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Autore: HatoKosui    09/06/2018    1 recensioni
Nishiyoshi Mayori è una studentessa dello Yosen. Dalla fervida immaginazione e dal carattere diretto e diffidente, se ne sta sempre sulle sue, fa poca attenzione al mondo che la circonda ed ancora di meno ai ragazzi che le parlano. A malapena ricorda i loro nomi.
O almeno questo accadeva prima di conoscere Kise Ryouta. Travolta dal modello durante un viaggio in bus si ritrova a dover resistere ai suoi corteggiamenti... e come se non bastasse, sembra che la coach del club di basket della sua scuola la voglia in squadra ad ogni costo come manager.
Mayori è una ragazza semplice.
O almeno credeva di esserlo prima di innamorarsi di... di chi, esattamente?
Genere: Erotico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Murasakibara, Nuovo personaggio, Ryouta Kise, Tatsuya Himuro
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 19: Pietre

 

 

-Io ti conosco da tanto, ma sei tu che non conosci me.

-Perdonami, ma non ti seguo.

Hashi è una persona molto carina, sia d’aspetto che di modi, ma in questo momento avverto la sua presa sulla mia mano e non riesco proprio a ricordare quando me l’ha afferrata. La fisso, ma lei sorride al nulla, verso il pavimento.

-Scusa se sta venendo fuori così, avrei dovuto dirlo prima che Hibiki avesse quell’incidente.

Il mio cuore si ferma.

-Tu conosci Hibiki?!

Lei mi accarezza la mano, dolcemente e mi confonde, perché non riesco a capire davvero che cosa ci sia che non va, i suoi gesti sono pacati e tranquilli.

-Te l’ho già detto, conosco un bel po' di cose e se devo essere sincera sono anche un po' delusa… mi aspettavo che a questo punto tu mi riconoscessi…

Lei mi sorride ancora di più, io mi sento così confusa che non riesco a dire nulla. La guardo bene, le fisso i lineamenti, la sua mano nella mia, la voce che mi entra nelle orecchie… guardo quella mano.

Porta un bracciale, di ferro, che le si intravede dalla manica.

Aggrotto le sopracciglia e lei, di scatto, tira su quella manica.

-Mayori, sei davvero sbadata, a volte.

La luce si riflette su quelle pietre e quasi mi acceca, ma sappiamo entrambe che non è davvero così forte. Io l’avverto così perché mi ricordo quelle fottute pietre, quanto avrei voluto averle al polso.

 

-Allora, questo è per te!

-Cosa? Che diavolo è?

-Aprilo.

Aika mi fece aprire quel pacchetto mentre mi guardava in modo inquietante negli occhi. Era così assorta dal guardarmi che i miei gesti erano meccanici e sconnessi. Feci uscire fuori dal pacchetto quella cavigliera che mi aveva regalato. La guardai per un secondo e subito non provai delusione. Non era molto bella.

-Oh… è un bracciale?

-Una cavigliera -Disse pacata lei, mentre sorrideva nell’osservarmi -So che non ti piace, ma credo che sia la cosa più giusta per te!

Mi ricordo che la guardai molto male, sentivo anche il sopracciglio tremare.

-Tu sei senza speranza. Non si regala ad una persona una cosa che sai che non piacerà!

Lei fece ondeggiare i capelli e chiuse gli occhi mentre scuoteva la testa.

-È la pietra più adatta a te.

Feci roteare gli occhi e mi misi a sedere sul suo letto.

-Avrei preferito una cosa più appariscente, te lo devo confessare…

Mentre lei sghignazzava i miei occhi caddero sul suo comodino, a pochi centimetri dal letto. Era un vero disastro, c’erano fogli sparsi anche a terra, con scritte, post it, evidenziatori senza tappo, fili di rame, pietre di ogni genenre e qualche sasso. Confusa mi avvicinai e lei si sedette per terra accanto a me.

-Quale ti piace di quelle che vedi?

-Questa, senza dubbio.

Ne presi una tra le dita, era un cristallo di dubbia forma, incastonato ancora nella roccia, che però aveva molte sfumature anche se rimaneva così affascinatane da brillare ai miei occhi.

-Ovvio.

Io la fissai, posando la pietra al suo posto.

-Insomma, perché è ovvio? Io devo prendermi questa cosa senza senso e tua cugina si becca quella specie di diamante grezzo?

Lei sorrise, ma i suoi occhi mi guardarono in modo diverso. C'era qualcosa che non mi stava dicendo, c’era qualcosa che ometteva perché infondo non voleva parlare, come sempre.

-Quella cavigliera l’ho fatta io, le pietre sono di Riolite, ne hai mai sentito parlare?

Scossi la testa.

-Io di solito dormo, non cerco pietre come fanno i nani.

Lei ignorò la cattiveria prima detta verso i nani e continuò.

-Nella cristallo-terapia, una pratica che cura il corpo grazie al potere delle pietre e quindi della Terra, la riolite viene utilizzata per migliorare la memoria, favorire la difesa dalle falsità e… per accettare la realtà, aiutandoci ad esserne sempre più consapevoli.

Incrociai le braccia al petto.

-E perché servirebbe una cosa del genere a me? Io sto benissimo.

-Non potrai esserlo per sempre…

-Me la stai tirando? Guarda, brutta pessimista, che io i miei problemi li affronto. Solo ad una cosa non c’è rimedio: la morte!

I suoi occhi mi fissarono freddi, sul suo volto per qualche minuto non comparve più nulla e nella stanza cadde un silenzio profondo da un momento all’altro. Sentì il peso di quello che avevo detto, ma non capì perché.

-Giusto…?

Chiesi, e subito allora lei sorrise poco, alzandosi dalla sua postazione.

-Giusto. Fai come preferisci, indossala se vuoi, altrimenti tienila con te, funzionerà lo stesso nel tuo caso. - Si allontanò verso la porta -Vado a prenderti da mangiare!

Io annuì e lei scomparve. Il silenzio mi stava inghiottendo e come se ci fosse un piccolo spiffero d’aria, un rumore flebile mi fece girare verso quelle pietre, sparse ovunque. Non ci trovai nulla di normale, solo molto strano, quell’ordine che sembrava casuale. E in mezzo a quello strano caos c’era proprio quella pietra che brillava, ancora grezza.

 

 

Ora era al suo braccio, proprio incastonata tra quei fili di ferro che non esaltavano tanta bellezza. Ancora quella sensazione inquietante mi avvolge.

-Sei la cugina di Aika.

Dico, piano, guardandole il polso, che lei sapientemente copre di scatto, costringendomi a guardarla.

-Yes – Sorride, come al solito -Strana la vita eh? Chi avrebbe pensato che ci saremmo rincontrate per colpa di Murasakibara!

Io la guardo seria, per la prima volta.

-Perché non ti sei presentata prima?

Lei si stiracchia un po', poi mi rivolge i suoi occhi dolci, che sono così inappropriati da confondermi. Assomiglia leggermente a Himuro.

-Mmh, non lo so… forse temevo che qualcosa andasse storto.

Questa frase conclude la nostra chiacchierata, perché sento in lontananza il suono della campanella.

-Andiamo.

Come un robot mi muovo e mi sistemo, mi sembra di essere impazzita. Ho così tanta confusione nella testa che non riesco a dire nulla, mi sento lo stomaco sottosopra e c’è una sola cosa che vorrei: tornare a casa e rivedere Kise.

 

°°°°

 

 

Quando Kise mi risponde al telefono mi rimangio le parole che ho scritto.

Sono ancora a Akita, ti raggiungo al nostro bar”

Leggo almeno duemila volte il messaggio. Non so come mi sia venuto in mente di chiedergli di vederci, specie dopo quello che è successo, ma l’ho fatto. E sono tornata da solo cinque minuti a casa, ma non potevo farlo venire qui, no, non dopo quella figuraccia. Riprendo immediatamente lo zaino e lo carico in spalla, mi avvio verso la porta della camera ma ora qualcosa mi blocca. Mi giro, guardo quel cassetto. Mi sembra logico pensarci, ora. Mi avvicino tornando indietro e lo apro, sotto a quei fogli lo scorgo subito. Un sacchetto di pelle nera, chiuso a malapena con un elastico. Tiro fuori la cavigliera e al solo prenderla in mano mi sento rabbrividire.

-Avresti potuto dirli, i tuoi sentimenti, invece di fare cose inquietanti come questa.

Dico ad alta voce, ma sento i passi di mio fratello avvicinarsi e così d’istinto arrotolo la cavigliera in mano e me la ficco in tasca, correndo fuori dalla mia stanza.

-Ehi, dove vai? Sei appena torna-

-Fatti gli affari tuoi.

Lo sorpasso velocissima giù per le scale, rischiando anche di cadere, ma tenendomi al corrimano. Lui si affaccia proprio mentre io sto per mettermi le scarpe.

-Esci con quel tipo?

Io arrossisco un po', perché non voglio assolutamente parlarne con mio fratello e mi allaccio le scarpe alla massima velocità.

-Sta zitto…

Gli dico ed apro la porta.

-Mi raccomando, diglielo di essere gentile con te!

Sbatto la porta alle mie spalle e arrossisco violentemente. “CRETINO”

Penso, per poi correre via, verso la fermata dal bus.

Una volta salita, mi siedo subito, ringraziando il cielo di non averlo perso. Mi calmo, sento il cuore riprendere a battere meglio di prima e allora poggio la testa sul sedile.

“Che palle, sono diventata proprio strana… non c’è un minimo di senso in quel che faccio. Perché sto cambiando così?”

Penso, mi sento quasi come se fossi fuori da me. Oppure troppo dentro di me.

Infilo la mano in tasca e tiro fuori quell’orrenda cavigliera verde scuro. Le pietre sono piccole, ma lisce, i fili sono belli e lavorati e di tenerla in mano proprio non mi va. La rigiro due o tre volte, poi decido: la lego alla caviglia destra.

Mi va bene e in poco tempo me ne dimentico.

Scendo dopo trenta minuti proprio alla fermata del bar, quella dove conobbi Kise la prima volta. Mi sembra così lontana nel tempo da farmi paura.

Però le sue braccia calde me le ricordo bene.

Arrossendo, come al solito, scuoto la testa e avanzo. Senza che io entri, lo vedo in piedi davanti alla porta del bar, vestito con una tuta azzurra, il giacchetto della sua scuola ed un borsone sportivo.

Mi avvicino e lui mi trova subito con lo sguardo, ma non sembra propriamente felice di vedermi e la cosa mi mette ansia.

-Kise…

-Nishiyoshicchi

Io lo guardo bene, tutto quell’azzurro lo fa risplendere di luce propria ed è di una bellezza mozzafiato, letteralmente. Ma il suo volto è così serio.

-Sei in tuta…

-Non potevo saltare le lezioni, così ho preso parte ad una gira sportiva con quelli della mia scuola in un paese qua vicino.

Io annuisco, ma ogni volta che lo guardo negli occhi sembra come se lui si allontanasse e allora anche io mi metto a guardare altrove, e inizia questo strano gioco.

-V...vogliamo entrare?

Dico e mi faccio schifo per aver balbettato, tanto che strabuzzo gli occhi da sola, al vuoto, come i pazzi. Lui non mi guarda, credo, ma annuisce ed entra nel locale. Il cameriere è diverso, così ci tratta come due estranei e ci fa accomodare in un tavolino poco lontano dalla porta. Kise è freddo. In qualche modo, lo sento. Si siede senza guardarmi, non fa caso a ciò che sto facendo io, non mi chiede nulla, non parla e si punta subito sul menù, con sguardo quasi annoiato.

Mi sento morire.

“Cosa faccio? Cosa dovrei fare? Questo è il peggio...”

Mi schiarisco la voce ed apro il menù.

-Mi dispiace di averti fatto perdere tempo…

Provo a dire, ma lui non mi guarda ancora.

-Mh, mh.

Io lo fisso da dietro il mio menù. “Mh-mh, che cosa vorrebbe dire?!”

-Anche ieri hai saltato le lezioni?

Lui gira pagina.

-Siamo partiti ieri mattina, ce ne andremo via domani sera.

-Capisco.

Dopo pochissimi attimi il cameriere si avvicina e ci sorride affabile.

-Posso?

Entrambi annuiamo verso di lui e poi riportiamo il nostro sguardo sul menù.

-Cosa prendi?

Chiedo, perché non ho minimamente letto un singolo kaji e sono confusa.

-Penso che prenderò un succo di frutta.

Io lo guardo subito, mentre il cameriere scrive sul taccuino.

-Un succo?

-Si, un succo.

Non mi degna neanche di uno sguardo, anzi gira senza motivo le pagine con nonchalance.

-Io prendo una cioccolata calda, semplice.

Sento un piccolo sbuffo da parte sua e poi sussurra:

-Certo.

Il cameriere anche l’ha sentito, così gli rivolge uno sguardo, poi mi sorride e riprende il mio menù. Io annuisco e lui si defila subito, senza dire nulla. Mi sento davvero senza fiato.

-Scusa, cosa c’è che non va?

Kise mette giù il menù e si posa con i gomiti sul tavolo, guardando la tovaglia.

-Nulla, cosa vuoi che ci sia. Piuttosto, tu cos’hai?

Io piego la testa di lato, mentre le mie mani si stringono l’una con l’altra sotto al tavolo.

-Mi hai chiamato tu, no? Cosa vuoi dirmi?

-Io… - Lo guardo bene e poi mi sento morire le parole in bocca. -Non mi sembri ben predisposto al dialogo oggi, è meglio se lasciamo stare!

Finalmente lui mi guarda, aggrottando le sopracciglia di scatto. Io svago guardando il pavimento poco lontano.

-Non è vero! Sei tu che ci stai girando intorno come al solito, non è carino…

I miei occhi sono quasi attratti dalle sue parole, così si scontrano con il suo sguardo ferito.

-Di che cosa stai parlando?

-Almeno avresti potuto cambiare posto…

-Guarda che l’hai proposto tu, questo bar!

-Potevi dirlo che non ti andava!

Non mi rendo conto di quanto la questione abbia preso una brutta piega, perché sono in fiamme, sento anche il mio volto bruciare per l’ansia ed il nervoso. Non mi piace litigare, ma stranamente con Kise la sensazione è di totale mancanza di ossigeno.

-Mi andava di parlare con te, che cosa dici!

Lui si tira indietro, si posa allo schienale e affila lo sguardo.

-Ah, di cosa vogliamo parlare allora?

Io mi faccio avanti, assottiglio gli occhi. Sta facendo finta di venirmi incontro e la cosa mi rende quasi delusa, perché volevo parlargli di Aika, di me e di lui. Mi ha baciata, santo cielo. Come posso aprirmi se lo sento tutto d’un tratto così distante?

-Sei… Santo Cielo, come pretendi che io posso parlare così, io… -Abbasso il volto e mi scosto i capelli dalla fronte, riprendendo fiato per qualche secondo -Lasciamo stare, vado un attimo in bagno.

Mi alzo di scatto e scappo via verso il bagno, senza girarmi.

 

°°°

L’acqua mi fa sentire freddo perché il mio volto è incandescente. Fisso il lavandino bianco, accanto a me c’è una ragazza che si sta ritoccando il trucco. È bella, con una chiome lunga e nera, mentre io sono disordinata come al solito ed ora ho anche una faccia smorta. Lei non sembra curarsi di me.

“Maledizione...” I miei occhi bruciano, ma ricaccio indietro le lacrime. Ultimamente mi sto rammollendo troppo “Devo trovare qualcosa per rimediare alla situazione…” Fisso ancora l’acqua che scorre. La ragazza mette a posto qualcosa, poi la sento avvicinarsi e quindi mi giro.

Mi guarda e si piega un po' di lato. E’ più alta di me, ha un seno prosperoso, ma dalla divisa scolastica direi che frequenta ancora le medie.

Mi metto dritta.

-Ti serve qualcosa?

Mi dice, e devo dire che mi anticipa, perché glielo stavo per chiedere io. Così rimango per qualche secondo a bocca aperta, poi mi do un contegno.

-No, grazie.

“Ma che dico?”

-Scusa, lo so che posso sembrarti inopportuna, ma ho visto che sei accompagnata da Kise Ryota, il modello…

Io annuisco. “Lo conoscono davvero in tante, è così bello dopotutto”

-Vuoi un autografo?

-No, mi domandavo se foste fidanzati.

Io rabbrividisco. Si, quello che mi scuote è un brivido di freddo, gelido, che mi ferma sul posto.

-No, noi…

Lei sorride cambiando espressione e i suoi occhi truccati da quella matita leggera ma sensuale sembrano quasi prendermi in giro.

-Grazie al cielo, allora buona fortuna per qualsiasi cosa tu stia facendo!

Mi accarezza veloce una spalla mentre mi sorpassa e la sento sghignazzare tirando fuori il telefono.

-Finalmente ho l’occasione!

E si chiude alle spalle la porta. Io mi giro dopo qualche secondo o minuto, non so.

C’è una strana sensazione mi blocca le gambe, lo stomaco, gli occhi mi pizzicano.

Era da tempo che non stavo così male.

E ora mi è tutto chiaro.

“Ho paura” Mi dice una vocina nella testa che non sembro neanche io “Sto male”

Continua. “Sono gelosa”.

E ancora mi rimbomba, costringendo il mio corpo ad appoggiarsi al lavabo.

“Non posso reggere il confronto”

Finalmente la riconosco. Questa parte di me, che era stata incatenata lì, vicino alle mie emozioni più genuine, sta venendo fuori. Mi gira la testa.

Quando giocavo a basket mi capitava molto spesso. Specie in quel periodo, quello dopo la perdita di Aika. In quel periodo ho deciso che non doveva venire fuori.

E allora cos’è, ora?

Devo fare qualcosa, mi devo liberare di questa ansia, devo dirlo a Kise, che cosa c’è che non va.

 

Mi precipito fuori dal bagno, correndo, ma quando arrivo al tavolino non c’è nessuno. Mi sento quasi confusa. Mi giro, il locale è semi vuoto, nelle facce che vedo nessuna mi è famigliare, neanche quella della ragazza delle medie.

Non c’è nessuno. Mi avvicino al bancone ed il barista mi sorride.

-Mi dica.

-Si, scusi, ma… il ragazzo biondo, che era al tavolo con me è uscito per caso?

Il cameriere alza gli occhi verso il tavolo che sto indicando, ma il suo sorriso scompare.

-Si, è uscito poco fa…

“Sarà uscito per prendere un po' d’aria”

-Ma ha pagato il conto?

-No, nessuno ha pagato.

-Senta, non importa, lasci stare l’ordinazione per ora…

Il cameriere annuisce, serio. Io sorrido e mi dirigo verso la porta, prendendo il mio zaino come se fosse carta straccia.

Apro la porta a vetro, sono convinta che sia qui fuori, sono sicura che ci sia.

Il marciapiede mi accoglie solitario.

Mi giro intorno.

Mi ha abbandonata.

 

  
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