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Autore: Sueisfine    05/07/2009    2 recensioni
Once there was a man who had a little too much time on his hands. He never stopped to think that he was getting older. But when his night came to an end, he tried to grasp for his last friend, and pretend that he could wish himself health on a four-leaf clover. (Scissor Sisters)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Theodore 'Ted' Schmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Allora ?», mi chiede.
Mi siedo di fronte a lui, posando il vassoio con il pranzo sopra il tavolo di formica.
«Allora cosa ?», chiedo io, di rimando.
«Beh», posa la forchetta con cui stava per punzecchiare una polpetta, «la prima seduta senza di me».
«Ah, quello !», sorrido, con una sciocca finta sorpresa dipinta sul volto. Ovviamente sapevo fin dall’inizio dove volesse andare a parare. «Oh, direi bene», affermo, annuendo con fermezza. Prendo la mia forchetta, ed inizio a tagliare le polpette, ognuna in quattro parti perfette, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi, nella speranza che non faccia altre domande inerenti l’argomento appena sfiorato.
«Mi è stato riferito che Dan ha finalmente ammesso di avere un piccolo problema con l’eroina, ed ho letto dei resoconti alquanto toccanti in merito», inizia lui, masticando carne. Poi si versa un po’ d’acqua, «Tu che ne pensi ?». Con il bicchiere fa cenno verso di me, e mi vedo costretto ad alzare, con circospezione, lo sguardo.
«Chi, io ?».
«E chi altri ? Non sto parlando con te ?». Prende un sorso d’acqua.
Iniziano a sudarmi le mani. «Io… ehm, sì, Dan… molto toccante, commovente, davvero», annuisco ennesimamente, a conferma delle mie parole, «soprattutto la parte in cui, ehm, ha… ha ammesso di essere dipendente, sì». Mi infilo in bocca un pezzo di polpetta, e mastico, ritornando a fissare con insistenza il piatto.
«Ecco, proprio qui ti volevo. Essere sinceri con se stessi è la cosa migliore, concordi con me ? Essere sinceri prima con se stessi, e poi con gli altri, giusto ?».
«Beh, sì, certo», biascico, non troppo convinto, non capendo il perché di quella domanda.
«Per questo penso sia un vero peccato che non esista alcun Dan nel tuo gruppo di riabilitazione». Mi blocco improvvisamente, mentre lui continua a mangiare, come se nulla fosse. Oh santo cielo, ma si può essere così coglioni, Theodore Schmidt ? Passi pure non essere un bravo contaballe, ma questa figura assurda le supera tutte. Memorabile, da annoverare nel grande manuale delle figure più barbine della storia. «Dovrei arrabbiarmi ? Dovrei forse prendermela ? Anzi, a dirla tutta, dovrei essere qui a parlartene ? Dovrei interessarmi della tua situazione ?», fa spallucce, «Il problema è che, sì, devo. Devo arrabbiarmi, devo prendermela, e devo, devo assolutamente interessarmi al tuo stato di salute, fisico e mentale, perché mi sono preso l’impegno di farti uscire di qui pulito, nuovo, vivo. E ti assicuro che io non metterei mai la mia faccia ed il mio nome con gente che non merita nessuna delle due cose. Se lo faccio con te è perché mi fido».
Non oso ancora guardarlo. Il capo chino, sopra polpette tagliuzzate e piselli, con il boccone che non riesce a superare quel groppo in gola.
Bene, congratulazioni, Theodore. L’elenco delle persone che hai finora deluso ha appena accolto l’ennesimo nominativo. Un urrà per il nuovo arrivato.
«Ora, mi spieghi perché non sei andato oggi, Ted ?». Quella che mi rivolge, però, non è una domanda da arrabbiato, né tantomeno con il tono di chi se l’è presa.
E’ gentile.
Ed io vorrei solo sparire sottoterra, volatilizzarmi all’istante. Sono riuscito ad umiliare me stesso ogni singolo giorno della mia permanenza qui, quindi continuativamente per un periodo di tempo di, mh, due settimane ?
Non riesco a proferire parola, ma sento comunque i suoi occhi che mi scrutano, nella speranza di trovare una risposta prima che gliela porga gentilmente io stesso.
Paura, ecco perché.
Ho una fottuta paura di quello che posso trovare qui dentro, dentro me.
Ho una fottuta paura di quello che poi sarà lì fuori, di come il mondo mi riaccoglierà, di come coloro che ho amato, e che tuttora amo, mi riaccoglieranno. Ammesso ovviamente che vogliano farlo. Ho anche ampiamente contemplato la possibilità che là fuori, invece, ad accogliermi non troverò proprio nessuno. O, meglio, ad accogliermi con affetto incondizionato. La gente disposta a sputare sentenze non credo mancherà mai. Avrò di che vergognarmi.
Ho ferito troppe persone, ho dato sfogo al peggio di me con chiunque mi sia capitato a tiro, e che cosa accadrà quando sarà il mio turno di dover affrontare il peggio proveniente da chi ha sofferto a causa mia ? Scapperò di nuovo qui, dove mi sento al sicuro tra altri miei ‘simili’ ? Non credo mi sarà concesso.
Il pensiero corre rapidamente ad Emmett, ed al dolore ingiustificabile che gli ho sempre causato.
«Io… Non lo so, io ho paura, Blake». Le lacrime premono per uscire, e finalmente trovo il coraggio di sostenere lo sguardo di chi mi siede davanti, nonostante la targhetta con su scritto ‘codardo’ a caratteri cubitali appiccicata in fronte.
Ed il suo sguardo, così come la sua voce, innocente e gentile, non mi giudica. Blake ha solo bisogno di sapere come mi sento. Blake vuole sapere come mi sento.
Mi sorride dolcemente, probabilmente colpito dalla mia ammissione, e mi afferra la mano, con delicatezza e, assieme, fermezza, «Lo so».
Alzo gli occhi al cielo, per evitare alle lacrime di scendere, «Oddio, mi sento davvero una merda, mi dispiace averti mentito, mi dispiace tremendamente non essere andato, ed avrei voluto, credimi, ma poi ho pensato che saltare una seduta non sarebbe stato così grave. Sai, già è nella mia natura pensare troppo, ultimamente poi mi capita di pensare addirittura un po’ più di troppo, non avendo nulla da fare… Ma da quando sono qui, da quando ho ritrovato te, non so… Con te accanto ho come l’impressione che sia più semplice affrontare tutto questo. E adesso mi sento davvero un idiota, un piccolo, pavido idiota…».
«No, no, ehi, frena, è normale avere paura», mi rassicura, dandomi dei leggeri colpetti sulla mano, «e so anche che non è semplice trovare la forza per andare avanti da soli. Io ci sono passato, è vero, ma non per questo devi dipendere da me, Ted. Solo tu sei la tua unica forza, ed è la sola cosa che non dovrai mai dimenticare. Gli altri sono il riflesso di quel che tu sei. E vedrai che, quando le tue gambe ti porteranno in quella stanza con la consapevolezza di essere finalmente una persona migliore, anche chi ti sta intorno lo capirà, ed agirà di conseguenza».
«Ma quanto ci vorrà ?», chiedo, esasperato, «Io sono stanco, Blake, stanco di lottare contro qualcosa che non ho voluto, stanco di cercare di sopravvivere alla mia vita. Io voglio solo essere felice, e sembra che questo cazzo di mondo non ne voglia sapere di lasciarmi in pace».
Sfilo bruscamente la mia mano da sotto la sua.
D’improvviso mi sembrano solo chiacchiere, le sue. So che lui è passato qui, dove sono io adesso, molto tempo prima di me, ma fino a che punto questo mi può essere d’aiuto ?
Lo vedo adombrarsi. «Ci sono molte persone che vorrebbero semplicemente essere felici, e che non si meritano ciò che di terribile hanno; eppure sono lì, irremovibili, ed affrontano angosce e sciagure, rimboccandosi le maniche, soffrendo e combattendo per ogni singolo minuto in più che viene loro donato. La risalita è sempre più difficile della discesa, e tu dovresti saperlo», la sua voce trema leggermente, e ai miei occhi torna indifeso e senza speranza, come tanto tempo fa, «Anche quando pensi di esserne ormai fuori, lei è sempre in agguato, pronta ad affondare gli artigli nelle tue membra e farti suo al minimo segno di debolezza». Lei. So a chi si sta riferendo. I suoi occhi verdi mi trapassano da parte a parte, e rabbrividisco. «E tu, se non sei disposto ad avere pazienza e perdere un po’ di tempo per riprenderti te stesso, beh, puoi tornartene a casa anche subito. E’ inutile provarci».
Concludendo la schermaglia con un’inaspettata durezza, Blake si alza, sollevando il vassoio, e si allontana lungo il corridoio.
E’ inutile provarci.
Non ha tutti i torti.
Se il mio stato d’animo è questo - e, sì, a conti fatti è questo - rappresenta un ostacolo davvero insormontabile. Non posso certo cambiare atteggiamento verso le cose da un momento all’altro.
Servirebbe una vera e propria catastrofe emozionale. Ma cos’altro deve accadere di così sconvolgente per far cambiare idea a quel maledetto stronzo che sta vivendo la mia vita ? Non c’è stato già abbastanza catastrofismo emozionale nei miei trentacinque anni ? Ho rischiato di morire a più riprese, sono entrato in un tunnel di dipendenza terribile da cui non so ancora come uscire, ho perso tutto, compresa la pochissima stima in me stesso, ed ho perso tutti. E, cosa più grave, l’ho fatto con assoluta coscienza del grado di pericolosità, come posso anche solo pensare di essere intrappolato in qualcosa che non ho voluto ? Il mio più grande desiderio era quello di tornare debole, e piccolo, per essere accudito, coccolato, apprezzato e protetto, pur preservando la sensazione di invincibilità.
Ed eccomi adesso di fronte al misero quanto discutibile risultato. La sedia vuota davanti a me. L’abbandono.
Per la prima volta da qualche settimana, agisco senza pensare, ma so che stavolta non nuocerò ad alcuno. Niente ripensamenti, niente elucubrazioni, solo pura e semplice azione. Mi alzo anche io, senza curarmi dei residui del pranzo, e percorro a passo spedito il corridoio.
E’ inutile provarci, tanto vale abbandonare fin da subito. Questo posto non fa per me, ed in fondo l’ho sempre saputo.
Il codardo, quello con lo sguardo colpevole e l’etichetta appiccicata alla fronte, chiede venia per il disturbo arrecato, scusandosi specialmente con chi si è preso veramente a cuore la sua condizione. Ringrazio tutti con un bell’inchino, fine terzo atto, me ne vado.
E, anzi, mi chiedo ancora perché quella sera, invece di rimanermene lì fuori a congelare metaforicamente, io abbia preteso di voler finalmente dare una sferzata alla mia inettitudine semplicemente passando attraverso una porta a vetri. E che incredibile pretesa, quella di salvare se stessi.
Il mio corpo però non sembra in linea col filo conduttore dei miei pensieri. Vorrei dirigermi alla mia stanza, impacchettare le mie cose ed andarmene per sempre da qui, ma i miei piedi mi conducono altrove. I passi terminano solamente arrivati ad una porta socchiusa, al cui interno si odono impercettibili rumori.
Entro senza bussare, senza annunciarmi, senza chiedere il permesso.
Lo vedo, di schiena, armeggiare con l’impianto stereo. I capelli biondi e la felpa scura che avevano prima accompagnato il mio pranzo altrimenti solitario.
Lui si volta, con un sussulto e con gli occhi spalancati, verso la porta aperta, e verso di me, «Ah, Ted, sei tu, mi hai spaventato», quando nell’aria inizia a risuonare, potente, la musica.
E poi la voce, soave, che tante volte ho ascoltato.

Digli che Alfredo
E' ritornato all'amor mio,
Digli che vivere ancor vogl'io -


La voce di Maria Callas nei panni di Violetta, delirante sul punto di morte, mi strazia l’animo per l’ennesima volta, e fa tornare a galla un caleidoscopio di sentimenti soffocati a forza sotto la superficie.
L’atmosfera rarefatta, precedentemente lasciata in sospeso, ora si scioglie sotto il meraviglioso peso della lirica, e Blake mi sorride, come se quel brano stesse aspettando proprio il mio ingresso.

Ma se tornando non m'hai salvato,
A niuno in terra salvarmi è dato.


Si avvicina, con la custodia del disco in mano. E la riconosco. E’ la copia che, anni fa, gli regalai io. «Ho imparato ad amare quest’opera, sai ?». Il suo viso tradisce un velo di imbarazzo. Ascoltiamo, entrambi in silenzio, perché interrompere ci sembra quasi peccato mortale.

Gran Dio ! Morir ‘sì giovine,
Io che penato ho tanto !
Morir ‘sì presso a tergere
Il mio ‘sì lungo pianto !
Ah, dunque fu delirio
La cruda mia speranza;
Invano di costanza
Armato avrò il mio cor !

«Inizialmente mi dicesti che Violetta alla fine dell’opera si salva, guarisce dalla malattia, e poi col suo Alfredo intona decine di gloriosi duetti. E per un bel pezzo ho anche creduto che fosse la verità !». Ridacchia, ed io ricambio con un sorriso al ricordo di quel tentativo di salvataggio di una tragedia. «Però, ancora adesso, ogni volta che la ascolto, serbo sempre in me la speranza che possa essere la volta giusta, la fine ideale, quella in cui Alfredo e Violetta finalmente vivono felici e senza affanni». Abbassa lo sguardo. «Chiamami stupido, chiamami sognatore, so solo che non posso fare a meno di sperare in un loro ricongiungimento terreno, il che è impensabile».
«Sì, è impensabile, non si può riscrivere un’opera lirica. Mi sono già scusato migliaia di volte con il maestro Verdi per aver provato a propinare ad altri un finale alternativo della sua meravigliosa storia, perché nell’aldilà vorrei poterlo guardare negli occhi senza sentirmi dire “E tu quindi saresti quel grandissimo coglione di Theodore Schmidt ? Quello che ha osato rovinare la mia opera ? Non avevi proprio niente di meglio da fare ?”. Nossignore, se ripetessimo l’errore stavolta non ce lo perdonerebbe così facilmente», sentenzio, «Però, c’è un però, la nostra immaginazione è infinita, e le nostre speranze non vanno mai arginate, almeno credo… Si può vivere ed interpretare un’opera lirica in maniere molto differenti». Gli sorrido. «Mi dispiace averti mentito anche quella volta, ma allora l’ho fatto a fin di bene, di questo sono certo. Non volevo essere io a doverti dire che l’eroina da te personificata sarebbe morta tra atroci sofferenze, in un destino da cui non poteva sottrarsi. Ed io di certo non avrei permesso che questo accadesse. Era un po’ come negare la realtà, non so se mi spiego».
«Ti spieghi benissimo», mi poggia una mano sulla spalla, «e tutto questo in fondo mi autorizza a continuare a sperare in un finale più adatto alla nostra storia».
Lo avvicino a me e lo stringo in un abbraccio, affogando in un calore che cercavo da tempo e che era sempre stato lì, a pochi passi da me.
Ma, come ormai so bene, tempistica e perspicacia non sono il mio forte.

Cessarono
Gli spasmi del dolore.
In me rinasce m'agita
Insolito vigore !
Ah ! Io ritorno a vivere -
Oh, gioia !

Oh cielo - muor ! Violetta ! E' spenta ! Oh mio dolor !
  
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