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Autore: NyxTNeko    01/06/2018    2 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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"Tempus edax igitur praeter nos omnia perditcessat duritia mors quoque victa mea"
Ovidio, Epistulae ex Ponto, IV, 10, vv. 7-8

Gallia Narbonensis, 10 febbraio 41 d.C.

Un uomo corazzato si aggirava lungo la foresta confinante il suo villaggio; nonostante fosse un soldato, era sfiancato dalla lunga corsa e il respiro affannato si congelava a contatto con la fredda aria nordica.

Si guardava attorno guardingo ed accigliato cercando di riconoscere, tra la fitta boscaglia, la dimora del druido Caelan; il suo passo pesante e cadenzato percuoteva l'erba e rimbombava tra gli alberi.

"Eccola" si disse con il viso illuminato, quando la intravide, piccola e quasi del tutto confusa con l'ambiente circostante: dalla pianta circolare, interamente realizzata da mattoncini disposti in maniera sbrigativa; il tetto di paglia essiccata e la piccola, semplice porta, ricavata dal legno di quercia, uno degli alberi sacri.

Il guerriero si avvicinò lentamente, con una sensazione di revenzialità che nasceva nel petto, la stessa che avvolgeva quella misera abitazione. Bussò alla porta con delicatezza, ma non rispose nessuno.

"Probabilmente è andato a parlare con gli dei" pensò il militare che, senza demordere e perdere tempo, si inoltrò nel cuore della foresta.

All'improvviso vide Caelan che aveva "ascoltato" la voce di un albero e dopo aver compreso il suo messaggio, si stava dirigendo verso una strada che lo spirito gli aveva indicato.

Il guerriero non poté attendere oltre e lo chiamò con la voce possente che si propagò fino alle orecchie del druido il quale si voltò e fissò la figura per pochi istanti, riconoscendola: alto, dai lunghi capelli rossi portati all'indietro, non indossava l'elmo; il corpo era avvolto dalla pesante maglia di ferro, portava calzoni di lana e stivali di pelle.

- Lennox! - esclamò Caelan - Immagino che tu sia venuto a cercarmi per avere notizie su tua figlia Locusta

- Si - rispose seccamente il soldato.

Caelan lo guardò nuovamente ed emise un sospiro; Lennox credette che riguardasse sua figlia e si allarmò, ma fu subito tranquillizzato dal druido - Non devi temere, Locusta sta bene, nonostante tutto ciò che ha passato vive un momento di tranquillità

- Ve lo hanno riferito gli spiriti? - chiese con sollievo.

- Gli dei non abbandonano mai i loro figli, Lennox, li osservano da lontano e li proteggono dalle avversità - gli ricordò il druido con una profonda tristezza dipinta sul volto. Locusta mancava molto anche a lui e nonostante gli sforzi per dimenticarla, non riusciva a togliersela dal cuore.

Lennox s'incupì, comprendendo che in quelle parole c'era la velata accusa di codardia che Caelan non era riuscito a perdonare al guerriero.

- Sapete che ancora adesso porto addosso il macigno di quella colpa, Caelan, non potrò mai essere perdonato per ciò che ho fatto - confessò Lennox sedendosi su di una pietra; si mise le mani sul viso, smunto, con la barba incolta - Tutte le notti ripercorro, nei miei sogni, quel terribile giorno, un incubo che non finirà mai di tormentarmi...

- Avresti potuto salvarla, Lennox

- Lo so - lo interruppe bruscamente, sempre con la testa tra le mani, non lo aveva mai visto così disperato - Anche adesso mi sento un verme e se potessi tornare indietro avrei sacrificato la mia vita, per lei, come un vero uomo

Caelan lo guardava ammotulito, combattuto tra il voler consolare Lennox e il lasciarlo affogare nella sua angosciosa disperazione; un druido non poteva avere pensieri negativi sugli uomini, ma non riusciva a non provare astio per un codardo che indossava ancora gli abiti militari.

Locusta era stata quasi una figlia, l'aveva accudita ogni volta che Lennox l'aveva affidata, istruita nella religione e nell'utilizzo delle erbe per scopi curativi,  l'aveva vista crescere, mutare il suo paffuto corpo di bambina in quello di un'acerba ma già stupenda donna.

- Sapere che sta bene mi conforta, anche se non sconta la mia pena, non diminuisce il mio errore, gli spiriti mi stanno già punendo con gli incubi - si alzò bruscamente, si tolse la maglia di ferro, e gli stivali, rimanendo solo con i calzoni e a torso nudo, ricoperto di peli rossicci - Da questo momento in poi, rinuncio alla mia vita di soldato, Caelan

- Ma ne sei sicuro? - domandò con dubbio il druido, non aveva ancora compreso ciò che voleva fare.

- Certo - rispose convinto - Così come rinuncio alla mia precedente vita, non posso più continuare a far finta di niente

- Cosa? E tua moglie? E i tuoi figli?

- Baderanno loro a mia moglie, Caelan, sono degli uomini, più forti e coraggiosi di me, non hanno più bisogno del mio supporto - emise con soddisfazione Lennox.

Il druido rivide l'uomo che era stato un tempo, fiero, orgoglioso e comprese il vero significato della sua visita - Vuoi davvero rinunciare ad ogni altra cosa e vagabondare per tutta la Gallia come segno di espiazione?

- Ho pensato a lungo e credo che sia l'unica soluzione, so che non potrò eliminare la mia colpa, ma posso alleggerirla

Caelan gli sorrise e annuì leggermente con la testa, approvando la sua decisione - Buona fortuna Lennox e addio

- Addio, Caelan - lo salutò allontanandosi con fierezza e serenità. Il druido guardò verso il cielo e ringraziò gli dei.

Anzio, 12 febbraio 41 d.C.

Lucio Domizio Enobarbo non aveva parlato molto in quei giorni, se ne stava seduto, in silenzio, a suonare la melodia della zia, con gli occhi velati di tristezza.

A nulla erano valsi gli sforzi di Gaio Sallustio Passieno Crispo di generare un rapporto e dialogo costruttivo, non voleva collaborare, lo fissava con odio, con rabbia celata; lo stesso trattamento riservato alla madre.

Molte volte Passieno aveva minacciato il bambino di sequestrargli la cetra - Non dovete azzardarvi nemmeno a sfiorarla, capito? - gli urlava il piccolo Lucio con una furia che mai aveva visto in un bambino.

"Ha lo stesso carattere focoso della madre" pensava sempre dopo quella risposta.

- Vedrete che passerà - riferì con l'ormai consueta freddezza Agrippina, si sistemò i capelli per evitare che si bagnassero nelle calde acque termali - Anche quando mi hanno esiliato opponeva resistenza, i bambini sono capricciosi e volubili

- Il suo atteggiamento è tutt'altro che capriccioso, cara - la interruppe Passieno - Sembra che covi rancore profondo verso di noi - proseguì mentre gironzolava. 
Doveva trovare un modo per avvicinarsi al suo piccolo e sensibile animo prima che fosse troppo tardi per farlo.

- Non sono suo padre naturale, ma desidero essere migliore di Gneo - rivelò Passieno con un lungo sospiro.
Nel risentire quel nome Agrippina sussultò, e l'odio che aveva soffocato, ritornò in auge per brevi istanti.

Passieno notò i lampi di astio negli occhi della moglie e comprendendo la situazione, decise di uscire dalla sala. 
Si rimise i suoi abiti cittadini e la lasciò sola, nell'acqua che stava diventando troppo incandescente per tutti e due. 

Mentre si dirigeva all'esterno per prendere una boccata d'aria fresca, udì il figliastro suonare una melodia che non aveva mai sentito e di soppiatto si mise ad origliare dalla porta.

Dalla bocca del bambino uscivano frasi in greco, però non quello che di solito si insegna alla loro età o della vita quotidiana, ma delle grandi opere dell'Ellade e rimase colpito dalla sua precocità nelle arti; sua moglie non gli aveva mai riferito di questa abilità.

Ritornò di nuovo dalla moglie, che era uscita dalla vasca, ed era nuda; gli dava le spalle, il suo corpo armonioso lo inebriava, gli mandava in cortocircuito ogni sua volontà, ma non stavolta: la stabilità degli affetti era la cosa più importante al momento dei desideri carnali.

Agrippina si era accorta di lui e vedendolo sudato e affaticato lo fraintese credendo che volesse saziare i suoi appetiti.

Fu però preceduto dal marito che disse: - Forse ho trovato un modo per avvicinarlo a noi, cara

- Intendi Lucio? - domandò afferrando la stola dal bordo della vasca.

- Si, ho scoperto che sa parlare il greco più colto ed elevato in modo superbo, io ci ho impiegato anni per impararlo correttamente, il periodo con la zia è stato provvidenziale per il suo sviluppo nelle arti - elencò con entusiasmo il marito.

Agrippina continuò a rivestirsi senza proferire parola, sul suo viso levigato non traspariva alcuna emozione - Ho già fatto chiamare alcuni tra i migliori maestri per lui

- Si, ma dovremmo tentare di rallegrare un po' l'ambiente, in modo che sia stimolante per lui, come faceva Domizia

Agrippina non riuscì a trattenersi stavolta e gli diede uno schiaffo sulla guancia - Non parlate di quella donna in questa casa!

Passieno indietreggiò di alcuni passi poi si riprese e si massaggiò la guancia arrossata e comprese che i rapporti con la famiglia dell'ex marito non era dei più rosei - Perdonatemi - sussurrò solamente

- Ditemi cosa avete in mente - cambiò discorso Agrippina. 

- Portare qui una piccola compagnia di attori e musici, possibilmente greci, potrà passare una giornata allegra e dimenticare la zia per un po' - rivelò Passieno - Sempre se siete d'accordo

Agrippina avrebbe bocciato totalmente l'idea, perché non voleva far incrementare quello che per lei era solo un capriccio del figlio, ma il fatto che ciò avrebbe fatto dimenticare l'odiata Domizia, sottolineato anche da Passieno, prevalse e diede pieno sostegno al marito.

Passieno, evidentemente sorpreso, si mise subito all'opera e sapendo già chi chiamare, ordinò ai servi di farli arrivare alla loro villa il più in fretta possibile.

16 febbraio 41 d.C.

- Lucio, non avevo capito la tua inclinazione per l'arte - si scusò Passieno di fronte ad un diffidente e cupo Lucio Domizio che teneva stretto la sua cetra - So che gli spettacoli organizzati dalla zia Domizia ti piacevano molto e perciò ho pensato che sarebbero stato gioviale per tutti riproporli in una villa grande come la nostra

Il bambino non riusciva a credere che il suo patrigno avesse pronunciato quelle parole "Forse è una trappola! No, non posso cedere proprio ora, io sono un uomo" si incoraggiò tentando di non far trasparire alcuna emozione.

Ma Passieno, da esperto oratore che era, aveva percepito l'istante mutamento della sua espressione, però, avendo notato il carattere orgoglioso del figliastro, fece finta di nulla.

- Spero che di poterti vedere sorridere Lucio - sospirò Passieno avvicinandosi e gli allungò la mano.

"Non mi fido di lui, quando la zia lo vide, il giorno in cui mi portarono via, ha assunto un'espressione triste, come faceva sempre quando parlavamo di mia madre" pensò restio nel seguirlo.

L'uomo afferrò con decisione la manina del bambino che a testa bassa fu trascinato nella sala del triclinio: fu costruito velocemente un piccolo palco di legno senza alcuna scenografia o oggetto.

La madre Agrippina era languidamente sdraiata su un lunghissimo triclinio  finemente lavorato, con un lussurioso telo color porpora e dalla base dorata; al centro vi era un piccolo tavolino con sopra succulente prelibatezze fumanti.

"Ci sarà davvero uno spettacolo?" si stupì con gli occhi lucidi "Organizzato solo per me!" Gli sembrava un sogno, finalmente i suoi genitori lo stavano comprendendo, forse la zia piangeva perché sarebbe stato felice. 

Si accomodarono sul triclinio e dopo aver atteso che i musici si sistemassero, lo spettacolo ebbe inizio: una ritmata musica creata inizialmente da cymbalum, piattini conici in bronzo, tympanum, dalla forma rotonda che si suonava con le mani.

I due musici al centro del palco battevano i piedi in base al ritmo indossando lo sgabellum, una calzatura con doppia suola di legno.

Lucio batteva le mani a tempo, coinvolto fin dalle viscere da quella musica così energica e travolgente; Passieno sorrideva nel vedere il bambino entusiasta, mentre Agrippina, già non sopportava quel trambusto e avrebbe preferito andarsene.

I Romani consideravano la musica semplicemente come accompagnamento per gli spettacoli teatrali o circensi, oppure prima di una battaglia; saper suonare uno strumento non era visto come una virtù, anzi ai loro occhi era qualcosa di pericoloso, che fiaccava lo spirito, così come il semplice ascolto.

Un'idea ben diversa dai Greci ed Etruschi che invece la vedevano come una forma di arte elevata, completa, che donava vigore al corpo e all'anima.

Agli strumenti a percussione si aggiunsero quelli a corda come l'immancabile cetra, suonata da una donna, la sambuca, un'arpa arcuata orizzontale, ed infine un organo, il cui suono acuto e quasi sinistro, ipnotizzò Lucio che rimase come in estasi ad osservarlo. 

Agrippina si aspettava che dopo di ciò ci sarebbe stato uno teatrale, ma Passieno le confessò che aveva programmato solo quella tipologia - Che cosa? Ma siete impazzito per caso? Questa musica non giova per nulla a Lucio Domizio

- Io invece noto che stia facendo un buon effetto su di lui, guardate come è sereno, sembra così diverso da qualche decina di minuti fa - rise Passieno guardando Agrippina che non era molto convinta, le avrebbe impedito però di fare qualsiasi gesto per far terminare lo spettacolo.

La musica, ad un tratto, rallentò ed un musico scese dal palco e allungò la mano verso il piccolo Lucio che afferrando velocemente la sua cetra si aggregò alla compagnia musicale, suonando alcune note e recitando alcune parti in greco che stupirono tutti, musici compresi.

Alla vista si ciò, Agrippina, perse la pazienza e furente si alzò; Passieno, che aveva ben capito le sue intenzioni, tentò di fermarla ma non ci riuscì e come una belva afferrò il figlio - Io non posso permettere che mio figlio diventi un volgare musico o artista come vi fate chiamare! È un affronto al sangue dei Cesari che scorre nelle mie vene!

- Ma si stava semplicemente divertendo Giulia Agrippina.... - s'intromise Passieno.

- Tacete voi! Non avrei dovuto accettare la vostra proposta....lui è destinato ad altro, a cose più grandi

- Ma...ma è ancora un bambino, Agrippina - gli ricordò il marito.

Lucio li guardava con le lacrime che riempivano gli occhi, mentre la rabbia cresceva sempre più nel suo cuore - Ora bastaaaaaaaa! - strillò staccandosi dalla presa.

Passieno guardò adirato Agrippina e lei ricambiò lo sguardo al bambino che ringhiava colmo di ogni sorta di sentimento negativo; per evitare di farsi vedere piangendo dalla madre, scappò via. 
Passieno sospirò e nonostante il disastro pagò i musici che mestamente sgattaiolarono via.

- Spero che ora siate soddisfatta, Agrippina, questa scenata ha di sicuro giovato a Lucio - urlò l'uomo - Ci odierà per tutta la vita

- Sempre meglio che abbassarsi ai livelli di quei fenomeni da baraccone che avete pure pagato

- Le tue lacrime sarebbero state le mie, zia - piagnucolò Lucio in un angolo, con gli occhi gonfi, abbracciando la cetra. 
 

   
 
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