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Autore: Kim WinterNight    07/06/2018    2 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Bad cold!

[Daron]




Estrassi di corsa un fazzoletto dal pacchetto che stava appoggiato sul tavolino di fronte al divano e mi soffiai il naso. Non ne potevo più di quel dannato raffreddore. Da una settimana mi tormentava e io ero sfinito.

Ripresi a suonare, cercando di utilizzare al meglio la mia chitarra classica. Non la usavo spesso, abituato com'ero a quella elettrica, ma quando avevo bisogno di un po' di relax quello era il modo migliore per ottenerlo.

Mi dispiaceva di non essere potuto partire a Las Vegas per il compleanno di Leah, ma avevo promesso ai miei genitori che avrei trascorso il weekend con loro, visto che non ci vedevamo da secoli e mio padre era tornato in città per qualche giorno. Era impegnato in una rassegna di mostre in America Latina, ma per fortuna aveva ottenuto qualche giorno di tregua per stare con la mamma. Di conseguenza, anch'io avevo insistito per trascorrere qualche giorno in loro compagnia. Ogni tanto ci voleva.

Erano stati due giorni piacevoli, nonostante il raffreddore mi avesse tenuto rinchiuso in una bolla e mi avesse impedito di essere in pieno possesso delle mie solite energie.

Proseguii a suonare e mi ritrovai a eseguire un brano dei Dire Straits. Era sempre così quando prendevo la chitarra classica: mi ritrovavo sempre a strimpellare qualcosa di Mark Knopfler e la sua band. Non sapevo nemmeno io perché, succedeva e basta.


Lady writer on the TV

Talk about the Virgin Mary

Reminded me of you

Expectation left to come up to yeah


A interrompermi fu lo squillo del telefono. Sbuffai e afferrai l'apparecchio, appoggiando la chitarra sul divano accanto a me.

Prima di rispondere, mi soffiai rapidamente il naso.

«Sì?» esordii con voce più nasale del solito.

«Daron! Come stai?»

Era Serj. Non ci sentivamo da un po', esattamente dal giorno del concerto al Dodger Stadium. Era trascorso almeno un mese da allora, ma entrambi eravamo stati piuttosto presi dai rispettivi impegni e non avevamo trovato l'occasione per sentirci o vederci.

«Ho un fottuto raffreddore» biascicai.

«Me ne sono accorto. Per il resto come va?»

Sospirai. Serj non sapeva niente del test del DNA, dei risultati e del fatto che non vedessi Layla dal giorno in cui avevamo scoperto la verità. Non sapeva niente di Dolly e di come avesse tentato di impedire a sua figlia di scoprire la verità.

«Direi che va tutto bene» mentii. Non avevo alcuna voglia di parlarne in quel momento.

«Oh sì, si vede.» Serj rise sarcastico. «Dimmi la verità.»

«Non al telefono.»

«Ci vediamo per pranzo?» propose il mio amico, e dal tono della sua voce compresi che era in pensiero per me.

«D'accordo. Dove?»

Lui ridacchiò. «Che ne dici di andare Da Avetisyan? È da un po' che non passo a salutare Tigran e Alina» propose con entusiasmo.

«No, non mi va» rifiutai. Non volevo rischiare che Alina mi riempisse di domande su Layla, era ancora troppo presto per me. Proposi a Serj di andare nello stesso locale in cui avevo portato Layla la prima volta, il giorno in cui si era presentata al LAX per rivelarmi che era mia figlia.

Ci accordammo per vederci intorno a mezzogiorno e mezza e interrompemmo presto la conversazione.

Guardai l'orologio: le dieci e venti. Avevo ancora un po' di tempo per suonare Lady Writer.


Lady writer on the TV

She had all the brains and the beauty

The pictures does not fit

You'd talk to me when you felt like it

Just the way that her hair fell down around her face...



«Ti sei beccato proprio un bel raffreddore, amico» commentò Serj, senza togliersi gli occhiali da sole nonostante ci trovassimo all'interno del locale.

«Già, è un incubo.» Lo osservai per un attimo. «Non vuoi farti riconoscere? Tranquillo, vengo spesso qui proprio perché nessuno mi disturba» lo rassicurai, per poi dare un'occhiata al menu.

«Se lo dici tu... ma meglio prendere qualche precauzione, sai com'è.»

Annuii. «Ti consiglio questo hot dog vegetariano, è uno spettacolo. Una volta l'ho preso anch'io» gli suggerii.

«Tu che prendi qualcosa che non strabordi carne? Quel giorno dovevi stare proprio male» mi punzecchiò, strappandomi il libretto di mano.

«Ah sì? Allora ne prenderò uno anche oggi» decisi.

«Infatti oggi non stai bene» osservò il cantante, poi si sollevò per un attimo gli occhiali da sole, giusto il tempo di farmi l'occhiolino, e infine li rimise al loro posto e prese a esaminare a sua volta cosa offriva il menu del locale.

«Spiritoso. Sì, prendo uno di quelli, e poi delle crocchette di pollo» aggiunsi.

«Si capisce a malapena come parli, lo sai?»

Scrollai le spalle. «Colpa del raffreddore, non posso farci niente.»

«Okay, vada per quel panino. E poi prendo queste patate al forno, il fritto non mi va» decise.

«Sempre il solito salutista» brontolai.

Serj ridacchiò. Indossava una t-shirt blu notte a maniche corte e se ne stava rilassato sulla sedia, sembrava quasi un ragazzino con quei bizzarri occhiali da sole a specchio e l'espressione serena e rilassata. Il fatto che avesse rimosso completamente la barba gli conferiva un'aria ancora più fanciullesca, rendendolo estremamente più giovane dei suoi quarantasei anni.

«Perché mi fissi così?» mi apostrofò.

«Oggi sembri un adolescente. Nessuno ti riconoscerà» gli feci notare, mentre facevo cenno a una cameriera di raggiungerci.

La ragazza prese le ordinazioni con discrezione, senza soffermarsi troppo a guardarci, e io apprezzai molto quel suo comportamento. Un altro punto a favore di quel locale.

«Allora? Come stai? Ora puoi dirmelo, spero» riprese Serj, quando la ragazza si fu allontanata.

«Sì. La verità è che non lo so, Serj. Ho fatto il test del DNA con Layla. E ho avuto i risultati.»

«E...?»

«Non è mia figlia.»

Il cantante sospirò di sollievo, portandosi le mani sotto il mento. «Per fortuna. Questa è una buona notizia.» Poi mi fissò. «O no?» aggiunse.

«Non lo so. Ci sono rimasto male e non so nemmeno io perché» ammisi, per poi cercare un fazzoletto nella tasca dei jeans. Soffiai il naso e tossii.

«Non stai facendo l'aerosol o qualcosa del genere?» chiese Serj.

«No» risposi. «Comunque, non so se esserne felice o meno. In un certo senso mi dispiace che lei non sia mia figlia. Non te lo so spiegare.»

«Oh, cielo!» Il mio amico batté una mano sul tavolo, con il palmo aperto e rivolto verso il basso. «Non dirmi che tu volevi avere una figlia» mormorò in tono amareggiato.

«Senti, l'ho portata da Tigran e Alina, l'ho... le ho fatto conoscere qualcosa su di me, sulle mie radici... non so perché, non lo so. Sono confuso, Serj.»

«Ora capisco perché non volevi andare da loro a pranzo» commentò il mio amico, e finalmente si sollevò gli occhiali sulla testa e cercò i miei occhi con i suoi. «Istinto paterno, eh?»

«Non so come definirlo, so solo che...» Sospirai.

«Potresti sempre provare a rimanere in contatto con lei. A quanto pare non ha un padre, in ogni caso credo abbia bisogno di una figura maschile di riferimento.»

Annuii. «Lo dice anche Leah» ammisi.

«Quella sì che è una saggia ragazza!» Serj tornò mortalmente serio e rifletté per un attimo prima di proseguire. «Senti, amico mio. So come ti senti, okay? In qualche modo lo so, perché io e Angie ci stiamo provando da un po', ma... capisci...» Si interruppe e io attesi che continuasse senza intervenire. «Capisco il tuo desiderio. Okay, forse sarebbe meglio se...»

Proprio in quel momento, la cameriera tornò con il nostro pranzo su un vassoio e noi attendemmo che si allontanasse prima di immergerci nuovamente nella nostra conversazione.

«Dicevo... forse sì, sarebbe meglio aspettare, trovare una persona con cui costruire una famiglia, ma comprendo perfettamente che tu ci avevi sperato. E Leah ha ragione: cerca di rimanere in contatto con questa ragazza, se ti trovi così bene con lei. Non è un reato.»

«Peccato che Dolly non me lo lascerà fare. Ha cercato di impedire che io e Layla scoprissimo la verità, ora sarà infuriata» spiegai, ficcandomi in bocca una crocchetta di pollo ancora calda. Frugai nel contenitore delle salse e ne presi qualcuna a caso, per poi spremerle sulle crocchette e all'interno del panino.

«Quello è tabasco! Sei impazzito?»

Guardai il tubetto ancora mezzo pieno e sbuffai. «Per fortuna ne ho versato poco. È Shavo l'amante delle cose piccanti, peccato che non sia qui e non possiamo scambiarci il panino» borbottai.

«Cosa vuol dire che Dolly ha cercato di impedirvi di scoprire la verità? È stata lei a parlare di te alla ragazza. Non capisco» rifletté Serj, cominciando a mangiare le sue patatine senza salse.

«Ha tentato di rinchiudere Layla in casa per impedirle di incontrarmi. Lei sapeva che io non ero il padre di Layla, ma ha provato a incastrarmi. Forse si è illusa che io le credessi senza fare il test del DNA» raccontai, infilando in bocca un'altra crocchetta cosparsa di salse.

«Cosa? Oddio, è impazzita?»

«Probabile. Perciò non me lo lascerà fare, non mi lascerà frequentare Layla» conclusi.

«Be', lei non è una bambina. È scappata per venire con te a fare il test, quindi non mi sembra una tipa arrendevole. Non permetterà a sua madre di decidere per lei, immagino» disse il mio amico, per poi addentare il suo panino. Annuì soddisfatto e continuò a mangiare.

Io versai la birra nei nostri bicchieri e ne sorseggiai un po'. «Chissà...»

«Vi siete scambiati il numero?»

Scossi il capo. «Neanche per idea.»

Serj sgranò gli occhi. «Come sarebbe a dire?»

«Sai benissimo che non do il mio numero a chiunque. Non voglio guai. In fondo, non conosco abbastanza Layla per compiere un passo del genere. E poi, sua madre potrebbe trovarlo e allora per me sarebbe la fine. Credo che quella donna voglia incastrarmi, perciò farebbe di tutto pur di incasinare la mia vita.»

Il mio amico alzò gli occhi al cielo. «Che casino.»

Mi bloccai sul posto. «Serj? Cosa stavi dicendo di te e Angie?»

Lui abbassò lo sguardo e depositò il suo panino sul piatto. «Ah. Be', io e lei stiamo provando ad avere un figlio, ma per ora non succede niente.»

Mi pulii le mani su un tovagliolo di carta e ne allungai una verso di lui, stringendogli il polso. «Sul serio? Mi dispiace tantissimo» mormorai.

«Non ci arrendiamo, stai tranquillo. Siamo certi che prima o poi arriverà.» Serj sorrise debolmente e riprese a mangiare. Era chiaro che non avesse voglia di affrontare l'argomento in quel momento.

E io rispettai la sua scelta senza battere ciglio. Capivo perfettamente come si sentiva, anche io ero così il più delle volte.


Mentre raggiungevo la mia auto, dopo aver salutato Serj, il mio cellulare cominciò a squillare. Proprio in quel momento il mio naso stava nuovamente colando, così fui costretto a soffiarlo e non potei rispondere alla chiamata.

Poco dopo afferrai l'aggeggio infernale e con gesti goffi riuscii a sbloccare lo schermo e a scoprire che era stato Shavo a telefonarmi. Stavo per richiamarlo, quando il cellulare squillò di nuovo tra le mie mani. Sobbalzai e per poco non lo lasciai cadere, ma riuscii a evitarlo e risposi.

«Daron! Brutto stronzo, tu lo sapevi, eh? Lo sapevi! Perché cazzo non me l'hai detto? Perché cazzo tutti lo sapevano tranne me?» strillò il bassista nel mio orecchio.

Allontanai leggermente l'apparecchio da me e sospirai. «Shavo, datti una calmata, altrimenti riaggancio. Che succede?» esordii, per poi starnutire rumorosamente.

«Non dirmi che devo calmarmi, non dirmelo anche tu! Mi dici perché la mia ragazza non si fida di me e mi tiene nascoste delle cose importanti? Perché le confida a te e a Shelley, mentre io rimango in disparte ignaro di tutto? Me lo spieghi, dannazione?» sbraitò ancora il mio amico.

Fui costretto a raggiungere di corsa il mio SUV e ad appoggiare il cellulare sul cofano. Estrassi un altro fazzoletto e mi soffiai il naso per almeno un minuto, mentre sentivo Shavo strillare attraverso il piccolo altoparlante dell'iPhone.

«Mi ascolti? Fai lo stronzo anche tu?»

«Shavo! Smettila di fare il coglione! Mi stavo soffiando il naso, ho starnutito. Vuoi darti una calmata? Sì, te la dai, perché altrimenti stavolta riaggancio sul serio.»

Sentii il bassista sospirare diverse volte nel tentativo di calmarsi. In sottofondo, udii che qualcuno bussava a una porta e riconobbi la voce di Leah che diceva qualcosa, ma non riuscii a comprendere le sue parole.

«Non ti apro, è inutile che continui a bussare! Lasciami in pace, Leah Moonshift!» Shavo era incazzato nero, come poche volte lo avevo visto in vita mia.

«Senti un po', cerca di ragionare e smettila di fare il coglione. Lei voleva dirtelo, ma capisci che temeva di deluderti? Credi che per lei fosse semplice?» sbottai, frugandomi in tasca in cerca delle chiavi dell'auto. Non appena le trovai, aprii lo sportello e mi misi a sedere sul sedile del guidatore. Lasciai la portiera aperta in modo che la fresca brezza di fine settembre entrasse nell'abitacolo rovente.

«Ma noi stiamo insieme! Come avrei potuto arrabbiarmi per una cosa del genere? Lei non potrebbe mai deludermi, a meno che non mi menta e mi nasconda qualcosa come in questo caso!» strillò Shavo.

«Okay, capisco che ora tu sia incazzato. Ma calmati e ascoltala. Sai benissimo che Leah non è una cattiva persona.»

«Mi ha mentito già in passato! O vogliamo dimenticarci di ciò che è successo allo Skye Sun Hotel?» sbottò ancora il mio amico.

«Anche tu le hai mentito, non le hai detto chi eri. Il fatto che lei lo sapesse già non conta.» Sospirai. «Senti, non rivangare il passato adesso. Leah ha parlato con me una settimana fa, non ti ha tenuto tutto nascosto per un anno! Non farne una tragedia!» sdrammatizzai, sentendo gli occhi bruciare, segno che un altro starnuto era in arrivo.

«Ma avrebbe dovuto dirmelo subito!»

«Sei testardo. Non so cosa dirti. Continua pure a sbraitare allora, io sto per starnut...» Non feci in tempo a finire di pronunciare la frase, che lo starnuto arrivò impetuoso, seguito da altri due. «Maledizione!» biascicai, cercando in fretta un fazzoletto.

«Okay, okay! Grazie per il supporto, vaffanculo!» strillò Shavo, poi interruppe la telefonata.

Tipico di Shavo. Sempre il solito impulsivo. Presto o tardi mi avrebbe richiamato per scusarsi, o mi avrebbe inviato un messaggio strappalacrime.

Lo conoscevo troppo bene.

Cominciai a soffiarmi nuovamente il naso, stanco della mia condizione. Dovevo decisamente andare dal medico e farmi prescrivere qualcosa, altrimenti sarei impazzito.


Trascorsero tre giorni prima che Shavo si facesse sentire.

Io, intanto, avevo cominciato a fare l'aerosol, inalando un sacco di medicinali atti a riequilibrare le mucose e liberare il naso, cose che non avevo minimamente capito ma che in compenso mi stavano aiutando. Era un incubo.

Quando lessi il messaggio di Shavo, sorrisi tra me e me.


Fratello. Sono tornato ieri sera in città. Mi dispiace per l'altro giorno, sono stato un coglione. Avevi ragione tu. Io e Leah abbiamo risolto, ho capito che stavo sbagliando a prendermela così tanto con lei. Cazzo, è che a volte sono così impulsivo! Scusa se ti ho trattato male. Ci vediamo stasera per bere qualcosa?


Non persi tempo a digitare un messaggio, ci avrei impiegato troppo tempo. Lo chiamai e ci accordammo per vederci quella sera.

«Invito un po' di amici, eh?» propose il bassista in tono allegro.

«Certo! Chiama Louis, mi deve raccontare se se l'è spassata a Las Vegas!» suggerii.

«Sicuro! A più tardi!»

Mentre facevo l'aerosol, accesi il computer. Era da una vita che non entravo a dare un'occhiata alle mie pagine social. Non che la cosa mi interessasse più di tanto, ma ogni tanto sapevo di doverlo fare. Ero comunque un personaggio pubblico e avrei dovuto comunicare molto di più con i miei fan, o quantomeno pubblicare qualcosa su facebook giusto per far capire che ero ancora vivo.

Usare il computer con una mano, mentre con l'altra tenevo la forcella infilata nel naso, era un'impresa non da poco, considerato quanto fossi incapace con la tecnologia.

Quando entrai su facebook, notai che avevo dei messaggi non letti. Erano tantissimi, e la maggior parte erano da parte di fan esaltati che volevano parlare con me al telefono, uscire a cena o vedermi con le scuse più disparate. Mi scrivevano in pubblico e in privato, ed era questo uno dei motivi per cui sopportavo a malapena l'idea di usare i social.

Un nome attirò la mia attenzione, incastrato nell'infinita lista dei messaggi: Layla Riggs. Il messaggio era uno degli ultimi ricevuti e io mi affrettai ad aprirlo.

Era stato inviato il giorno del compleanno di Leah, il 26 settembre 2013.


Ciao Daron, sono Layla. So che non sei mio padre e io dovrei dimenticarti, ma non posso. Mi trovo bene con te, mi è piaciuto andare in quel locale armeno. Mi sono sentita ben accetta, a mio agio. Non mi interessa se mamma è contraria. Io vorrei esserti amica, vorrei che rimanessimo in contatto. Io ti vedo come una specie di padre, anche se so che non lo sei affatto! Oh, sapessi il casino che ha fatto mamma quando ha scoperto che sono riuscita a fare il test! Sono molto arrabbiata con lei, mi ha mentito e voleva farmi credere qualcosa che non era! Okay, scusa per lo sfogo... volevo solo dirti che vorrei incontrarti ancora, se per te va bene. Be', Daron, se ti va ci vediamo mercoledì prossimo, per pranzo. In quel locale vicino a Sunset Boulevard. Se verrai, sarò molto felice. A presto!


Spensi l'aerosol e mi abbandonai con la schiena contro lo schienale della sedia. Probabilmente Layla avrebbe saputo che io avevo letto il suo messaggio, che lo avevo visualizzato.

Rimasi a fissarlo, rendendomi conto che era lunedì. Avevo ancora un po' di tempo per pensarci.

Per il momento volevo solo godermi la serata con i miei amici, spegnere il cervello e smettere di pensare a qualunque cosa.

Volevo soltanto stare in pace, senza problemi, senza preoccupazioni.

Mercoledì non era poi così vicino.




Cari lettori, eccoci qui con un altro capitolo!

Vi annuncio che non manca molto alla fine della storia, ahimè, e questo è molto triste da accettare anche per me.

Ma vi annuncio che sto già lavorando a un'altra idea nella categoria dei System, un'altra long un po' particolare, su cui però non vi do nessuna anticipazione ;)

Aspettate e vedrete, ma state tranquilli: prima concluderò questa, poi mi concentrerò completamente sull'altra ^^

Sono qui principalmente per lasciarvi il link di Lady Writer dei Dire Straits, la canzone che Daron stava suonando all'inizio del capitolo. Ecco a voi:

https://www.youtube.com/watch?v=-QMBELh1zyo

Be', aspetto come sempre il vostro parere su ciò che ho scritto, quindi ci sentiamo nelle recensioni :3

Grazie ancora a tutti voi, e alla prossima ♥

  
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