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Autore: heliodor    24/06/2018    4 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Fuga dal santuario
 
Finirà così, si disse Joyce mentre attendeva che l'oscurità l'avvolgesse.
Dopo il crollo e la tremenda esplosione, non aveva sentito altro se non il suo respiro regolare. Non era spaventata.
Quando aveva deciso di scendere nel santuario per attendere Rancey non aveva paura. Nemmeno quando aveva combattuto contro lo stregone aveva avuto paura.
Si alzò su gambe malferme, la vista ancora annebbiata. Un dolore pulsante le lacerava la testa e un altro, meno intenso, la spalla dove il morso degli artigli dell'aquila l'avevano ferita.
Le faceva anche male il fianco sinistro e la schiena.
"Sono a pezzi" disse ad alta voce e solo l'eco le rispose.
Era in una grotta, sotto chissà quanti metri di roccia e detriti.
Quante speranze c'erano che la salvassero?
Poche. Gli alfar dovevano essersi convinti che era morta nel crollo e che fosse inutile scavare. O forse Leyra e gli altri erano morti tutti e Gajza ed Eryen avevano deciso di lasciarla lì.
Non importava.
Niente era importante.
Rancey era morto. Non per mano sua, ma aveva raggiunto lo scopo.
Quello importava. Solo quello. Ora poteva anche stendersi e riposare in attesa che la morte giungesse.
Non aveva piazzato un richiamo fuori dal santuario, nella fretta non ci aveva pensato. E anche se lo avesse fatto, se doveva credere a Khadjag, non avrebbe funzionato.
La sua sorte era decisa fin dall'inizio.
Peccato, pensò. Avrei voluto rivedere per un'ultima volta Bryce. E Oren. E sua madre e Valonde e Vyncent e persino suo fratello Roge.
Chissà che fine aveva fatto?
Settimane prima, mentre vagava nel deserto, era sicura di morire ma aveva lottato e alla fine era stata salvata da Alil e sua zia.
Mythey l'aveva salvata da Fennir.
Oren si era buttato in acqua mentre rischiava di annegare.
Vyncent l'aveva protetta la sera del ballo e nelle viscere di Valonde, quando Persym li aveva attaccati.
Robern l'aveva aiutata quando Rancey la stava inseguendo.
Nessuno sarebbe corso a salvarla stavolta.
Era davvero sola con se stessa e poteva pensare a ciò che aveva fatto. Forse quella era una punizione, ma non riusciva a crederlo davvero.
Tutte le volte che era stata sul punto di morire, aveva lottato per ribaltare la sua sorte. Non si era arresa, anche quando l'ostacolo sembrava insormontabile.
Poteva voler dire poco, ma forse la volontà poteva aiutarla anche quella volta.
Si guardò attorno e vide rocce grigie e compatte che la circondavano. Non restava molto del santuario e il poco che c'era non poteva esserle d'aiuto.
Se voleva salvarsi, doveva contare solo sulle sue forze.
A Mar Qwara aveva abbattuto la roccia con la forza del gigante di Zanihf, ma lì non aveva niente del genere.
I dardi e il raggio magico non potevano aprirle una via nella pietra compatta e la levitazione non poteva portarla via da lì.
Si frugò nelle tasche e trovò l'oggetto a forma di uovo che Jhazar le aveva dato.
Che cosa aveva detto prima di morire?
Ti riporterà a casa o qualcosa del genere.
Lo esaminò. Aveva davvero la forma di un uovo e sembrava pesare altrettanto. Lo agitò vicino all'orecchio ma non udì nessun rumore.
Che cosa poteva contenere?
Non ne aveva idea.
Esaminò con cura la superficie liscia e perfetta dell'uovo, ma non trovò alcun segno particolare. Sembrava vetro ma era ruvida e porosa al tatto.
Cercò una fessura sulla quale far leva per aprirlo, ma l'uovo appariva solido, come se fosse fatto di un solo pezzo.
Esasperata, lo gettò via con forza.
L'uovo descrisse una breve parabola e si infranse sulle rocce, finendo in mille pezzi. L'esplosione risuonò come un piccolo tuono e Joyce d'istinto si gettò a terra, temendo un nuovo crollo della grotta.
Quando rialzò la testa, vide un tenue chiarore risplendere nel punto dove aveva lanciato l'uovo. Un cerchio di luce si era disegnato dove l'oggetto era finito in mille pezzi.
Lo riconobbe subito. Era un portale.
Rancey aveva usato un oggetto simile per aprirne uno a Valonde prima di spingerla dentro. Quando era finita dall'atra parte, aveva scoperto di trovarsi in mezzo al deserto di Mar Qwara.
Somigliava ai portali che Robern apriva per trasportarla in giro.
A Vanoria, Wena e Roge avevano parlato di incantesimi sigillati. Era uno di quelli? Qualcuno aveva sigillato un portale in quell'uovo?
Non ne aveva idea, ma sapeva che i sigilli erano fuorilegge.
Magia proibita, avrebbe detto suo padre se fosse stato lì.
Proibita o no, si disse Joyce, è l'unica via che ho per uscire da qui.
Era inutile aspettare i soccorsi che potevano non arrivare mai e non aveva idea di quanto tempo il portale sarebbe restato in quel punto.
Tutto quello che le veniva in mente era di saltarci dentro e scoprire dove l'avrebbe portata.
Questo aumentava i suoi timori. Non aveva piacevoli esperienze nell'uso dei portali e usarne uno, come le aveva spiegato Robern, voleva dire sacrificare giorni, forse settimane, senza sapere che cosa sarebbe accaduto nel mondo nel frattempo.
E senza sapere dove stesse andando.
Poteva ritrovarsi in mezzo a una battaglia, tra animali feroci, in un luogo pericoloso come il deserto di Mar Qwara o tra le mani di Malag.
Poi le venne in mente che era stato Jhazar a darle quell'oggetto. Di sicuro si era accertato che non lo conducesse verso un pericolo.
Chissà perché ne aveva uno addosso. E come lo aveva ottenuto?
Forse gli serviva per sparire in fretta e senza lasciare tracce?
Non aveva la risposta a quelle domande, ma era certa che saltando nel portale si sarebbe avvicinata alla verità, in un modo o nell'altro.
Senza che ce ne fosse davvero bisogno, inspirò dell'aria e la trattenne prima di entrare nel circolo magico.
La luce l'avvolse e provò la sensazione di cadere come le altre volte. La grotta sparì e per un attimo venne sostituita dall'oscurità più assoluta.
Un istante dopo, iniziò a prendere forma un'immagine vaga e confusa.
Dalle tenebre vide apparire un edificio di legno che si ergeva proprio davanti a lei. Mano a mano che prendeva forma notò alcuni articolari che la lasciarono perplessa. Le finestre erano aperte e i vetri in frantumi. Inoltre la parte superiore era annerita e ridotta a un mozzicone fumante.
Ci fu un ultimo sprazzo di luce che poi sparì insieme alla sensazione di cadere. Questa volta era stato un viaggio comodo e senza sorprese.
Guardò in basso, dove i suoi piedi affondavano nell'erba. Il portale era scomparso e di esso non vi era più traccia.
Si accorse solo allora che aveva trattenuto il fiato fino a quel momento. Inspirò una boccata d'aria e subito si tappò la bocca.
C'era un odore tremendo di carne bruciata e andata a male. Voltandosi, vide la carcassa in putrefazione di un cavallo.
Qualcosa si agitava nel ventre squarciato, ma non osò avvicinarsi per guardare.
Una volta, quando erano piccole, lei e sua sorella stavano giovando nei giardini del palazzo di Valonde quando avevano trovato il cadavere di un uccello.
Non era morto da molto tempo ma nonostante ciò i vermi avevano già aggredito ciò che restava della povera creatura.
Quel giorno erano scappate via impaurite da quello spettacolo. Quando suo padre l'aveva saputo, aveva ordinato ai valletti di ispezionare i giardini ogni giorno alla ricerca di altri animali morti.
Da allora non le era più capitato e aveva dimenticato quell'episodio... fino a quel momento.
L'edificio davanti al quale i portale l'aveva portata era più interessante. E non era il solo.
Lungo una strada polverosa sorgevano diverse abitazioni, quasi tutte di legno e qualcuna di mattoni.
Porte e finestre erano spalancate e non c'era traccia degli abitanti. Sembrava che tutti fossero usciti con una gran fretta per andarsene chissà dove.
Il buon senso le suggeriva di andare via di lì. Qualunque cosa avesse costretto gli abitanti a fuggire così in fretta poteva essere pericolosa. E forse si trovava ancora lì in giro.
Camminò fino all'ingresso dell'edificio bruciato. Sopra la sua testa era sopravvissuta un'insegna scalcinata.
"Al Giglio Dorato" lesse a bassa voce.
Quando entrò, vide i tavoli sparsi in giro e le sedie rovesciate. Sul bancone c'erano dei bicchieri e sul pavimento numerosi cocci che una volta dovevano essere brocche e piatti.
Diede un'occhiata in giro cercando di fare meno rumore possibile. L'edifico era deserto e non sembrava esserci cibo né acqua.
C'era una scala che portava al piano superiore, ma quando vide che da lì era partito l'incendio, rinunciò a salire. Non voleva correre il rischio di cadere giù o restare seppellita da un crollo improvviso della struttura.
Stava per uscire quando udì le voci provenire dalla strada.
D'istinto si nascose dietro un tavolo. Chiunque fosse, non voleva incontrarlo. Non lì. Non ora che si sentiva così debole dopo lo scontro con Rancey e tutto quello che era accaduta al santuario.
Aveva bisogno di dormire e riposare. E poi mangiare e bere. E di abiti puliti e nuovi, non quegli stracci sbrindellati che ora indossava. E un bagno. Quanto le sarebbe piaciuto farne uno.
Sussultò.
Mi stavo per addormentare, pensò sgomenta. Sono così stanca?
Doveva trovare un posto sicuro, ma ora che le voci erano più vicine non osava muoversi. Un solo passo falso e avrebbe messo in allarme chiunque si trovasse in strada.
"Quello che non capisco" stava dicendo una voce in tono lamentoso. "È perché dobbiamo occuparcene noi."
"Gli ordini sono ordini, Stal" rispose l'altro. "O vuoi che lord Gyliam ci punisca? Quello non ci mette niente a farci a pezzi con un incantesimo. Non lo chiamano Gyliam lo spietato per caso."
"È davvero così tremendo?"
"Da dove vieni?"
"Lagduf" rispose l'altro.
Ci fu una risata.
"Che hai da ridere?" chiese Stal con tono risentito.
"Niente" rispose l'altro. "Ma se vieni da Lagduf, vuol dire che non eri con noi quando lord Gyliam ha guidato l'assalto alla fortezza di Nyamene."
"No che non ero con voi."
"Allora non sai che tutti dicevano che era impossibile. Quando arrivò lord Gyliam, lui prese il comando e ci guidò all'attacco. Fu un giorno glorioso."
"Tu c'eri?"
"Mi trovavo nelle riserve, ma partecipai, sì."
"E hai saccheggiato la fortezza?"
"Lord Gyliam ce lo impedì. Fece riunire tutti i difensori nel cortile e fece loro un discorso. Disse a quelli che volevano unirsi a lui di mettersi a destra, mentre quelli che non avevano intenzione di sostenere la causa a sinistra."
"E poi?"
"Attese che tutti scegliessero il proprio posto, quindi ordinò ai soldati di passare per le armi quelli che erano andati a destra, mentre concesse di lasciare la fortezza a quelli che erano andati a sinistra."
"Ti stai inventando tutto" disse Stal. "Nessuno sarebbe così folle da uccidere degli alleati."
"È andata così, ti dico." Fece una pausa. "Il tempio è quello?"
"Credo di sì."
"Allora siamo arrivati. I prigionieri sono lì dentro."
"Vedo i soldati di guardia. Chissà se si aspettano il cambio."
"Sono due giorni che aspettano. Andiamo, non facciamoli attendere oltre."
Le voci si allontanarono e lei non poté sentire il resto.
Fece per alzarsi ma una mano calò sulla sua spalla e la costrinse a sedersi di nuovo. Colta di sorpresa, annaspò per un istante in preda al panico.
La mano apparteneva a un uomo gigantesco, con una lunga barba sale e pepe che gli arrivava al petto. "Sta ferma e zitta se non vuoi che quelli lì vengano a tagliarci la gola" le disse con voce profonda. "Annuisci se hai capito."
Joyce annuì.
L'uomo si sporse oltre il tavolo e poi si accucciò di nuovo. "Sono andati via, ma a volte ci sono due pattuglie una dietro l'altra. Hai presente? Tu credi di averla scampata e lasci il tuo riparo sicuro e ti ritrovi nei guai. Quel bastardo di Gyliam le studia tutte per stanarci."
Un'ombra si avvicinò silenziosa con movimenti fluidi. Solo allora Joyce notò che il nuovo venuto indossava un completo nero, con un cappuccio che gli nascondeva il viso.
"Si può sapere che accidenti stai facendo, Lem?" chiese il nuovo venuto. "E chi è quella?"
Lem, che doveva essere il tizio barbuto, fece spallucce. "E io che ne so? Me la sono ritrovata tra i piedi e ho dovuto improvvisare."
"Non dovevi farti vedere" disse Cappuccio Nero, come Joyce aveva deciso di chiamarlo. "E ora occupati di lei."
"E che dovrei farne?"
"Uccidila e falla sparire" disse Cappuccio Nero.
Joyce sentì il panico aumentare.
Lem sospirò. "Belia, io non ammazzerò questa ragazza."
Cappuccio Nero scosse la testa. Con un gesto veloce abbasso il cappuccio, rivelando il viso di una donna sui trent'anni dai capelli tagliati cortissimi. "È per questo che non sarai mai capace di salire di grado."
"Uccidendo una ragazza innocente?"
"Chi ti dice che è innocente?" chiese Belia. "Magari lavora per Gyliam. O il Serpente Grigio. Sarebbe nel suo stile."
Lem si rivolse a Joyce. "Lavori per lord Gyliam o il Serpente grigio?" le chiese.
Joyce scosse la testa. "È la prima volta che li sento nominare."
"Visto?" fece Belia con tono esasperato. "Sta mentendo. Tutti sanno chi sono quei due."
"Dico la verità" disse Joyce. "Non so chi siamo."
"Secondo me non sta mentendo" fece Lem. "Mi sembra sincera. Voglio dire, se lavorasse per Gyliam si sarebbe inventata una scusa migliore, non trovi?"
"Forse vuole sembrare stupida apposta" disse Belia.
Joyce stava per dirle che non era affatto stupida, quando una terza figura si avvicinò. Anche questa indossava un completo nero, ma a differenza di Belia non nascondeva il suo viso.
E a Joyce bastò guardarlo per un istante per capirne il motivo.
Il nuovo arrivato era un ragazzo sui vent'anni, alto e slanciato. Sotto i vestiti si intravedevano muscoli scattanti. Il viso dai tratti regolari e la mascella volitiva erano incorniciati da lunghi capelli color del grano. Un naso perfetto separava due occhi di un verde intenso come quello degli smeraldi.
"Che succede qui?" chiese con voce baritonale. Con un gesto agile si portò vicino a Joyce.
Persino il suo odore sa di buono, si disse Joyce.
"E tu chi saresti?" le chiese il nuovo arrivato.
Joyce si limitò a fissare i suoi occhi verdi.
"Ti ha fatto una domanda" fece Belia.
Ciò bastò a Joyce per scuotersi. "Sibyl. Mi chiamo Sibyl."
"Io sono Marq" disse il ragazzo. "Che cosa ci fai qui? Perché sei venuta a Vallif?"
Bella domanda, pensò Joyce. "Credo di essermi persa."
Belia rise. "Ottima scusa. Io credo invece che tu sia una spia."
"A me non sembra una spia" disse Lem.
"Tu non ti accorgeresti di una spia nemmeno se la vedessi" disse Belia.
Lem le rivolse un'occhiata di sbieco.
Marq le fece cenno di tacere. "Lei è Belia e l'omaccione grosso è Lem."
Joyce si limitò ad annuire.
"Siamo qui per salvare un nostro amico e riportarlo a Theroda. Lo sai dov'è?"
Joyce scosse la testa.
"Lo vedi? Sta mentendo" disse Belia. "Chiunque saprebbe dov'è Theroda."
"Mi sono persa" ripeté Joyce sperando che quello bastasse a rendere credibile la sua storia.
Marq annuì. "Secondo me sei solo stordita. Ne ho viste tante di persone come te. La guerra può avere uno strano effetto e non tutti reagiscono allo stesso modo. Molti preferiscono ignorare l'orrore e continuare la loro vita come se niente fosse."
"Smettila con queste sciocchezze" disse Belia esasperata. "Tim non ha più molto tempo. Gyliam ha ordinato di giustiziarli al tramonto se non confesseranno."
Marq guardò fuori. "Abbiamo ancora due ore di luce. C'è tutto il tempo che ci serve. Procediamo come stabilito."
"E con lei come la mettiamo?" chiese Belia.
"La lasciamo qui" disse Marq.
"Certo" fece Belia. "Così non appena usciamo di qui, questa va ad avvertire i soldati di Gyliam."
"Non lo farai, vero Sibyl?" fece Marq fissandola negli occhi.
Occhi nei quali si sarebbe potuta perdere se...
Marq distolse lo sguardo e lei riprese a pensare con coerenza. "Io credo che possiamo fidarci a lasciarla qui."
"No che non possiamo" protestò Belia. "Uccidiamola prima che ci metta nei guai."
"Io non la uccido" disse Lem incrociando le braccia sull'enorme petto.
Belia estrasse un corto pugnale. "Allora lo farò io."
Marq agitò le mani nell'aria evocando una corda magica che avvolse il braccio di Belia.
"Smettila" disse la donna agitandosi. "Non è affatto piacevole."
"Nemmeno quello che volevi fare tu" disse Marq. "Nessuno ucciderà nessuno. Sento che possiamo fidarci di lei. Vero, Sibyl?"
Joyce decise che era il momento di rivelare qualcosa di lei che potesse essere utile. Alzò una mano e mostrò un dardo magico. Quindi lo fece sparire subito dopo.
"Una strega" disse Belia sorpresa. "Perché non l'hai detto subito? Questo conferma i miei sospetti. Sei una spia."
"Smettila" disse Marq. "Li sai anche usare i dardi magici, oltre che evocarli?"
"Ho combattuto in diverse battaglie" disse Joyce con più sicurezza.
"Davvero?" fece Belia irritata. "E quali?"
"Mar Qwara" disse Joyce. "Nazedir. Valonde. Vanoria."
"Ho sentito dire che a Mar Qwara si sono risvegliati i giganti" disse Lem. "Tu li hai visti?"
"Certo che no" fece Belia. "È chiaro che ci sta mentendo."
"Ho combattuto contro Rancey. Di persona" disse Joyce in un impeto di orgoglio, ma subito se ne pentì quando vide lo sguardo di Marq e Belia farsi seri.
"Se tu avessi combattuto contro Rancey, ora saresti morta" disse la donna. "Questa è la prova che stai mentendo."
"Quindi stai con l'alleanza?" chiese Marq serio.
Joyce annuì. "Sono venuta da Valonde apposta" disse.
Belia sbuffò. "Una valondiana. Non c'è niente di buono i quei selvaggi."
"Non siamo selvaggi" protestò Joyce.
Marq fece cenno a Belia di tacere. "Io ti credo, Sibyl e voglio fidarmi di te. Devo fidarmi di te perché ho bisogno del tuo aiuto."
In quel momento Joyce seppe che avrebbe fatto qualsiasi cosa le avesse chiesto.
"Ti spiegherò tutto strada facendo. Ora togliamoci di qui. Non è molto sicuro."

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