È stato ucciso!

Locusta, che stava riportando i piatti sporchi al bancone, si voltò per guardarlo senza mutare espressione; per lei non sarebbe cambiato nulla, ma sapere che la vita dei suoi padroni sarebbe potuta migliorare le fece ben sperare seppur con molta diffidenza.

- Ah sì? E da chi? - proruppe Aulus coinvolto dallo stesso entusiasmo.

- Dai pretoriani! - informò guardingo - Da quanto si dice, pare che nel palazzo imperiale ci sia stato un massacro!

- Caspita - emise Aulus - E come mai c'è tanto fermento? Per via della morte del tiranno?

- Anche, ma soprattutto perché ci sarà un nuovo imperatore...

Locusta corrugò la fronte: era certa che la libertà per i romani non sarebbe durata affatto; era davvero necessario avere una figura dispotica come l'imperatore per poter vivere serenamente nell'Impero?

Ripensò alla storia della città che le aveva insegnato il druido Caelan e si ricordò del fatto che anche quando era una Repubblica, il basso popolo di Roma non ebbe mai l'effettivo potere, c'era sempre stato qualcuno che è emerso e lo aveva guidato.

Proprio come i Galli, anche il suo di popolo aveva un condottiero, un sovrano che decideva della vita di ognuno: è insito nella natura umana l'affidarsi ad un capo per poter progredire nella loro quotidianità.

- Spero che questo non sia peggiore del precedente - disse Aulus.

- Dubito che qualcuno possa superare Caligola in follia...

- Come darti torto! - rise Aulus.

- Che fai, ti unisci al gruppo? - propose il cliente con un'occhiata d'intesa, indicando una marmaglia di uomini, donne e bambini. 

- Mi spiace ma non posso, ho una taverna da mandare avanti - sospirò il padrone - Semmai mi riferisci alla fine della giornata.....ti offro le specialità.... - bisbigliò. Era un suo cliente abituale e conosceva meglio di chiunque altro i suoi gusti culinari.

- Non mancherò, a stasera - lo salutò festosamente.

- È solo per merito di tutti voi - iniziò Claudio al centro di un emiciclo, con enfasi ed emozione - Voi, pretoriani, che mi concedete questo titolo tanto ambito, tanto desiderato, di imperatore; siete stati gli unici che avete avuto fiducia in uno come me, un uomo ormai anziano, facilmente esposto alle malattie ed evitato da tutti i suoi pari - continuava con le parole dettate dal cuore che uscivano spontanee, libere.

Anche se balbuziente, quando arringava dei discorsi carichi di potenza retorica, riusciva ad essere al livello di pochi; Augusto, fu il primo a notarlo, quando era ancora un ragazzino, e seppur non lo valorizzò, ne rimase fortemente colpito. 

Mentre parlava notava la gente che lo ascoltava rapita, desiderosa di volerlo sostenere; mai in vita sua aveva ricevuto tanta attenzione.

Aveva imparato a farsi da parte in ogni situazione, ad evitare gli incontri con uomini influenti, importanti poiché li avrebbe disturbati con la sua infermità; sua madre Antonia la giovane, lo definiva uno stupido, in quanto incompiuto e lui lo aveva accettato.

"D'altronde una società come la nostra, dove solo il più capace primeggia, conta nella vita pubblica, che se ne fa di un malaticcio come me!" si diceva ogni volta che incrociava lo sguardo di parenti e conoscenti.

Ripose tutta la sua vita nella cultura che acquisì da solo, poiché i precettori che gli furono affidati non avevano una formazione adeguata, in fin dei conti era considerato un imbecille; se però il fisico e la salute non lo accompagnavano, ciò non si può dire della sua mente e della sua parola.

Ma questo i Romani l'avrebbero scoperto da quel giorno in poi.

- Giuro fedeltà a tutti voi, come voi avete fatto con me, e per ringraziarvi di ciò, concederò 15.000 sesterzi ciascuno - emise Claudio con gioia indescrivibile.

I soldati a quel punto lo presero di peso e lo sollevarono, acclamandolo imperatore. Aveva conquistato il popolo, la fedeltà delle milizie con il denaro, ma l'avrebbe mantenuta con le sue decisioni ed azioni.

Il Senato, con le spalle al muro, non poté fare altro che concedere i poteri imperiali a Claudio, si recarono di persona alla Porta Nomentana legalizzando l'operato dei pretoriani.

Il più improponibile degli uomini, colui che vide sfilare dinanzi a se tutta la dinastia da Augusto a Caligola, che era convinto di trascorrere la sua esistenza nell'ombra dell'incomprensione, fu proclamato imperatore; si mise alla testa dei suoi fedelissimi ed entrò trionfante a Roma.

   
 
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